Test Book

Madre o matrigna?



Il consiglio è di cercare di leggere il bel libro, curato da Marie-Rose Moro e Rita Finco Minori o giovani adulti migranti? Nuovi dispositivi clinici tra logiche istituzionali e culturali, pubblicato nel 2015 da L’Harmattan Italia, Torino. Il titolo di questa nota di presentazione può essere chiarito allungandolo: lingua madre o lingua matrigna? Chi cambia paese e cultura lascia la lingua madre per adottare una lingua matrigna? Chiariamo che il libro che consigliamo non è un testo sulle lingue. E chiariamo che tra madre e matrigna non c’è la polarizzazione bene/male, ma solo la differenza fra una lingua e una cultura in cui una persona nasce, e lingua e cultura in cui entra. In questa differenza si possono annidare vecchi modelli coloniali, astratti nella loro impostazione ma capaci di condizionare pesantemente la vita dei singoli.

Il libro è a più voci, che, insieme, compongono un’ottima armonia. E intreccia tre fili costituiti da: giovani migranti, religioni, dispositivi di cura (etnopsichiatria). Leggerlo vuol dire capire le trame di questo intreccio, e le ragioni dei tre fili che lo compongono.

Il libro ci dice che la realtà è meticcia. Anche la realtà della lingua, che non sarà più madre, ma non diventerà matrigna, è meticcia. E questo è un terreno conflittuale, perché nasce con l’aspettativa di chi vorrebbe che chi arriva si adeguasse, e lo sforzo di chi è arrivato di adeguarsi, ma a modo suo, con continue contaminazioni. Sono una ricchezza o una minaccia?

Contaminazione. Questa parola contiene un’allusione negativa. Un cibo contaminato è pericoloso, come l’aria o l’acqua, se sono contaminate. Però, in qualche modo, è una parola vicina a meticcio. Chi è meticcio è contaminato? Se così fosse, dovrebbe decontaminarsi. C’è chi cerca di farlo cercando una purezza nel recinto chiuso di una religiosità che riduce la santità – aperta – alla sacralità – chiusa. I fanatismi promettono purezze incontaminate e messa a morte dei contaminatori. Una promessa che per essere mantenuta richiede un’adesione cieca, assoluta.

Destrutturazione e ristrutturazione. I dispositivi di cura utilizzano la contaminazione in senso positivo, costruttivo. Partono dal presupposto che chi arriva abbia un bagaglio culturale che non può essere ignorato. Nel bagaglio culturale possono esserci quegli elementi che non possono essere trascurati come si trascura un oggetto superato e quindi inutile. Sono elementi che non sono scomparsi nel nulla, ma vivono nel migrante anche quando cerca di adeguarsi totalmente alla cultura a cui è approdato. In realtà si sono nascosti e possono provocare tormenti, che l’etnopsichiatria cerca di curare. E lo fa anche e soprattutto destrutturando e ristrutturando. Smontando e rimontando.

La parola contaminazione, che è impegnata per indicare il percorso “aperto” – inclusivo – dell’evoluzione, contiene il senso di pericolo che vive chi si ritiene del tutto normale, di una normalità “pura”, e considera appunto la contaminazione dell’anormale un’esposizione al rischio di perdita di purezza della propria normalità. C’è stato il programma T4, del genocidio nazista di bambini “anormali” e malati psichiatrici. Oggi la purezza della normalità vorrebbe proteggersi mescolando tagli di risorse e ragioni “tecniche”. I primi, i tagli di risorse, non sono quasi mai introdotti direttamente. Sono l’indotto di altre decisioni, ad esempio stabilendo che un certo percorso avrà risorse se conseguirà risultati meritevoli. Introducendo un concetto di meritocrazia “truccato”, se ne fa derivare un possibile taglio di risorse. E le ragioni “tecniche” giustificano le esclusioni.

Le religioni si trovano sovente in un bricolage individuale e altre volte diventano religioni chiuse in recinti di sacralità, nel tentativo di trovare, e fornire, un riconoscimento. Ma nelle religioni c’è chi, contribuendo a realizzare questo libro, dimostra che è possibile – necessario? – restituire al termine religione il suo significato etimologico. Che porta a capire che la parola “rilega”, tiene insieme, elementi disparati e mai definiti una volta per tutte.

Ma torniamo alla questione da cui siamo partiti. Leggendo il libro viene fuori tutto il danno dell’eurocentrismo, così radicato in noi da farci ritenere, noi e il nostro mondo, la mèta di un’unica migrazione: dal mondo che imprigiona nelle povertà e nelle sofferenze a quello delle possibilità. Leggiamo il libro e capiamo che sovente nella storia di chi arriva in Europa ci sono state altre migrazioni, e che la realtà meticcia è la realtà e basta. Ma lo schema eurocentrico contiene anche la colpevolizzazione della realtà meticcia. Questa colpevolizzazione si scarica sul singolo, che può soffrirne e diventare caso psichiatrico. Sarebbe facile, dopo quello che abbiamo detto, inserire la sofferenza del singolo in una palingenesi complessiva, evitando di riflettere sui dispositivi di cura. Il libro ci presenta situazioni che permettono di affacciarsi a dispositivi di cura meticci, più adeguati alle situazioni del singolo.

Etnopsichiatria e etnoclinica. Parole che il computer segnala con una sottolineatura rossa che interroga: sei sicuro, tu che le hai scritte, che esistano e siano giuste? Rassicuriamo il computer: esistono e stanno nel territorio di un’altra parola che il computer segnala con la sottolineatura rossa, e che potremmo ormai indovinare a colpo sicuro: il territorio del meticciato. Sono lo sviluppo della conflittualità già annunciata. Che fa soffrire qualcuno.

Chi legge il libro può affacciarsi su queste pratiche, e intuire che non sono folclore ma sono frutto di riflessione, ricerca, preparazione accurata. E rappresentano un ponte fra culture. E non un ponte a senso unico.

Andrea Canevaro



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