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Esperienze

Il curricolo dalla parte delle radici: partire dagli studenti per costruire cittadinanza

Flavia Virgilio

Collaboratrice di ricerca e docente all’Università di Udine, si occupa di processi migratori, cittadinanza e educazione in una prospettiva interdisciplinare tra Antropologia e Pedagogia sociale. Tra le sue pubblicazioni: Ordinarie migrazioni (con R. Altin), 2011, Udine, Kappa Vu; Educare cittadini globali, 2012, Pisa, ETS; Destini incrociati. Migrazioni tra località e mobilita: visioni e rappresentazioni (con A. Guaran e R. Altin), 2013, Udine, Forum.


Abstract

This paper discusses a case study of curriculum design in a lower secondary school which, by starting from concrete problems of classroom management and by putting a value on students' informal skills, have enabled the promotion of transversal competences of citizenship and specific skills related to the language and technology sector. The research question to which we have tried to answer regards the relevance of informal competences in the construction of formal curricula. The aim has been to identify the recognition criteria of students’ informal skills in schoolwork and curriculum design. The methodological approach has combined action research with ethnographic tools, ranging from participant observation to self-analysis of behaviors, from check-list to multimodal discourse analysis of textual and visual student productions.



Sommario

Il testo illustra e discute due esperienze di lavoro di progettazione curricolare in una scuola secondaria di primo grado che, partendo da problemi concreti di gestione delle classi e valorizzando le competenze informali degli allievi, hanno consentito la promozione di competenze trasversali di cittadinanza e di competenze specifiche legate all'area dei linguaggi e delle tecnologie. La domanda di ricerca a cui si è cercato di rispondere riguarda la rilevanza delle competenze informali nella costruzione dei curricoli formali. Gli obiettivi che ci siamo posti riguardano l'individuazione di criteri di riconoscibilità nel lavoro scolastico e nella progettazione curricolare di competenze maturate dagli allievi in ambito informale. La metodologia utilizzata nell'attività è stata la ricerca- azione. Le tecniche di rilevazione impiegate sono state molteplici e vanno dall'osservazione partecipante alle schede di autoanalisi dei comportamenti, dalle checklist, all'analisi multimodale del discorso attraverso le produzioni testuali e visuali dei ragazzi.

 

[…] strano pregiudizio che valorizza ciecamente la profondità a scapito della superficie,

pretendendo che superficiale significhi non già di vaste dimensioni, bensì di poca profondità,

mentre profondo significa di grande profondità e non di superficie ristretta.

(Deleuze)

Curricoli e radici

Da dove si parte per costruire un curricolo? Dalle radici più profonde della nostra cultura, per saldare e crescere le giovani generazioni di studenti nella più salda tradizione occidentale, o piuttosto dai saperi significativi per la vita degli studenti stessi? E chi decide in merito a questa significatività? Il tema del curricolo è oltre modo attuale in particolare in questo momento in cui la scuola di base, conclusa la fase di sperimentazione e valutazione, si trova nella situazione di avviare in modo ordinario il lavoro sulle Indicazioni Nazionali. Dentro questo percorso la riflessione sulle competenze di cittadinanza costituisce il nucleo chiave su cui ruota il discorso delle nuove Indicazioni. La scuola oggi si trova davanti alla sfida di formare cittadini in grado di agire e interagire su scenari non solo nazionali, ma anche europei e globali (MIUR, 2012, p. 6). Le identità e le radici culturali si pluralizzano, così come i saperi necessari per costruirle, alimentarle e trasformarle.

La nuova cittadinanza di cui si parla è possibile solo a partire dai contesti in cui la cittadinanza reale si pratica, o non si pratica, tutti i giorni. Il tema delle radici, in questa prospettiva, è un tema eloquente per la riflessione educativa; tocca le aree delle discipline, ma anche del senso che le discipline assumono nello scenario contemporaneo, e tocca le aree dell'identità, non solo degli studenti, ma anche dei docenti e della scuola come istituzione (Green, 1997). Ogni disciplina, di per sé, si definisce come una categoria organizzativa in seno alla conoscenza scientifica (Morin, 2000), mentre la disciplinarietà è il risultato di un processo di riduzione, selezione e mediazione didattica finalizzato alla trasmissione scolastica del sapere, inevitabilmente influenzato da fattori contestuali legati al tempo, al luogo e alle relazioni sociali di potere (Zoletto, 2012, pp. 85-112).

