Articoli su invito / Invited articles

La nuova prospettiva preventiva relazionale nell’orientamento e nel career counseling nel XXI secolo

The new relational preventive perspective for guidance and career counseling in 21st century

Annamaria Di Fabio

Responsabile del Laboratorio internazionale di ricerca e intervento in Psicologia Positiva e Prevenzione (PosPsyc&P) e del Laboratorio internazionale di ricerca e intervento in Psicologia per l’orientamento professionale e il career counseling (LabOProCCareer), Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia, Università degli Studi di Firenze, http://www.scifopsi.unifi.it/vp-30-laboratori.html

 

Sommario

Il presente contributo intende delineare la nuova prospettiva preventiva relazionale nell’orientamento e nel career counseling nel XXI secolo. Partendo da una riflessione sulla nuova prospettiva relazionale per il lavoro viene approfondita la nuova prospettiva preventiva relazionale per lo sviluppo del progetto professionale, sia nei processi decisionali dei più giovani sia in prospettiva lifelong per l’orientamento e la prontezza nella costruzione di vite di successo. Le relazioni, l’ascolto e la facilitazione dialogica appaiono concetti fondamentali per far sviluppare preventivamente le abilità necessarie per scegliere in maniera autonoma, consapevole, autodeterminata e adattiva. Verrà inoltre introdotto un nuovo modello teorico, il Positive Lifelong Self and Relational Management (PLS&RM), come manifestazione autentica e positiva delle proprie risorse, per favorire l’espressione del valore di Sé all’interno della comunità di appartenenza.

Parole chiave

prospettiva preventiva relazionale; orientamento e career counseling nel XXI secolo; information; guidance; dialogue; Positive Lifelong Self and Relational Management (PLS&RM).

 

Abstract

This contribution aims to delineate the new preventive relational perspective in guidance and career counseling in the 21st century. Starting from a reflection on the new relational perspective of working, the new preventive relational perspective for development of career project is examined, both in decisional processes of youngest people and in a lifelong perspective for guidance and readiness in construction of successful lives. Relationships, listening and dialogic facilitation seem fundamental concepts to preventively develop skills necessary for choosing in an autonomous, aware, self-determined and adaptive manner. Furthermore a new theoretical model will be introduced, the Positive Lifelong Self and Relational Management (PLS&RM), as authentic and positive manifestation of one’s own resources to favour the expression of the Self value within the community.

Keywords

preventive relational perspective; guidance and career counseling in 21st century; information; guidance; dialogue; Positive Lifelong Self and Relational Management (PLS&RM).

La nuova prospettiva relazionale per il lavoro

Nel XX secolo le principali teorie relative alla scelta professionale si fondavano su una prospettiva individualista, considerando unicamente il ruolo della singola persona nella scelta e nella costruzione del proprio percorso di sviluppo professionale (Holland, 1997; Super, 1990). La teoria di Holland (1973) si basa sul modello dell’adattamento persona-ambiente, sottolineando l’importanza di valutare le caratteristiche del singolo individuo per trovare la professione che meglio si adatta a tali caratteristiche. La teoria di Super (1990) si centra sull’evoluzione e lo sviluppo di carriera, focalizzando la sua attenzione sull’unicità dei percorsi di carriera dei singoli individui. All’inizio del 21° secolo, però, alcuni autori hanno iniziato a mettere in evidenza che la scelta e lo sviluppo professionale sono raramente indipendenti dai contesti relazionali prossimali e distali in cui la persona è inserita (Blustein, Schultheiss, & Flum, 2004; Greenhaus & Parasuraman, 1999). In questa prospettiva contestualizzata viene portato in figura il ruolo della famiglia, dei pari, delle reti sociali e dei fattori culturali nella vita lavorativa delle persone (Blustein et al., 2004; Flum, 2001; Richardson, 2000, 2012; Schultheiss, 2003). Partendo da questi presupposti è emersa la possibilità di sviluppare una prospettiva relazionale integrata che, a differenza delle teorie tradizionali della scelta professionale e dello sviluppo vocazionale, si basa sul contesto relazionale dei comportamenti legati al lavoro (Blustein, 2011). Si tratta della nuova prospettiva relazionale per il lavoro di Blustein (2011), che si focalizza sul modo in cui le relazioni costituiscono le basi per l’esperienza, inclusa quella legata al lavoro.

La prospettiva relazionale di Blustein (2011) si fonda sulla psicologia per il lavoro inclusiva (Blustein, 2006) che sottolinea come il lavoro, oltre a permettere la soddisfazione dei bisogni di sopravvivenza, rappresenti anche un mezzo per soddisfare i bisogni di potere, connessione sociale e auto-determinazione associati al benessere e alla soddisfazione di vita degli individui. La prospettiva relazionale per il lavoro di Blustein (2011) si propone inoltre di comprendere in maniera integrata i seguenti aspetti: a) le complesse e reciproche interazioni tra l’ambito lavorativo e gli altri ambiti di vita della persona, b) le modalità con le quali le persone attribuiscono significato alle relazioni con gli altri e con il mondo sociale in generale, c) come le influenze relazionali (sia passate che presenti) siano interiorizzate, quali siano le loro implicazioni sulle modalità con cui gli individui sperimentano aspirazioni, interessi, valori e motivazioni.

La teoria relazionale contribuisce a creare le basi teoriche per interventi sistemici e di prevenzione in riferimento ai rischi e alle sfide del mondo lavorativo (Blustein, 2011), facilitando un progresso significativo nella comprensione del ruolo delle relazioni lavorative ed extra-lavorative per il lavoro.

