Esperienze e progetti / Experiences, programmes, projects
Alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana tra sistema d’accoglienza pubblico e privato. Riflessioni ed esperienze basate sulla pedagogia di P. Freire
Literacy and Italian language learning in public and private reception systems. Thoughts and experiences based on P. Freire’s educational theory
Sara Mazzei
Pedagogista, ha conseguito: la laurea triennale in Scienze dell’educazione con 110/110 (Unical 2012), con tesi dal titolo Pedagogia del dialogo e educazione aperta: dalle favelas brasiliane ai campi nomadi; la laurea specialistica in Scienze Pedagogiche per l’interculturalità e i media con 110/110 e lode. Attualmente usufruisce di una borsa di ricerca nell’ambito del progetto Erasmus plus ENABLE: Self Learning for Arab Speaking refugee children. Building a concept for mother-tongue trainers and teachers
Autore per la corrispondenza
Sara Mazzei
Indirizzo e-mail: saramazzei1989@gmail.com
Occhialì – Laboratorio sul Mediterraneo Islamico, cubo 18/b, Università della Calabria, via Pietro Bucci, 87036, Arcavacata di Rende (CS), Italia
Sommario
Dal 2015 in Italia è stato creato un sistema d’accoglienza straordinario (CAS), parallelo al sistema pubblico SPRAR: a fronte di numerosi studi sui centri SPRAR, scarsi sono quelli sui CAS. L’apprendimento della lingua del paese di accoglienza è il primo passo per l’inclusione sociale e può essere considerato rappresentativo del lavoro svolto nei centri di accoglienza. Tenterò di rendere conto della mia esperienza di insegnamento di lingua e cultura italiana in un CAS, effettuata avendo come riferimento il metodo di alfabetizzazione freiriano, e di confrontarla con un'altra esperienza basata sullo stesso metodo. Questo contributo è un tentativo di concettualizzazione di un lavoro svolto dagli operatori spesso senza nessun riferimento al dibattito scientifico attuale; parte dalla constatazione delle differenze nei risultati dell’apprendimento dell’italiano nei diversi centri, che rappresentano una discriminazione e una disuguaglianza vissuta dai migranti accolti in centri di bassa qualità, e perviene a due conclusioni: è necessario portare tutti i corsi a un livello qualitativo minimo; il metodo di alfabetizzazione freiriano risulta idoneo a questo fine nel contesto dell’accoglienza.
Parole chiave
CAS, alfabetizzazione, discriminazione.
Abstract
In 2015, the Italian government created a secondary reception system (CAS), parallel to the SPRAR public system: but while several studies have been published on the SPRAR system, few have been made on the CAS. Learning the language of the host country is the first step towards social inclusion and, for this reason, we can consider it representative of the work done in reception centres. I will try to account for my experience in teaching the Italian language and culture in a CAS, carried out with reference to the Freirean literacy method, and to compare it with another experience based on the same method. This contribution is an attempt to conceptualise work which is often carried out by operators without any reference to the current scientific debate. It starts with the observation of striking differences in learning outcomes of the Italian language in different centres, which represent the discrimination and inequality experienced by migrants received by low quality centres. It concludes that we need to bring all courses to a minimum quality level and that the Freirean literacy method is suitable for this purpose in the context of reception centres.
Keywords
CAS, literacy, discrimination.
Il contesto generale: sistema di accoglienza, alfabetizzazione e scolarizzazione
Per affrontare le questione dell’alfabetizzazione e dell’apprendimento dell’italiano nel contesto generale del sistema d’accoglienza nazionale e nella prospettiva suggerita dalla pedagogia di Freire, ho ritenuto necessario iniziare da una breve analisi di tale contesto, che, seppur non esaustiva, permette di comprendere in quali condizioni viene effettuata l’azione educativa, giacché, come Freire stesso afferma: «la forza strumentale dell’educazione sarà nulla se non terrà conto delle condizioni del contesto in cui viene applicata» (Freire, 1973, p.108).
La complessità del fenomeno migratorio attuale richiede professionalità, competenze e conoscenze agli operatori del settore dell’accoglienza profughi e richiedenti asilo; gli educatori o gli insegnanti che vi lavorano sono sempre anche dei mediatori culturali. In Italia sono numerosi gli operatori a vario titolo altamente qualificati e sono stati sperimenti diversi percorsi formativi innovativi e qualificanti, ma i meccanismi di inclusione lavorativa non sempre sono meritocratici e spesso queste professioni sono caratterizzate da una forte precarietà lavorativa (Fiorucci, 2011, pp. 101-127). Il sistema nazionale prevede due canali differenziati di accoglienza: il sistema pubblico SPRAR e il sistema privato dei CAS. Nel sistema pubblico sono garantite per legge determinate professionalità e competenze e si procede tramite pubblico bando per la selezione degli operatori; nel sistema privato dei CAS, invece, la selezione è a discrezione dell’ente gestore senza necessità di procedura pubblica. Di conseguenza spesso nei CAS opera personale poco qualificato e retribuito, nonostante la maggiore autonomia di cui godono questi centri possa portare, e a volte porti effettivamente, a sperimentazioni positive. La differenza di qualità tra SPRAR e CAS sembra essere particolarmente significativa in Calabria, nonostante siano alcune regioni del nord Italia ad avere espanso a dismisura il sistema di accoglienza straordinario mantenendo limitati i posti nel sistema SPRAR, mentre nelle regioni del sud il sistema ordinario mantiene un ruolo maggiormente significativo.1 La differenza qualitativa crea diseguaglianze tra i migranti ospitati in centri funzionanti e non funzionanti, con significative ricadute sulle loro vite.
