Riprendere la riflessione sul counseling

In Italia, come in molti altri paesi occidentali a elevato sviluppo, risulta in crescita la domanda esplicita (o implicita) di counseling. Il desiderio delle persone di riuscire a progettare e realizzare un’esistenza soddisfacente risulta attualmente ostacolato da numerosi fattori situazionali che rendono complesse, poco decifrabili e maneggevoli le normali interazioni nei differenti contesti di vita. Ciò diventa più evidente nelle fasi di scelta scolastica, formativa, occupazionale e familiare, nei momenti di transizione a nuovi contesti di vita, nelle occasioni di progettazione e gestione delle carriere sociali e professionali, nel contatto con le istituzioni e nel rapporto con le nuove tecnologie (Guichard, 2009).

Molti osservatori della vita sociale concordano nel riconoscere come «l’incertezza, l’instabilità e la sfiducia verso il futuro sembrano ora connotare l’esistenza personale e collettiva ed estendersi alle istituzioni e agenzie di socializzazione alla vita adulta. A ciò si aggiungono gli effetti esistenziali e psicologici della situazione di crisi socioeconomica e dei cambiamenti organizzativi e occupazionali che essa sta comportando: disagio psicologico, messa in discussione delle aspettative di riuscita personale, riduzione dell’autostima, instabilità nella regolazione delle emozioni, mancanza o perdita del lavoro che, non solo porta a minori risorse economiche, ma rischia di mettere in crisi le capacità progettuali della persona e incidere negativamente sullo sviluppo della sua identità. In alcuni casi possono comparire sentimenti di apatia e sconforto verso il futuro» (Uni.Co, 2014, p. 1). In presenza di criticità e pressioni ambientali crescenti è giustificabile la necessità per le persone di poter disporre di maggiori risorse cognitive ed emotive per fronteggiare la situazione con ragionevoli probabilità di riuscita. Pertanto esse, «necessitando di un più ampio e articolato «capitale sociale», cercano sostegni, chiarimenti, informazioni significative, advocacy (non più solo nella cerchia familiare) per inserirsi in contesti sociali e di lavoro estremamente complessi e flessibili, per affrontare le situazioni di insicurezza e instabilità e riprogettare il proprio sviluppo personale».

Tale condizione diffusa di debolezza nel progettare e regolare la propria esperienza di vita, gli effetti di disagio individuale e collettivo che essa determina e le diseguaglianze di opportunità sociali che rischia di esaltare ripropongono l’interesse per le numerose «politiche sociali di aiuto» che andrebbero realizzate, tra le quali possono collocarsi anche le attività di counseling. Tuttavia al riconoscimento diffuso di tale esigenza individuale e sociale non sembra però corrispondere una visione consensuale delle possibili linee di azione, del tipo di professionisti che sono legittimati ad agire in questo ambito, delle competenze che possono garantire un aiuto professionale ai cittadini potenziali utenti di servizi di aiuto. È persino ovvio sottolineare che la categoria degli psicologi è interpellata da questo genere di domanda di sostegno relazionale che ormai attraversa differenti contesti di vita dalla scuola, alle organizzazioni di lavoro, della salute, dello sport, del tempo libero, della comunità in generale. Eppure almeno, in Italia, non si è giunti ancora a un quadro sostenibile di efficaci risposte al problema.

In Europa e negli USA da tempo si sono sviluppate sistematiche iniziative professionali che coinvolgono l’expertise psicologica nella erogazione di specifici servizi alla persone tesi a sostenere la loro crescita e a prevenire effetti negativi sul loro funzionamento psicosociale derivanti, in molti casi, da un’inadeguata interazione con i vari contesti sociali. In Italia, invece, sul tema del counseling si è molto in ritardo come documentano le ricerche e gli interventi in questo ambito presenti nella rivista nazionale Counseling. Si sta anzi assistendo a una gamma di risposte eterogenee, confuse e frammentate rintracciabili all’interno del “libero mercato”delle azioni professionali e della formazione professionale (Di Fabio, 2008) e ora incentivate dal trend di liberalizzazione delle professioni non regolamentate e dalla recente L. 4/2013 (spesso erroneamente interpretata come riconoscimento delle professioni di counseling). Ciò pone forti dubbi sulla loro effettiva capacità di soddisfare le esigenze sopra accennate e può persino far paventare il rischio di diffusione di malpractices di counseling a tutto svantaggio dei cittadini.

