Dare visibilità e cittadinanza alla lingue

 

Se il tema dell’insegnamento e dell’apprendimento dell’italiano come lingua seconda costituisce fin dagli albori della trasformazione in senso multiculturale della scuola italiana il “grande tema” e lo scoglio più urgente e immediato con cui i docenti e gli allievi non italofoni devono confrontarsi, il riconoscimento e la valorizzazione del plurilinguismo in chiave interculturale rappresentano, al contrario, una consapevolezza piuttosto recente e ancora poco diffusa nella didattica, benché presente nelle indicazioni delle prime circolari ministeriali sugli allievi stranieri (degli anni ’90) e oggi ampiamente dichiarata nei documenti di istituzioni e organismi internazionali, europei e nazionali. La valorizzazione della pluralità dei repertori linguistici, quindi non solo attraverso azioni di mantenimento/insegnamento delle lingue materne degli studenti di origine straniera, è ri­masta più frequentemente un tema “opaco”, di sfondo, non ancora realmente preso in carico da parte della scuola, nella sua generalità.

La ricerca ha ormai chiaramente messo a fuoco le ragioni personali, sociali e cognitive a favore dello sviluppo del bilinguismo/plurilinguismo. Per i giovani figli di immigrati il possesso della L1, la lingua della famiglia o lingua di origine, garantisce il mantenimento dei legami familiari e di quelli comunitari, i quali costituiscono spesso una risorsa sul piano sociale e dei percorsi di vita. Risorsa anche utile per il proprio futuro in un mondo interconnesso. Sono stati inoltre evidenziati i vantaggi cognitivi del bilinguismo dei bambini, dalla precoce capacità di individuare le informazioni importanti e ignorare quelle meno importanti, all'acquisizione del concetto di arbitrarietà del legame fra un’immagine mentale e il significato corrispondente, dalla capacità di fare confronti metalinguistici fino alla predisposizione ad apprendere ulteriori lingue (Amati Mehler, Argentieri e Canestri, 1990; Vacarelli, 2001; Dodman, 2013).

Ciò significa non solo che le lingue che costituiscono parte del repertorio personale degli alunni assumono un’importanza particolare in termini di equità, in quanto rafforzano l’identità personale e rappresentano uno strumento per il successo formativo, ma anche che le lingue degli alunni immigrati potrebbero costituire una risorsa disponibile per un’economia sempre più globalizzata che richiede risorse umane con un elevato livello di competenza in un’ampia gamma di lingue. Un’educazione linguistica e interculturale così intesa mette le lingue a servizio della qualità dell’istruzione. Ma per sviluppare il bilinguismo occorre, da un lato, una forte determinazione da parte delle famiglie e, dall'altro, un riconoscimento e un sostegno in ambito sociale e scolastico (Abdelilah-Bauer, 2008;  2013).

Tocca alla scuola e agli attori che operano nei territori non il compito di insegnare le L1 (lingue di origine) ma quello di rispettarle, di rendere sensibili gli alunni alla “pluralità di culture, lingue, esperienze”, di “valorizzare gli idiomi nativi e le lingue comunitarie”, garantendo ovviamente un “adeguato livello di uso e di controllo della lingua italiana”, come dichiarano a più riprese le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo dell’istruzione (MIUR, 2012). In esse vi si ribadisce, fra l’altro, la necessità che “l’apprendimento della lingua del Paese ospitante avvenga a partire dalle competenze linguistiche e comunicative che gli allievi hanno già maturato nell'idioma nativo”, che si tenga conto dei “repertori linguistici” degli allievi in una prospettiva plurilingue e interculturale.