L’insegnamento dell’italiano esemplifica come le differenze di professionalità esistenti tra i diversi centri creino un sistema di inclusione differenziale, generando migranti di serie A e di serie B, talvolta in modo casuale, altre volte secondo criteri di provenienza geografica: non possiedo dati certi in merito perché le provenienze dei singoli ospiti in ogni centro non sono dati pubblici e visionabili, ma sembra, ad esempio, che siano solo gli SPRAR a ospitare i profughi siriani mentre nei CAS la maggior parte degli ospiti proviene dall’Africa occidentale. Tale suddivisione probabilmente è in parte conseguenza delle due modalità di arrivo in Italia: chi arriva via mare con i barconi, quindi soprattutto, ma non solo, gli africani occidentali, viene destinato al sistema d’accoglienza straordinario; chi arriva in Italia con altri mezzi, via terra o via aerea o con i corridoi umanitari viene destinato maggiormente al sistema SPRAR.
Del sistema di accoglienza straordinario fanno parte anche gli hotspot, gestiti dal ministero dell’interno, che devono fornire beni e servizi di prima necessità in teoria per un tempo limitato di massimo 60 giorni, ma in realtà i migranti vi restano per mesi o anni. Gli hotspot si trovano in Sicilia e in Puglia (Lampedusa, Pozzallo, Trapani, Porto Empedocle, Taranto), ospitano in promiscuità adulti e minori, maschi e femmine, non sono tenuti ad attivare percorsi di scolarizzazione, formazione, inclusione di alcun genere essendo soluzioni temporanee (Fondazione Migrantes, 2017). I CAS seguono la stessa logica emergenziale degli hotspot, giacché nascono come soluzioni straordinarie in attesa che il migrante venga trasferito in un centro ordinario, anche se sono tenuti a offrire maggiori servizi secondari. Ma la scarsità di posti negli SPRAR rende solo teorica questa impostazione e spesso i migranti trascorrono tutto il periodo di accoglienza nei CAS, finché non ottengono o gli viene rifiutata la protezione internazionale.
Lo SPRAR è dunque l’unico ente che ha obblighi precisi rispetto ai bisogni formativi dei propri ospiti e l’insegnamento dell’italiano, obbligatorio per legge, è svolto negli SPRAR da personale qualificato avente l’abilitazione all’insegnamento dell’italiano L2.2 Nei CAS la legislazione prevede maglie più larghe per l’erogazione dei servizi secondari e non è obbligatorio possedere l’abilitazione L2 per tenere un corso di lingua e cultura italiana. Le differenze nei risultati sono immaginabili per chiunque creda che insegnare richieda professionalità: la maggior parte dei migranti ospiti in SPRAR o in CAS ben organizzati in alcuni mesi è capace di comunicare in italiano su argomenti quotidiani; i migranti ospiti in CAS di bassa qualità dopo mesi di permanenza spesso sono incapaci di affrontare la più semplice conversazione. La stessa problematica si ritrova nel sistema di accoglienza dei MSNA, aggravata dalla giovane età degli utenti, con, da una parte, centri che offrono servizi di elevata qualità in riferimento all’inclusione scolastica e ai percorsi di apprendimento, e, dall’altra, centri i cui ospiti non seguono nessun percorso formativo.
Tale fenomeno non è adeguatamente monitorato giacché, come sottolinea Save The Children (2017), non esiste una rilevazione statistica nazionale su quanti MSNA siano iscritti al sistema scolastico. Negli SPRAR e nei CAS ben gestiti vi sono operatori madrelingua che si occupano di seguire i minori nel loro percorso formativo dentro e fuori la scuola, ma neanche tale servizio è obbligatorio, quindi vi sono CAS e SPRAR che non lo offrono. Il sistema scolastico non ha alcun obbligo nei confronti dei minori rifugiati, né per quanto riguarda la loro iscrizione né per quanto riguarda i servizi di mediazione. Se il minore viene iscritto a scuola, gli insegnanti possono, in collaborazione con gli operatori del centro, inserirlo nella categoria dei BES (Bisogni Educativi Speciali), nella casistica riferita al disagio socio-linguistico-culturale, che prevede un PDP (Piano Didattico Personalizzato), proposto dalla scuola e accettato dalla famiglia o dal tutore, senza nessuna figura aggiuntiva di sostegno o mediazione linguistica (MIUR, 2012; 2013). I presidi, grazie all’autonomia scolastica, possono attivare dei servizi di mediazione ma non sono obbligati e la mancanza di fondi spesso blocca questo genere di iniziative, anche se vi sono ovviamente delle sperimentazioni in tutta Italia che portano solitamente buoni risultati.3
Vi è da sottolineare un’ultima problematica derivante dal modo in cui l’Italia, e soprattutto il sud, è spesso considerata e vissuta dai migranti stessi, ovvero come territorio di sbarco e transito ma non come meta finale del progetto migratorio. Molti migranti che arrivano sul nostro territorio pertanto non hanno intenzione di fermarvisi ma intendono proseguire il loro viaggio verso altri Paesi europei.4 Devono però permanere sul territorio italiano (ai sensi del Regolamento di Dublino secondo il quale è il Paese di primo approdo quello responsabile della domanda di asilo), nel migliore dei casi fintanto che non ottengono il permesso di ricongiungersi con parenti che vivono in altre nazioni. Questo è il primo ostacolo a ogni percorso educativo, giacché il migrante, adulto o minore, non ha la prospettiva di restare in Italia ed è pertanto difficile che sviluppi la motivazione necessaria ad apprendere la lingua e a integrarsi nella scuola e nella società; questo a prescindere dalla realizzabilità legale del progetto migratorio in un altro Paese, che spesso non si realizza neanche, lasciando però il migrante in una condizione di incertezza che non aiuta l’apprendimento e l’inclusione.