La ricerca nell’ambito della teoria relazionale per il lavoro di Blustein (2011) sostiene gli sforzi per sviluppare politiche che supportino la formazione, l’educazione e le politiche economiche a sostegno dell’occupazione e del lavoro significativo per l’individuo. La teoria relazionale del lavoro risulta in grado di influire pertanto sulle pratiche della comunità per migliorare, in senso preventivo, la vita lavorativa delle persone (Kenny, Horne, Orpinas, & Reese, 2009). In tal senso la teoria relazionale può contribuire alle politiche pubbliche supportando empiricamente l’interazione tra il benessere lavorativo, la salute relazionale e il benessere comunitario, incentivando la piena occupazione e l’accesso a condizioni di lavoro supportive e basate sul sistema di relazioni dell’individuo (Blustein, 2011).

Gli studi basati sulla prospettiva relazionale consentono inoltre ai professionisti di avere dei riferimenti per progettare programmi di sviluppo professionale legati sia al supporto relazionale prossimale sia al coinvolgimento della comunità a un livello più ampio (Kenny et al., 2007; Lapan, 2004). All’interno della prospettiva relazionale i programmi formativi vengono sviluppati in particolar modo focalizzandosi sull’apprendimento e sulle transizioni legate al lavoro.

All’interno di questa nuova prospettiva, il lavoro è un atto intrinsecamente relazionale. Concepire il lavoro come un atto relazionale sottolinea anche il fatto che ogni decisione, esperienza e interazione con il mondo del lavoro risulta compresa, influenzata e plasmata delle relazioni (Blustein, 2011).

La nuova prospettiva preventiva relazionale per lo sviluppo del progetto professionale

Raccogliendo gli stimoli innovativi della prospettiva relazionale per il lavoro di Blustein (2011) ed esplorandoli nelle loro dirette conseguenze sul piano dell’orientamento e del career counseling nel XXI secolo, emerge l’importanza di centrare la riflessione in primo luogo sullo sviluppo del progetto professionale. Spostare il focus dell’attenzione sulla genesi e sulla maturazione del progetto professionale secondo questa prospettiva consente di cogliere come esso si riveli un atto intrinsecamente relazionale (Di Fabio, 2014a). Al pari dell’esperienza lavorativa, l’articolazione del progetto professionale implica la consapevolezza relativa al fatto che le decisioni di carriera sono comprese, influenzate e plasmate dal contesto relazionale nel quale l’individuo è inserito. In tale contesto rivestono un ruolo fondamentale i genitori, i pari, gli altri significativi e la comunità di appartenenza. Non si può pensare allo sviluppo del progetto professionale se non in un’ottica profondamente relazionale (Di Fabio, 2014a). In una prospettiva rispondente ai radicali cambiamenti della società post-moderna si sottolinea inoltre il passaggio dal progetto professionale al Self-project (Savickas, 2011b) e al progetto di vita (Di Fabio, 2014a; Guichard, 2013b). Il passaggio fondamentale è dall’aiutare le persone a sviluppare un percorso professionale a facilitarle nella costruzione delle proprie vite (Guichard, 2013b; Di Fabio, 2014a) attraverso il lavoro e le relazioni (Blustein, 2011; Richardson, 2012). Riferendosi alla prospettiva relazionale per il lavoro (Blustein, 2011), è importante sottolineare che il Self-project e il life project sono atti intrinsecamente relazionali (Di Fabio, 2014a). Questa prospettiva situa gli interventi in una prospettiva preventiva (Kenny & Hage, 2009), in particolar modo in uno scenario di società liquide (Bauman, 2000; Guichard, 2008) quale quello attuale, in cui gli individui sono ritenuti pienamente responsabili della costruzione delle proprie vite personali e professionali (Guichard, 2013b).

A questa riflessione preliminare si aggiunge il concetto in base al quale la scelta è un processo maturativo, un movimento verticale di livelli progressivi di consapevolezza per l’individuo (Di Fabio, 2013). Nella psicologia dell’orientamento e del career counseling la maturità vocazionale rappresenta un costrutto tradizionale e denota il grado di sviluppo vocazionaleche l’individuo ha raggiunto nel continuum relativo alla carriera in cui si collocanole fasi progressive che vanno dalla crescita al ritiro (Super, 1980). In prospettiva sociale, la maturità vocazionaledi un individuo può essere definita in termini operativi mediante il confronto tra icompiti di sviluppo affrontati e quelli che sarebbe lecito attendersi in base alla sua età cronologica (Super, 1980).Per maturità vocazionale si intende dunque la prontezza dell’individuo nell’affrontare i compiti di sviluppo con i quali deve confrontarsi dato il suo sviluppo biologico e sociale e le aspettative che la società ripone negli individui a quello stadio di sviluppo (Super, 1980). Il concetto di maturità di carriera ha visto un’evoluzione grazie alla Career Construction Theory di Savickas (2005), secondo la quale lo sviluppo viene guidato dall’adattamento all’ambiente piuttosto che dal particolare funzionamento delle strutture interne. La career adaptability (Savickas, 2005) sostituisce allora il concetto di maturità vocazionale di Super (1980), che ben si adattava a una società più ordinata e stabile di quella odierna, contraddistinta invece da continui mutamenti che portano gli individui a rispondere a un’ampia gamma di sollecitazioni esterne, sviluppandosi in molteplici direzioni. In questo senso una concezione unidirezionale dello sviluppo non può pertanto adattarsi alle esigenze e alle caratteristiche della società odierna, e per questo il concetto di career adaptability risulta più dinamico e flessibile. L’adattabilità, infatti, è un costrutto psicologico che denota la presenza nell’individuo di un certa prontezza e di risorse di coping mediante le quali eseguire con successo i vari compiti di sviluppo e i passaggi da un ambiente di lavoro all’altro (Savickas, 2001b).

