One of the authors acknowledges a grant for the Lagrange Project – CRT Foundation/ISI Foundation

Lo studio presentato in queste pagine si inserisce in un più ampio progetto coordinato dalla Fondazione Human Plus (www.fondazionehumanplus.it; Alberto Carpaneto, Alessandro Mercuri e Michela Carossa) che, dal 2012, ha avviato un insieme di attività conoscitive e applicative legate al fenomeno delle start-up. Il progetto ha un respiro interdisciplinare vedendo coinvolti il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino (Claudio G. Cortese, Chiara Ghislieri e Monica Molino) e il Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione del Politecnico di Torino (Marco Cantamessa, Emilio Paolucci e Alessandra Colombelli).

Tra le misure di contrasto alla disoccupazione, il sostegno all’imprenditorialità giovanile (e non solo) riveste un ruolo cruciale: su questa linea si collocano recenti disposizioni politiche, concretizzate ad esempio nel Decreto Crescita 2.0 (DL 221/2012), con particolare riferimento a specifici tipi di impresa, le start-up (Hathaway, Bell-Masterson, & Stangler, 2013), considerate in molti Paesi a economia di mercato avanzata come elemento su cui basare il rilancio e la ripresa economica e occupazionale. Al fine di promuovere la creazione d’impresa, vengono resi disponibili strumenti economici e amministrativi: pochi sono però, al momento attuale, gli strumenti formativi e orientativi, basati su studi psico-sociali, utili a sostenere i percorsi di costruzione e consolidamento delle attività imprenditoriali.

In questa cornice, assume particolare rilevanza la necessità di individuare con precisione le dimensioni psicologiche associate alla riuscita imprenditoriale, al fine di costruire metodi e strumenti per la rilevazione di queste variabili e di mettere a punto sistemi di valutazione ma anche prassi di counseling atte a facilitare i percorsi imprenditoriali. Il presente contributo rappresenta un primo passo in questa direzione: il suo obiettivo principale è raccogliere prime evidenze, in Italia, sulle variabili psicologiche associate al successo imprenditoriale, confrontando un gruppo di startupper con gruppi di altri soggetti.

Creazione d’impresa e start-up: lo scenario italiano

L’Italia vanta una grande storia di innovazioni, dalla scienza alla tecnologia, dalla cultura all’abbigliamento; nonostante ciò, solo negli ultimi anni ha cominciato a confrontarsi, in maniera attiva e proattiva, con il fenomeno start-up, mostrando segnali di ritardo rispetto ad altri paesi (Oehler, Pukthuanthong, Rummer, & Thomas, 2007). Per fare fronte a tale ritardo, a partire dal 2012, il Ministero dello Sviluppo Economico italiano ha cominciato a promuovere una serie di politiche al fine di creare un ambiente favorevole alla nascita e allo sviluppo di start-up innovative.

Nel dicembre 2012 è stato introdotto il Decreto Crescita 2.0 che cita per la prima volta specifiche misure a sostegno della creazione e sviluppo delle start-up. Il decreto fornisce la prima definizione legislativa di start-up innovativa; per questo tipo di impresa, indipendentemente dal settore di operatività, è stato predisposto un quadro di riferimento articolato e organico che introduce benefici rivolti a tutte le fasi del ciclo di vita della nuova impresa (lancio, crescita e maturità), sul fronte della semplificazione amministrativa, del mercato del lavoro, delle agevolazioni fiscali e del diritto fallimentare. L’obiettivo è supportare la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico e l’occupazione nel nostro Paese, favorendo una nuova cultura imprenditoriale e promuovendo una maggiore mobilità sociale.

Nell’ambito della legge, con il termine start-up si fa riferimento a società di capitali operative da meno di quattro anni, di dimensioni contenute (meno di 5 milioni di euro di fatturato), con sede fiscale in Italia, il cui business prevalente è lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. Più in generale, si possono considerare start-up tutte le imprese nascenti, operanti in ambiti innovativi, con intensi piani di crescita e che necessitano di apporti di capitale nelle fasi iniziali (Mind the Bridge Foundation, 2012).

