Vol. 15, n. 2, giugno 2022

STUDI E RICERCHE

La relazione tra employability, self-efficacy e comportamenti di ricerca attiva nella transizione università-mondo del lavoro

Uno studio esplorativo sulle buone pratiche dell’Agenzia per il Placement dell’Università di Bari

Amelia Manuti1, Teresa Fiorentino2, Maria Cristina Epifani2, Rocco Mennuti2, Maria Luisa Giancaspro1 e Cataldo Giuliano Gemmano1

Sommario

La transizione scuola-università-mondo del lavoro rappresenta un processo significativo per la vita dei giovani in cerca della propria collocazione nella società. Negli ultimi due anni, l’avvento della pandemia ha reso ancor più complesso tale processo ridefinendo valori, significati e credenze utili a definire l’identità professionale. In questo scenario, lo studio ha analizzato il ruolo delle risorse di employability e dell’autoefficacia nella ricerca del lavoro per comprendere il loro impatto sui comportamenti di ricerca attiva del lavoro e rilevare eventuali differenze tra studenti universitari di discipline STEM e umanistiche. I partecipanti allo studio sono 848 studenti universitari di discipline umanistiche (58%) e STEM (42%), reclutati durante i laboratori formativi organizzati dall’Agenzia per il Placement dell’Università degli Studi di Bari. I risultati hanno evidenziato che nel gruppo di studenti provenienti da percorsi umanistici l’autoefficacia media parzialmente la relazione tra employability e comportamenti di ricerca del lavoro, mentre nel gruppo di studenti provenienti da percorsi STEM l’autoefficacia è risultata un mediatore totale di tale relazione, aprendo a numerose riflessioni sul ruolo dell’orientamento come strumento di potenziamento delle abilità personali e di definizione di strategie operative per il raggiungimento dei propri obiettivi professionali.

Parole chiave

Employability, Self-efficacy, Comportamenti di ricerca attiva del lavoro, Studenti STEM e Umanistici, Placement.

STUDIES AND RESEARCHES

The relationship between employability, self-efficacy and job search behaviours in the university-to work transition

An explorative study on best practices of the University of Bari’s Agency for Placement

Amelia Manuti3, Teresa Fiorentino1, Maria Cristina Epifani1, Rocco Mennuti1, Maria Luisa Giancaspro1 and Cataldo Giuliano Gemmano1

Abstract

The school-university-work transition is a highly relevant process in the life of young people who are looking for their place in society. The outbreak of the pandemic has made this process more complex, leading to a radical redefining of the values, meanings and beliefs that nurture one’s future professional identity. In this scenario, the study analysed the role of employability resources and of self-efficacy to understand their influence on job search behaviours and to investigate any difference between students enrolled in STEM programmes and students enrolled in humanities programmes. Participants were 848 university students enrolled in humanistic (58%) and STEM (42%) programmes, recruited during the training workshops organized by the University of Bari’s Agency for Placement. Results showed that in the group of students enrolled in humanities self-efficacy partially mediated the relationship between employability and job-searching behaviours, while in the group comprising STEM students, self-efficacy was a total mediator of this relationship. These results suggested significant considerations on the role of guidance as a tool for enhancing personal skills and for defining operational strategies to achieve students’ professional goals.

Keywords

Employability, Self-efficacy, Job search behaviours, STEM and humanities students, Placement.

Negli ultimi due anni lo scenario sociale, culturale, economico è stato letteralmente ridisegnato dall’improvviso dilagare della pandemia che ha imposto una radicale revisione di molte delle certezze e delle pratiche culturali ampiamente consolidate nella nostra società. Le restrizioni imposte dal Governo per il contenimento del contagio hanno di fatto trasformato i nostri modi di vivere, di lavorare, di studiare e di relazionarci.