È questa la prospettiva educativa proposta nel documento del Consiglio d’Europa Guida per lo sviluppo e l’attuazione di curricoli per un’educazione plurilingue e interculturale (2010) e nel testo Una sfida salutare. Come la molteplicità delle lingue potrebbe rafforzare l’unità dell’Europa (Commissione Europea, 2008), dai quali si evincono le ragioni personali, sociali, cognitive e metacognitive a favore dello sviluppo del bilinguismo e plurilinguismo. In questa direttrice va pure il documento redatto dalle principali associazioni linguistiche italiane (scaricabile dal sito dell’Accademia della Crusca) e sottoscritto da molti studiosi (primo firmatario Tullio De Mauro), intitolato Conoscere e usare più lingue è fattore di ricchezza (giugno 2013), in cui si riafferma, in cinque punti, l’importanza di un’educazione plurilingue (nella scuola di ogni ordine e grado) e del plurilinguismo come fattore di crescita psico-cognitiva, sociale e culturale, nonché come condizione primaria per l’esercizio dei diritti di cittadinanza.

Le politiche a sostegno del plurilinguismo, e delle L1 — si sostiene (o si evince) in questi documenti — hanno ragioni che originano dall'interesse del nostro sistema Paese e dell’Europa stessa (Bettinelli, 2013). Le ragioni del plurilinguismo sono illustrate anche nelle recenti Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri (MIUR, 2014) e su questa direttrice si colloca la sperimentazione ministeriale denominata “Lingua di Scolarizzazione e Curricolo Plurilingue e Interculturale” (LSCPI, http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/lscpi), che coinvolge le prime classi delle scuole primarie e secondarie di primo grado (quelle che hanno aderito al progetto di ricerca-azione).

A scuola non possiamo allora ignorare un elemento culturale così significativo come le lingue, e i dialetti, che innervano la vita quotidiana. La lingua di origine non va dunque stigmatizzata e svalorizzata, come se rappresentasse un ostacolo all'apprendimento dell’italiano, ma deve essere considerata come una componente significativa della condizione bilingue dei bambini immigrati. Tuttavia riconoscere e valorizzare le L1 presenti in classe fa parte delle attenzioni pedagogiche e didattiche che risultano importanti per tutti i bambini. Si tratta allora di dare loro un posto nel curricolo scolastico individuando gli apprendimenti possibili e le ricadute formative. Ci sono dunque molte ragioni “per fare” posto alle altre lingue:

  • fare assumere consapevolezza della varietà linguistica nel mondo, allargando gli orizzonti di tutti i bambini;
  • stimolare la curiosità degli alunni verso le lingue;
  • dare ai bambini e ragazzi bilingui o plurilingui l’occasione di dimostrare le loro abilità linguistiche;
  • superare atteggiamenti negativi o di vergogna verso lingue e culture;
  • offrire l’opportunità ai genitori di partecipare attivamente ad alcuni momenti della vita scolastica coinvolgendoli nelle attività linguistiche;
  • esplorare aspetti ed elementi circoscritti delle lingue e delle forme di scrittura in modo da favorire la riflessione linguistica mediante un approccio ludico che faciliti confronti, rilevazione di somiglianze e differenze e una sempre maggiore consapevolezza della dimensione linguistica. Lungi dal confondere le cose, il confronto con altre lingue aiuta a raggiungere una maggiore consapevolezza delle caratteristiche della propria lingua (MIUR, 2014).

 

Nonostante questa prospettiva, il significato del plurilinguismo e, di conseguenza, l'importanza cruciale della valorizzazione e del mantenimento dei patrimoni linguistici dei ragazzi di origine straniera rappresentano un dibattito che sembra essere stato rimosso o assunto da una minoranza di docenti (si veda il lavoro pionieristico realizzato da Grazia Tiezzi e poi confluito nella pubblicazione “Segni e disegni”, 2004). La scuola accusa un significativo ritardo nel tradurre le linee guida della normativa in misure concrete di valorizzazione e di mantenimento dei repertori presenti nelle classi. Fattori diversi, vincoli e limiti di varia natura —  culturali, politici e sociali, finanziari e or­ganizzativi — si intersecano e mettono in evidenza come l’alfabetizzazione e/o la salvaguardia della L1, lingua troppo spesso invisibile, ignorata se non svalorizzata, costituiscano un processo molto articolato che richiede un investimento progettuale e sistemico a medio e lungo termine, sostenuto altresì da una rete di risorse professionali ed economiche. Per gli operatori e i docenti non si tratta però di restare passivamente in attesa di un efficace progetto di politica linguistica, ma di assumere il ruolo di attori nel riconoscere la responsabilità etica di attrezzare tutti i propri studenti di strumenti adeguati, per poter essere a pieno titolo cittadini europei e del mondo (Bettinelli, 2013).