Nonostante la recente introduzione, gli effetti del decreto sono già evidenti: il numero di start-up iscritte al registro ufficiale delle imprese innovative del Ministero dello Sviluppo Economico è di circa 2800 (dato aggiornato a novembre 2014), con la nascita in media di 4 start-up al giorno, e 21 di quelle iscritte supera il milione di fatturato. Il registro comprende, però, solo le aziende che hanno voluto o potuto beneficiare della legge; il rapporto Mind the Bridge del 2012 afferma che le start-up italiane sarebbero un numero compreso tra 4 e 8 mila.

I dati descrivono anche in Italia un fenomeno in forte espansione: il crescente numero di nuove imprese fondate porta con sé un aumento di investimenti e autofinanziamenti con importanti implicazioni e conseguenze economiche e sociali. Nonostante tale espansione, la letteratura internazionale non sembra aver ancora trovato accordo su quali possono essere considerate le variabili psicologiche predittive delle performance imprenditoriali (Rauch & Frese, 2007), e nell’applicazione pratica sembra mancare un orientamento comune che supporti la creazione di nuove start-up e l’accompagnamento professionale di imprenditori attuali o futuri.

Il capitale umano fa la differenza? Variabili personali e successo imprenditoriale

La relazione tra fattori motivazionali, caratteristiche di personalità e comportamento imprenditoriale è un importante tema di ricerca già da alcuni decenni. A discapito della grande attenzione da sempre dedicata a fattori di carattere economico-finanziario e organizzativo, più recentemente è stato dimostrato quanto il successo di un’impresa sia legato al capitale umano dei suoi fondatori e amministratori (Crook, Todd, Combs, Woehr, & Ketchen, 2011), e sulla scia del fenomeno imprenditoriale che sta caratterizzando l’economia attuale, alcuni studiosi sono tornati a interrogarsi su tale relazione (Frese, 2009). Sebbene diverse meta-analisi abbiano evidenziato l’esistenza di un legame tra tratti di personalità e fattori motivazionali da un lato, e comportamento e successo imprenditoriale dall’altro (e.g., Stewart & Roth, 2004; Zhao & Seibert, 2006), non sembra sia stato ancora individuato un modello esaustivo contenente i tratti maggiormente predittivi del successo imprenditoriale, e la letteratura, soprattutto italiana, è carente, in particolare se si svolge lo sguardo a uno specifico tipo di imprenditore come lo startupper.

Le principali ricerche sul tema si dividono tra studi che hanno preso in considerazione modelli di personalità complessi, primo fra tutti il Big Five Model (cfr. per una meta-analisi Zhao & Seibert, 2006), e altri che hanno invece osservato la relazione tra performance imprenditoriali e singole caratteristiche di personalità (Rauch & Frese, 2007). Alcuni studiosi, inoltre, hanno evidenziato quanto sia importante considerare tratti task-related, ovvero direttamente riconducibili al ruolo e alle attività proprie dell’imprenditore (Rauch & Frese, 2007).

A partire dall’incrocio tra un’analisi sistematica degli studi empirici e meta-analisi più autorevoli pubblicate nel corso degli ultimi 15 anni e i risultati di una ricerca qualitativa condotta sul campo dell’ecosistema start-up (Molino et al., 2013), viene proposto in questo studio un modello che comprende un limitato set di fattori considerati predittivi delle performance imprenditoriali. Il modello individua due macro-categorie: i fattori motivazionali e le credenze da un lato e i tratti di personalità dall’altro. Tra i fattori motivazionali e credenze rientrano l’autoefficacia, il bisogno di realizzazione, la passione imprenditoriale e la propensione al rischio. I tratti di personalità individuati sono invece il locus of control interno, la resilienza, la stabilità emotiva e l’autoregolazione.