In particolare, per le giovani generazioni in fase di transizione dalla scuola, all’università, al mondo del lavoro la pandemia ha significato una sfida ancora più difficile, caratterizzata dallo sforzo di riallineamento di valori, significati e credenze associate alla definizione della propria identità futura. I giovani in uscita dal ciclo della scuola secondaria superiore, gli studenti frequentanti la laurea triennale o magistrale vivono infatti una fase molto delicata nello sviluppo della loro identità vocazionale (Marcia, 2002; Porfeli et al., 2011; Super et al., 1996). Durante questi anni, infatti, gli studenti vivono le proprie esperienze scolastiche, universitarie e il proprio impegno in attività extra-curriculari alla ricerca di elementi che possano dar forma alle proprie ambizioni, dar voce ai propri talenti e dunque orientare le scelte future. Si tratta di un processo di naturale esplorazione e orientamento che cerca di dar risposta agli innumerevoli bisogni avvertiti durante le situazioni di transizione e di passaggio che mettono in discussione le proprie certezze, prefigurando come il sé potrà affrontare future situazioni inedite. Nella relazione con i propri pari, con gli insegnanti e con altre figure di adulti significativi, i giovani traggono spunti importanti per mettere ordine e dar senso ai tanti stimoli ricevuti.

Tuttavia, negli ultimi anni, prima il lockdown e successivamente le restrizioni seguite da diverse ondate di contagi hanno reso molto difficile la possibilità di confronto e hanno spesso ridotto il processo di orientamento alla sua funzione meramente informativa (Jemini-Gashi & Kadriu, 2022). Parallelamente il mondo delle professioni è notevolmente cambiato: la tecnologia ha trasformato il modo di lavorare e di gestire il proprio tempo. Ma non solo. La diffusione della tecnologia ha di fatto arricchito di contenuti e di competenze tecnico-scientifico e trasversali la maggior parte delle professioni presenti nel mercato del lavoro, travalicando una differenza sino a pochi decenni fa molto netta tra ambiti professionali Umanistici e ambiti professionali STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) (Healy et al., 2017).

Questa evidenza impatta significativamente sui processi di transizione dalla scuola, all’università, al mondo del lavoro e di conseguenza influenza i bisogni di orientamento delle giovani generazioni. Ne deriva l’esigenza di una sostanziale revisione dei modelli di orientamento più utili a identificare obiettivi formativi e professionali e dunque a supportare le scelte di carriera (Forakis et al., 2020).

Da un modello di orientamento riproduttivo, episodico, fondato sulla associazione prevedibile e talvolta automatica tra interesse e percorso professionale, ancora oggi ampiamente diffuso e spesso radicato nelle pratiche di accompagnamento utilizzate dalle istituzioni scolastiche e universitarie, occorre passare a un modello di orientamento «per il potenziale», permanente, sistematico, fondato sulla ricognizione di risorse, di volta in volta riconfigurabili sulla base delle richieste dei contesti e sulla gestione in prima persona del percorso da parte del protagonista della transizione.

In questo quadro, va infatti sottolineato come la pandemia abbia rappresentato solo un ulteriore fattore di complessità che si è aggiunto alle già di per sé grandi trasformazioni in atto nel mercato del lavoro negli ultimi decenni (Wen et al., 2020; Maree, 2021). Un nuovo significato del lavoro, un nuovo modello di carriera, un nuovo modo di concepire le competenze professionali hanno dunque reso necessario sviluppare un nuovo approccio al tema dell’orientamento, inteso non più come un processo attivato esclusivamente in risposta alla gestione di momenti di svolta significativi come i passaggi di ciclo di studio o la scelta della professione, né tantomeno come una azione professionale esperta volta a prescrivere soluzioni (Autin et al., 2020; Donald et al., 2021). Piuttosto, l’orientamento deve essere riconsiderato come un processo naturale e spontaneo lungo tutto l’arco della vita, in cui l’individuo si confronta con bisogni, aspettative, obiettivi e sviluppa un piano d’azione coerente, se necessario anche con il supporto di servizi specialistici di accompagnamento al lavoro (Parola, 2020; Santilli et al., 2021; Drosos et al., 2021).