Il metodo dell’alfabetizzazione di Freire
Per capire come la pedagogia di Freire possa essere utile in questo contesto, è importante soffermarsi su alcuni concetti chiave della sua teorizzazione che riguardano il rapporto tra le comunità marginali e la cultura dominante, essenziali in qualunque riflessione sull’incontro tra culture: l’integrazione e l’adattamento; oltreché sulla riflessione sulle forme della comunicazione. Il processo di integrazione implica la necessità che il soggetto entri in una relazione di accordo con la realtà circostante che gli permette di trasformarla tramite l’azione; azione in cui esiste il potere di scegliere ed esercitare un giudizio critico. L’uomo si presenta come soggetto attivo; l’integrazione parte dall’identità specifica del soggetto, individuo o comunità, che non viene soppressa o modificata ma riesce a entrare in relazione con le altre identità e con il contesto culturale generale. Al contrario l’adattamento è l’adozione dei modi, della cultura e dei valori dell’ambiente circostante, è una perdita di identità che riduce l’uomo a oggetto passivo che perde la sua possibilità di scelta. L’adattamento è l’azione compiuta dall’uomo che, non essendo nelle condizioni di poter modificare la realtà, modifica se stesso per adattarsi.
La riflessione freiriana si sofferma inoltre sul concetto di assistenzialismo, il quale rappresenta una forma di dominazione culturale che rende l’uomo passivo, in quanto lo dichiara incapace di provvedere a se stesso e dipendente quindi dalla benevolenza altrui. Attraverso tale meccanismo di svilimento della persona umana si fortificano le differenze sociali, massificando l’uomo all’interno della categoria dei bisognosi, che nulla hanno da dare o da guadagnare (Freire, 1973). In un’altra opera, Pedagogia degli oppressi, Freire focalizza l’attenzione sul soggetto oppresso e sulla relazione oppresso-oppressore, e propone un percorso che, attraverso la coscientizzazione, consenta il superamento di tale contraddizione e conduca all’emancipazione (Freire, 2002).
Un altro nodo cruciale della pedagogia di Freire è la riflessione sulla comunicazione, in cui viene sottolineata la differenza tra i comunicati e la comunicazione. I comunicati sono un messaggio unidirezionale che non prevede una risposta da parte del ricevente, utilizzati dalla classe dominante a fini coercitivi o di elargizione assistenziale e che portano all’uccisione dello spirito critico. Un rapporto di sottomissione non può che portare a un adattamento forzato del soggetto sottomesso alla cultura dominante, che esprimerà con il mutismo e la non partecipazione la sua esternità. Una reale integrazione necessita invece dell’uso della ragione, dello sviluppo della coscienza e di un attento spirito critico, capace di confrontare la propria cultura con quella altrui. Lo scambio di esperienze è indispensabile al perfezionamento di tutti i gruppi umani, ed esso può realizzarsi solo tra soggetti alla pari in cui nessuno tende a sottomettere l’altro. Se l’educazione viene intesa come alfabetizzazione coscientizzante, si comprende come essa assuma un ruolo di rilievo all’interno di un progetto politico democratico che offra all’educando i mezzi per resistere alla violenza dello sradicamento e a partecipare alla vita pubblica.
Questa riflessione portò Freire a sostituire la scuola con i circoli di cultura, sostituzione terminologica e sostanziale dalla quale ne discendono altre: non si parla di professore ma di coordinatore; non di lezioni ma di dibattiti; non di alunno ma di partecipante al gruppo. Colui che studia non è un paziente, bensì il soggetto di un atto creativo; la conoscenza non è sommatoria di nozioni bensì risultante dai legami che l’uomo intreccia nei suoi rapporti con la realtà e nella realtà. Tale legame viene stabilito dall’uomo al di là del suo livello di alfabetizzazione e crea un sapere che è sempre relativo. Non esiste né la sapienza assoluta, né l’ignoranza assoluta; credere nel contrario equivale a rinvigorire i sentimenti di superiorità culturale da parte dei dominanti e il senso di inferiorità nei dominati. Il legame che l’uomo stabilisce tra i fatti a cui assiste, il nesso che intravede tra le cause e gli effetti, ci dà la misura della sua coscienza critica: maggiore è la comprensione della causalità maggiore è la capacità di comprensione critica del soggetto, al contrario una visione fatalista degli eventi denota una coscienza magica.