I rischi più evidenti di questa impostazione sono di certo quelli relativi a una visione etnocentrica delle discipline scolastiche in cui il canone nazionale e monoculturale del sapere scolastico tradizionale si traduce in una visione settoriale delle discipline, in cui gli aspetti della selezione culturale dei contenuti incrociano il tema delle differenze, di genere, di classe, di razza. Che cosa significa, ad esempio, insegnare il colonialismo italiano quando in classe ci sono studenti provenienti dalle aree colonizzate? Che ruolo hanno nella costruzione disciplinare gli immaginari trasmessi dai libri di testo e in che relazione stanno questi immaginari con la convivenza degli studenti in classi che, di fatto, sono sempre più multietniche e multiculturali (Gabrielli, 2011)? E ancora, che cosa significa oggi insegnare italiano in classi eterogenee? In che senso una disciplina come l'italiano, costruita in termini storico-letterari, può contribuire a formare competenze di cittadinanza come competenza nella madrelingua, imparare a imparare, consapevolezza ed espressione culturale? E infine: cosa significa oggi tradizionale e in che relazione sta il tradizionale, le radici insomma, con il continuo sviluppo di nuovi saperi, di nuove competenze e di nuove forme di fare conoscenza?

Laddove il discorso sulle radici si salda con il discorso della memoria e delle tradizioni, intercettando il piano incerto delle costruzioni identitarie, il rischio di produrre risultati paradossali, anche in termini educativi oltreché politici, è molto elevato. Un semplice esempio: durante la campagna elettorale, sia regionale che nazionale del 2008, campeggiavano nella piazza antistante la nostra scuola i manifesti della Lega Nord con lo slogan «Loro non hanno potuto fermare l’immigrazione e si sono estinti», accompagnato dall’immagine di un nativo americano. Il manifesto tralasciava di dire che i loro da cui i nativi americani si sarebbero dovuti difendere erano anche i milioni di italiani, per la precisione quattro milioni, che tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento hanno lasciato l’Italia per le Americhe. Di questi un numero non piccolo proveniva dal Friuli Venezia Giulia e dal Veneto (Bertuzzi e Fait, 2010), regioni dove oggi la Lega Nord ha una presenza più che consolidata. Che genere di messaggi educativi veicolano manifesti del genere all'esterno di una scuola ad alta intensità migratoria in cui uno dei pilastri del POF è basato sull'educazione interculturale?

Questo semplice esempio mostra come lo scenario locale ed europeo, di fatto, sia attraversato da contrapposte tensioni tra il discorso pragmatico, e strategico, sulla funzione economica e demografica dei flussi migratori e il discorso populista e localista basato sulla sicurezza, sulla difesa dell’identità e sulla salvaguardia delle radici (Aime, 2004). E il discorso sulle radici, anche quando è declinato sul piano delle discipline, diventa inevitabilmente un discorso politico: «L’interazione tra storia e memoria è un fatto della vita nel mondo, nel tempo, nella società: è un dato di fatto della cultura (altrettanto importanti sono il lavoro di dimenticare, e le forze che agiscono contro il ricordare). Soprattutto, ricordare è un atto politico, oltre che culturale» (Portelli, 2007, p. XIII).

Guardare i curricoli a partire dalle radici, allora, potrebbe significare interrogarsi sul rapporto tra la scienza, i saperi, le discipline e coloro che imparano; e ancora interrogarsi sul rapporto tra coloro che imparano e il modo con cui la scuola, in modo organizzato, usa l'azione didattica per costruire apprendimenti che si connettono con i luoghi di vita e acquisiscono senso dall'interazione con questi stessi luoghi. Una riflessione sulle radici e sui curricoli non può che partire da queste molteplici domande e mettersi in ascolto di risposte che possono venire non solo dai docenti e dalle istituzioni, ma anche dagli allievi e dal territorio in cui la scuola è inserita. Prendere sul serio l'ascolto e le risposte significa accettare l'inedito che queste risposte portano con sé, il dono di cui Don Milani parlava in Lettera a una Professoressa riferendosi alla cultura popolare: «Ogni popolo ha la sua cultura e nessun popolo ne ha meno di un altro. La nostra è un dono che vi portiamo. Un po' di vita nell'arido dei vostri libri scritti da gente che ha letto solo libri» (Scuola di Barbiana, 1967, p. 115). Tentare di effettuare questo ascolto significa fare almeno una prova per ampliare la superficie entro cui si ancorano le nostre radici.