In questo scenario si colloca lo studio qui presentato che ha inteso esplorare la relazione tra le risorse di employability, di autoefficacia e i comportamenti di ricerca attiva del lavoro in un gruppo di giovani laureandi iscritti a percorsi di laurea triennale e magistrale che hanno partecipato a una attività di formazione organizzata dall’Agenzia per il Placement dell’Università di Bari, finalizzata a rafforzare le competenze di career management di questi ultimi nella transizione università-mondo del lavoro.

L’employability è certamente una delle risorse personali che ha ricevuto maggiore interesse nella ricerca e nella consulenza di orientamento negli ultimi anni. Essa si connota come la capacità di gestire efficacemente le transizioni della vita formativa e professionale, capitalizzando le proprie esperienze, le proprie competenze e le caratteristiche personali, adattando di volta in volta questo bagaglio di risorse alle mutevoli richieste del contesto (Coetzee et al., 2015; Lo Presti & Pluviano, 2016; Peeters et al., 2019; Van der Heijde & Van der Heijden, 2006).

Numerosi sono gli studi che hanno approfondito le caratteristiche dell’employability negli ultimi decenni. In estrema sintesi, tuttavia, è possibile distinguere due filoni di ricerca principali.

  • Una prospettiva focalizzata sull’individuo che considera l’employability come una disposizione personale in grado di influenzare positivamente il processo di scelta e di gestione strategica della propria carriera (Fugate et al., 2004).
  • Una prospettiva organizzativa focalizzata sulle strategie di gestione delle risorse umane più utili a capitalizzare e potenziare l’employability delle persone al fine di massimizzare l’efficacia organizzativa (Van Dam, 2004).

In linea con la prima prospettiva, alla luce del focus del presente studio, diverse ricerche hanno messo in correlazione l’employability quale orientamento personale verso il career management con le competenze di ricerca attiva del lavoro. Lo studio di Rothwell e colleghi (2008) ad esempio ha analizzato la relazione tra le aspettative di successo nella ricerca di lavoro e le strategie adottate a supporto. Nello specifico, gli autori hanno rilevato come l’employability percepita sia concettualmente legata al costrutto di self-efficacy nella ricerca attiva del lavoro, nella misura in cui una parte di essa si identifica con la credenza circa le proprie capacità di pianificare e realizzare azioni finalizzate al raggiungimento dei propri obiettivi professionali (Bandura, 1982). Secondo alcuni autori infatti i due costrutti, employability e self-efficacy nella ricerca attiva del lavoro, sarebbero così vicini da essere quasi sovrapponibili (Daniels et al., 1998; Washington, 1999), secondo altri invece la self-efficacy nella ricerca del lavoro rappresenterebbe solo una dimensione, seppur fondamentale, dell’employability (Knight & Yorke, 2002). A conferma di questa ultima ipotesi, numerosi studi confermano come l’employability percepita rappresenti un antecedente significativo della self-efficacy nella ricerca del lavoro (Berntson et al., 2008) così come dei comportamenti di ricerca (Van der Velde & van den Berg, 2003). Queste relazioni sono state confermate in diverse tipologie di rispondenti: lavoratori (Onyishi et al., 2015), disoccupati (Kanfer et al., 2001; Moynihan et al., 2003) e giovani studenti in fase di transizione (Pinquart et al., 2003; Yizhong et al., 2017).

L’attenzione dedicata in questo studio al ruolo giocato dalla self-efficacy nei processi di ricerca attiva del lavoro è giustificata dall’evidenza secondo cui tale costrutto rappresenti un fattore determinante nelle scelte di carriera e influenzi il grado di impegno e la perseveranza che gli individui mostrano nei comportamenti di ricerca attiva, assicurando risultati positivi a lungo termine (Baron & Byrne, 2003; Chen et al., 2004; Feltz & Magyar, 2006; Hoy & Miskel, 2012).