Come si è osservato, mantenere e sviluppare il proprio idioma di origine è una condizione facilitante per i bambini e ragazzi stranieri per un apprendimento generale positivo e rappresenta un’occasione per tutti gli alunni per scoprire la ricchezza delle lingue del mondo. Ma come fare?

 

 Attività propedeutica: l’autobiografia linguistica e lo schema di comunicazione intrafamiliare

 

Per riconoscere, rendere visibile e valorizzare le varietà linguistiche presenti nella classe si può partire dall’elaborazione dell’“Autobiografia linguistica”, finalizzata a raccogliere le biografie linguistiche personali e familiari degli studenti e fotografare così le diverse situazioni linguistiche presenti in classe. Un sollecitatore sull’“Autobiografia linguistica” avrà diversi livelli di approfondimento, differenti modalità di impiego, potrà essere più o meno semplificato e adattato, se lavoriamo con i bambini delle prime classi della primaria oppure con i ragazzi più grandi. Se gli diamo la forma di questionario può prevedere una successione di item a cui ogni allievo è chiamato a rispondere, direttamente o intervistando i propri familiari (vedi una possibile traccia nella tabella 1). La somministrazione del questionario sarà opportunamente preceduta da un’attività in cui l’insegnante introduce e spiega termini e concetti utilizzati: ad esempio, qual è il significato di “lingua madre”, che l’attività proposta comprende anche le lingue locali e i dialetti. In questo modo tutti gli allievi parteciperanno portando il proprio contributo.

Tabella 1

Biografia linguistica personale e familiare (traccia)

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Il docente avrà cura di rielaborare le risposte degli allievi in modo da organizzare una restituzione all’intera classe prestando particolare attenzione a: Paesi/luoghi di provenienza emersi, lingue (minoritarie, straniere di studio e straniere, dialetti, ecc.), livelli di conoscenza delle lingue, situazioni specifiche, ecc. Con le risposte date da ogni studente, e in particolare dagli allievi di origine straniera, possiamo elaborare uno schema di comunicazione intrafamiliare, come proposto da Favaro (2013) (figura 1).

Figura 1

Esempio di schema della comunicazione intrafamiliare

immagine_EI 

Questa attività, come evidenziato dalle parole delle docenti che l’hanno sperimentata, ha fatto emergere un quadro socio-linguistico della classe e familiare assai articolato e variegato, spesso sconosciuto ai docenti e alla classe stessa. Per far partecipare adeguatamente tutta la classe, sono state prese in considerazione anche le lingue dialettali, di cui l’Italia è ricchissima. Vi sono così compagni stranieri che parlano la loro lingua d’origine con i genitori, ma anche ragazzi italiani che parlano in famiglia il dialetto della regione italiana di provenienza. Ne sono uscite delle classi (e studenti e famiglie) con “biografie” linguistiche molto composite. L’attività inoltre, favorendo la partecipazione attiva di tutti e di ciascuno, ha sovente portato a un miglioramento del clima di classe, confermando il contenuto diagnostico e prognostico dello strumento.

