Sommario
L’autore, per molti anni responsabile del programma di cooperazione universitaria tra la Facoltà di Medicina dell’Università Sapienza di Roma e quella dell’Università di Sana’a (Repubblica dello Yemen), riporta la sua testimonianza sulla nascita e sullo sviluppo del terrorismo jihadista nello Yemen, paese islamico con connotazioni liberali del tutto peculiari nella penisola araba.
Parole chiave: Shiia, Sunna, Jihad, AQAP, Houti.
Premessa
I tradizionali, ma poco conosciuti, rapporti di amicizia tra l’Italia e lo Yemen hanno sempre facilitato la presenza dei medici italiani nell’ambito di programmi di cooperazione tra le due nazioni e, grazie alla loro capacità di inserirsi nel tessuto sociale del paese ospitante, ne sono divenuti in più di un caso ottimi testimoni della vita di ogni giorno. Il libro Il Yemen del medico militare Cesare Ansaldi (1933) rappresenta ancora oggi una cronaca “giornalistica” valida della società yemenita; un altro medico italiano, il dott. Mario Livadiotti, è stato il testimone del passaggio dalla monarchia dell’Imam alla repubblica.
Questo scritto nasce da una lunga frequentazione dello Yemen di medici italiani (tra cui chi scrive), operativi nell’ambito di un programma di cooperazione medica tra l’Università di Sana’a e l’Università Sapienza di Roma, durata circa dieci anni.
Introduzione
Alcune considerazione introduttive consentiranno una migliore comprensione di quanto verrà presentato: lo Yemen è un paese “sdraiato” nella parte meridionale della penisola araba; abitato da un po’ meno di trenta milioni di abitanti, è una repubblica che confina con il Regno Saudita e il Sultanato dell’Oman.
Nel 1962, un colpo di stato a opera di militari Yemeniti appoggiati dal governo Egiziano, provoca la caduta dell’Imam Al Badr, figlio di Ahmed, e la fine della monarchia. Da allora lo Yemen è una scomoda realtà politica nella penisola araba: una repubblica islamica circondata da monarchie tradizionaliste e radicalmente sunnite.
Anche nel suo essere una repubblica islamica, lo Yemen rappresenta un’anomalia politica: la costituzione del paese e la sua legislazione sono laiche e le leggi della Sharia, pur previste, sono state assai raramente applicate negli ultimi trent’anni. La religione di stato è l’Islam, con una prevalenza di sunniti di ispirazione shafita (65%) e una minoranza di sciiti zayditi (35%). La tolleranza religiosa è sempre stata una caratteristica della popolazione yemenita e nel paese sono convissute, in pace con l’islam, le minoranze ebraiche e cristiane. Nella costituzione dello Yemen è consentito agli appartenenti ai diversi gruppi religiosi di praticare il proprio credo e di indossarne i segni distintivi. È tuttavia vietato il proselitismo religioso e l’apertura di centri di culto, comprese le moschee, deve essere autorizzata dal governo (International Religious and Freedom Report, US Department of State, Bureau of Democracy, Human Rights and Labor, 2012). La lunga tradizione di tolleranza e pacifica convivenza delle diverse comunità religiose ospitate nello Yemen testimonia, come vedremo, la radice politica degli accadimenti degli ultimi anni, da alcune fonti forzosamente interpretati in chiave religiosa (Zimmerman, Frist e Harnisch 2010).
Nel 1991 il presidente Ali Abdallah Saleh, ufficiale dell’esercito tra i fondatori della Repubblica dello Yemen del Nord, dopo lunghi anni di guerra riesce nell’impresa di riunificare sotto un’unica bandiera il Nord e il Sud del paese, creando un’unica repubblica.
Negli anni il malcontento creato dalla politica accentratrice del presidente Saleh, i dissidi delle tribù sciite del Nord al confine con i territori sunniti dell’Arabia Saudita e i movimenti separatisti del Sud del paese destabilizzano progressivamente il governo del presidente Abdallah Saleh che, dalla primavera araba del 2011, riceve la spallata definitiva.
Da questo momento in poi si assiste a un ulteriore progressivo potenziamento degli elementi di destabilizzazione politica dello Yemen, con il rafforzamento delle popolazioni sciite del governatorato di Saada nel Nord del paese, facenti riferimento al leader storico Abdul-Malik Al Houti, e i movimenti secessionisti del Sud, ai quali si sommano le attività jihadiste di Al Qaeda nelle regioni più meridionali. La figura 1 rappresenta le divisioni presenti nel paese nel marzo del 2012.