È in questo quadro che negli ultimi tre anni si è avviata una riflessione sul counseling, attivata dal network Uni.Co, e che progressivamente ha coinvolto le principali istituzioni che hanno responsabilità nella regolazione delle attività psicologiche a partire dalla formazione universitaria sino alla promozione e allo sviluppo della comunità scientifico-professionale (Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi, CNOP, Associazione Italiana di Psicologia, Conferenza Psicologia Accademica e alcune associazioni professionali come Società Italiana per l’Orientamento, Società Italiana di psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni e AURAC).

Prendendo atto della complessità del fenomeno counseling, delle sue articolazioni di significato, delle pratiche assai differenziate che lo caratterizzano e delle contrapposizioni tra associazioni di professionisti interessati vale la pena delineare una «agenda di punti di domanda e riflessione» sui quali i diversi stakeholders (psicologi e loro associazioni scientifico-professionali, Ordine professionale, Università e istituzioni pubbliche, ecc.) dovrebbero trovare accettabili livelli di consenso. Vengono delineati i seguenti aspetti presentati in un workshop promosso dal CNOP nel Dicembre 2015 a Roma; da questi potrebbero essere ricavate le domande alle quali una Consensus Conference dovrebbe cercare di rispondere.

La riflessione sul counseling va situata nel contesto italiano

Non si tratta cioè di un “libero brainstorming”, né della traduzione italiana delle esperienze di altri paesi europei o nord-americani (Blustein 2008). Si deve invece tenere conto dei confini normativi che regolano non solo la psicoterapia (Fulcheri, 2008), ma più in generale le attività dello psicologo. Basterà rileggere (vedi Tabella 1) quanto definito dalle due leggi sulla professione e le attività dello psicologo per ritrovare i termini essenziali delle attività riferibili al counseling. Ciò rappresenta sicuramente un vincolo, ma nello stesso tempo indirizza la riflessione sulla definizione dei profili di counseling e sulle strategie di sviluppo professionale perseguibili che non risultano assimilabili ai processi di professionalizzazione avvenuti o in corso in altri paesi.

Tabella 1 Elementi distintivi della professione di psicologo in Italia Schermata 2016-02-08 alle 17.52.56

La crescente popolarità del counseling in Italia riflette l’aspettativa che esso può svolgere due importanti funzioni personali e sociali

È una misura correttiva e di sostegno per aiutare le persone a superare con maggiori probabilità di successo le difficoltà, le criticità, le varie forme di disagio, le emergenze connesse alla frammentazione della società e alla perdita di senso e le carenze personali; è una misura preventiva: tesa a sviluppare nelle persone competenze per plasmare la loro vita autonomamente, a potenziare le capacità di progettazione, a riconoscere le opportunità/vincoli al benessere nei differenti contesti di vita (ad esempio come progettare i propri percorsi educativi, formativi e lavorativi). Sono rintracciabili nel counseling specifiche caratteristiche che lo differenziano da altri tipi di attività e relazioni di aiuto. Assumendo la distinzione di Fulcheri (Fulcheri & Savini, 2011) tra relazioni professionali di aiuto e relazioni che implicano l’aiuto si può sottolineare che il counseling corrisponde: a) a un insieme di attività/interventi tecnico-professionali di natura prevalentemente psicologica (teorie e tecniche) sostenuti da evidenze empiriche; b) usa la relazione interpersonale come principale professional tool; c) è basato sull’ascolto e lo scambio comunicativo; d) definisce chiari confini di scopo, di setting e di tempo; e) è un’impresa comune di care (e non direttamente di cure) che implica il coinvolgimento e la cooperazione attiva della persona; f) si presenta in forma differenziata (non standard) in relazione non solo ai modelli psicologici di riferimento, ma alle caratteristiche del cliente/utente e del contesto; g) non va confuso con il dare informazioni, suggerimenti o consigli né con terapie. In sintesi: il counseling richiede una conoscenza e una visione olistica dei problemi emotivi, cognitivi, vocazionali, educativi, di sviluppo della persona per poter essere una forma di consultazione coerente e funzionale a rispondere con efficacia alle esigenze degli utenti.