Una classe free-style alla ricerca delle proprie radici

Il primo giorno di scuola in prima secondaria di primo grado è sempre carico di aspettative e di preoccupazione per i ragazzi, ma soprattutto per gli insegnanti. Si tratta di conoscere nuovi ragazzi, fare in modo che si conoscano tra loro, introdurli alle regole e alle consuetudini della nuova scuola in cui sono arrivati, organizzare l’orario e il lavoro. Insomma organizzare l’accoglienza. Guardo l’elenco e penso a tutte le buone regole per la fase di conoscenza e la costruzione del gruppo classe. Il gruppo è composto di 20 allievi, 8 femmine e 12 maschi, molti cognomi sono (o sembrano) stranieri, alcuni mi sembrano sinceramente impronunciabili. Tre allievi provengono da altri istituti, dove hanno frequentato senza successo la prima classe. Bisognerà mettere subito le cose in chiaro, in modo che tutti capiscano che stiamo giocando il gioco serio della scuola e che qui non si sgarra: non c’è tempo da perdere e siamo una scuola seria, in cui il rispetto delle regole ha un valore centrale. Occorre, quindi, introdurre questi nuovi allievi al nostro ordine sociale (Goffman, 1998; 2008).

Arrivo per prima in classe, la prima ora del primo giorno di scuola. Il programma di accoglienza prevede come prima attività la consegna del libretto personale, spiegazioni e regole d’uso dello stesso, lettura commentata del regolamento scolastico e del patto di corresponsabilità. Si tratta, insomma, di chiarire bene i confini dei comportamenti consentiti, le relative sanzioni e le modalità di riparazione. Concludiamo con i compiti per casa. Assegno a ogni allievo il compito di preparare la propria carta d’identità da presentare ai compagni durante la lezione successiva. Ritrovo il gruppo dopo due giorni durante i quali alle normali lezioni si sono alternate attività di accoglienza. Riprendiamo il nostro percorso dalla presentazione delle carte d’identità. La conoscenza reciproca è uno dei punti cardine di ogni progetto di accoglienza. Entrare in un’organizzazione significa, infatti, iniziare un processo di socializzazione, che, come tale, ha delle fasi e dei tempi specifici e spesso i tempi delle organizzazioni non coincidono con quelli dei soggetti in fase di accoglienza. «Le organizzazioni hanno fretta, e i soggetti sono prudenti: entrambi vogliono tutelare la propria soggettività» (Marcato, Giolito e Musumeci, 1997, p. 24).

Le carte di identità degli allievi, allora, sono l’esatto corrispettivo della definizione dell’identità istituzionale attraverso la lettura del Regolamento scolastico e del Patto di corresponsabilità. Dal punto di vista del soggetto si tratterà di comprendere il contesto di un’organizzazione e farsi conoscere dalla stessa per quel tanto che basta a guadagnarsi la sopravvivenza, mentre dal punto di vista dell’istituzione si tratterà di socializzare al più presto i nuovi arrivati in un sistema di norme e valori in modo tale da assicurare all’istituzione stessa di continuare a funzionare e a esistere comunque. Durante una delle attività, utilizzando argomenti di geografia legati alla demografia e alla rappresentazione statistica dei dati, abbiamo proposto un’attività dal titolo Likert dal vivo (Marcato, del Guasta e Bernacchia, 1995, p. 171). La domanda chiave era Chi tra di voi si sente italiano? Chi straniero? Perché? Una volta individuata la risposta gli studenti dovevano posizionarsi in file divise per italiani e stranieri, motivando la loro posizione. Il 90% degli studenti di origine straniera si è collocato nella colonna degli italiani, adducendo le seguenti motivazioni:

  • sono nato in Italia;

  • sono andato a scuola sempre in Italia e parlo perfettamente l’italiano;

  • abito in Italia;

  • i miei genitori, anche se di origine straniera, sono cittadini italiani.