L’autoefficacia generale fa riferimento alla percezione di un individuo di riuscire ad affrontare con successo un compito o una situazione (e.g., Bandura, 1982). Le persone con un alto livello di autoefficacia tendono a ricercare situazioni e opportunità sfidanti e a perseverare anche di fronte a problemi e ostacoli (Bandura, 1982). L’autoefficacia potrebbe rappresentare pertanto un fattore importante per gli imprenditori ai quali è richiesto di essere sicuri di sé e delle proprie capacità per avere successo in situazioni generalmente incerte (Baum & Locke, 2004).

Il bisogno di realizzazione rappresenta il desiderio di riuscire bene al fine di ottenere un senso di riuscita e gratificazione personale (McClelland, 1961): questi aspetti sono stati associati ai profili imprenditoriali (McClelland, 1961; Rauch & Frese, 2007). Le persone con un elevato bisogno di realizzazione sono più propense a intraprendere attività energiche e innovative, preferiscono compiti difficili, sfidanti o rischiosi, per i quali sono indispensabili impegno e competenze specifiche (McClelland, 1961).

La passione imprenditoriale è definita come un intenso stato emotivo, caratterizzato da manifestazioni cognitive e comportamentali dei valori personali nell’ambito dell’attività imprenditoriale (Cardon, Gregoire, Stevens, & Patel, 2013). Individui con un elevato livello di passione imprenditoriale mostrano entusiasmo, sono creativi e capaci di riconoscere e sviluppare nuove opportunità, di fronteggiare positivamente situazioni di incertezza e carenza di risorse, di raccogliere fondi presso gli investitori (Baron, 2008; Cardon et al., 2013). Inoltre, come dimostra la letteratura sulla leadership (Bass & Stogdill, 1990), la passione rappresenta un elemento importante nella gestione e motivazione dei collaboratori.

La propensione al rischio rappresenta un orientamento decisionale caratterizzato dall’accettare un’elevata probabilità di perdita a fronte di un potenziale guadagno altrettanto elevato (Vecchio, 2003). L’attività imprenditoriale è caratterizzata dal dover spesso prendere decisioni in condizioni di elevata incertezza, per questo la propensione al rischio è considerata un fattore determinante (Rauch & Frese, 2007): uno studio ha evidenziato che gli imprenditori sono più propensi al rischio rispetto ai manager (Stewart & Roth, 2004).

Il locus of control descrive il grado con il quale un individuo ritiene che i propri risultati dipendano direttamente dal suo comportamento. Quando il locus of control è prevalentemente interno i risultati vengono percepiti come strettamente dipendenti da sé; quando invece prevale l’esterno, la persona ritiene di non poter controllare gli eventi della vita, che sembrano più governati dal caos, dalla fortuna o da altri fattori non direttamente influenzabili (Rotter, 1966). Il locus of control interno è associato alla convinzione di poter influenzare e controllare i propri risultati, aspetto che incide sull’impegno nella costruzione di una nuova impresa (Frese, 2009; Rauch & Frese, 2007). Viceversa, il locus of control esterno rende più passivi di fronte alla possibilità di intervenire per modificare l’ambiente circostante, e quindi di creare e gestire una nuova impresa (Rauch & Frese, 2007).

La resilienza fa riferimento alla capacità degli individui di affrontare e superare in maniera adattiva situazioni frustranti, stressanti e avverse, attraverso la messa in atto di strategie di coping efficaci (Tugade & Fredrickson, 2004). Gli individui con un’alta resilienza tendono più degli altri a utilizzare emozioni positive per affrontare situazioni negative e hanno una maggiore capacità di recupero in seguito a circostanze difficili (Carle & Chassin, 2004). È stata dimostrata una relazione positiva tra resilienza e performance nei contesti lavorativi (Luthans, Vogelgeslang, & Lester, 2006), ma pochi studi si sono concentrati sulla sua relazione con l’attività imprenditoriale (Peterson, Walumbwa, Byron, & Myrowitz, 2008).

La stabilità emotiva indica la tendenza a controllare e gestire le proprie emozioni e i propri impulsi, evitando anche in situazioni difficili sentimenti negativi quali ansia, ostilità, depressione, impulsività e vulnerabilità (Costa & McCrae, 1992). La capacità di esercitare controllo sulle proprie emozioni e impulsi è importante in quanto aiuta gli imprenditori a gestire efficacemente lo stress generato dal lavoro (Rauch & Frese, 2007), a fronteggiare situazioni di incertezza, di rischio e di possibile conflitto tra domini di vita (Zhao & Seibert, 2006).