Il counseling rappresenta una funzione a prevalente connotazione psicologica

Con ciò si intende rimarcare il fatto che il counseling corrisponde ad un’area di attività professionali di consulenza orientate a scopi di aiuto e capaci di realizzarli (con strumenti e tecniche teoricamente fondati) in uno specifico contesto ed esprime, appunto, la connessione funzionale tra azione professionale e risultato. Tale funzione si esplicita come assolvimento di un compito o di un insieme di compiti specifici riconosciuti nell’ambito di attività organizzate di una professione. Da questo punto di vista appare utile chiedersi: è giustificato il nascere una nuova professione che selezioni ed isoli questa funzione di aiuto assumendola come base identitaria o siamo di fronte a funzioni di una professione esistente, da potenziare?

Anche tenendo conto della legislazione italiana e dei contenuti dell’agire professionale degli psicologi pare plausibile rispondere che in realtà non è richiesto un nuovo «profilo professionale» autonomo né si giustifica una nuova «qualifica professionale» in senso stretto. Infatti, nell’insieme delle attività caratteristiche dello psicologo sono esplicitamente ricomprese le attività e gli obiettivi inerenti la funzione counseling e, in generale, sembrerebbe assai poco sostenibile isolare una o l’altra delle numerose attività tipiche dello psicologo per trasformarla in professione autonoma (come sarebbe, ad esempio, se le attività di “testing” fossero enucleate e trasformate nella figura del “testista”). Naturalmente, ciò implica la consapevolezza, l’interesse e l’intenzione degli psicologi di sviluppare le competenze necessarie e a tradurre operativamente le potenzialità della loro professione in questo ambito. In sostanza, riflettere in termini di funzione rende possibile valorizzare il significato del counseling come insieme di azioni professionali funzionali alle esigenze delle persone e, al tempo stesso, sottolineare che esso rappresenta parte significativa, ma specifica (per scopi, tecniche e modelli teorici di riferimento) di un sistema più ampio di risposte professionali di aiuto/sostegno/sviluppo personale e professionale, sempre più articolato, che include, ad esempio, attività contigue di Consultancy, Guidance, Coaching, Mentoring, Tutoring, ecc.

Il continuum delle finalità del counseling

Per contribuire a comprendere i confini della funzione di counseling e le sue articolazioni interne in sotto-funzioni specifiche appare opportuno rappresentare anche visivamente l’insieme delle sue possibili finalità di relazione consulenziale di aiuto lungo un continuum. Esso va dal polo sinistro (weakness remedial) del sostegno alla persona in stato di disagio e difficoltà, della cogestione delle life crises, dell’advocacy, difesa delle varie condizioni di vulnerabilità, della riparazione, riabilitazione, trattamento (nelle sue varie forme tecniche sino alla psicoterapia breve, anche se in questo caso rispettando i requisiti professionali previsti dalla normativa vigente) al polo destro (strenghts improvement) dei chiarimenti informativi, della co-progettazione del futuro, della promozione e sviluppo delle risorse e potenzialità personali, dell’abilitazione ed empowerment, della promozione del benessere individuale e collettivo di pari passo con lo sviluppo delle capacità relazionali (Richardson, 2012).

