Test Book

Editoriale

Lorenzo Luatti

Ricercatore Oxfam Italia



Un filo rosso collega e salda gli approfondimenti monografici proposti da questa rivista nel corso dell’ultimo biennio e il tema della valutazione degli allievi stranieri sviluppato in questo numero. Si riprendano alcuni di questi approfondimenti: gli effetti della crisi sul welfare e sulla scuola (anche rispetto alla capacità delle istituzioni scolastiche e del territorio di offrire supporti e sostegni adeguati a coloro che più ne hanno bisogno), l’esplorazione dei fenomeni e dei fattori che spingono il formarsi di concentrazioni scolastiche (con elevate percentuali di figli di migranti), i nodi irrisolti dell’orientamento e della continuità scolastica nei passaggi tra ordini di istruzione secondaria (su cui ritornano alcuni contributi di questo numero), le oggettive difficoltà di molte famiglie immigrate a seguire i propri figli negli impegni scolastici.
Queste tematiche, affrontate negli scorsi numeri, adesso dialogano e trovano un ulteriore sviluppo interpretativo con la trattazione dell’“annoso” tema della valutazione degli allievi stranieri, laddove, potremmo dire - e non solo in senso figurato almeno per la valutazione certificativa -, “tutti i nodi vengono al pettine”. L’approccio necessariamente olistico e multifattoriale adottato in questi anni per scandagliare i cammini scolastici degli studenti stranieri, spesso tortuosi e accidentati, consente di evidenziare e mettere in relazione le tante sfaccettature e le implicazioni di una problematica vasta e complessa. Si viene così a comporre davanti ai nostri occhi un quadro abbastanza chiaro dei variegati percorsi a ostacoli che caratterizzano le carriere scolastiche di questi alunni; si vengono a definire profili diversi di vulnerabilità e di svantaggio, e una sorta di circolo vizioso che crea un effetto moltiplicatore, produce dispersione e ineguali opportunità.
Tutti abbiamo a mente il dato fortemente penalizzante degli esiti scolastici degli alunni con cittadinanza non italiana che il Miur e la Fondazione Ismu rammentano ogni anno, e che nel tempo non ha purtroppo conosciuto significativi ridimensionamenti. È evidente, per chi vuole vedere, che quel dato è specchio e riflesso delle criticità e delle contraddizioni del “modello” di inclusione adottato in questo Paese, e, se posso aggiungere, dell’insuccesso o della scarsa penetrazione di buona parte delle azioni e attenzioni diffuse e sperimentate in tanti anni di lavoro sull’inclusione scolastica. Su quel dato pesano ovviamente anche le modalità e i criteri seguiti per la valutazione (certificativa) degli alunni stranieri.
Come evidenziano a più riprese i contributi qui raccolti, a pesare sono innanzitutto le contraddizioni e le approssimazioni della normativa primaria e delle indicazioni ministeriali in argomento. Norme che paiono incapaci di affrontare una realtà composita che esce dagli schemi e che, peraltro, non è sostenuta da adeguate risorse in termini professionali e organizzativi. A loro volta, l’assenza di soluzioni certe e chiare della normativa favorisce e amplifica, soprattutto nella scuola secondaria, pratiche discrezionali, generando quel fenomeno peraltro assai noto della “localizzazione dei diritti”. Così, da una parte, i docenti sono invitati a tenere conto della dimensione formativa della valutazione, a far prevalere considerazioni di carattere pedagogico (tra cui la necessità di dare tempo), mentre dall’altra le norme spingono in una direzione contraria se non opposta, finendo per penalizzare invece di aiutare gli alunni nei loro percorsi di apprendimento.
Ma il tema della valutazione degli studenti stranieri (in particolare neo-arrivati), come viene fatto notare, si pone in stretta connessione con una valutazione di ciò che la scuola mette in atto per accompagnarli in un percorso di apprendimento, in termini di dispositivi adeguati di supporto, sostegno e accompagnamento. Nello stesso tempo, emerge l’altro tema di forte criticità, quello della competenza genitoriale (tema affrontato anche nel precedente numero di questa rivista) e della fragilità dei nuclei familiari stranieri (e non solo), soprattutto in ordine alla possibilità di sostenere e accompagnare i figli nelle incombenze scolastiche. Qui però dovremmo inserire un’ulteriore riflessione – meritevole forse di un futuro approfondimento – che fa riferimento alla tendenza della scuola e dei docenti a spostare sempre più sulla famiglia responsabilità e compiti di insegnamento propri della scuola (si pensi, in primis, a tutto il tema dei compiti a casa che a mio avviso sta conoscendo un inedito sviluppo), e che è espressione delle difficoltà oggi accresciute del “fare scuola” e dell’insegnamento. Ma così facendo non si amplificano le differenze e le diseguaglianze?
Va dunque riconosciuto il merito alla curatrice di questo numero di avere proposto e fortemente voluto l’esplorazione di un tema solo apparentemente “tecnico”, che invece si rivela denso di implicazioni e in cui permangono criticità, che non vanno nascoste o rimosse.

 


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