Un’educazione coscientizzante deve aiutare l’uomo a superare i suoi atteggiamenti magici di fronte alla realtà. Nella teoria freiriana questo obiettivo è da realizzarsi attraverso l’uso di un metodo attivo, dialogico, critico e criticizzante, la modificazione del contenuto programmatico dell’educazione, l’uso di tecniche come la riduzione e la codificazione. Per quanto riguarda il contenuto programmatico dell’educazione Freire intese organizzare il percorso educativo intorno alla realtà vissuta dal gruppo di educandi. Punto di partenza è il concetto antropologico di cultura, che interviene a mettere in dubbio la visione magica della realtà e a fare identificare l’uomo come artefice di essa, come attivo essere creatore e non succube passivo del destino. Il concetto di cultura viene analizzato dal gruppo educativo dal punto di vista della conoscenza pura, riducendo il concetto ai suoi elementi fondamentali, e dal punto di vista dell’esperienza concreta attraverso dei quadri che codificano situazioni vissute in cui l’uomo è creatore.
In questo modo l’apprendimento si configura come maieutica, riscoperta di sé e del proprio valore; i concetti vengono estrapolati dal vissuto del soggetto e codificati piuttosto che imposti dall’esterno. Prima di imparare a leggere e scrivere, questo metodo consente all’analfabeta di apprendere criticamente la necessità di imparare a leggere e scrivere, ovvero di scoprire la propria motivazione all’apprendimento (Freire, 1973). Come affermano Surian e Surian (2013, p. 69): «A livello dei processi di apprendimento, ciò incoraggia un investimento diverso rispetto a una memorizzazione visiva e meccanica di frasi, parole e sillabe scollegata dal proprio vissuto, a favore di un atteggiamento creativo. In questa prospettiva la funzione primaria cui risponde l’educatore è dialogare con gli apprendenti analfabeti legando l’attenzione verso situazioni concrete all’utilizzo di strumenti per alfabetizzarsi».
Basato su questi presupposti, l’approccio all’alfabetizzazione è suddiviso in cinque tappe:
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Individuazione delle parole più usate nel linguaggio comune del gruppo di apprendenti e compilazione di un inventario dell’universo lessicale del gruppo utilizzando lo strumento dell’intervista. È importante dedicare un tempo iniziale significativo a questa prima tappa in modo che gli educatori possano conoscere il più possibile i contesti in cui vive chi apprende.
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Dall’universo lessicale vengono selezionate le parole generatrici seguendo i criteri semiologici di ricchezza fonemica, difficoltà fonetiche, contenuto pragmatico della parola. È questa una fase molto delicata in quanto «uno degli aspetti più critici dell’alfabetizzazione, secondo l’approccio di Freire, è individuare le parole generatrici adeguate; se scelte erroneamente, infatti, portano a una diminuzione della motivazione» (Surian e Surian, 2013, p. 71).
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Codificazione, ovvero elaborazione, tramite disegni e fotografie, di quadri che presentino situazioni esistenziali, reali e quotidiane, tipiche del gruppo con cui si lavora.
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Elaborazione delle schede e loro compilazione tramite la decomposizione delle famiglie di fonemi contenute nelle parole generatrici.
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L’esecuzione prevede la proiezione del quadro situazione, la sua analisi/decodificazione, la presentazione della parola generatrice, la scomposizione della parola generatrice in sillabe, lo studio di ogni famiglia fonetica e la presentazione delle famiglie fonetiche insieme. Lo studio delle famiglie fonetiche insegna innanzitutto a riconoscere le vocali (Freire, 1973).
La schematicità di queste tappe non va considerata come rigidità, infatti Freire stesso ritiene necessario reinventare continuamente le modalità di realizzazione in base al contesto di riferimento e ai soggetti a cui ci si riferisce.
Applicazione pratica nel contesto specifico dell’alfabetizzazione in italiano L2
Intendo qui riportare una riflessione in merito alla mia esperienza di insegnamento della lingua e cultura italiana in un piccolo CAS, confrontandola con quella svolta al CTP “Diego Valeri” di Padova: inizierò quindi riassumendo l’esperienza di Surian e Surian (2013), in quanto cronologicamente precedente, per passare poi a descrivere e analizzare la mia (2017).
Nonostante la diversità delle due istituzioni, ritengo che il confronto sia significativo in quanto i due percorsi educativi si ispirano allo stesso metodo pedagogico e si rivolgono allo stesso tipo di utenza. Ciò mi permette di verificare se il modo in cui ho inteso applicare il metodo freiriano nel contesto del CAS sia simile al modo in cui hanno inteso applicarlo in altri contesti e se vi sia similitudine nello svolgimento del lavoro e nei risultati.
Nell’applicare il metodo freiriano all’insegnamento dell’italiano L2 bisogna tenere presente che esso è stato ideato originariamente per insegnare a leggere e scrivere in lingua madre a un gruppo comunitario di apprendenti; ciò rappresenta un’importante differenza di base ed è perciò legittimo domandarsi se tale applicazione sia in effetti possibile ed efficace. Come sottolineano gli autori (2013, p. 70): «Il contesto di insegnamento di una lingua seconda è molto diverso da quello in cui si trova una comunità di analfabeti che apprende a leggere e a scrivere in lingua madre. L’esigua competenza orale nella lingua seconda non permette quel tipo di dialogo che facilita l’introspezione legata alle parole generatrici». Il gruppo di apprendenti presenta caratteristiche molto diverse: nell’idea di Freire (1973) esso appartiene a una stessa comunità e possiede cultura e vissuto comune, invece nel CTP «non vi è un vissuto comune: spesso, infatti, nel gruppo che apprende, le persone provengono da Paesi diversi; interessi e quotidianità sono differenti da persona a persona. Ciò non vuol dire che non si possano trovare ambiti d’incontro, familiarità, interesse e necessità, in cui diventa possibile, tramite le parole generatrici, instaurare un dialogo, anche semplice, su cui la motivazione di tutti possa rimanere alta» (Surian e Surian, 2013, pp. 70-71).