L’autoefficacia ha ricevuto una crescente attenzione da parte di studiosi e professionisti nel campo del Career Management (Kanfer et al., 2001; Lent & Brown, 2013; Liu et al., 2014). In particolare sembra che coloro che posseggono elevati livelli di autoefficacia nella ricerca attiva del lavoro, siano anche coloro che più probabilmente si mostreranno determinati nell’identificare i propri obiettivi professionali, nell’intraprendere azioni finalizzate al raggiungimento di tali obiettivi (ad esempio cercare informazioni sulla posizione desiderata, scrivere un curriculum vitae efficace), e nel persistere in tali comportamenti anche di fronte a eventuali battute d’arresto o ostacoli (es. colloquio stressante o possibilità di rifiuto) (Petruzziello et al., 2021). Diversi modelli teorici (Lent & Brown, 2013; Saks, 2005) considerano l’autoefficacia della ricerca di lavoro, vale a dire le proprie convinzioni circa la capacità di svolgere compiti e attivare comportamenti di ricerca del lavoro con successo (Saks & Ashforth, 1999), un fattore cruciale che sostiene le attività di ricerca del lavoro. Secondo il career self-management model (Lent & Brown, 2013), infatti, l’autoefficacia percepita nella ricerca attiva del lavoro può avere effetti sia diretti che indiretti sugli esiti della ricerca del lavoro, stimolando intenzioni di comportamento e azioni coerenti con il risultato sperato. La self-efficacy nella ricerca del lavoro può favorire l’aumento dell’impegno e dell’intensità con cui si cerca lavoro (Guan et al., 2013; Lin & Flores, 2013; Liu et al., 2014), identificando anche differenti indicatori del successo di tali comportamenti, quali ad esempio il numero di colloqui sostenuti (Kanfer et al., 2001) o il numero di offerte ricevute rilevate attraverso interviste di follow-up (Brown et al., 2006). Ciò è ancor più vero in quanto gli individui con bassa autoefficacia tendono a considerare i compiti impegnativi come minacciosi ed è più probabile che riducano i loro sforzi e si arrendano rapidamente. In linea con tale considerazione, ricerche precedenti hanno rivelato che l’autoefficacia nella ricerca di lavoro è correlata positivamente all’intenzione, alla frequenza e all’intensità del comportamento di ricerca del lavoro, nonché al numero di offerte di lavoro e alle percezioni di adattamento pre-ingresso con gli ambienti di lavoro (Boswell et al., 2012; Kanfer & Hulin, 1985; Kanfer et al., 2001; Saks & Ashforth, 1999).

Considerato il ruolo fondamentale svolto dalla self-efficacy nella ricerca attiva del lavoro nei processi di scelta, è ragionevole supporre che possa avere un impatto determinante anche nella relazione tra employability e comportamenti di ricerca attiva del lavoro. Le ricerche sin qui considerate hanno infatti mostrato che da un lato chi possiede una maggiore consapevolezza delle proprie competenze e sviluppa una credenza consolidata circa le proprie possibilità di trovare un’occupazione in linea con i propri studi e le proprie aspirazioni generalmente tende ad attivarsi con maggiore impegno e determinazione della ricerca del lavoro, e dall’altro che chi possiede un buon livello di self-efficacy, ovvero chi è consapevole di possedere le risorse necessarie per raggiungere il risultato sperato sarà maggiormente propenso a mettere in atto comportamenti attivi di ricerca del lavoro. Pertanto, nel presente studio si intende esplorare il ruolo di mediatore della self-efficacy nella ricerca del lavoro nella relazione tra employability e comportamenti di ricerca attiva del lavoro.

Il focus specifico del presente studio sulla differenza nelle percezioni di employability, di self-efficacy e conseguentemente nei comportamenti di ricerca attiva del lavoro tra studenti inseriti in percorsi umanistici e in percorsi STEM nasce da una riflessione a margine rispetto ai grandi cambiamenti del mercato del lavoro di cui si è discusso precedentemente.