L’autoregolazione, oggi poco studiata in relazione all’imprenditorialità, fa riferimento alla capacità di auto-gestire il proprio sé; implica una buona conoscenza delle proprie debolezze e delle proprie aree di forza, ed una conseguente abilità nel migliorare e controllare le prime e capitalizzare le seconde (Frese, 2009). Il processo di autocontrollo permette agli individui di fissare standard interni, valutare le discrepanze tra tali standard e i risultati che si stanno raggiungendo, identificare azioni correttive per diminuire il gap tra aspettative e outcome (Stajkovic & Luthans, 1998).

Obiettivi e ipotesi dello studio

Obiettivo di questo studio è raccogliere prime evidenze sulle caratteristiche motivazionali e di personalità presentate, confrontando un gruppo di startupper (imprenditori che hanno avviato da non più di 4 anni una nuova impresa) con uno di lavoratori dipendenti e uno di studenti universitari. Ci si attende che su ciascuna dimensione indagata gli startupper presentino livelli più elevati rispetto agli altri due sotto-gruppi coinvolti (fatta eccezione per il locus of control esterno che dovrebbe invece presentare livelli inferiori), secondo le ipotesi di seguito descritte:

  • Ipotesi 1: gli sturtupper mostrano livelli significativamente più elevati nei fattori motivazionali (autoefficacia, bisogno di realizzazione, passione imprenditoriale, propensione al rischio) rispetto ai lavoratori dipendenti (1a) e rispetto agli studenti (1b);

  • Ipotesi 2: gli sturtupper mostrano livelli significativamente più elevati in quattro tratti di personalità (locus of control interno, resilienza, stabilità emotiva, autoregolazione) e significativamente più bassi nel locus of control esterno rispetto ai lavoratori dipendenti (2°) e rispetto agli studenti (2b).

Metodo

Partecipanti

La ricerca ha coinvolto 350 partecipanti, di cui 124 startupper (35.43%), 108 lavoratori dipendenti (30.86%) e 118 studenti universitari già in possesso di laurea triennale (33.71%). La Tabella 1 sintetizza le principali caratteristiche sociodemografiche dei tre campioni.

Il gruppo di startupper ha un’età media di 38.57 anni (min = 25; max = 67; DS = 9.21). Il 22.58% sono femmine, il 77.42% maschi. Il 21.77% possiede una start-up che opera nel settore dei servizi, il 13.71% nel settore Internet, l’8.87% nel settore computer software, il 7.26% nella tecnologia dell’informazione, il 6.45% nel settore delle nanotecnologie, il 5.65% nell’energia, il 5.65% nel settore dell’agricoltura e agroalimentare, il 4.84% nelle scienze biologiche, il 4.84% nel medtech, il 3.23% nell’elettronica e microelettronica, il restante 17.73% si distribuisce in altri settori. Al momento della ricerca il 35.48% delle start-up considerate ha 2 anni di vita, il 28.23% 3 anni, il 15.32% 4 anni, il 15.32% sono appena state fondate, il 5.65% ha 1 anno di vita.

Il gruppo di lavoratori dipendenti ha un’età media di 33.64 anni (min = 23; max = 55; DS = 9.40). Il 58.33% sono femmine, il 41.67% maschi. Il 64.49% dei soggetti ha un contratto a tempo indeterminato e il 35.51% a tempo determinato.

Il gruppo di studenti universitari ha un’età media di 24.48 anni (min = 23; max = 48; DS = 3.15). Il 54.24% sono femmine, il 45.76% maschi. La quasi totalità degli studenti (95.8%) possiede una laurea triennale, il 4.2% possiede già una laurea di 5 anni o magistrale. Il campo di studi è per il 56.78% attinente alle scienze sociali, per il 35.59% all’ingegneria e informatica, il restante 7.63% si distribuisce su altre discipline.