Se analizziamo più in profondità troveremo che il gruppo di apprendenti condivide l’importante esperienza della migrazione, che unisce emotivamente persone proveniente da nazioni, etnie e religioni diverse; condivide quindi la necessità di integrarsi nel Paese di accoglienza, di comprendere come esso funzioni nei suoi aspetti sociali, legali, burocratici e culturali. Il contesto del CAS aggiunge ulteriori elementi rispetto al contesto del CTP per quanto riguarda la dimensione di gruppo che condivide un vissuto: gli apprendenti di un corso di italiano tenuto in un CAS convivono nella stessa casa, mangiano insieme e condividono la quotidianità in ogni suo aspetto durante tutto il delicato periodo che intercorre tra la formalizzazione della richiesta di protezione internazionale e l’ottenimento o il rifiuto di quest’ultima. In questa convivenza spesso si creano dei sottogruppi basati sulla provenienza nazionale o appartenenza etnica o religiosa, ma con la stessa frequenza si creano rapporti e amicizie profonde che travalicano questi confini; molto dipende in questo processo dalle singole individualità dei migranti e dal lavoro svolto dagli operatori.
Passando quindi alla fase operativa, Surian e Surian (2013) forniscono alcune indicazioni sulle azioni da svolgere prima di iniziare un corso di alfabetizzazione in italiano L2, definendo utile una valutazione iniziale effettuata con l’ausilio di mediatori culturali al fine di conoscere le persone a cui il corso si rivolge e di calibrare sugli apprendenti le attività e gli esercizi da proporre durante il corso. Le informazioni di base che è necessario ottenere sono l’età e i livelli di partenza o grado di alfabetizzazione, intesi come livello di istruzione formalmente raggiunto, capacità di leggere nella propria lingua madre e nella lingua italiana. Per acquisire queste informazioni il metodo più semplice è proporre la lettura e il copiato di alcuni brevi testi in entrambe le lingue e dedurre dalla valutazione di questo esercizio i livelli di partenza. Puntualizzano poi che nel caso in cui la valutazione della capacità di lettura nella lingua italiana risulti totalmente negativa, tanto da poter dedurre che la persona non ha di essa nessuna conoscenza, sarà indispensabile cominciare con l’insegnamento della lingua orale. A tal fine considerano essenziale la ripetizione corale in aula delle parole generatrici e delle sillabe, utile anche per chi conosce l’alfabeto latino, a causa della conoscenza dell’inglese, del francese o di altre lingue latine, ma non la lingua italiana. Per quanto riguarda l’apprendimento della scrittura per gli analfabeti considerano importante insegnare lo stampatello sia maiuscolo che minuscolo in maniera tale che l’apprendente possa poi leggere ogni tipo di testo stampato. Ritengono preferibile puntare sulla composizione libera di testi piuttosto che sulla somministrazione di numerosi testi scritti, per favorire e stimolare la creatività.
Nel CTP l’attenzione si è focalizzata su alcuni studenti non alfabetizzati; dopo l’intervista iniziale si è costruita un’unità didattica centrata sul tema del lavoro e basata su quattro parole generatrici ognuna corrispondente a un’unità didattica: telefono, lavoro, documento e colloquio. Le unità sono state strutturate secondo il modello gestaltico in fasi: una prima fase di motivazione tramite un supporto audio-visivo; la seconda fase in cui si presenta la parola generatrice e si approfondisce lo studio delle sillabe; la terza fase di analisi delle parole, con la loro scomposizione e ricomposizione; la quarta di sintesi e riflessione, in cui si rielabora il contenuto tramite la composizione scritta o tramite varie attività ludiche.
Un corso di lingua e cultura italiana in un CAS
Il mio primo contatto con il gruppo di apprendenti è avvenuto con l’ausilio dei mediatori culturali del CAS, i quali mi hanno affiancato nelle interviste individuali, adoperandosi nella traduzione in italiano di quanto affermato dagli ospiti non parlanti né inglese né francese. Coloro i quali conoscevano queste lingue hanno preferito utilizzarle senza ricorrere alla traduzione, anche se, dovendosi riferire ad alcuni concetti o situazioni relativi ai loro contesti di appartenenza, non possedendo la terminologia necessaria nella lingua comunitaria, hanno adottatto termini in lingua madre che mi sono stati spiegati dai mediatori. In questi colloqui è stata ricostruita la loro storia personale, con particolare attenzione ai motivi della migrazione, al viaggio compiuto e alle aspirazioni lavorative e di studio. Sono stati descritti gli studi compiuti e i lavori svolti precedentemente, in modo che potessimo comprendere le conoscenze e le competenze di cui ognuno di loro era già in possesso. Il metodo seguito è stato quello dell’intervista semi-strutturata, che permette sia di porre le domande chiave per ottenere le informazioni base di cui si necessita, sia di lasciare spazio alla libera espressione dell’intervistato, in modo che possa esprimere i propri pensieri, problemi e sentimenti e ricevere un primo supporto emotivo e cognitivo. Alla fine è stato prodotto un report per ognuno.