La scelta come processo maturativo implica dunque la career adaptability per uno sviluppo progressivo del concetto di Sé dell’individuo in un contesto dinamico e instabile, caratterizzato da continue transizioni e profondamente cambiato rispetto al XX secolo, che pertanto implica anche nuovi costrutti di riferimento quali narratability, biograficity, intentionality and activity (Savickas, 2011a). Il concetto di narratability risulta fondamentale all’interno delle principali teorie post-moderne della carriera, collocandosi trasversalmente nella Career Construction Theory (Savickas, 2005), nella Self-Construction Theory (Guichard, 2005) e nella Life Construction Theory (Guichard, 2013b). Nell’ambito di tali cornici teoriche, i concetti di costruzione di Sé come storia e di Sé come progetto appaiono fondamentali, sottolineando come il Sé costituisca una bussola interna per affrontare le continue transizioni del XXI secolo. La narratabiliy consente al Sé di posizionarsi all’interno di una gamma più ampia di esperienze e di significati, aumentando la chiarezza e la possibilità per l’individuo di costruire nuovi capitoli della propria storia di vita. Attraverso la narratability gli individui promuovono la propria biographicity (Alheit & Daussien, 1999), utilizzando la loro biographical agency per attribuire i propri significati personali ai ricordi passati, alle esperienze presenti e alle aspirazioni future, raffigurando un tema di vita principale (Savickas, 2011a) e disambiguando tra i molteplici Sé (Guichard, 2008, 2010, 2013b) la direzione del proprio Sé futuro. È essenziale riferirsi all’intentionality in termini di obiettivi autentici per la persona in accordo con la formula del successo personale (Savickas, 2011a) che sottolinea l’importanza per gli individui di riconoscere scopi personali in accordo con il proprio Sé autentico (Di Fabio, 2014b). La finalità degli interventi di career counseling per il XXI secolo è quella di promuovere l’activity in termini di passaggio dall’intenzione all’azione, che andando oltre la decisione, vede l’individuo pienamente impegnato e responsabile nella costruzione del proprio percorso professionale e di vita (Guichard, 2013b; Savickas, 2011a).

A questa prospettiva evolutiva raffinata e attuale, la nuova prospettiva relazionale di Blustein (2011) aggiunge un ulteriore stimolo di avanzamento, sia sul piano della riflessione teorica che sul piano della ricerca e degli interventi applicativi. Blustein (2011) porta in figura infatti ciò che, seppure già presente ma rimasto solo sullo sfondo senza coglierne la priorità preventiva di centratura e di intervento, ha in realtà un valore chiave nello sviluppo del progetto professionale individuale, vale a dire il ruolo fondamentale svolto dai contesti relazionali (famiglia, scuola, gruppo dei pari) dell’individuo sulle sue scelte e comportamenti professionali.

Il concetto di Sé dell’individuo nelle varie tappe di maturazione si sviluppa inevitabilmente all’interno delle relazioni che l’individuo ha con i propri genitori, con i pari, con gli altri significativi che svolgono pertanto un ruolo essenziale nel rafforzamento del Sé e nello sviluppo di un progetto professionale dell’individuo congruente. Si sottolinea l’importanza del contesto relazionale della persona nello sviluppo del percorso professionale, evidenziando come le relazioni possano costituire importanti risorse per l’individuo e per il potenziamento del concetto di Sé e la sua espressione adattiva. Gli altri significativi svolgono dunque un ruolo fondamentale per lo sviluppo del progetto professionale dell’individuo, sia che ne siano consapevoli sia che non lo siano. Ciò significa stressare l’importanza della consapevolezza necessaria per gli altri significativi sul loro ruolo nelle scelte dei più giovani, in quanto il processo di scelta si rivela intrinsecamente relazionale.

La scelta e i comportamenti professionali situati nella nuova prospettiva preventiva relazionale implicano una visione riflessiva e dialogica dei processi di orientamento e di career counseling (Guichard, 2013b). Per definire il concetto di riflessività è necessario distinguerlo preventivamente dal concetto di riflessione. Nell’ambito dei processi di career counseling, la riflessione è relativa al fatto di pensare a qualcosa dopo che un evento è accaduto (Finlay & Gough, 2003) mentre la riflessività è relativa a un processo dinamico e continuo di consapevolezza di Sé (Finlay & Gough, 2003; Maree, 2013). Si fa inoltre riferimento al concetto di meta-riflessione, che include tre differenti livelli di riflessione (Maree, 2013): riflessione in azione (reflection-in-action), come riflessione su alcune problematiche mentre si sta agendo; riflessione sull’azione (reflection-on-action), come pensiero retrospettivo o pensiero successivo a un’azione o a un evento; riflessione per l’azione (reflection-for-action), come riflessione pro-attiva che denota una riflessione che precede una particolare azione. La meta-riflessione si riferisce dunque a: “le riflessioni da parte del cliente sulle sue proprie riflessioni e le riflessioni del counselor volte a rendere in grado il cliente non solo di scegliere un percorso professionale ma, cosa ancora più importante, di progettare la propria vita” (Maree, 2013, p. 4), ponendo le basi per processi di riflessività. La riflessività concerne dunque la facilitazione da parte del career counselor del cliente per potenziare l’individuazione e il riconoscimento dei temi di vita, implicando la promozione di competenze essenziali per il cliente per costruire i successivi capitoli della propria storia professionale e di vita (Maree, 2013).