Infatti, le peculiarità e le richieste dei contesti lavorativi nei quali i giovani possono inserirsi dopo gli studi possono rappresentare sfide individuali con esiti differenti, dal momento che evidentemente cercare un lavoro in campo scientifico-tecnologico potrebbe richiedere sforzi e motivazioni diverse rispetto a quelle che potrebbero caratterizzare la ricerca del lavoro in un ambito umanistico (Mellors-Bourne et al., 2011). Inoltre, le differenti possibilità lavorative offerte dal mercato del lavoro in questi due ambiti e il tipo di competenze necessarie per accedervi potrebbero influenzare in misura differente la percezione di employability e il senso di autoefficacia individuale determinando differenze in termini di comportamenti di ricerca attiva del lavoro tra giovani orientati verso carriere nell’ambito umanistico e giovani impegnati in carriere STEM. D’altra parte, se è vero che identificare le discipline scientifiche collocate in ambito STEM e distinguerle da quelle collocate in ambito umanistico sia un compito piuttosto facile in riferimento ai percorsi di studio, tale differenza non è altrettanto evidente in relazione a sbocchi occupazionali, professioni, ambiti di competenza, dal momento che uno stesso contesto professionale potrebbe essere caratterizzato dalla richiesta di competenze STEM e non-STEM (Grinis, 2016). Di conseguenza, un giovane studente universitario che intende inserirsi nel mercato del lavoro potrà trovare opportunità lavorative spesso poco congruenti con il titolo di studio acquisito sebbene collocate in ambiti occupazionali strettamente connessi a tali competenze. Questa situazione potrebbe pertanto influire sulla percezione dei livelli individuali di employability e sulla self-efficacy nella ricerca di un lavoro, generando differenze nell’autovalutazione di studenti iscritti a corsi di studi nell’ambito delle discipline STEM e studenti provenienti da percorsi umanistici.

Simili evidenze sono state indagate, ad esempio, nel contesto australiano, rivelando come studenti universitari frequentanti corsi STEM mostrino una percezione migliore della propria employability in termini di fiducia nelle proprie capacità di problem-solving, decision-making, e comportamenti diretti all’obiettivo rispetto a studenti non-STEM (Bennet et al., 2020, 2021). D’altra parte, sempre secondo questi studi, gli studenti STEM mostrano un minore commitment e un’identità di carriera meno strutturata rispetto ai colleghi non-STEM, suggerendo che questi ultimi, nonostante manchino spesso di competenze che sono altamente desiderabili nel mondo lavorativo odierno, possano impegnarsi maggiormente nel definire, pianificare e perseguire i propri obiettivi di carriera. Un altro contributo interessante in questa scia è offerto da studi condotti sulla rilevanza nel processo di transizione verso il mercato del lavoro delle competenze trasversali piuttosto che di quelle tecnico-scientifiche possedute dagli studenti. In particolare, alcuni autori hanno mostrato a questo proposito come nella transizione verso il mercato del lavoro, e dunque nella ricerca di opportunità lavorative, studenti provenienti da percorsi di studio non-STEM tendano ad affidarsi maggiormente alle proprie risorse personali di employability (es. abilità interpersonali, capacità di trasferire competenze, adattabilità, resilienza), piuttosto che puntare sulla propria competenza tecnico-scientifica diversamente dai colleghi provenienti da percorsi STEM (Dika & D’Amico, 2016; Prinsley & Baranyai, 2015; Rayner & Papakonstantinou, 2016; Whalen & Shelley, 2010; Wilson, 2010; Xu, 2013). Questo dato è confermato anche nel contesto nazionale da uno studio molto recente di Mondo e colleghi (2021) che rivela come studenti universitari di discipline non-STEM mostrino livelli di adattabilità della carriera, con particolare riferimento alla dimensione della proattività, più alti rispetto ai propri colleghi frequentanti corsi STEM.

In definitiva, considerando le evidenze qui presentate sulla relazione tra le risorse di employability, di autoefficacia e i comportamenti di ricerca attiva e sulle differenze tra studenti provenienti da percorsi STEM e non-STEM in termini di risorse e strategie utilizzate nella transizione verso il mercato del lavoro, il presente studio si propone di esplorare le seguenti ipotesi.