Tramite le interviste e la somministrazione di test di lettura e scrittura di livello A1 è stato possibile delineare il livello di partenza di tutto il gruppo, che risultava eterogeneo sia dal punto di vista delle nazionalità di provenienza che da quello dell’alfabetizzazione: su 20 uomini aventi tra 20 e 30 anni, un piccolo gruppo risultava totalmente analfabeta sia in italiano che in lingua madre; il sottogruppo numericamente più consistente aveva frequentato la scuola primaria nel Paese d’origine e aveva una conoscenza basilare dell’alfabeto latino derivante dallo studio dell’inglese o del francese; un altro sottogruppo consistente aveva proseguito gli studi fino alla scuola secondaria e possedeva una discreta capacità di maneggiare l’alfabeto latino derivante dallo studio dell’inglese e del francese; un piccolo gruppo era giunto agli studi universitari, possedeva un’alta conoscenza dell’alfabeto latino, parlando e scrivendo fluentemente l’inglese e/o il francese e risultava già capace di articolare frasi comprensibili in italiano seppur con errori di grammatica e pronuncia. Tale varietà si rifletteva nella diversità delle aspirazioni, partendo da chi desiderava svolgere un qualunque lavoro manuale, per arrivare a chi da professionista avrebbe voluto continuare a svolgere il proprio lavoro, per finire con coloro i quali avrebbero voluto proseguire gli studi in Europa.
A differenza dell’esperienza precedentemente descritta, il gruppo è stato mantenuto unito, considerando utile l’apprendimento cooperativo tra apprendenti aventi diversi livelli di partenza (Pontecorvo, 1999). Era infatti necessario per tutti imparare l’alfabeto italiano e la pronuncia di lettere e sillabe, inoltre la presenza di persone con un più elevato livello di istruzione e una maggiore attitudine allo studio sarebbe servita da stimolo per coloro i quali erano analfabeti; questa ipotesi ha in effetti funzionato al punto tale che i più bravi sono diventati, con un processo spontaneo, insegnanti di supporto per i meno bravi, agendo da mediatori durante le lezioni e offrendo ripetizioni.
Le lezioni si sono svolte tra maggio e giugno 2017. Innanzitutto è stato presentato l’alfabeto italiano su un grande cartellone, che è servito da ausilio durante tutto il corso; su di esso per ogni lettera è stata trascritta la lettera corrispondente in arabo, per aiutare coloro i quali erano stati scolarizzati con alfabeto arabo nel Paese d’origine. Ogni lettera è stata ripetuta più volte per impararne la pronuncia, sia singolarmente che coralmente da tutta la classe. A ciò è stato affiancato un primo modulo di conversazione e di educazione civica tramite l’insegnamento delle forme convenzionali del salutare e un modulo sul passaporto effettuato spiegando in italiano, con relativa traduzione, a cosa serve e quali informazioni contiene. In tal modo si è acquisita una prima padronanza della capacità di presentarsi e parlare di sé tramite la compilazione schematica di un fac-simile di passaporto.
Dalla seconda lezione le lettere sono state studiate una per volta, selezionando una parola generatrice con ogni sillaba iniziante con ogni lettera dell’alfabeto. Si è preferito procedere in tal modo, piuttosto che con il metodo classico freiriano di scelta di una parola generatrice a prescindere dalla sua iniziale, proprio perché si trattava di italiano L2 e questo procedimento ha permesso uno studio sistematico dei suoni componenti l’alfabeto. Al cartellone sono state pertanto aggiunte di volta in volta le sillabe, che venivano poi ripetute individualmente e coralmente. Si è cominciato dalla lettera A e la parola prescelta è stata “Amico”: tale parola è stata scomposta in lettere e sillabe, si è discusso del significato di questa parola e nel corso della discussione sono emerse le parole da essa derivate o ad essa collegate come amicizia, amichevole, nemico, affetto, aiuto, solidarietà, ecc. Con le consonanti questo lavoro è stato fatto sillaba per sillaba (ad esempio BA-BE-BI-BO-BU), selezionando cinque parole generatrici. Quando, analizzando la lettera C, è stata prescelta come parola un verbo, è stato introdotto lo studio del verbo al presente indicativo.
Lo studio dei verbi è stato condotto gradualmente ma iniziato fin da subito, in quanto particolarmente ostico per gli analfabeti ma molto richiesto da coloro i quali avevano un più alto livello di partenza: in questo come in altri casi il gruppo ha lavorato a velocità separate, gli analfabeti procedendo all’acquisizione di un verbo per volta coniugato solo al presente indicativo, gli altri coniugando più verbi al presente indicativo oppure un verbo nei diversi tempi. Ci si è soffermati a lungo sulla lettera C in quanto portatrice del suono duro CH e dei suoni dolci CI e SC, difficili da acquisire per tutti gli apprendenti; inoltre questo ha dato occasione di analizzare i pronomi CHI e CHE. Tale lettera ha preso molto tempo, oltre che per i motivi fonetici e grammaticali appena esposti, anche dal punto di vista dei contenuti in quanto la parola generatrice prescelta è stata “Costituzione”, e il lavoro di analisi e discussione che ne è scaturito è stato lungo e ricco di suggestioni. Altrettanto complesso è risultato il lavoro sul verbo essere effettuato alla lettera E; tale verbo è stato imparato da tutti in tutti i tempi dell’indicativo ed è servito da stimolo per imparare a presentarsi e parlare di sé tramite l’elaborazione di brevi enunciati. Altro studio approfondito ha richiesto la parola generatrice “Famiglia”, che ha dato occasione di apprendere molte parole nuove che gli apprendenti sentivano il bisogno di conoscere e di comparare il concetto di famiglia nei loro Paesi di origine e in Italia. Nell’ambito di questa discussione si è reso necessario introdurre il verbo avere.