Successivamente o parallelamente a questa attività possiamo proporre un lavoro di esplorazione delle lingue emerse in classe, per dare visibilità e cittadinanza, stimolare curiosità e interesse alle lingue. Ovviamente non esiste un modo migliore degli altri per avviare un percorso didattico, né una successione rigida da rispettare. Si potrà partire dall'ascolto di fiabe, dalla scrittura di parole e brevi frasi, dai nomi di persona, da immagini o altro materiale riguardante Paesi e località; oppure si potrà prendere spunto da una cartolina ricevuta da un compagno andato in un altro Paese o nel Paese di origine suo o dei genitori, oppure da un’occasione inaspettata. Le attività da proporre sono le più varie e fanno riferimento a una pluralità di ambiti fra i quali scegliamo in base alle nostre conoscenze, alle risorse disponibili, all’interesse manifestato dai bambini/ragazzi (Frigo e Colorio, 2009). È importante inoltre curare i contesti, ad esempio realizzando ed esponendo in classe cartelloni tematici plurilingui, fatti con l’aiuto dei bambini/ragazzi e dei genitori stranieri, per scoprire così come ci si saluta, si conta, si fanno gli auguri in più lingue (ad esempio, sul sito www.elite.net ci sono ottocento modi per dire “ciao”), da poter poi utilizzare nella comunicazione quotidiana.

Ma com'è possibile far lavorare i bambini su lingue diverse se non le conosciamo? Ci possono aiutare “testimoni privilegiati” pienamente competenti in L1, fra cui mediatori culturali e altre persone che parlano lingue straniere (studenti universitari): ma risorse preziose sono i bambini/ragazzi stranieri stessi e i loro genitori, che possiamo coinvolgere invitandoli in classe. Ovviamente ci possono fornire un aiuto anche i riferimenti a siti e testi di approfondimento e le esperienze realizzate da altre scuole. Una scuola primaria di Londra realizza da tempo un progetto interessante di valorizzazione della pluralità linguistica, denominato “La lingua del mese” (www.newburypark.redbridge.sch.uk).

Vediamo adesso alcune esemplificazioni di attività didattiche che possiamo realizzare in classe con i nostri allievi.

 

 Attività 1. La lingua del mese. Le parole della cortesia

 

Quando arriviamo in classe, impariamo a salutarci nelle “nostre” lingue. Scriviamo le parole della cortesia su cartelloni che ci aiutino a ricordarle. Chiediamo ai bambini e ai ragazzi che parlano quelle lingue di insegnarci la corretta pronuncia. Stimoliamo a rilevare somiglianze e differenze fra l’italiano e le altre lingue, poi proponiamo attività per impararle e utilizzarle. La tabella 2 riporta un esempio di “cartellone delle lingue” con alcune parole della cortesia: ovviamente ogni classe ha il proprio, costruito con le lingue dei bambini e ragazzi.

 Tabella 2

Il cartellone delle lingue con le parole della cortesia

Italiano

Spagnolo

Portoghese

Rumeno

Punjabi (pronuncia)

Ciao

Hola

Oi/Ola – Chau (andando via)

Ceau/Sálut

Sat siri akàl

Scusa (mi dispiace)

Lo siento/

Disculpame

Desculpa

Scuză

Mauf karnaa

Per favore

Por favor

Por favor

Vă rog

Kirpa karkee

Grazie

Gracias

Obrigado/Obrigada

Mulţumesc

Tanvaad

Sim

Da

Haan

No

No

Não

Nu

Nahuu

 

Attività per la classe. Proponiamo attività in cui i bambini possano usare le parole della buona educazione nelle varie lingue. Scegliamo una o più lingue con cui giocare contemporaneamente.

  •  Con i più piccoli. Insieme ai bambini individuiamo delle situazioni in cui usare “per favore” e “grazie”. Sollecitiamoli a formulare frasi in cui utilizzare queste espressioni in una o due lingue (ad esempio punjabi e spagnolo): “Kirpa karkee, mi passi la gomma?”, “Gracias”. Invitiamo a usarle almeno tre volte durante la giornata scolastica.