I poli estremi di tale continuum prefigurano modi di azione tecnico professionale più facilmente distinguibili in quanto corrispondono al core della psicologia clinica (polo di sinistra) e degli orientamenti psicologici che, anche sulla base dei recenti sviluppi della psicologia positiva (Boniwell, 2012/2015), sono portati a valorizzare gli elementi di prevenzione, crescita e migliore integrazione delle persone (polo di destra).

In posizione intermedia sono collocabili numerose finalizzazioni che implicano apporti interdisciplinari e competenze di natura trasversale per essere correttamente affrontate, come ad esempio: la ricerca da parte delle persone, in vari momenti della loro vita, di significati plausibili nei contesti della scuola, della formazione professionale, del lavoro, della famiglia, della comunità; l’incremento della «consapevolezza situazionale» e dell’adattamento attivo alle vari contesti di vita, comprese quelle non previste; il superamento delle transizioni psicosociali normative (developmental tasks) e non normative; l’esplorazione di soluzioni alternative ai problemi concreti emergenti e la traduzione in risposte comportamentali coerenti con quanto appreso su di sé e la realtà esterna; il raggiungimento di uno stato di benessere psicosociale e fisico nei vari contesti di vita; le preoccupazioni per la promozione della giustizia sociale, la riduzione delle diseguaglianze, il riconoscimento delle diversità come parte dei processi di sviluppo, ecc. (Hage et al., 2007).

Il modus operandi con cui si traduce in pratica la funzione consulenziale, indirizzandola sulle finalità riassunte nel continuum, non è generico (un counseling - e per translato il ruolo del cosiddetto counsellor - senza termini qualificativi e specificazioni, ritenuto valido per tutti i luoghi e stagioni è solo una definizione “commerciale” fonte di confusione e incomprensioni per i potenziali utenti dei servizi) bensì è riconoscibile e delimitabile sulla base della combinazione di tre criteri: a) Contesti sociali e organizzativi di azione (ad esempio, scuola e servizi educativi, servizi di orientamento, formazione professionale, servizi sanitari e sociali, servizi per l’impiego, famiglia, servizi di comunità, ecc.); b) Tipo di clienti/utenti (che esprimono categorie di bisogni specifici come, ad esempio: persone con varie forme di patologia o di vulnerabilità sociale, persone che affrontano decisioni di natura sanitaria, persone in condizioni di separazione e lutto, immigrati, studenti dei vari cicli formativi, drop-out, NEET, disoccupati e inoccupati, lavoratori in outplacement, persone in mobilità e sviluppo di carriera, gestione risorse umane, ecc.); c) Metodi e tecniche convalidate scientificamente (di cura, di sostegno emotivo e riparative; di advocacy; di prevenzione primaria e di promozione del benessere collettivo; di facilitazione per lo sviluppo delle risorse cognitive ed emotive; di empowerment; di informazione e guidance; di riflessività; di riprogettazione degli scopi di vita e/o life design, ecc.).

La categoria degli psicologi risulta privilegiata per lo svolgimento della funzione di counseling

Sarebbe facile dimostrare sulla base della letteratura nazionale e internazionale che le basi conoscitive e la maggior parte di quelle metodologiche implicate nelle attività con cui si esplica la funzione di counseling sono di carattere psicologico (con riferimento particolare ai domini disciplinari: della psicologia clinica e dinamica, della psicologia della salute, della psicologia dello sviluppo, della psicologia del lavoro, delle organizzazioni e delle risorse umane, della psicologia sociale e della comunicazione e dei diversi orientamenti raggruppabili nella categoria di psicologia positiva). Su questo dovrebbe esserci il più ampio consenso.