In occasione del 2 giugno, di fronte alla domanda sul perché fosse festa in Italia, si è colta l’opportunità per svolgere una lezione sulla storia e la cultura italiana. Con la lettera G si è potuto verificare se avessero appreso la differenza tra suoni duri e dolci, affrontata alla lettera C, e in effetti lo studio delle sillabe che si formano con la G è stato più semplice e veloce. Con tale lettera si sono studiati i giorni della settimana, così come i mesi dell’anno sono stati studiati nella lezione sulla lettera M e le stagioni in quella sulla lettera S. Alla lettera N sono stati introdotti i numeri, su cui ci si è soffermati a lungo.
Dopo che tutto l’alfabeto era stato studiato si è sistematizzata la conoscenza dei verbi e delle regole grammaticali che di volta in volta si erano incontrate. È stato poi somministrato un test dello stesso tipo del test iniziale per valutare l’efficacia dello studio svolto ed è emerso che tutti gli apprendenti avevano innalzato il proprio personale livello di conoscenza della lingua italiana orale e scritta: gli analfabeti erano capaci di leggere e scrivere frasi di senso compiuto; gli intermedi di svolgere compiti lievemente più complessi e coloro i quali partivano da un buon livello di istruzione erano diventati fluenti nella lingua italiana commettevano meno errori grammaticali e di pronuncia. Gli ultimi incontri sono stati dedicati alla preparazione di un curriculum e alla simulazione di colloqui di lavoro in cui gli apprendenti dovevano presentare se stessi, parlare della loro istruzione, delle esperienze lavorative pregresse e delle proprie competenze.
Conclusioni
Per quanto concerne l’adattabilità del metodo freiriano, possiamo concludere che i risultati negativi della colonizzazione in Brasile sono paragonabili agli effetti ottenuti da una certa politica sulle migrazioni in Italia. Nella globalizzazione la dimensione di colonia assume tratti meno netti, perciò la stessa forma di dominazione culturale si ritrova nel rapporto tra minoranze e cultura egemone in Occidente (Ardito, 2007, p. 3). Ciò che ha portato nelle colonie brasiliane allo sviluppo di alienazione culturale e di complessi di inferiorità nelle comunità marginali rischia di produrre lo stesso effetto nelle comunità di stranieri presenti in Italia (Mazzei, 2012). La riflessione freiriana può essere utile in tutta Europa, ma in special modo nei paesi del sud e nei rapporti tra paesi mediterranei, punto di partenza e di approdo delle navi cariche di migranti (Mayo, 2008). Inoltre, la categoria di oppressi (Freire, 2002) non si limita a nessun contesto ma si può applicare a tutti i contesti e a categorie differenti per essere agita nel contemporaneo (Catarci, 2016). Il metodo dialogico ha il merito di essere applicabile ovunque, in quanto il primo obiettivo che si prefigge è l’analisi culturale del gruppo educativo, passaggio che ha già in sé una valenza educativa in quanto svolto consapevolmente dai soggetti interessati, e trae i propri contenuti dalla reale situazione da questi vissuta.
Nelle esperienze descritte i gruppi di apprendenti hanno colto che la didattica utilizzata era diversa da quella classica e che veniva strutturata in base alle loro esigenze e ai loro interessi. L’approccio dell’alfabetizzazione ispirato da Freire è risultato funzionale a far prendere dimestichezza con le parole e quindi a un apprendimento rapido della lingua italiana per poter interagire con l’ambiente. La familiarizzazione graduale al metodo ha fatto sì che a un primo momento di spiegazione e applicazione della metodologia sia seguita una fase in cui la metodologia era stata appresa e si procedeva in maniera spedita alla proposta e associazioni di parole e concetti. Ciò spinge a confermare l’intuizione di Freire sulla necessità di conoscere il gruppo di apprendenti e di inserirsi attivamente nel loro contesto quotidiano e di significato, come esplicitato da Surian e Surian nelle loro conclusioni (2013, p.71): «Riteniamo che, pur nelle difficoltà dettate dai tempi e dai modi in cui sono concepiti attualmente i corsi per immigrati nei CTP, sia possibile progettare un percorso di alfabetizzazione che possa essere il più vicino possibile alle loro esigenze e, pertanto, cerchi di calibrarsi di volta in volta rispetto ai discenti con cui ci relazioniamo. Per questo giudichiamo molto importante l’uso delle parole generatrici e l’attenzione nella scelta di quelle adeguate ai contesti e alle motivazioni di chi apprende, così com’è importante riuscire ad adattare le lezioni al momento, seguendo quanto gli studenti stessi propongono e traendo spunto dalle loro proposte. In questo modo, ponendo al centro del processo il gruppo degli apprendenti, si possono offrire maggiori e più durature opportunità educative, a partire da percorsi di memoria e di consapevolezza innestati nei vissuti quotidiani».