- Facciamo sedere i bambini su sedie disposte in fila. Un bambino, in piedi, chiede al primo della fila “posso sedermi?”; quello seduto risponde “da”, si alza e riceve in risposta “mulţumesc”. Il gioco prosegue fino alla fine della fila. Se qualcuno sbaglia, si ricomincia da capo.

- Fate parlare un personaggio (ad esempio un pupazzo o una marionetta) e ponete ai ragazzi domande alle quali si possa rispondere solo con “sì” oppure “no”. Ad esempio: “Il tuo nome è Giocondo? Hai 50 anni? Ti piacciono le ciliegie?”.

  • Con i più grandi. Disponiamo gli alunni sparsi nell'aula. Bendiamo un bambino e invitiamo un compagno a richiamarlo dicendo più volte “vieni qui” (anche nella lingua prescelta). Se il bambino bendato tocca un compagno diverso da quello che lo sta chiamando, deve scusarsi dicendo “Desculpa”. Il gioco prosegue fino a quando il bambino bendato raggiunge il compagno.

- Assegniamo a coppie di bambini/ragazzi il compito di disegnare o di drammatizzare alcune situazioni in cui sia necessario usare le parole della cortesia nella/e lingua/e stabilite. Ogni coppia mostra poi il disegno o la scenetta ai compagni, che devono scrivere su un foglio la parola in italiano. Vincono gli allievi che, al termine di una serie, hanno scritto più parole giuste.

- Girate tra i bambini salutando e dicendo “ciao” nella lingua prescelta. Disponete poi il gruppo in cerchio, salutate con la nuova parola il bambino alla vostra sinistra, chiedetegli di fare altrettanto con il suo vicino e così via fino a completare il giro.

 

 Attività 2. Parole donate: i prestiti linguistici

 

Dal latino e dal greco certamente, ma anche dall'arabo e in tempi a noi più vicini dall'inglese, dal francese e dallo spagnolo provengono le parole che usiamo ogni giorno. Non c’è nulla di straordinario in questo: le persone di diverse lingue sono in costante contatto l’una con l’altra e quindi si condizionano reciprocamente in molti modi. Nessuna lingua è immune da quello che viene definito intercourse, cioè il fenomeno costante di scambio di elementi tra lingue diverse. Alcune parole sono importate per l’ovvia ragione che, in una data lingua, non esiste un termine che definisca un oggetto o un concetto nuovo. Ad esempio, le arance e i limoni non erano conosciuti nella nostra penisola finché non vennero importati dagli arabi, insieme ai loro nomi. Dagli arabi ci è arrivato anche lo zero, che mancava nella numerazione romana. Nel passato i turchi ci hanno dato il caffè, gli spagnoli (dall'haitiano) le patate e il cacao.

Tutti sappiamo già un po’ di francese e di spagnolo, anche se non l’abbiamo mai studiato. In Italia, infatti, si usano molte parole “prestate” dai nostri “cugini” d’oltralpe che fanno parte del lessico della gastronomia, della moda, dello spettacolo, dell’automobilismo. Alcuni esempi? Croissant, foulard, camion, chauffeur, tailleur, omelette, moquette, taxi, bricolage, purée, pan carré e molti altri ancora. Ma la lingua straniera che, dopo l’inglese, ha maggiormente influenzato l’italiano dalla seconda metà del Novecento è lo spagnolo americano, con molte parole appartenenti al campo semantico della politica (golpe, desaparecidos, guerriglia, populismo, ecc.), del calcio (ola, goleador, goleada, ecc.), della musica (lambada, merengue, salsa, ecc.) e altre ancora molto note come telenovela e murales (López, 2001).