Vale la pena comunque ribadirlo per rendere evidente che la categoria degli psicologi, per il tipo di expertise acquisita, sono coinvolti direttamente nello svolgimento della funzione di counseling lungo tutto il continuum delineato sopra (non tanto formalmente, quanto a patto che la considerino un’area di attività di valore in cui specializzare la propria competence). Essi, in sostanza, sono coinvolgibili nel counseling inteso: a) come caratteristica specifica primaria dell’azione psicologica svolta lungo tutte le dimensioni del continuum sopra richiamato (in questo caso il counseling è inteso a pieno titolo come una tra le differenti azioni professionali con cui si può esplicare l’intervento dello psicologo come dipendente o consulente); b) come componente specifica, ma integrativa o complementare rispetto ad altre funzioni primarie svolte da uno psicologo o da un laureato in psicologia che lavora, ad esempio, in qualità di consulente o dipendente nei Servizi per il lavoro, nell’Orientamento, negli Uffici risorse umane, nei Servizi educativi, nei servizi sociosanitari e della comunità (in questo caso ad esempio uno psicologo che opera nell’orientamento pur avendo un ruolo o un contratto professionale diverso da quello di psicologo, potrà avvalersi della sua expertise di counseling per attuare con maggiore efficacia i suoi interventi).

La funzione di counseling non si esaurisce nell’ambito delle professioni psicologiche

Tale funzione (e le sue differenti declinazioni in rapporto al tipo di utenti, ai contesti d’uso e alle metodologie) presuppone sempre un’expertise psicologica e una condivisa deontologia. Essa può però essere diversamente declinata, con «dosaggi» differenti e metodi appropriati anche in contesti professionali distanti da quelli primariamente psicologici.

Ciò significa che anche diverse professioni non psicologiche (soprattutto in campo sanitario, genetico, dei servizi sociali, educativo/formativo, dell’orientamento professionale, del lavoro, sportivo, economico-finanziario, giuridico, ecc.) possono avvalersi di un nucleo di conoscenze e competenze di base di counseling per integrare, arricchire e qualificare la loro professionalità primaria. È importante sottolineare però che un insegnante, un educatore, un orientatore, un medico, un infermiere, un genetista, un avvocato, un assistente sociale, un allenatore sportivo, un brocker, ecc. non devono «cambiar mestiere» e assumere il fantomatico profilo di counsellor, ma che possono acquisire conoscenze psicologiche, abilità relazionali e comunicative che migliorano le loro prestazioni primarie e soddisfare meglio le esigenze dei loro utenti.

Ne deriva che la riflessione sul counseling non ha il significato di «serrare i ranghi» per uno scopo di difesa corporativa delle professioni psicologiche. Può invece avere un rilievo sociale per rendere più trasparente il sistema delle professioni psicologiche e di quelle non psicologiche che operano in territori limitrofi. Ciò corrisponde all’idea che sia una responsabilità della comunità psicologica – accademica e professionale – quella di presidiare non solo i confini del proprio territorio di azione, ma anche «prendersi cura» di territori più o meno contigui dove, inevitabilmente, il sapere e le competenze psicologiche possono essere utilizzate a supporto e integrazione di altre professionalità.

In conclusione: tre fuochi di azione della psicologia per il Counseling

Primo fuoco di attenzione. Il Counseling è una funzione professionale e non un nuovo profilo professionale autonomo. Essa viene svolta da uno psicologo competente (per il fatto che possiede conoscenze sul funzionamento psicologico, è capace di applicare uno o più modelli psicologici e metodi e strumenti propri della psicologia, possiede un set riconoscibile di skills comunicative, è consapevole del significato costruttivo della relazione interpersonale, ecc.). Egli differenzia il proprio modus operandi in base a un’appropriata combinazione di «Contesti X Utenti X Metodi/tecniche» e dichiara esplicitamente la sua competenza e il tipo di azioni psicologiche che svolge. Infatti, tale funzione richiede di essere attuata a seguito di una specifica preparazione centrata su competenze, a un livello post-laurea (con una possibile acquisizione delle competenze come descritte nel modello Europsy).

Tornando al continuum delle finalità del counseling sopra illustrato, si può aggiungere che questa sorta di conclusiva “declaratoria” si applica pienamente alle parte sinistra del continuum stesso e lascia intravedere la possibilità che sia annotata una tipicità/riserva degli atti professionali relativi al disagio psicologico e agli interventi di contenimento e cura (ciò costituirebbe, per usare una terminologia un po’ obsoleta, il counseling psicologico/clinico).