Alcuni degli studenti con genitori non italiani, posizionati nella colonna degli stranieri, hanno detto di sentirsi italiani anche se sanno di essere considerati stranieri in relazione al Paese di provenienza dei genitori. Ho lasciato annotati sulla lavagna i ragionamenti e i distinguo emersi dalla discussione e due giorni dopo una collega mi ha avvicinata comunicandomi: «Certo che i ragazzi hanno una gran confusione in testa… Si credono italiani perché sono nati in Italia». Nel frattempo la nostra discussione era continuata prendendo in esame i seguenti casi, proposti dagli studenti sulla base delle loro esperienze:

  • il cugino nato in Grecia da padre rumeno e madre spagnola;

  • l’amico nato in Italia con padre italiano e madre ucraina;

  • l’amica nata in Italia la cui madre rumena vive in Italia mentre il padre rumeno è emigrato in America;

  • l’amico nato in Romania la cui madre rumena vive in Italia mentre il padre italiano vive in Romania.

Dopo avere discusso su cosa significa essere italiani, rumeni o albanesi, abbiamo concordemente e unanimemente deciso che la parola fuorviane fosse straniero. Tutti concordavano sul fatto che bisognava togliere dal binomio ragazzo-straniero l’aggettivo, specificando piuttosto nato/a a…, oppure di origine…, oppure con genitori… Sorprendentemente tutti i ragazzi, anche quelli ritenuti da noi meno propensi a una convivenza civile, si sono dimostrati informati e consapevoli delle condizioni di accesso alla cittadinanza formale in Italia.

«Se gli studenti, anche quelli ritenuti da noi peggiori, hanno idee così chiare su una questione complicata come la cittadinanza, perché non dovrebbero averne sulla situazione della classe? Perché non dare a loro la parola, e sentire dalla loro viva voce come vanno le cose a scuola?», ci siamo chieste. Il lavoro di discussione con gli studenti ha portato all'individuazione di aree di condivisione di interessi e competenze tra gli studenti su cui radicare le attività curricolari del gruppo classe. Una di queste aree comuni era certamente la musica. Siamo quindi partiti dal terreno degli studenti, la musica rap, per costruire insieme conoscenze e competenze.

Un curricolo freestyle?

«All'interno del panorama del freestyle la mia particolarità è quella di saper improvvisare discorsi in rima partendo da circa 5 parole fornitemi dal pubblico, variando spesso la velocità e il ritmo di esecuzione per uscire dagli schemi del rapper canonico, sia per quanto riguarda la musicalità sia per i temi trattati (molto più vicini a una poesia/gioco di parole che a un volgare rap e talvolta in lingua friulana). Questa disciplina attualmente mi permette di integrare sia l'attività didattica sia l’effettiva comunicazione in aula. La musica in questa fascia d’età rappresenta il canale di comunicazione più fruibile e immediato, che offre alte possibilità relazionali; facendo leva sull’interesse e sul riscontro che naturalmente trova nei ragazzi, è possibile veicolare in essa la fruizione degli strumenti d’ascolto e di creazione linguistico-comunicativa, essenziali in un percorso di formazione e di sviluppo. Finora ho avuto modo di sperimentare l'utilizzo della rappata in questi contesti educativi: analisi del linguaggio poetico, insegnamento della lingua friulana, prevenzione del bullismo, integrazione e multicultura, laboratori con ragazzi diversamente abili. Il laboratorio sfrutta dunque la musica rap al fine di: stimolare e potenziare le capacità creative del singolo e del gruppo; far scoprire la possibilità di giocare con i suoni, il corpo, la voce; conoscere se stessi, scoprire e valorizzare le proprie attitudini; saper collaborare in modo costruttivo; far comprendere le possibili potenzialità delle risorse tecnologiche a scopo creativo e produttivo» (DjTubet, 2012).

Le raccomandazioni ministeriali sull’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione e l’introduzione nel curricolo dello stesso con legge 30.10.2008, n. 169, nonché la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa del 18.12.2006, relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente ci hanno offerto il necessario supporto per fondare il percorso dal punto di vista istituzionale e curricolare. In particolare, circa le competenze sociali, la Raccomandazione europea afferma che esse implicano anzitutto «competenze personali, interpersonali e interculturali, che riguardano tutte le forme di comportamento che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale e lavorativa, in particolare alla vita in società sempre più diversificate, come anche di risolvere i conflitti, ove ciò sia necessario».

Su queste basi si è tentato di ipotizzare un percorso che tenesse conto della situazione di partenza della classe, delle aspettative degli insegnanti, delle preferenze degli studenti e del possibile valore aggiunto da produrre con uno sguardo, per così dire, dalla parte delle radici, sulla situazione della classe. Abbiamo cercato di fare un lavoro di classe, per così dire, freestyle, improvvisando, in un certo senso, la progettazione curricolare a partire dalle competenze informali di allievi apparentemente incompetenti e approdando alla formalizzazione di apprendimenti scolastici in termini sia di abilità che di competenze certificabili.