Tabella 1 Statistiche descrittive delle principali caratteristiche socio-demografiche dei tre campioni

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Strumenti

Il questionario utilizzato è composto da differenti misure, tutte rilevate su scala di risposta Likert da 1 – Per niente d’accordo a 7 – Del tutto d’accordo.

Autoefficacia. È stata indagata attraverso 10 item tratti e adattati dall’Achievement Motivation Inventory (Schuler, Thornton, Frintrup, & Mueller-Hanson, 2002). Un esempio di item è: “Penso che riuscirò sempre a raggiungere l’obiettivo anche se devo svolgere un compito difficile”. L’analisi fattoriale esplorativa (AFE; metodo ML) ha evidenziato un fattore che spiega il 34% della varianza. In questo studio l’affidabilità interna della scala, calcolata attraverso l’α di Cronbach, è pari a .83.

Bisogno di realizzazione. È stato misurato attraverso 10 item tratti e adattati dal Test di Orientamento Motivazionale (Borgogni, Petitta, & Barbaranelli, 2004). Un esempio di item è: “Mi attraggono le attività difficili e sfidanti”. L’AFE (metodo ML) ha evidenziato un fattore che spiega il 48% della varianza (α = .90).

Passione imprenditoriale. È stata misurata attraverso 10 item della scala di Cardon et al. (2013). Un esempio di item è: “Mi piace trovare nuovi modi per soddisfare esigenze del mercato che possono essere commercializzate”. L’AFE (metodo ML) ha evidenziato un fattore che spiega il 56% della varianza (α = .92).

Propensione al rischio. È stata rilevata attraverso 8 item tratti dal lavoro di Dahlbäck (1990; adattamento italiano di Vecchione & Barbaranelli, 2005). Un esempio di item è: “Posso essere piuttosto imprudente e accettare di correre dei grossi rischi”. L’AFE (metodo ML) ha evidenziato un fattore che spiega il 35% della varianza (α = .80).

Locus of control interno ed esterno. È stato rilevato con 12 item tratti dalla scala LOC-L (Argentero & Vidotto, 1994), 6 item per il locus of control interno (un esempio è: “Si finisce sempre con il guadagnare in proporzione a quanto si vale”) e 6 item per il locus of control esterno (“Molte difficoltà che si incontrano nel lavoro sono dovute ai propri superiori”). L’AFE (metodo ML, rotazione Promax) ha evidenziato due fattori che spiegano il 37% della varianza (α = .78, locus of control interno; α = .76, locus of control esterno).

Resilienza. È stata indagata attraverso 10 item della Connor-Davidson Resilience Scale (Connor & Davidson, 2003; adattamento italiano di Di Fabio & Palazzeschi, 2012). Un esempio di item è: “Sono capace di adattarmi ai cambiamenti”. L’AFE (metodo ML) ha evidenziato un fattore che spiega il 33% della varianza (α = .82).

Stabilità emotiva. È stata indagata utilizzando 12 item tratti dal Big Five Questionnaire (Caprara, Barbaranelli, & Borgogni, 2000). Un esempio di item è “Non faccio fatica a controllare i miei sentimenti”. L’AFE (metodo ML) ha evidenziato un fattore che spiega il 32% della varianza (α = .84).

Autoregolazione. È stata indagata attraverso 9 item tratti dai lavori di Grasmick, Tittle, Bursik e Arneklev (1993) e Tangney, Baumeister e Boone (2004). Un esempio di item reverse è: “Spesso agisco senza pensare a tutte le alternative”. L’AFE (metodo ML) ha evidenziato un fattore che spiega il 25% della varianza (α = .72).

Procedura

I dati sono stati raccolti attraverso un questionario in auto-compilazione. I partecipanti startupper sono stati contattati telefonicamente; agli studenti il questionario è stato somministrato in aula, a margine delle lezioni; i lavoratori dipendenti sono stati contattati via mail attraverso il metodo a valanga. Tutti i partecipanti hanno ricevuto, telefonicamente o via mail, indicazioni sulle modalità e gli obiettivi della ricerca e istruzioni sulla compilazione del questionario, nel rispetto della privacy e dell’anonimato dei dati.