Fig. 1 Divisioni dello Yemen (marzo 2012).
Queste tre componenti si sommeranno, come vedremo, rafforzandosi sempre di più e realizzando la previsione degli analisti che avevano preconizzato condizioni di rischio terrorismo che dallo Yemen avrebbero potuto contagiare i paesi nordafricani e occidentali.
Caduto il presidente Saleh, il suo successore, Abd Rabbih Mansur Hadi (legittimo successore perché vicepresidente del precedente governo, e quindi legalmente eletto) mette in atto una politica dissennata e non aperta al dialogo soprattutto con i ribelli Houti, che nel frattempo, nel settembre del 2014, scendono dal governatorato di Saada, a nord, fino a occupare pacificamente la capitale Sana’a.
Da questo momento in poi sono sempre più evidenti tutti gli elementi che segnalavano il rischio di guerra civile: un governo fragile, una società civile frammentata, la storia di rivalità tribali mai sopite, la rivolta degli Houti che da subito è sembrata inarrestabile, la pressione sempre più forte dei movimenti jihadisti di AQAP (Massaab Al Aloosy, World Peace Foundation, Massachusetts, ottobre 2014).
La radicalizzazione di Al Qaeda e la nascita del terrorismo Jihadista
Nonostante la complessa situazione politica dello Yemen, la percezione della presenza del terrorismo jihadista è strettamente legata alla comparsa e alla radicalizzazione di Al Qaeda nei governatorati meridionali del paese: dapprima si manifestano azioni sporadiche rivolte contro le istituzioni militari governative, poi, nel 2000, nasce Al Qaeda in Yemen (AQY), che sigla il gravissimo attentato del 12 ottobre contro la nave militare americana USS Cole, alla fonda nel porto di Aden. Nell’attentato muoiono 17 militari americani e 35 rimangono feriti.
AQY rimane attiva fino al 2009 e il 15 marzo questo gruppo terroristico compie la sua ultima azione: in un attacco suicida contro un gruppo di turisti coreani a Shibam, località tradizionalmente turistica del governatorato di Adramouth, rimangono uccisi sei turisti e due delle loro guide yemenite.
Successivamente il movimento di Al Qaeda compie un gigantesco passo avanti: i qaedisti provenienti dall’analogo movimento attivo in Saudi Arabia vengono fortemente combattuti dal governo saudita che ne percepisce la pericolosità e riesce a estrometterli dal paese. I militanti sauditi passano in Yemen e confluiscono nelle file di AQY, fondando AQAP (Al Qaeda in the Arabian Peninsula).
Fig. 2 Aree a maggiore radicalizzazione di AQAP (governatorati di Al Bayda e Hadhramaut) nel 2009 (rappresentate in bianco).
Dalla sua fondazione in poi AQAP svolge un’intensa attività di proselitismo tra la popolazione dei governatorati del Sud, arruolando tra le sue fila centinaia di adepti. Le operazioni militari condotte dall’esercito regolare contro AQAP non portano i risultati sperati e gli Stati Uniti iniziano la politica di attacchi militari ai capi dell’organizzazione, effettuati autonomamente con l’uso di droni. Queste operazioni comportano molte perdite tra la popolazione civile che viene sempre più colpita: l’opinione pubblica yemenita non percepisce ancora AQAP come una minaccia, sia per la scelta americana di perseguire autonomamente gli attacchi aerei, sia perché nei fatti le azioni terroristiche finora eseguite sono state indirizzate contro obiettivi stranieri nello Yemen. Rapidamente, però, le cose cambiano e gli attentati con autobomba si fanno sempre più frequenti in molte zone del paese, provocando la morte di decine di persone.
Nel mese di maggio del 2013 avviene l’attacco terroristico che cambia radicalmente l’atteggiamento della popolazione nei confronti di AQAP: l’attacco all’ospedale militare nel cuore di Sana’a. Nelle prime ore della mattina un’autobomba viene fatta esplodere davanti all’ingresso dell’ospedale e un commando di miliziani entra, sparando contro tutti quelli che si trovano sulla loro strada. I terroristi entrano nella sala operatoria dove erano in corso interventi chirurgici e uccidono medici, infermieri e pazienti. Un miliziano entra in un corridoio privo di vie di fuga, dove un gruppo di persone si era rifugiato al rumore delle esplosioni e, con gelida calma, sgancia una granata dal giubbetto e la lancia contro la gente, per poi allontarsi. L’esplosione provoca la morte di 27 persone inermi.