Ma c’è anche il fenomeno inverso, ovvero parole italiane penetrate nello spagnolo americano. Ad esempio, soprattutto in Argentina e in Uruguay si usano molte termini di origine italiana portati dai tanti emigranti che, tra l’Ottocento e il Novecento, hanno lasciato la penisola. La dominazione italiana in Eritrea ha lasciato qualche ricordo anche nel vocabolario tigrino, in cui sono presenti parole indicanti oggetti che hanno fatto la loro comparsa nel Paese con l’arrivo degli italiani. Da “pompa” (dell’acqua) a “bumba” che oggi significa anche rubinetto; da “boccia” (gioco delle bocce) a “bucia” che, tra l’altro, è tuttora un gioco praticato anche con sassi. Le lingue si incontrano e si mescolano, incessantemente.

 

Con i più piccoli. Dall'arabo all'italiano. In italiano ci sono circa 600 parole d’origine araba oppure originarie di altre lingue, ma passate all'italiano tramite l’arabo (Lanteri, 1991). Esse testimoniano antichi legami fra l’Italia e l’Europa con il mondo arabo ma segnalano anche idee, concetti e prodotti che abbiamo appreso dagli Arabi. Alcuni esempi sono:

Melanzana                  باذنجان              (Bādhnjān)

Carciofo                      خرشوف             (Khrshwf)

Limone                       ليمون                 (Lymwn)

Mummia                     مومياء               (Mwmyāʼ)

Giraffa                         زرافة                (Zrāfh)

Albicocca                   مشمش                (Mshmsh)

Proponiamo di pronunciare in arabo queste parole ad alta voce, memorizzandole (fra parentesi la pronuncia). Giochiamo poi a trovarne altre, magari con l’aiuto dei compagni di lingua araba.

 Con i più grandi. Caccia all'origine delle parole. Da dove arrivano alcune parole che usiamo tutti i giorni? Proponiamo il gioco della caccia all'origine delle parole. Con l’aiuto di un buon dizionario italiano dove sono riportate le etimologie, possiamo scoprire l’origine araba delle parole zafferano, divano, dogana, magazzino, arancia, cotone, ecc. Possiamo fare la stessa operazione con le parole di origine inglese, francese e spagnola. Proviamo a formulare ipotesi sulle motivazioni per le quali queste parole sono presenti  nella nostra lingua.

 

 Attività 3. Tante storie, tante lingue: plurilinguismo e narrazione

 

In un percorso, per quanto breve, di conoscenza delle altre lingue, un momento assai importante è l’ascolto di storie, filastrocche e fiabe dal mondo che consente di fare conoscere a tutti gli alunni esempi di un patrimonio di storie e racconti ampio e intrecciato. I bambini vengono introdotti a ritmi e suoni differenti su cui possono esprimere le loro percezioni ed emozioni, oltre ad avere l’opportunità di soffermarsi su scritture e alfabeti differenti, rilevare ricorrenze lessicali, varianze e assonanze.

La narrazione e la drammatizzazione di storie e fiabe, il ricorso a codici linguistico-espressivi (testuali, iconici, sonori, del corpo, ecc.) e a “spezzoni” linguistici differenti rafforzano le capacità di ascolto e interazione dei nostri alunni e stimolano la loro curiosità nel fare confronti tra le lingue conosciute: a vantaggio della motivazione, delle dinamiche interpersonali e del clima di classe. Questo lavoro spesso fa emergere interessanti aspetti metalinguistici: gli alunni osservano e discutono, anche divertendosi, sul perché certe parole, pur essendo uguali, vengono pronunciate con accenti diversi (come “mais” in alcune lingue, ad esempio); svolgono alcune riflessioni sulla grammatica delle lingue, sull’uso del singolare e del plurale, del maschile e del femminile nelle varie lingue. Effettuano inoltre un lavoro di decodifica, in cui parole simili in lingue differenti assumono altri significati. Attraverso le storie e le lingue diamo spazio ai “talenti” linguistici e narrativi di tutti gli alunni.