Analisi dei dati

L’analisi statistica dei dati raccolti è stata condotta attraverso l’utilizzo del software SPSS 20. Per quanto riguarda l’analisi descrittiva sono state calcolate le medie e deviazioni standard di ciascuna scala. Sono state poi testate le caratteristiche metriche delle scale attraverso analisi fattoriale esplorativa (metodo della massima verosimiglianza) e analisi di affidabilità (α di Cronbach). Per indagare le ipotesi dello studio è stata calcolata la correlazione tra le variabili e a seguire il t-test per campioni indipendenti, al fine di confrontare il gruppo degli startupper con i gruppi di lavoratori dipendenti e studenti universitari.

Risultati

La Tabella 2 mostra una correlazione positiva ed elevata tra il fatto di essere uno startupper (variabile dummy: 1 = startupper, 0 = lavoratore dipendente e studente) e tutte le variabili oggetto di studio, fatta eccezione per il locus of control esterno che presenta, come atteso, segno negativo, e per il locus of control interno che non mostra invece una relazione significativa.

Tabella 2 Medie, deviazioni standard, α di Cronbach e r di Pearson

Schermata 2015-03-16 alle 15.18.25

Nota. N = 250. * p < .05. ** p < .01. 2-code. Sulla diagonale sono riportati gli indici di affidabilità (α di Cronbach) di ciascuna scala.

L’analisi della varianza effettuata attraverso il calcolo del t-test per campioni indipendenti ha messo in evidenza molteplici differenze sulle variabili considerate. Per quanto riguarda il confronto tra startupper e lavoratori dipendenti, sono emerse differenze statisticamente significative su tutte le variabili: autoefficacia [t(210) = 5.57, p < .01], bisogno di realizzazione [t(181) = 6.26, p < .01], passione imprenditoriale [t(146) = 8.13, p < .01], propensione al rischio [t(230) = 3.77, p < .01], locus of control interno [t(230) = 2.06, p < .05], locus of control esterno [t(230) = -5.21, p < .01], resilienza [t(202) = 5.79, p < .01], stabilità emotiva [t(230) = 3.25, p < .01], autoregolazione [t(230) = 3.45, p < .01]. Le differenze sono, come atteso, tutte positive eccetto quella relativa al locus of control esterno che è invece di segno negativo. L’unica differenza più debole rispetto alle altre si registra nel caso del locus of control interno.

Per quanto riguarda il confronto tra startupper e studenti universitari sono emerse differenze statisticamente significative sulle seguenti variabili: autoefficacia [t(240) = 2.74, p < .01], bisogno di realizzazione [t(226) = 3.70, p < .01], passione imprenditoriale [t(201) = 6.16, p < .01], propensione al rischio [t(221) = 2.87, p < .01], locus of control esterno [t(240) = -7.64, p < .01], resilienza [t(240) = 3.70, p < .01], stabilità emotiva [t(231) = 3.93, p < .01], autoregolazione [t(240) = 4.72, p < .01]. Anche in questo caso le differenze sono tutte positive eccetto quella relativa al locus of control esterno che è di segno negativo. L’unica variabile a non presentare una differenza statisticamente significativa è il locus of control interno.

La Tabella 3 riporta le medie e deviazioni standard di tutte le variabili distinte per campioni e i risultati del t-test.

Tabella 3 Medie e deviazioni standard distinte per campione e risultati dell’analisi della varianza

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Nota. a n = 124, b n = 108, c n = 118, * p < .05. ** p < .01. *** p < .001.

Discussione

I risultati confermano, in linea generale, le ipotesi costruite sulla base della letteratura di riferimento.

Per quanto riguarda le differenze tra startupper e lavoratori dipendenti, le ipotesi 1a e 2a sono confermate. In specifico, gli startupper mostrano livelli significativamente più elevati sia per quanto riguarda i fattori motivazionali (autoefficacia, bisogno di realizzazione, passione imprenditoriale, propensione al rischio), sia per quanto riguarda i tratti di personalità (locus of control interno, resilienza, stabilità emotiva, autoregolazione) presi in considerazione in questo studio.