Il percorso è stato organizzato in cinque fasi, illustrate nell'allegato 1. Il prodotto finale, il nostro rap plurilingue, riassume in modo poetico ciò che i ragazzi hanno costruito insieme, guardando il curricolo (competenze trasversali, linguistiche, culturali, musicali, motorie e digitali) dalla parte delle radici.

 

Tal inprin o ierin une vore dividus

e ridint a lavorà si sin metus.

Insieme vin fat cetante strade

ma e ieri ancemò qualche persone rabiade.

No si sin dite co si volin ben

i progres si viodaran intant o spietin

alc te nestre anme già al nas

e cheste facende dal sigur nus plas.

 

Il conflitto è il tema della nostra lezione

se ci sale la noia cala l’attenzione.

Ognuno ha la sua da dire e ridire,

occhio però a non farti ammutolire.

 

Della nostra classe poi non ti puoi fidare,

qualcuno a se stesso non sa badare.

Molti compagni se ne stanno in marina

e non invitano nessuna bambina.

 

C’è qualche persona che in aula non funziona,

gli arroganti non rispettano gli insegnanti,

il bullo in persona che nessuno perdona,

compagni stressanti che si credono santi.

 

Risolveremo mai questo conflitto?

Non credi che ne abbiamo tutto il diritto?

Siamo noi che in classe non ci rispettiamo

e alla fine il bene lo nascondiamo.

Il Conflitto non sarà mai estinto, finché ci sarà un vincitore e un vinto.

Stando insieme la rabbia calmiamo,

è così che nasce un rapporto umano.

 

No bot kome kon

ni diol si nuk don

me pos kurgja po ivetmi tiki me kupton.

Pristina este buna dar devine duna

si inviton osà devi ca tradator.

 

Le mie sensazioni si fanno più forti

perché cercate i vivi tra i morti

e ogni scusa è buona per farsi cacciare

quando il conflitto non sai calmare.

Sul conflitto facciamo delle rime

ma il nostro carattere è come delle mine.

Un Circo di scuola

«I giovani stranieri, anche quelli nati in Italia, hanno risultati scolastici molto peggiori rispetto ai coetanei italiani; vengono bocciati e lasciano la scuola molto più di frequente rispetto ai figli degli italiani; prendono voti più bassi, si iscrivono a scuole più professionalizzanti. Questo è un grosso problema per l’Italia, perché — com’è accaduto in altri Paesi — se i giovani stranieri non avranno a disposizione risorse per raggiungere una posizione sociale migliore dei loro genitori, svilupperanno opposizione, rancore e antagonismo verso la società ospite e le sue regole» (Dalla Zuanna, Farina e Strozza, 2009, p. 8).

Per un gruppo di questi studenti arrabbiati per tre anni abbiamo sperimentato il laboratorio di Circo Sociale. Il Circo Sociale prevede l'insegnamento di arti circensi ed è rivolto a persone a rischio sociale, con lo scopo di trasmettere loro le abilità connesse agli spettacoli circensi (giocoleria, clownerie, acrobatica, ecc.), sviluppare qualità e virtù positive e trasmettere valori finalizzati a ridurre il rischio di devianza e favorire l'integrazione degli individui. In Italia il Circo sociale è un fenomeno relativamente nuovo, mentre è comparso vent'anni fa nella storia dei Paesi del Sud America, specialmente Argentina e Brasile, dove da tempo problemi legati alla povertà e al degrado sociale sono stati affrontati anche con strumenti che implicano il ricorso alla creatività (Boal, 1977; 1993; Viviamo in Positivo-Circosociale, 2009).

Le discipline circensi sono accessibili pressoché a tutti e presentano diverse caratteristiche che possono favorire l'instaurarsi di relazioni positive. Instaurare una relazione di fiducia e di rispetto tra operatore e utente rappresenta il primo passo per effettuare un lavoro educativo. Apprendere l'uso di un oggetto o di un'abilità, oltre ad avere un valore di per sé, comporta una crescita personale e di gruppo.