La mia esperienza all’interno del CAS giunge alle medesime conclusioni, partendo da simili difficoltà derivanti dal contesto complesso e conflittuale che contraddistingue il fenomeno migratorio in questa fase storica e l’apprendimento della lingua italiana come L2 ad esso legato. La metodologia proposta è adattabile a diversi contesti (CTP, CPA, CAS, SPRAR, doposcuola e corsi di italiano informali): è funzionale sia in gruppi di apprendenti appartenenti a una stessa comunità, che in gruppi di apprendenti di diverse comunità ma aventi lo stesso background migratorio e livello di istruzione di partenza (Surian e Surian, 2013), che in gruppi di apprendenti di comunità diverse e con livelli di istruzione diversi ma con lo stesso background migratorio e condividenti la quotidianità.
L’utilizzo dell’alfabeto arabo a fianco di quello latino, da me sperimentato, ha avuto un effetto positivo su coloro i quali erano alfabetizzati in arabo, giacché hanno visto riconosciute e valorizzate le loro conoscenze e competenze pregresse, acquisite con fatica in anni di studio. La loro reazione emotiva positiva a tale espediente e la motivazione ad apprendere che ha infuso in loro mi spingono a credere che l’uso della lingua madre sia estremamente utile nel lavoro educativo con gli immigrati. Tale approccio è alla base del progetto a cui sto attualmente lavorando basato sull’utilizzo della lingua madre nell’inclusione scolastica dei minori rifugiati arabofoni, che prevede la professionalizzazione di adulti arabofoni nella figura di insegnante di supporto per il minore.
Bibliografia
Ardito A. (2007), Paulo Freire educatore interculturale, «Ricerche di Pedagogia e Didattica», vol. 2, pp. 1-7.
Catarci M. (2016), La pedagogia della liberazione di Paulo Freire: Educazione, intercultura e cambiamento sociale, Milano, FrancoAngeli.
De Marco A. (a cura di) (2016), Lingua al plurale: la formazione degli insegnanti, Perugia, Guerra Edizioni.
Favaro G. (2002), Insegnare l’italiano agli alunni stranieri, Firenze, La Nuova Italia.
Fiorucci M. (2011), Gli altri siamo noi. La formazione interculturale degli operatori dell’educazione, Roma, Armando.
Fondazione Migrantes (2017), Il diritto d’asilo, report 2017, minori rifugiati vulnerabili e senza voce, Todi (PG), Editrice Tau.
Freire P. (1973), L’educazione come pratica della libertà, Milano, Mondadori.
Freire P. (2002), La pedagogia degli oppressi (1971), Torino, EGA.
Mayo P. (2008), L’eredità politica e pedagogica di Paulo Freire oggi, in Europa e nel Bacino del Mediterraneo, Atti del convegno “Paulo Freire: Educazione, etica, politica. Per una pedagogia del Mediterraneo”, Castel Volturno (NA), 9-10 Novembre 2007, Luciano editore.
Mazzei S. (2012), Pedagogia del dialogo ed educazione aperta. Dalle favelas brasiliane ai campi nomadi, Tesi di laurea triennale, Università della Calabria.
MIUR (2012), Direttiva ministeriale del 27/12/2012 Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica; (2013), Nota ministeriale n. 2563 del 22/11/2013 trumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali. A.S. 2013/14. Chiarimenti.
Pontecorvo C. (a cura di) (1999), Manuale di psicologia dell’educazione, Bologna, il Mulino.
Surian C. e Surian A. (2013), L’alfabetizzazione di Paulo Freire, «La ricerca», n. 3, pp. 69-71, http://www.laricerca.loescher.it/la_ricerca_3/sorgenti/assets/basic-html/page70.html (ultimo accesso: 31/10/2017).
Sitografia
Cruscotto_statistico_giornaliero_05-04-2018 dal sito http://www.interno.gov.it/it/sala-stampa/dati-e-statistiche/sbarchi-e-accoglienza-dei-migranti-tutti-i-dati (ultimo accesso: 5/04/18).
Save the Children (2017), Atlante Minori Stranieri Non Accompagnati in Italia, https://www.savethechildren.it/sites/default/files/AtlanteMinoriMigranti2017.pdf (ultimo accesso: 11/05/18).
Note
1 Nel 2016 su 171.938 richiedenti asilo e rifugiati solo 22.971 erano ospitati negli SPRAR e ben 133.727 nei CAS. Tale sproporzione è più evidente al nord che al sud: in Sicilia a fronte di 4.299 posti SPRAR si contavano 4.774 posti CAS, in Calabria 2.102 posti SPRAR e 3.351 posti CAS mentre in Lombardia a fronte di 1.366 posti SPRAR vi erano ben 20.025 posti CAS. Per quanto riguarda i MSNA l’85% è ospitato nei CAS e solo il 15% negli SPRAR. I minori nei CAS sono soggetti a un trattamento discriminatorio, non ricevendo le dovute attenzioni psicologiche e educative, spesso non venendo neppure iscritti a scuola ma seguendo solo qualche blando corso di italiano (Fondazione Migrantes, 2017).
2 Sulla formazione specifica per gli insegnanti di italiano come lingua seconda cfr. De Marco (2016).
3 Sull’insegnamento dell’italiano agli alunni stranieri nella scuola si veda il testo fondamentale della Favaro (2002).
4 Ad es. nel 09/2017 hanno chiesto il ricollocamento 13.679 migranti; a oggi, 12.747 lo hanno ottenuto (di cui 1.408 minori); il maggior numero in Germania, poi in Svezia e Paesi Bassi (cruscotto_statistico_giornaliero_05-04-2018).
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ISSN 2420-8175. Educazione interculturale.
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