Tutto questo accade sotto gli obiettivi delle telecamere di sorveglianza dell’ospedale che registrano l’attacco (CCTV footage of a terroristic attack on the Yemeni military hospital https://youtu.be/vDCZ3vEt2Dg). Gli attentatori escono dall’edificio ingaggiando combattimenti con i militari yemeniti accorsi: alcuni vengono uccisi, altri tratti in arresto (sono cittadini sauditi), altri ancora riescono a scappare. La televisione yemenita dopo qualche ora trasmette nei notiziari le immagini degli attentatori all’opera: la popolazione assume finalmente la consapevolezza della presenza di un movimento jihadista che combatte contro cittadini yemeniti, musulmani anch’essi.
Dall’interno dell’ospedale d’insegnamento Al Towra, uno dei più grandi ospedali di Sana’a in cui erano presenti medici italiani, si ha la chiara percezione di quanto sia grave la situazione: i feriti d’arma da fuoco sono decine, tanto da mettere rapidamente in difficoltà la capacità operativa dell’ospedale. Tutti i medici presenti, compresi i chirurghi italiani, prestano la loro opera nelle camere operatorie. Nonostante gli sforzi molti feriti moriranno senza avere avuto alcuna assistenza, anche per l’impossibilità di trasferirli in altri ospedali della città, anch’essi sovraccarichi di pazienti.
Il giorno dopo la televisione yemenita dà notizia della rivendicazione dell’attacco all’ospedale da parte di Al Qaeda nella Penisola Araba. Dopo qualche settimana la stessa emittente trasmette un video, diffuso dalla BBC, nel quale Qasim al-Rimi, responsabile di AQAP (già designato come Terrorista Globale dal Dipartimento di Stato USA con ordine esecutivo 13224, nel maggio 2010), si scusa di quanto accaduto, porgendo le sue condoglianze alle vittime dell’attacco terrorista, asserendo che gli autori del gesto sarebbero stati elementi sfuggiti al controllo dell’organizzazione jihadista da lui diretta (Al Qaeda apologize for attacking Yemen hospital-Newsy news https://youtu.be/-NZpVijbEwk).
Si tratta nei fatti della presa di distanza da una filiazione di AQAP, il DAESH, che tenta la sua scalata alla visibilità.
Musulmani contro musulmani
La popolazione è finalmente consapevole di quello che è successo: l’attentato è stato fatto da musulmani contro altri musulmani, in modo freddo e premeditato, con conseguenze terribili in termini di vittime. La rivendicazione e la successiva smentita di AQAP rendono tutto irreale e poco comprensibile, rivelando una sorta di competizione macabra fra due organizzazioni spietate.
Altri attentati confermeranno alla popolazione yemenita la percezione di essere oggetto di attacchi contrabbandati come espressione di un pensiero religioso radicale rivolto contro chiunque non ne accetti supinamente l’ideologia.
La comunità degli europei presenti nel paese (da lungo tempo rappresentata solo da operatori commerciali o da personale delle agenzie internazionali ed ONG) ha vissuto l’insorgenza e la crescita dei movimenti jihadisti in modo “sonnolento”: le indicazioni delle ambasciate a seguire strette norme di sicurezza, addirittura talvolta a lasciare il paese, venivano considerate quasi con sufficienza. Era difficile per tutti accettare l’idea che lo Yemen, per chi aveva imparato a conoscerlo come un paese ospitale e ragionevolmente liberale, fosse preda di movimenti religiosi intolleranti.
Ma l’incalzare degli eventi terroristici, le aggressioni a cittadini stranieri anche nella capitale Sana’a, alcuni finiti con il sequestro o addirittura l’uccisione degli aggrediti, e soprattutto l’evidente incapacità del governo di gestire una situazione sempre più fuori controllo, portano molti operatori occidentali a lasciare il paese. Per tutti era divenuta palpabile non tanto la sensazione del pericolo, quanto piuttosto la percezione della mancanza di sicurezza, una condizione destabilizzante che apre le porte al sospetto e alla scomparsa della fiducia. Si erano interrotti quei rapporti “di buon vicinato” alla base della vita quotidiana e del dialogo con la gente della strada, che da sempre erano stati una caratteristica della vita quotidiana nello Yemen.