Quando sono proprio gli studenti a far saltare le certezze, e gli equilibri consolidati dell’interazione in classe, la pedagogia istituzionale entra in crisi. Entrano, cioè, in crisi le relazioni tra le finalità del rapporto educativo e il contesto educativo in cui tale rapporto si realizza, con tutte le implicazioni di carattere organizzativo e istituzionale. Certo, far saltare queste certezze significa mettere in discussione l’insegnante come figura guida, che non solo determina le forme della partecipazione all’interazione verbale in classe, che cioè stabilisce l’allocazione dei turni a parlare, la loro durata, la definizione dell’argomento oggetto di discussione, ma giudica e valuta anche il contributo offerto dall’alunno, sostiene o si astiene, loda o biasima, approva o censura, riformula e definisce cos’è stato detto (Fele e Paoletti, 2000). Infrangere le regole a scuola, allora, significa mettere in crisi l’ordine sociale che la regola in quanto istituzione? O semplicemente chiama in discussione i ruoli sociali, tra cui il ruolo docente, e rimette potentemente in gioco una relazione educativa troppo spesso percepita, e agita, come un gioco a ruoli fissi in cui ognuno conosce e mantiene il proprio posto?

In questo senso le geometrie delle posizioni in classe non sono del tutto indifferenti. C’è chi sta sempre vicino alla cattedra: sott’occhio, o sotto tiro. C’è chi sta sempre vicino allo stesso compagno, al sicuro da possibili contatti con soggetti non del tutto raccomandabili. C’è chi sta sempre solo, in primo o ultimo banco, isolato per contenerne l’esuberanza altrimenti difficilmente gestibile. E c’è chi può essere contenuto solo attraverso l’essere portato fuori, fisicamente escluso dall’attività della classe non solo in senso didattico, ma soprattutto in senso sociale. Essere fuori è il modo di mettere al sicuro: la classe, dal disturbo; l’insegnante, dal rischio di non riuscire a gestire la situazione.

Fissare le posizioni consente, apparentemente, di mantenere più facilmente l’ordine e con esso le regole che lo definiscono, in modo da assicurare che le cose si svolgano normalmente. Lasciare che il disordine, ad esempio nei banchi e nelle posizioni reciproche, abbia il sopravvento significa mettere a rischio di essere screditati tutti gli individui coinvolti. È proprio per cercare di evitare che la scuola si trasformasse in un circo che abbiamo portato il Circo a scuola. Il progetto di Circo sociale realizzato nel nostro istituto risponde ai seguenti obiettivi:

  • individuare uno spazio educativo alternativo per ragazzi che mal sopportano in alcune circostanze l’ambiente classe;

  • individuare strumenti e metodologie alternativi alle attività di routine per educare alle regole;

  • favorire nei soggetti a grave rischio di abbandono e marginalità sociale l’incremento dell’autostima e dell’autoefficacia;

  • favorire percorsi curricolari alternativi di educazione alla gestione positiva delle emozioni e dei conflitti;

  • creare un laboratorio-ponte tra l’attività in classe e l’attività fuori dalla classe per gli studenti a rischio di marginalità e dispersione.

Facendo riferimento al testo per le Indicazioni per il curricolo del 2007 (MPI, 2007, p. 17), abbiamo costruito un percorso fortemente personalizzato per gli allievi, sulla base di alcuni criteri guida:

  • lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali e religiosi;

  • le aperture offerte dalla rete di relazioni che legano la scuola alla famiglia e agli ambiti sociali sono una risorsa per l'integrazione;

  • i percorsi personali vanno ricondotti al vissuto della classe in termini di apprendimenti e di valorizzazione della specificità degli allievi attraverso processi di tutoring per piccoli gruppi;

  • l'eccellenza dei percorsi di integrazione va valorizzata in termini di protagonismo degli studenti nei processi di apprendimento organizzativo.

Coerentemente con le strategie sopra esposte abbiamo costruito un percorso in collaborazione con l'associazione FriulClaun-VIP, che ha visto la partecipazione dei volontari dell'associazione non solo nelle attività di realizzazione del Laboratorio, ma anche nelle attività di valutazione del Consiglio di Classe e nei momenti di animazione con gli interi gruppi classe. L'intero percorso è sintetizzato nell'allegato 2.