In tale cornice si colloca la tassonomia degli interventi di orientamento e career counseling per il XXI secolo di Guichard (2013a) che distingue tre principali forme di intervento: information, guidance, e dialogue. Questi tre forme differenziare di intervento si collocano lungo un continuum ma non si escludono gli uni con gli altri (Di Fabio, in press). Informationinterventions hanno come obiettivo quello di rendere gli individui in grado di trovare informazioni significative e affidabili in relazione al mercato del lavoro. Guidanceinterventions si propongono di sviluppare l’occupabilità del cliente, facilitando la costruzione di un concetto di Sé vocazionale adattabile. Dialogue interventions si focalizzano sulla facilitazione degli individui nell’individuazione dei propri autentici significati personali, promuovendo la costruzione delle proprie vite nel contesto odierno instabile e imprevedibile. Si comprende dunque come nei Dialogue interventions il concetto di riflessività rappresenti un aspetto di fondamentale riferimento (Guichard, 2013a). A tale proposito, Guichard (2004, 2005) distingue tra riflessività duale e riflessività ternaria. La riflessività duale si riferisce a un processo di identificazione che comporta la costruzione dell’individuo a immagine dell’altro e il tentativo di diventare come tale modello oppure il tentativo di contro-identificarsi con tale modello, prendendo le distanze da tale specifico modello di ruolo. Il processo di riflessività ternaria è relativo a un dialogo con il Sé mediante tre posizioni: l’“Io” che si colloca in una data posizione, il “tu” che risponde e il “lui/lei” che assume una prospettiva in terza persona. Così l’individuo può osservare se stesso da vari punti di vista per identificare obiettivi futuri e costruire il proprio Sé futuro (Guichard, Pouyaud, & Dumora, 2011). La riflessività richiama il concetto di identità e in particolare nella cornice della Self-Construction Theory (Guichard, 2004, 2005, 2008, 2009, 2010) e della Life ConstructionTheory (Guichard, 2013b) è possibile fare riferimento al concetto di Forma Identitaria Soggettiva (FIS, Guichard, 2010). La FIS costituisce uno specifico ruolo sociale e include il modo in cui un individuo percepisce se stesso in tale ruolo. Una FIS rappresenta dunque il modo di essere, agire e interagire, considerando specifiche prospettive su se stessi in dati contesti (Guichard, 2013b). Viene introdotto il concetto di identità plurali (Guichard, 2008, 2010, 2013b) in termini di consapevolezza delle proprie Forme Identitarie Soggettive (FIS), del proprio Sistema di Forme Identitarie Soggettive (SFIS) e delle FIS attese che gli individui intendono realizzare per costruire possibili Sé futuri. Il Sistema di Forme Identitarie Soggettive (SFIS) include identità individuali viste come molteplici e in costante mutamento nelle attuali società post-moderne. Appare inoltre fondamentale il concetto di core FIS (Guichard, 2013b), vale a dire una FIS grazie alla quale la persona esprime un bisogno di “self-actualization”. La core FIS corrisponde a un ambito di vita nel quale la persona vuole raggiungere un certo stato di eccellenza in termini di life meaning personale (Guichard, 2013b). La core FIS si lega all’aspettativa di raggiungere un obiettivo che ha un valore autentico per la persona e che nel processo di costruzione di vita consente di realizzare una piena life meaningfulness (Di Fabio, 2014b; Guichard, 2013b).

La prospettiva preventiva relazionale nei processi decisionali dei più giovani

Una tematica rilevante in ambito di orientamento è quella della prevenzione, in accordo con le linee guida dell’American Psychological Association (APA) delineate Hage et al. (2007) e con la prospettiva preventiva (Kenny & Hage, 2009). Gli approcci proattivi alla prevenzione si propongono di ridurre o eliminare i fattori di rischio da un lato e dall’altro cercano di rafforzare i fattori che contribuiscono allo sviluppo positivo dell’individuo e dei contesti (Hage et al., 2007). Le ricerche che sottolineano i benefici proattivi della prevenzione evidenziano che è più efficace e meno costoso promuovere uno sviluppo positivo in assenza di una crisi piuttosto che intervenire dopo che il problema si è sviluppato (Albee & Ryan-Finn, 1993; Catalano, Berglund, Ryan, Lonczak, & Hawkins, 2002; Durlak, 2003; Luthar & Cicchetti, 2000). Tali ricerche indicano inoltre che gli interventi preventivi risultano maggiormente efficaci quando consideranofattori causali multipli relativi a molteplici aree contestuali come i quartieri, la scuola, lacomunità e il contesto socio-politico (Durlak, 2003; Greenberg, Domitrovich, & Bumbarger,2001; Vera & Reese, 2000) piuttosto che concentrarsi su un singolo contesto. Si assiste dunque da un lato all’aumento di ricerche che esaminano il ruolo dei fattori di rischio, dall’altro a una progressiva focalizzazione della ricerca anche sull’identificazione dei fattori individuali e contestuali che contribuiscono a uno sviluppo positivo (Kenny & Hage, 2009; Kenny et al., 2009). Basandosi sui risultati della ricerca relativa ai fattori protettivi e alla resilienza, gli interventi preventivi possono essere progettati per incrementare i fattori protettivi che diminuiscono la probabilità di esiti non positivi e riducono o eliminano i fattori di rischio (Hage et al., 2007). La prevenzione infatti risulta più efficace quando gli sforzi diretti ad accrescere le risorse sono combinati con gli sforzi per ridurre i rischi (Hage et al., 2007; Kenny & Hage, 2009). Nella prospettiva preventiva relazionale un fattore protettivo essenziale appare l’aiuto che gli adulti, in quanto altri significativi, possono offrire nei processi decisionali dei più giovani. Una prima riflessione è quella relativa al significato profondo dell’aiuto che richiama l’ascolto come competenza essenziale della “professionalità genitoriale” (Di Fabio, 2013). Si tratta di un ascolto distanziato, olistico, attivo, empatico, che consenta agli adulti di offrire ai più giovani un aiuto concreto per facilitare percorsi di auto-orientamento con accessibilità e possesso di strumenti critici, perché il ragazzo possa meglio leggere e declinare armonicamente la complessità interna e la complessità del mondo esterno, senza cedere alla tentazione del falso aiuto che consiste essenzialmente nel fornire soluzioni o consigli con un processo eterodiretto (Di Fabio, 2013).