Secondo fuoco di attenzione. Nella parte centrale e destra del continuum la funzione di counseling coinvolge pienamente gli psicologi anche in mancanza della richiesta di una specifica riserva degli atti professionali. Essa per altro sarebbe ben difficile da giustificare - almeno in forma esclusiva - considerando l’evoluzione del sistema professionale e l’ormai ampia diffusione di pratiche ad alto tasso relazionale in numerosi ambiti (si pensi alla consulenza orientativa, alla consulenza di carriera, alla consulenza di placement, a quella educativo, o a quella che avviene nei servizi universitari, ecc.). Qui la presenza degli psicologi è necessaria e utile, ma può derivare soprattutto da una competizione vincente in virtù del possesso di competenze specifiche pregiate (cioè non acquisibili a bassi costi e ovunque) nelle attività di sostanziale natura psicologica come: assessment, promozione, progettazione, empowerment, sviluppo professionale, valutazione, ecc. Ciò tuttavia, presuppone: a) un esplicito interesse degli psicologi per un ampliamento della tradizionale “configurazione professionale” psicologica b) un potenziamento dei percorsi formativi nella direzione di potenziare anche le skill e le micro-skills di counseling (Ridley, Mollen, & Kelly, 2011).

Terzo fuoco di attenzione. Concerne la diffusione e l’utilizzo pratico delle conoscenze psicologiche in ambiti professionali distanti da quelli psicologici. Si tratta di una collaborazione interprofessionale orientata a far si che altre figure professionali non psicologiche migliorino la loro appropriatezza professionale (e in questo senso gli psicologi potrebbero cooperare alla realizzazione di specifici programmi formativi a partire dalla formazione universitaria).

Bibliografia

Blustein, D. L. (2008). Le professioni del counseling negli Stati Uniti: Stato attuale e aspirazioni future. Counseling. Giornale Italiano di Ricerca e Applicazioni, 1, 7-16.

Boniwell, I. (2015). La scienza della felicità (M. Riccucci, Trad.). Bologna: il Mulino (Original work published 2012).

Di Fabio, A. (2008). La formazione nel counseling in Italia: Riflessioni a margine di una ricerca empirica. Counseling. Giornale Italiano di Ricerca e Applicazioni, 1, 31-44.

Fulcheri, M. (2008). Il counseling in Italia: Quale professionalità e quale sviluppo? Counseling. Giornale Italiano di Ricerca e Applicazioni, 1, 17-29.

Fulcheri, M., & Savini, G. (2011). Limiti e potenzialità del counseling come relazione d’aiuto, Rivista di Sessuologia, 35(1), 12-21.

Guichard, J. (2009). Problematiche e sfide dell’orientamento nelle società industriali globalizzate all’inizio del XXI secolo. In A. di Fabio (Ed.), Career counseling e bilanco di competenze. Prospettive internazionali (pp. 11-28). Firenze, Italia: Giunti O.S.

Hage, S. M., Romano, J. L., Conyne, R. K., Kenny, M., Matthews, C., Schwartz, J. P., & Waldo, M. (2007). Best practice guidelines on prevention practice, research, training, and social advocacy for psychologists. The Counseling Psychologist, 35, 493-566.

Richardson, M. S. (2012). Counseling for work and relationship. The Counseling Psychologist, 40(2), 190-242.

Ridley, C. R., Mollen, D., & Kelly, S. M (2011). Beyond microskills: Toward a model of counseling competence. The Counseling Psychologist, 20(10), 1-40.

Uni.Co, Network universitario per il Counseling (2014). Indicazioni per la formazione e lo sviluppo della funzione di counseling in Italia (pp.1-10). Padova, Retrieved from: http://larios.psy.unipd.it/it/wp-content/uploads/2015/04/indicazioni.pdf.

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