La cosa a nostro parere più interessante di questo Laboratorio è il fatto di essere partiti da un punto di debolezza condiviso dai membri del gruppo di laboratorio (scarsa capacità di autocontrollo, scarsa responsabilità, comportamenti conflittuali) e averlo trasformato in un punto di forza utilizzando strumenti e modalità molto vicini alle pratiche quotidiane degli allievi. La motricità acrobatica, ad esempio, partendo da esercizi tipici della break-dance e della street-dance, ha consentito di costruire figure complesse che, per la loro realizzazione, richiedono un’elevata capacità di cooperazione, senso di responsabilità nei confronti di se stessi e dei compagni, capacità di dare e ricevere fiducia, concentrazione, forza di volontà e applicazione. Come si può facilmente notare, sono le stesse capacità richieste per la riuscita nello studio.

Conclusioni

Occorre che il corpo insegnante si muova

verso le postazioni più avanzate del pericolo,

che sono costituite dall'incertezza permanente del mondo.

(Heidegger)

 

L'ipotesi di lavoro che si è voluto mettere alla prova è che la valorizzazione degli apprendimenti informali possa rafforzare alcune aree del curricolo formale attraverso due movimenti, da una parte il riconoscimento delle competenze maturate dagli allievi fuori dalla scuola, dall'altra la rimodulazione del curricolo sulla base della significatività dell'apprendimento (MIUR, 2012).

Il lavoro sui saperi informali ha consentito, da un lato, di creare in classe momenti di costruzione di common ground tra studenti, italiani e stranieri, e con i docenti e, dall'altro, di promuovere strutture di partecipazione in cui gli allievi fossero protagonisti dei processi di apprendimento (Sefton Green, 2004; 2006; Baraldi e Iervese, 2012). Questo comporta la necessità di individuare modalità nuove per osservare e misurare l'apprendimento, formale e informale.

L'approccio di ricerca-azione, in questo senso, ha consentito di tenere continuamente insieme, in modo riflessivo, la dimensione didattica, la dimensione organizzativa e la dimensione educativa mettendo in dialogo i diversi attori del processo di insegnamento-apprendimento. Abbiamo sperimentato in questa direzione diversi strumenti di valutazione e autovalutazione dei risultati e dei processi, tra cui le checklist, l'autobiografia cognitiva, le interviste, i focus group, i questionari per la costruzione della rendicontazione sociale di alcune attività, cercando di mantenere sempre aperti e mobili i confini, e il dialogo, tra ricerca e didattica.

In qualche modo i docenti si sono mossi, come dice Heidegger, verso le postazioni più avanzate del pericolo, esplorando i processi di apprendimento in cui gli studenti sono coinvolti nella loro vita quotidiana (le lingue, le tecnologie, lo sport e il tempo libero) per imparare che cosa questi stessi processi possono insegnare alle modalità con cui l'apprendimento formale avviene nelle aule scolastiche, in termini sia di processi che di prodotti, ad esempio a livello di effetti di inclusione/ esclusione (Willis, 1977).

Nello stesso, tempo gli studenti hanno imparato a valorizzare le proprie competenze e a tradurle in prestazioni apprezzabili in termini di valutazioni scolastiche. Alcuni, ad esempio, hanno partecipato attivamente a una Study Visit europea sui temi della prevenzione dell'abbandono scolastico, animando un laboratorio in inglese per docenti italiani e stranieri e dimostrandosi studenti (e cittadini) competenti. Questi esercizi di traduzione hanno coinvolto le lingue e i linguaggi, attraversato i confini delle discipline e dei ruoli scolastici canonici, insegnando a docenti e studenti a essere nello stesso tempo radicati e senza radici (Trinh T. Minh-ha, 1990, p. 335).

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ALLEGATO 1

FASE 1

LA CLASSE COME LUOGO-COMUNE

Obiettivi: offrire agli studenti la possibilità di autovalutare il clima relazionale della classe; fare emergere i ruoli che i ragazzi tendono a adottare nella classe.

Attività: compilazione e discussione della scheda Io nel gruppo (Sunderland, 1997, p. 122).

Competenza: l'allievo interagisce in modo efficace in diverse situazioni comunicative (MIUR, 2012, p. 33).

Modalità di osservazione: checklist.

FASE 2

LUOGHI PER CONOSCERSI

Obiettivi: migliorare i rapporti personali; favorire la comunicazione positiva nel gruppo; offrire ai partecipanti la possibilità di riflettere sulle qualità individuali migliorando l’autostima; scoprire le persone per le quali si prova interesse, gli argomenti di cui si discute volentieri, cosa si vorrebbe imparare dagli altri, cosa si crede di poter dare agli altri.