Per comprendere maggiormente la funzione preventiva degli adulti impegnati nei processi di aiuto ai giovani che si confrontano con i processi di scelta si può utilizzare la metafora del detective (Di Fabio, 2013). Tale metafora implica non partire dal presupposto di dover rintracciare la soluzione in termini di scelta giusta per i ragazzi e conseguentemente non dare ai ragazzi soluzioni per loro e per la loro vita facendo riferimento a progetti eterodiretti, identificati per loro e per risolvere le loro vite. Si tratta al contrario di osservarli con attenzione e sufficiente distacco per rintracciarne interessi reali e inclinazioni, talenti e potenzialità, usando un dialogo attivo per facilitarli nella presa di contatto con i loro aspetti autentici, per comprenderne i punti di forza, per presentare loro prospettive alternative che li spingano a interrogarsi e a porsi buone domande per confermare o per prendere le distanze dalle proprie scelte, contribuendo a far sviluppare nei più giovani le abilità necessarie per risolvere i problemi di scelta in maniera autonoma, consapevole, autodeterminata e adattiva.

All’interno di una prospettiva preventiva relazionale per l’orientamento appare fondamentale anche la riduzione o l’eliminazione dei fattori di rischio anticipando e differenziando le azioni di orientamento, facendo esperienze dirette nei contesti, facilitando la partecipazione a varie e diverse iniziative di orientamento. È opportuno anticipare precocemente il più possibile la riflessione sulla scelta professionale (Di Fabio, 2014a; Hage et al., 2007), per acquisire anticipatamente una maggiore consapevolezza su se stessi e sui propri punti di forza da un lato e dall’altro predisporre eventuali percorsi di miglioramento per aree da potenziare in relazione a determinate eventuali scelte scolastiche e accademiche. Per costruire una scelta che abbia maggiori possibilità di rispondere concretamente a reali desideri e aspirazioni, risulta significativo fare esperienze dirette nei contesti il più precocemente possibile, prevedendo più occasioni differenziate. È opportuno preferire momenti in cui calarsi direttamente nelle realtà per conoscerle, piuttosto che ascoltarne soltanto descrizioni offerte da altri. Sulla base di questo principio si tratta di impegnarsi il più possibile con se stessi nel cogliere e costruire occasioni che favoriscano questo passaggio dal piano semplicemente descrittivo ad opera di terze persone al piano della conoscenza diretta.

Si può dunque considerare l’orientamento come un processo che riguarda tutta la comunità in ogni sua componente. Risulta pertanto fondamentale aumentare una consapevolezza diffusa dell’importanza dell’orientamento come un processo che riguarda tutta la comunità in ogni sua componente: genitori orientanti, docenti orientanti, specialisti dell’orientamento, comunità orientante. Si tratta di assumere un nuovo impegno per costruire insieme una prospettiva preventiva relazionale per l’orientamento, investendo nuove energie “relazionali” e affrontando insieme nuove sfide come comunità orientante (Di Fabio, 2013).

Prospettiva preventiva relazionale per l’orientamento e prontezza per l’università

L’insuccesso accademico è un fenomeno diffuso che riguarda non soltanto la realtà italiana ma anche gli altri paesi europei e i paesi nord americani (Gore, 2008). L’analisi dei fattori che possono promuovere il successo accademico risulta dunque di grande rilevanza (Gore, 2008, 2011). La letteratura più recente che ha analizzato i fattori di successo accademico ha messo in evidenza un fenomeno di natura multidimensionale, legato non solo a variabili cognitive, ma anche a un insieme di variabili individuali e sociali (Gore, 2008). È stato sottolineato che esiste un ampio numero di fattori non cognitivi che risultano correlati al successo accademico che si riferiscono agli aspetti motivazionali, ai comportamenti e agli atteggiamenti e che risultano ben distinti dalla abilità misurate con i tradizionali test di performance accademica (Gore, 2011).

Tra i fattori non cognitivi di successo accademico assume grande rilevanza la prontezza per l’università (Metz, Hu, & Mitton, 2011). Far maturare tale prontezza assume dunque un forte valore preventivo. La prontezza per l’università è il grado in cui uno studente è preparato a iscriversi e ad avere successo all’università (Metz et al., 2011). Conley (2007) descrive quattro importanti componenti della prontezza per l’università: le strategie cognitive chiave necessarie per il successo accademico che includono l’apertura intellettuale, la curiosità, l’analisi, il ragionamento, l’abilità di interpretazione, il problem solving; la conoscenza di contenuti specifici relativi ad esempio alla lingua Italiana, alla matematica, alle scienze, agli studi sociali, ecc.; la conoscenza del contesto per studenti e genitori, ovvero una comprensione sistematica del sistema universitario combinata con la conoscenza di norme, valori e convenzioni di tale contesto; i comportamenti accademici che riguardano la gestione del tempo, l’abilità di studio, la comunicazione, l’autoconsapevolezza, l’autocontrollo, l’equilibrio tra lavoro e socializzazione. Si comprende come il successo accademico sia un fenomeno complesso che richiede porre attenzione a numerosi fattori relativi non solo alla persona ma anche al contesto in cui la persona è inserita e al contesto accademico nel quale intende inserirsi (Metz et al., 2011), sottolineando il valore di una prospettiva preventiva relazionale che tenga in considerazione i differenti contesti di vita della persona.