Per quanto riguarda le differenze tra startupper e studenti, l’ipotesi 1b è confermata (livelli maggiori negli startupper, per autoefficacia, bisogno di realizzazione, passione imprenditoriale, propensione al rischio), mentre l’ipotesi 2b è parzialmente confermata: fatta eccezione per il locus of control interno, che non presenta differenze significative, le altre variabili (resilienza, stabilità emotiva, autoregolazione) presentano livelli maggiori nel campione degli startupper mentre il locus of control esterno presenta livelli inferiori.

Lo studio ha dunque messo in evidenza differenze significative tra startupper e altri gruppi di soggetti, confermando in parte la letteratura scientifica di riferimento (Vecchio, 2003) ma anche introducendo alcuni elementi innovativi almeno per quanto riguarda il ruolo della resilienza e dell’autoregolazione (Frese, 2009; Peterson et al., 2008).

Data la natura cross-section della ricerca non è possibile considerare le variabili prese in esame come predittive della costruzione d’impresa dal momento che, per quanto riguarda le variabili motivazionali, potrebbero essersi modificate nel tempo, influenzate, tra l’altro, proprio dalle esperienze concrete connesse con la creazione d’impresa. Per questa ragione sarà importante avviare studi di tipo longitudinale (Brandstätter, 2011), che integrino possibili variabili di moderazione (tra cui fattori ambientali, background familiare e capitale sociale) al fine di valutare l’effettiva capacità predittiva delle variabili considerate rispetto al successo imprenditoriale.

Questo rappresenta il principale limite dello studio: altri limiti sono riconducibili all’uso esclusivo di strumenti in auto-valutazione e al fatto che i due campioni di confronto siano a bassa numerosità e poco rappresentativi. Futuri studi potrebbero considerare inoltre le differenze tra startupper, imprenditori “tradizionali” e manager (Zhao & Siebert, 2006).

Tra le linee di sviluppo della ricerca su questo tema, inoltre, si possono sin d’ora suggerire tre piste di approfondimento: la prima pista potrebbe concretizzarsi in un disegno di ricerca in cui alle variabili personali auto-valutate si associano auto- ed etero-valutazioni di competenze, e siano messe in relazione con indicatori “oggettivi” di performance imprenditoriale (indicatori economici o di struttura della start-up); la seconda pista di studio potrebbe invece focalizzarsi sull’efficacia del team imprenditoriale, sulla relazione tra le personalità dei soci fondatori e sugli esiti di tale interazione; la terza pista di approfondimento, a partire da recenti evidenze sul ruolo dell’adattabilità di carriera nell’intenzione imprenditoriale (Tolentino, Sedoglavich, Lu, Garcia, & Restubog, 2014), potrebbero concentrarsi su questa e altre variabili che permettono all’impresa di crescere, dopo la fase di avvio.

Attualmente è in fase di avvio un progetto di ricerca-azione che vede coinvolti giovani aspiranti imprenditori in una prima fase comune di valutazione del potenziale e, successivamente, in percorsi di sviluppo del potenziale e/o di counseling (Brandstätter, 2011). L’obiettivo dei percorsi di counseling è quello di mettere a fuoco più puntualmente l’obiettivo di sviluppo e accompagnare nella definizione del piano d’azione.

In sintesi, dunque, la ricerca in tema di variabili psicologiche legate al successo imprenditoriale si rivela di estremo valore dal punto di vista del supporto alla valutazione/selezione dei futuri startupper (da parte di business angels, venture capitalist, incubatori, supportati da psicologi con competenze su queste tematiche), ma anche dal punto di vista della formazione d’aula e – soprattutto – del counseling (individuale ma anche di gruppo, rivolto al team imprenditoriale), con funzioni di orientamento e di potenziamento degli aspetti motivazionali, attraverso percorsi mirati.

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