  • H1: la relazione tra employability e comportamenti di ricerca attiva del lavoro è significativa e positiva.
  • H2: la relazione tra employability e self-efficacy nella ricerca attiva del lavoro è significativa e positiva.
  • H3: la relazione tra self-efficacy nella ricerca lavorativa e comportamenti di ricerca attiva del lavoro è significativa e positiva.
  • H4: la self-efficacy media parzialmente la relazione tra employability e comportamenti di ricerca attiva del lavoro.
  • H5a: l’ambito disciplinare di studio modera la relazione tra employability e comportamenti di ricerca attiva del lavoro.
  • H5b: l’ambito disciplinare di studio modera la relazione tra employability e self-efficacy nella ricerca attiva del lavoro.
  • H5c: l’ambito disciplinare di studio modera la relazione tra self-efficacy nella ricerca lavorativa e comportamenti di ricerca attiva del lavoro.

Metodo

Partecipanti

I partecipanti allo studio sono 848 studenti universitari di discipline umanistiche (58%) e STEM (42%). Gli studenti sono per il 79% donne e per il 21% uomini. Il range dell’età varia da 18 a 24 anni (M = 21.10; DS = 1.56).

Strumenti

Lo strumento utilizzato è stato un questionario semi-strutturato composto da una sezione dedicata alle informazioni socio-anagrafiche dei partecipanti e una sezione contenente le scale di riferimento per la misura delle variabili oggetto di indagine. Nello specifico, le variabili e le misure utilizzate sono le seguenti.

Employability. Questa variabile è stata misurata utilizzando la multidimensional measure of employability, strumento sviluppato e validato da Lo Presti e colleghi (2019). Ai rispondenti viene chiesto di indicare su una scala Likert a cinque punti (1 = «Per nulla d’accordo», 5 = «Completamente d’accordo») il grado di accordo con ciascun item. Il questionario si compone di quattro sottodimensioni (i.e., Capitale umano e sviluppo professionale, Capitale sociale e networking, Identità professionale e pianificazione di carriera, e Conoscenza del mercato del lavoro) e consente di ottenere un punteggio globale di occupabilità percepita. Un esempio di item è «Le competenze che ho acquisito sono facilmente applicabili a diversi contesti lavorativi e/o organizzativi». L’Alpha di Cronbach totale dello strumento è .93, mentre i valori Alpha delle singole dimensioni sono: Capitale umano e sviluppo professionale, α = .89, Capitale sociale e networking, α = .83, Identità professionale e pianificazione di carriera, α = .87, Conoscenza del mercato del lavoro, α = .91.

Autoefficacia nella ricerca del lavoro. Questa variabile è stata misurata utilizzando gli otto item tratti dalla scala Job Search Confidence dello strumento Getting Ready for Your Next Job Inventory elaborato da Wanberg, Zhang e Diehn (2010) nella versione italiana tradotta e utilizzata da Petruzziello e colleghi (2021). Al rispondente viene chiesto di indicare su una scala Likert a cinque punti (1 = «Per niente sicuro», 5 = «Assolutamente sicuro») quanto si sente capace di svolgere le azioni indicate da ciascun item. Un esempio di item della scala è: «Nella ricerca del lavoro, quanto ti senti sicuro della tua capacità di identificare le tue competenze da offrire a un’azienda?». L’Alpha di Cronbach della scala è di .87.

Comportamenti di ricerca attiva del lavoro. Questa variabile è stata misurata utilizzando i sette item della scala Network Intensity elaborata da Wanberg, Kanfer e Banas (2000) nella versione italiana utilizzata da Dalla Rosa e colleghi (2020). Ai rispondenti viene richiesto di indicare su una scala a cinque punti (1 = «Mai», 5 = «Molto spesso») la frequenza con cui ha attuato i comportamenti esplicitati negli item nelle ultime settimane. Un esempio di item è: «Nelle ultime settimane quanto frequentemente hai contattato persone per chiedere consigli riguardo alla ricerca di un lavoro?». L’Alpha di Cronbach della scala è di 0.91.