Prospettiva preventiva relazionale per l’orientamento per la costruzione di vite di successo nelle transizioni

Una prima importante riflessione è introdotta da Savickas (2001) sul vero successo nella vita delle persone. A tale proposito, Savickas rimanda all’azione individuale nella fase finale del percorso esistenziale consistente nel fare un bilancio della propria vita, riflettendo su cosa possa essere autonomamente valutato di reale successo per ciascuno di noi. Appare dunque fondamentale il concetto di Sé autentico (Di Fabio, 2014b) che, collocandosi nella cornice della psicologia positiva (Seligman, 2002), evidenzia come obiettivi a interesse intrinseco in linea con chi siamo veramente favoriscano il vero successo della progettualità della persona (Di Fabio, 2014b; Sheldon & Houser-Marko, 2001). Emerge l’importanza di processo di Self-attunement (Di Fabio, 2014b) per diventare maggiormente consapevoli ed esprimere pienamente il proprio Sé autentico, considerando da un lato i nostri talenti oggettivi e potenziali (cosa io sono in grado di fare), dall’altro i nostri talenti soggettivi e potenziali (cosa mi energizza, cosa mi motiva a fare). Questo processo di confronto attraverso il Self-attunement consente di realizzare in pratica una narrazione costruttiva in termini di “go between the concepts” (Guichard, 2013b), tra oggettività e soggettività per accordare il proprio Sé, favorendo la realizzazione di migliori performance congruenti con obiettivi pienamente significativi per l’individuo (Di Fabio, 2014b).

In relazione alla scelta del percorso di sviluppo professionale è opportuno tenere presente inoltre la distinzione tra il concetto di indecision (Osipow, 1999) e quello di indecisiveness (Frost & Shows, 1993). È possibile distinguere infatti tra indecisione evolu­tiva (indecision), corrispondente a una normale fase della vita, in termini di svi­luppo, e l’indecisione cronica o generalizzata (indecisiveness), una caratteristica di personalità che si manifesta nella difficoltà, riscontrata dall’individuo, nel pren­dere decisioni in qualunque contesto della propria esistenza (Osipow, 1999). In un’ottica di prevenzione a proposito dell’indecision è importante riconoscere precocemente le differenti difficoltà decisionali e trattarle. Per identificare le differenti difficoltà decisionali appare di grande aiuto il modello di Gati, Krausz e Osipow (1996) che distingue tre categorie principali di difficoltà: Mancanza di prontezza, l’individuo percepisce di non riuscire a iniziare il processo decisionale; Mancanza di informazioni, l’individuo percepisce di non possedere le informazioni necessarie per scegliere; Inconsistenza delle informazioni, l’individuo percepisce delle incongruenze nelle informazioni che possiede in relazione alla scelta professionale. Tenendo in considerazione il modello di Gati et al. (1996) si aprono prospettive di intervento differenziate e precoci in relazione alle specifiche career decision-making difficulties.

In questa generale cornice preventiva si colloca il tema dell’aiuto alla scelta secondo una prospettiva preventiva relazionale per l’orientamento (Di Fabio, 2013). È possibile formulare provocatoriamente la seguente domanda. “Cosa significa aiutare?”. La risposta è che non può esserci aiuto efficace senza ascolto (Di Fabio, 2013). A questo proposito ci sono due articolazioni preliminari possibili. L’aiuto che il ragazzo può dare a se stesso e l’aiuto degli adulti al ragazzo in procinto di scegliere. A proposito dell’aiuto che il ragazzo può darsi si sottolinea l’importanza di effettuare scelte congruenti con se stessi e con il proprio Sé autentico (Di Fabio, 2014b). A proposito dell’aiuto degli adulti ai processi decisionali dei più giovani è importante riflettere su cosa significa davvero aiutare. La psicologia dell’orientamento ha ben chiaro da tempo che non può esserci aiuto efficace senza competenze di ascolto e di osservazione (Di Fabio, 1998, 1999). Ha anche sottolineato come la scelta sia un processo di tipo maturativo e dunque da parte degli adulti il vero aiuto ai più giovani consiste nel facilitare percorsi di auto-orientamento con accessibilità e possesso di strumenti critici, perché sia possibile leggere e declinare armonicamente la complessità interna e la complessità esterna, resistendo alla tentazione e al falso aiuto del fornire soluzioni o consigli eterodiretti (Di Fabio, 2013). Questa prospettiva implica necessariamente non aver già rintracciato la soluzione di scelta per il ragazzo, non essere preda dei propri progetti da riversare sul ragazzo come soluzioni per lui e la sua vita; significa al contrario osservarlo con attenzione e sufficiente distacco per rintracciarne interessi reali e inclinazioni, talenti e potenzialità, usando un dialogo attivo per comprendere i suoi punti di forza interni, per stimolare prospettive alternative che lo spingano a interrogarsi e a porsi domande per confermare o per prendere le distanze dalle sue scelte, il tutto in un processo di movimento verticale di coscienza riflessiva del ragazzo in cui l’obiettivo dell’adulto è l’ascolto e la facilitazione a far sviluppare nei più giovani le abilità necessarie per risolvere i problemi di scelta in maniera autonoma, consapevole, autodeterminata e adattiva (Di Fabio, 2013).