Attività:Un tesoro personale, Lettera a un amico-futuro,A proposito di te, Un invito speciale (Marcato, Giolito e Musumeci, 1997, pp. 64, 86 e 97).

Competenza: scrive correttamente testi di tipo diverso (MIUR, 2012, p. 34).

Modalità di osservazione e valutazione: analisi testuale.

FASE 3

CONDIVIDERE

Obiettivi: condividere competenze; affidarsi all’altro in un percorso di apprendimento reciproco.

Attività:Le pagine gialle.

Competenza: usa la comunicazione orale per comunicare con gli altri nell'elaborazione di progetti e nella formulazione di giudizi su problemi riguardanti vari ambiti culturali e sociali (MIUR, 2012, p. 33).

Modalità di osservazione e valutazione: analisi testuale, checklist.

FASE 4

DEBRIEFING

Attività di gruppo relative all’analisi dell’esperienza vissuta durante le attività, alla valutazione dell’attività stessa, all’individuazione degli apprendimenti raggiunti attraverso le esperienze vissute (Marcato, del Guasta e Bernacchia, 1995, p. 21).

Competenza: usa la comunicazione orale per comunicare con gli altri nell'elaborazione di progetti e nella formulazione di giudizi su problemi riguardanti vari ambiti culturali e sociali (MIUR, 2012, p. 33).

Modalità di osservazione e valutazione: checklist

FASE 5

«FREESTYLE CON DJTUBET»

Obiettivi: sperimentare la cooperazione e il fare insieme a partire da uno dei luoghi condivisi emersi nel percorso; produrre insieme una canzone e un video-clip come elemento di identificazione positiva del gruppo; discutere sulle culture, i linguaggi e gli stili di vita giovanili.

Attività: laboratorio di rap-freestyle condotto da DjTubet (http://www.myspace.com/djtubet).

Competenza: l'allievo produce testi multimediali, utilizzando in modo efficace l'accostamento dei linguaggi verbali con quelli iconici e sonori (MIUR, 2012, p. 34).

Modalità di osservazione e valutazione: checklist, analisi di materiali video, analisi testuale, focus group con genitori e docenti.

ALLEGATO 2

FASE 1: INDIVIDUAZIONE STUDENTI E CLASSI

  • segnalazione degli studenti attraverso la procedura individuata dal Dirigente;

  • individuazione degli studenti e delle classi di appartenenza dei partecipanti al Laboratorio;

  • colloquio degli operatori e del referente con gli studenti individuati;

Modalità di osservazione: checklist, schede piani educativi personalizzati Consigli di Classe.

FASE 2: PARTECIPAZIONE AL LABORATORIO

-Obiettivi: migliorare l'autocontrollo e l'autostima attraverso l'apprendimento di esercizi di Circo sociale.

  • Attività: presentazione del Laboratorio alla classe e visione del film PA-RA-DA; attività di Laboratorio per i ragazzi individuati; osservazione del comportamento in classe e in laboratorio attraverso le checklist; restituzione alla classe del lavoro svolto sotto forma di mini-

  • Competenze: nelle diverse fasi gli allievi acquisiscono ed esercitano rilevanti competenze di cittadinanza (collaborare e partecipare, comunicare, agire in modo autonomo e responsabile, progettare).

Modalità di osservazione e valutazione: checklist, schede di autovaluzione.

FASE 3: VALUTAZIONE

  • Obiettivi: restituire gli apprendimenti acquisiti nel laboratorio valorizzandoli in termini di valutazione, riconoscimento nel curricolo e contributo al successo scolastico.

  • Attività: autovalutazione del gruppo di Laboratorio e dei singoli partecipanti, valutazione educativa congiunta di insegnanti e operatori sui ragazzi partecipanti, valutazione con tutta la classe del percorso, documentazione del percorso.

  • Competenza: nelle diverse fasi gli allievi acquisiscono ed esercitano rilevanti competenze di cittadinanza (agire in modo autonomo e responsabile, imparare a imparare). Gli studenti hanno inoltre documentato con prodotti multimediali le attività del laboratorio (Competenza: l'allievo produce testi multimediali, utilizzando in modo efficace l'accostamento dei linguaggi verbali con quelli iconici e sonori – MIUR, 2012, p. 34).

Modalità di osservazione e valutazione: schede valutazione docenti-operatori.



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