 

Attività per la classe. Un percorso di questo tipo può partire dalla narrazione di fiabe conosciute, lette o ascoltate, dalle fiabe provenienti da culture, tradizioni e Paesi diversi. La produzione di fiabe del mondo in versione bilingue o plurilingue ha avuto negli ultimi anni una diffusione di “nicchia”, sebbene con testi di buona qualità. Si pensi alle fiabe bilingui apparse nelle collane “Zefiro” e “Storie sconfinate”, rispettivamente degli editori Sinnos e Carthusia. Possiamo invitare, a turno, ogni nostro alunno a guardarle e sfogliarle tra gli scaffali della piccola biblioteca di classe, tra i ripiani dello “scaffale” della scuola o della biblioteca cittadina, se abbiamo l’occasione di farvi visita. Chi non trova la “sua” fiaba o storia, può sempre chiedere ai genitori o ai nonni di raccontargliela (Casorati e Favaro, 2010). Ecco alcune possibili proposte di lavoro.

Con i piccoli. Una filastrocca dal mondo. Lavoriamo sulle filastrocche raccogliendo quelle della tradizione italiana e locale: impariamole e magari cantiamole, mimiamole e illustriamole. Proponiamo poi filastrocche arabe che troviamo in “All’ombra dell’olivo. Il Maghreb in 29 filastrocche” (libro e cd, Mondadori, 2002). Chiediamo a qualche genitore di lingua araba di leggerne e cantarne alcune. Scopriamo somiglianze e differenze con quelle italiane. Evidenziamo una o due parole significative di una filastrocca e impariamo a scriverle e a dirle in arabo. Facciamo disegnare a ogni alunno un episodio che più lo ha colpito estrapolandolo dalla narrazione.

Con i più grandi. Giocare con storie e suoni. Dopo la narrazione di alcune “storie del mondo” possiamo lavorare in gruppi; ne scegliamo alcune, le smontiamo, manipoliamo, invertendo o cambiando i luoghi, personaggi, protagonisti e antagonisti e osserviamo che tipo di scambio “interculturale” avviene. Oppure possiamo giocare anche sull’individuazione di Paesi a seconda della traccia musicale ascoltata (suoni, strumenti, ritmo). Vediamo cosa succede.

 

Attività 4. Numeri, numerali e culture: le lingue contano

 

Ogni cultura, così come ha elaborato una sua lingua di riferimento e un insieme di usi, conoscenze e pratiche, così ha una sua matematica e una sua concezione di numero. Ha i suoi numerali utili per rappresentare i suoi numeri. Ci sono lingue contemporanee come il giapponese in cui, per contare oggetti di forma, natura o funzione diversa, si possono usare numerali differenti, dando così anche informazioni sugli oggetti contati che noi solitamente esprimiamo con altri elementi linguistici (le cose e le persone, gli anni e i bicchieri). Ma allora che ne è dell’astrattezza del numero? (Nicosia, 2008; D’Ambrosio, 2002).

Anche se noi occidentali chiamiamo le nostre cifre “numeri arabi”, i numeri in arabo sono diversi. Essi hanno un’origine indiana, tant’è che chiamiamo il nostro sistema di numerazione “indo-arabo”: è il sistema più diffuso, imposto pressoché universalmente dalla colonizzazione, dai traffici commerciali, dalla diffusione delle tecnologie e dalla globalizzazione. Ma come non ricordare, a testimonianza del lungo predominio culturale del mondo arabo sull’Europa, che la parola italiana “zero”, poi assunta in molte lingue europee, deriva dall’arabo sifr (صفر), originariamente nome del vento Zefiro, che ha dato origine anche al più generico “cifra”?

Anche se, per molti usi, la Cina ha adottato il diffusissimo sistema dei numeri indo-arabo, allo stesso tempo continua a utilizzare il sistema nativo testuale con i caratteri cinesi (ideogrammi). Quest’ultimo sistema è comunque un sistema in base 10, ma presenta una grande differenza nel modo in cui i numeri sono rappresentati. La scrittura cinese ha caratteri per i numeri da 0 a 9: per il numero zero, in alternativa al carattere ufficiale viene utilizzato anche un semplice cerchio. Undici, in cinese, è “dieci uno” e dodici è “dieci due”. Venti, è “due dieci” e ventuno è “due dieci uno” e così via, fino a 99. Così, ad esempio è 20, è 27 e via contando.