In relazione alle due principali articolazioni (l’aiuto che il ragazzo può dare a se stesso e l’aiuto degli adulti al ragazzo in procinto di scegliere) è importante focalizzarsi su alcuni aspetti di possibile criticità. L’aiuto da parte dei ragazzi può infatti assumere differenti configurazioni: aiuto richiesto in modo dichiarato, aiuto desiderato ma non dichiarato, aiuto non desiderato sia implicito che esplicito (Di Fabio, 2013). Queste configurazioni di aiuto dei ragazzi si possono interfacciare con differenti configurazioni di aiuto per gli adulti (Di Fabio, 2013). Una prima distinzione per gli adulti viene identificata nel desiderio di aiutare contrapposto al non desiderio di aiutare. Il desiderio di aiutare si articola in: aiuto come proposito, aiuto dichiarato, aiuto realizzato (“in azione”) che a sua volta può rivelarsi efficace o non efficace. Il non desiderio di aiutare a sua volta può essere legato a diversi fattori come la mancanza di self-efficacy, il burnot, una chiusura difensiva, ecc. Questi aspetti di criticità vengono pienamente accolti in una prospettiva preventiva relazionale in modo da essere affrontati precocemente, favorendo l’aiuto sia dei giovani a se stessi sia degli adulti nei processi decisionali dei ragazzi.

In relazione alla prospettiva preventiva relazionale per l’orientamento in termini riassuntivi si sottolinea per i giovani l’importanza di potenziare: la riflessività su stessi e sulla propria storia di vita (Di Fabio, 2014b; Maree, 2013); l’adattabilità che implica la presenza nell’individuo di risorse di coping mediante le quali eseguire con successo i vari compiti di sviluppo e i passaggi da un ambiente di lavoro all’altro (Maree, 2013; Savickas, 2001, 2005); la prontezza intesa come il grado in cui uno studente è preparato a iscriversi e ad avere successo all’università e nella vita (Metz et al., 2001); l’aver cura delle relazioni (Blustein, 2011) come parte essenziale di nutrimento in un’ottica preventiva. La prospettiva preventiva relazionale per l’orientamento si situa nel conteso della nuova tassonomia degli interventi di orientamento e career counseling per il XXI secolo elaborata da Guichard (2013a). L’aiuto degli altri nei processi decisionali dei giovani può infatti declinarsi nelle diverse forme di intervento: information, guidance e dialogue. Dal rendere i ragazzi in grado di trovare informazioni significative e affidabili in relazione al mercato del lavoro, alla promozione dell’occupabilità, fino alla facilitazione degli individui nell’individuazione dei propri obiettivi personali autentici per la costruzione di percorsi professionali di vita realmente significativi per loro attraverso processi di riflessività (Guichard, 2013a). Se anche genitori e altri significativi sono elementi di rilievo nel facilitare la ricerca autonoma delle informazioni da parte dei ragazzi e per questo da formare opportunamente, gli interventi di guidance e dialogue richiedono una specifica formazione specialistica. La prospettiva preventiva relazionale per l’orientamento richiama tuttavia la piena responsabilità dell’intera comunità orientante nel contribuire ai processi decisionali dei giovani (Di Fabio, 2013) per la valorizzazione delle loro risorse e il loro successo professionale e di vita.

Il Positive Lifelong Self and Relational Management (PLS&RM)

Il nuovo modello teorico Lifelong Self and Relational Management (PLS&RM, Di Fabio, in press) si colloca nella cornice della psicologia positiva (Seligman, 2002; Seligman & Csikszentmihalyi, 2000) che sottolinea l’importanza della consapevolezza e dell’utilizzo delle risorse personali considerate come fattori protettivi e costituisce un avanzamento e un progressivo ampliamento delle riflessioni teoriche in questa prospettiva. Se le risorse personali sono considerate fattori protettivi già nella prospettiva del Positive Youth Development (PYD; Catalano, Berglund, Ryan, Lonczak, & Hawkins, 2004; Kenny, Di Fabio, & Minor, 2014; Kozan, Di Fabio, Blustein, & Kenny, 2014; Lerner et al., 2005) focalizzata sulla costruzione delle forze dei giovani e sul loro potenziale per affrontare in maniera proattiva la complessità dell’epoca post-moderna (Di Fabio & Kenny, 2015), il Positive Adult Development (PAD; Commons, 2002; Helson & Srivastava, 2001) contribuisce ad ampliare la riflessione, enfatizzando che lo sviluppo individuale positivo inizia nella tarda adolescenza e si protrae per tutta la vita, focalizzandosi sull’abilità degli individui di adattarsi ai cambiamenti e alle sfide della società odierna. Una prospettiva evolutiva congruente è il Positive Lifelong Development (PLD; Colby & Damon, 1992) per lo sviluppo di successo dell’individuo durante l’intero arco di vita basato su aspetti positivi di sé e sul potenziamento proprie forze (Colby & Damon, 1992). Tuttavia, l’attuale riflessione sul career management (Savickas, 2013) e sul life management (Guichard, 2013b) come sfide fondamentali per la gestione ottimale della complessità del XXI secolo, hanno spostato l’attenzione sul lifelong management. In questa cornice è stato sviluppato un ulteriore modello ampliato, Positive Lifelong Self and Relational Management (PLS&RM; Di Fabio, in press), che introduce e sottolinea la dialettica del Sé nelle relazioni durante l’arco di vita (Di Fabio, 2014f).

Il nuovo modello teorico del PLS&RM (Di Fabio, in press) si riferisce allo sviluppo delle forze, dei potenziali e dei talenti delle persone, in una prospettiva di dialettica positiva lifelong, per promuovere una gestione del Sé e delle relazioni efficace e duratura, attraverso le numerose transizioni sia personali sia professionali e le sfide complesse della vita nel XXI secolo (Blustein, 2011; Di Fabio, in press; Di Fabio & Kenny, 2015; Di Fabio & Maree, 2013).