Poi gli eventi cominciano a precipitare rapidamente: il governo del presidente Hadi assume posizioni sempre meno all’insegna del dialogo con la minoranza sciita e il loro leader, Abdul-Malik Al Houthi, spinge gli adepti del movimento Ansar Allah a entrare pacificamente a Sana’a (settembre 2014) e a occuparla. Sebbene si manifestino i primi timidi segnali di dialogo, il governo yemenita entra ben presto in aperto conflitto con i rappresentanti politici e i miliziani di Ansar Allah. Gli scontri armati che si svolgono nella capitale spingono il presidente Hadi a spostare la sede del governo a Aden e poi, nel marzo del 2015, a chiedere asilo alla monarchia saudita a Ryiad.
Il 26 marzo 2015 una coalizione di stati (Qatar, Emirati Arabi, Sudan e altri che si uniranno più tardi) a guida saudita dichiara unilateralmente guerra alla Repubblica dello Yemen e inizia i bombardamenti dei maggiori centri abitati yemeniti, con la distruzione di case, infrastrutture, scuole, ospedali, edifici del governo. Migliaia di morti, in maggioranza civili, soprattutto bambini, sono la conseguenza dei continui, massicci bombardamenti che hanno di fatto spinto allo stremo la popolazione dello Yemen, provocando una catastrofe umanitaria scientemente ignorata dall’Occidente.
Nel mese di aprile 2015, dagli altoparlanti delle moschee sunnite di Mukalla controllate da AQAP viene dichiarato il Jihad contro gli sciiti del movimento Houthi dichiarati “eretici” e nemici dei sunniti: l’attentato del 24 settembre (ultimo giorno di Eid al-Adha) alla moschea sciita Al-Balili, a Sana’a, sancisce drammaticamente la credibilità di quelle affermazioni (Al-Balili Mosque attack https://youtu.be/G7A1z8hCNXs).
È recente la notizia di colloqui di pace che dovrebbero (il condizionale è mandatario) porre fine a una guerra insensata, i motivi della quale non sono stati chiari per nessuno, che la coalizione filosaudita non è riuscita a vincere e che il movimento degli Houthi non ha perduto.
Quello che è avvenuto nell’ultimo anno nello Yemen rivela l’aspetto sorprendentemente dicotomico di una dottrina che usa, con consapevolezza, la fascinazione religiosa del Jihad come strumento politico di affermazione, senza tenere in alcun conto valori etici e di civile confronto.
L’equazione “islamica” che Bruno Etienne aveva ipotizzato nel 2001, i tentativi di modernizzazione dell’islam sempre seguiti da decisi processi di islamizzazione della modernità, ha trovato nella guerra di religione dello Yemen una realizzazione drammaticamente perfetta (Etienne, 2001).
AUTORE PER CORRISPONDENZA
Alberto Angelici
Facoltà di Medicina e Odontoiatria
Università di Roma Sapienza
Viale del Policlinico 155
IV Clinica Chirurgica
00161 Roma
E-mail: alberto.angelici@uniroma1.it
Riferimenti bibliografici
Ansaldi C. (1933), Yemen nella storia e nella leggenda, Roma, Sindacato italiano arti grafiche.
Etienne B. (2001), L’islamismo radicale, Milano, Rizzoli.
International Religious and Freedom Report – US Department of State, Bureau of Democracy, Human Rights and Labor, 2012.
Massaab Al Aloosy (2014), World Peace Foundation, Massachusetts, Ottobre.
Zimmerman K., Frist J. e Harnisch C. (2010), Yemen conflict map, Critical Threats, May 12, http://www.criticalthreats.org/yemen/yemen-conflict-map (ultimo accesso: 09/05/16).
Sitografia
Al Balili Mosque attack https://youtu.be/G7A1z8hCNXs (ultimo accesso: 09/05/16).
Al Qaeda apologize for attacking Yemen Hospital-Newsy news https://youtu.be/-NZpVijbEwk (ultimo accesso: 09/05/16).
CCTV footage of a terroristic attack on the Yemeni military hospital https://youtu.be/vDCZ3vEt2Dg (ultimo accesso: 09/05/16).