Questo modo di scrivere i numeri si riscontra nei sistemi di rappresentazione più diffusi, dove i numerali per i primi 10 numeri naturali servono per costruire tutti gli altri (e per questo sono chiamati numerali fondamentali). Ad esempio, 2014 in bengali è ২০১৪, in gurmukhi ੨੦੧੪, in arabo ٢٠١٤.

 

Attività per la classe. Il confronto fra numeri, lingue e scritture riserva sorprese che i bambini sanno cogliere prontamente. Proponiamo attività in cui i bambini possano usare i numeri nelle varie lingue. Scegliamo una o più lingue con cui giocare. Possiamo incominciare con il predisporre un grande cartellone con i numeri e i nomi corrispondenti nelle tante lingue presenti in classe. Come nella tabella 3, in cui sono riportati i numerali fondamentali da 0 a 10 (come si scrivono in cifre e in lettere, come si pronunciano, ecc.).

 

Tabella 3

Il cartellone dei numeri con i relativi nomi in più lingue

Rumeno

Arabo

Gurmukhi (Punjab)

Bengali

Cinese

0 zero

٠ (sifr)

੦ ਸਿਫਰ (sifar)

০ (শূন্য)

  ੦ (ling)

1 unu

١ (uahid)

੧ ਇੱਕ (ikk)

১ (এক)

(yi)

2 doi, douã

٢ (ithnan)

੨ ਦੋ (doo)

২ (দুই)

(èr)

3 trei

٣ (thallatha)

੩ ਤਿੱਨ (ten)

৩ (তিন)

(san)

4 patru

٤ (arbaà)

੪ ਚਾਰ (ciaar)

৪ (চার)

(sì)

5 cinci

٥ (khamsa)

੫ ਪੰਜ (pang)

৫ (পাচ)

  (wu)

6 şase

٦ (sitta)

੬ ਛੇ (scee)

৬ (ছয)

  (liù)

7 şapte

٧ (sabaà)

੭ ਸੱਤ (satt)

৭ (সাত)

(qi)

8 opte

٨ (thamania)

੮ ਅੱਠ (att)

৮ (আট)

  (ba)

9 nou, nouã

٩ (tisaà)

੯ ਨੌੰ (no)

৯ (নয়)

  (jiu)

10 zece

١٠ (àhsra)

੧੦ ਦੱਸ (das)

১০ (দশ)

  (shì)

 

Con i più piccoli. Un’attività motivante per i bambini è apprendere a contare in lingue diverse. Impariamo dunque i numeri da uno a dieci in arabo, cinese, rumeno, ecc. Scriviamoli accanto alle cifre e impariamo la corretta pronuncia con l’aiuto di un adulto (mediatore, genitore) o di un compagno madrelingua, ai quali possiamo chiedere di insegnarci anche altri numeri. Osserviamo le eventuali regolarità nella composizione dei numeri e confrontiamola con l’italiano. Proponiamo giochi con i numeri.

 

Con i più grandi. Proponiamo di trascrivere i nostri numeri, ad esempio le pagine di un libro o la data del giorno, in cifre arabe orientali. Giochiamo a dire l’età, quanti siamo in famiglia, qual è il numero che viene prima o dopo un numero dato, ecc. Stimoliamo a rilevare somiglianze e differenze fra i numerali in italiano e rumeno, poi proponiamo attività per impararli e utilizzarli. Proponiamo di fare sottrazioni orali entro i dieci con i numeri in rumeno, ad esempio: “Se a şapte tolgo patru, quanto viene?”.

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

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