Il PLS&RM riconosce l’importanza delle due meta-competenze chiave post-moderne (Di Fabio, 2014b): adattabilità (Savickas, 2005, 2011) e identità (Guichard, 2005, 2013b). Queste meta-competenze sono fondamentali per il raggiungimento della consapevolezza identitaria purposeful(Di Fabio, 2014b, in press f) in termini di espressione di Sé autentico (Di Fabio, 2014b). Il nuovo modello risponde all’esigenza di promuovere un efficace lifelong self and relational management in relazione ai numerosi cambiamenti professionali e personali e alle sfide del contesto attuale. Il PLS&RM emerge dunque dalla Psicologia positiva (Seligman, 2002; Seligman & Csikszentmihalyi 2000), è allineato con il developmental-contextual model (Kenny, 2007; Lerner, 2002), si basa sulla career construction (Savickas, 2005), sulla self-construction e sulla life-construction (Guichard, 2005, 2013b), sulla teoria relazionale per il lavoro (Blustein, 2011), sul senso della vita (Bernaud, 2015), sulla prospettiva preventiva (Kenny & Hage, 2009). Il PLS&RM integra tre costrutti: Positive Lifelong Life Management, Positive Lifelong Self Management, and Positive Lifelong Relational Management. Il nuovo modello PLS&RM si focalizza dunque sui processi di potenziamento delle risorse individuali per l’espressione autentica di Sé nei contesti e nelle relazioni, sottolineando passaggi chiave per ottenere maggiore benessere e per aumentare l’espressione di valore che ciascun individuo porta nella comunità di appartenenza in ogni fase della vita, in un processo di costruzione continua (Di Fabio, 2014b, in press). Il PLS&RM sostiene pertanto l’espressione autentica delle proprie risorse per favorire il valore di Sé all’interno della comunità di appartenenza (Di Fabio, 2014b, in press).

Conclusioni

A partire dalla Career Construction (Savickas, 2005), dalla Self-Construction (Guichard, 2005), dalla Life Construction (Guichard, 2013) e con i contributi della teoria relazionale per il lavoro (Blustein, 2011), nel XXI secolo è stata introdotta una nuova prospettiva preventiva relazionale per l’orientamento che va dalla career, al career management e al self-management, al career management through self-management come atti intrinsecamente relazionali (Di Fabio, 2014a). In relazione alla career, se nel XX secolo la carriera veniva definita come un’evoluzione predeterminata e predicibile attraverso stadi prestabiliti (Super, 1957, 1990), come la successione di attività vocazionali lungo l’intero arco di vita (Osipow, 2012), sviluppandosi all’interno di organizzazioni stabili (Savickas, 2011a), nel XXI secolo caratterizzato da instabilità, insicurezza, lavoro flessibile, la carriera appartiene alla persona e non più all’organizzazione (Duarte, 2004). Il passaggio è pertanto dal career management (Savickas, 2011a) e dal self-management (Guichard, 2004, 2013b) al career management through self-management come atto intrinsecamente relazionale (Di Fabio, 2014a). Nel career management gli individui sono chiamati a mantenere la propria occupabilità e a gestire i propri percorsi professionali attraverso l’adattabilità, l’intenzionalità, il life-long learning, il pensiero autobiografico, il significato (Savickas, 2005). La Career Construction Theory (Savickas, 2005) sottolinea la visione del Sé come progetto nella costruzione di carriera. Il Sé come progetto include una prospettiva sia oggettiva che soggettiva della carriera, considerando il Sé in forma relazionale (Savickas, 2011b). Il riferimento è a una costruzione sociale, dal momento che non si tratta di un processo individuale ma di una co-costruzione attraverso la collaborazione con il gruppo sociale prossimo e la comunità di appartenenza più ampia (Savickas, 2011b). Inoltre come punto chiave della Self-Construction Theory di Guichard (2004, 2005) si sottolinea come le persone siano considerate esseri plurali e l’identità individuale sia riconducibile a un sistema dinamico di forme identitarie soggettive. Integrando le proprie esperienze, gli individui giungono a un Sé maggiormente unificato attraverso la formazione di aspettative essenziali rispetto al proprio futuro. Le persone interagiscono in differenti contesti e attraverso varie esperienze sviluppano differenti immagini di Sé, assumendo differenti ruoli e implementando diversi Sé (Guichard, 2004, 2005). Un’evoluzione recente della Self-Construction Theory (Guichard, 2004, 2005, 2009) è la Life Construction Theory (Guichard, 2013b) che sottolinea come nelle società post-moderne gli individui unifichino se stessi, connettendo le differenti esperienze di vita attraverso la narrazione di eventi futuri e contribuendo così a dare senso e significato alle loro vite. Si comprende come il career management through Self-management (Di Fabio, 2014a) sia profondamente influenzato dalle relazioni e dai contesti in cui l’individuo è inserito e sia possibile sostenerlo con interventi preventivi.

Le relazioni della persona sono dunque fondamentali così come il rispetto e la cura di se stessi e degli altri nelle relazioni (Di Fabio, 2014a) per promuovere flourishing relationships in una prospettiva positiva, con il bilanciamento positivo me/us (Di Fabio, 2014a; Snyder, Lopez, & Teramoto Pedrotti, 2011). Nella cornice della prospettiva preventiva relazionale nell’orientamento e nel career counseling nel XXI secolo si sottolinea dunque l’importanza di un’ottica preventiva di sviluppo delle forze e delle risorse degli individui (Di Fabio & Kenny, 2015) e delle loro manifestazioni autentiche e positive per l’espressione del valore di Sé all’interno della comunità di appartenenza.

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