Procedura

Il reclutamento dei partecipanti è avvenuto durante la prima giornata di un ciclo di laboratori formativi dal titolo Costruisci il tuo futuro professionale organizzati dall’Agenzia per il Placement dell’Università degli Studi di Bari. I suddetti laboratori hanno l’obiettivo di accompagnare gli studenti nella fase di transizione dall’università al mondo del lavoro, fornendo strumenti concreti (es. la stesura del curriculum), metodologie (il personal branding) e competenze (self-efficacy, resilienza, tolleranza allo stress) utili all’inserimento nel mercato del lavoro. Gli studenti hanno partecipato volontariamente allo studio dopo essere stati informati delle finalità della ricerca e aver fornito il consenso informato. Lo studio è conforme alle norme del Codice Etico e i dati sono stati trattati nel rispetto del Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR, EU n. 2016/679). La somministrazione degli strumenti per la valutazione delle variabili di studio è avvenuta attraverso un questionario in formato digitale.

Analisi dei dati

Le analisi preliminari dei dati sono state focalizzate su statistiche descrittive mirate a esplorare le medie, le deviazioni standard, e la normalità delle distribuzioni dei punteggi delle variabili di studio (i.e., employability, autoefficacia nella ricerca del lavoro, e comportamenti di ricerca attiva del lavoro). Le differenze tra studenti in discipline umanistiche e studenti in discipline STEM sono state indagate per le tre variabili di interesse attraverso tre ANCOVA, covariando per le variabili di controllo (i.e., età e genere). Le relazioni bivariate tra i costrutti sono state esplorate attraverso correlazioni parziali, controllando per età e genere. Un modello di mediazione moderata è stato testato per indagare l’effetto di moderazione della disciplina di studio e l’effetto di mediazione dell’autoefficacia nella relazione tra employability e comportamenti di ricerca del lavoro. Il ruolo del moderatore è stato testato su ogni path del modello di mediazione attraverso la stima degli effetti dei rispettivi termini di interazione, consentendo di valutare se le relazioni tra variabili fossero diverse tra i due gruppi di studenti identificati dalla variabile moderatrice. Considerando le differenze emerse in base significatività degli effetti di interazione, il modello di mediazione ipotizzato è stato replicato separatamente per ogni gruppo per indagare in che misura la forza delle relazioni investigate fosse differente tra studenti in discipline umanistiche e studenti in discipline STEM. Le analisi dei dati sono state condotte utilizzando il software Jamovi (The Jamovi Project, 2021) e, in particolare, il modulo PATHj (Gallucci, 2021) per condurre le analisi di mediazione moderata utilizzando la stima di massima verosimiglianza con metodo robusto.

Risultati

La tabella 1 mostra le medie, le deviazioni standard, i valori di asimmetria e curtosi delle distribuzioni e le correlazioni parziali tra i tre costrutti oggetto di studio. Gli indici di asimmetria e curtosi hanno mostrato valori inferiori a |1| suggerendo la normalità delle distribuzioni (Kline, 2015). L’esplorazione delle relazioni bivariate tra le variabili, controllando per età e genere, ha evidenziato correlazioni significative e positive tra employability, autoefficacia, e ricerca attiva del lavoro. I risultati delle ANCOVA controllate per età e genere hanno evidenziato differenze statisticamente significative nei livelli di employability, F(1) = 4.83, p = .028, e di autoefficacia, F(1) = 11.91, p < .001, tra studenti in discipline umanistiche e studenti in discipline STEM, e nessuna differenza significativa nei livelli di ricerca attiva del lavoro F(1) = 2.38, p = .124. Questi risultati suggeriscono che gli studenti in discipline umanistiche abbiano una miglior percezione della propria occupabilità e un maggior senso di autoefficacia nella ricerca di un lavoro rispetto agli studenti in discipline STEM, sebbene sembra non vi siano differenze nei comportamenti effettivi di ricerca del lavoro.

Tabella 1

Statistiche descrittive e correlazioni parziali tra le variabili di studio.

Variabile

M

DS

A

C

1

2

3

Employability

3.24

0.55

0.13

0.03

Autoefficacia

3.12

0.74

-0.01

-0.31

0.68***

Ricerca attiva del lavoro

2.44

0.85

0.75

-0.17

0.37***

0.46***

Note. M = media. DS = deviazione standard. A = asimmetria. C = curtosi. * p < .05, ** p < .01, *** p < .001.

In ragione delle relazioni e delle differenze emerse tra i due gruppi di studenti, è stato testato un modello di mediazione moderata per esplorare il ruolo di moderatore della disciplina di studio e il ruolo di mediatore dell’autoefficacia nella relazione tra employability e comportamenti di ricerca lavorativa. Il modello di mediazione moderata (Modello 1, si veda la figura 1) identifica l’employability come variabile indipendente, l’autoefficacia come mediatore, i comportamenti di ricerca attiva del lavoro come outcome, la disciplina di studio come moderatore di tutte le relazioni ipotizzate, e l’età e il genere come variabili di controllo. Riguardo ai risultati degli effetti principali diretti, il modello ha evidenziato che l’employability ha effetti significativi sul mediatore e sull’outcome e il mediatore ha un effetto significativo sull’outcome, come mostrato in figura 1. Inoltre, l’effetto mediato principale è risultato statisticamente significativo, β = .20, p < .001. Riguardo al ruolo di moderatore della disciplina di studio, l’effetto di interazione tra disciplina ed employability è risultato non-significativo sul mediatore, β = .02, p = .348, e significativo sull’outcome, β = .11, p = .019, e l’effetto di interazione tra disciplina e autoefficacia è risultato significativo sull’outcome, β = -.09, p = .046. La significatività degli effetti di moderazione suggerisce che sia la relazione tra employability e ricerca attiva del lavoro sia la relazione tra autoefficacia e ricerca attiva del lavoro siano differenti tra studenti in discipline umanistiche e studenti in discipline STEM. D’altra parte, sembra non vi siano differenze nei due gruppi relativamente alla relazione tra employability e autoefficacia. I risultati dell’R² hanno mostrato che il Modello 1 spiegava il 50% della varianza dell’autoefficacia e il 24% della varianza della ricerca attiva del lavoro.

Considerando le differenze emerse, il modello di mediazione ipotizzato è stato replicato separatamente per ogni gruppo. Il Modello 2 si focalizza sugli studenti in discipline umanistiche e mostra che tutti gli effetti diretti sono statisticamente significativi (si veda la figura 2) e anche l’effetto indiretto dell’employability sulla ricerca attiva del lavoro mediato dall’autoefficacia risulta significativo, β = .15, p < .001. Il Modello 3 si focalizza sugli studenti in discipline STEM e mostra che gli effetti del predittore sul mediatore e del mediatore sull’outcome sono significativi, mentre non risulta significativo l’effetto diretto dell’employability sui comportamenti di ricerca del lavoro (si veda la figura 3). Inoltre, anche nel Modello 3 l’effetto mediato risulta statisticamente significativo, β = .26, p < .001. I risultati dell’R² hanno mostrato che i modelli 2 e 3 spiegavano rispettivamente il 52% e il 47% della varianza dell’autoefficacia e il 25% e il 22% della varianza della ricerca attiva del lavoro. Il confronto tra le stime degli effetti dei modelli 2 e 3 suggerisce che l’effetto dell’autoefficacia sulla ricerca del lavoro è più forte nel gruppo di studenti in discipline STEM, mentre l’effetto diretto dell’employability sulla ricerca del lavoro rimane significativo al netto dell’autoefficacia solo nel gruppo di studenti in discipline umanistiche. L’insieme dei risultati evidenzia il ruolo di mediatore dell’autoefficacia nella relazione tra employability e comportamenti di ricerca del lavoro, sottolineando la presenza di una mediazione parziale nel gruppo di studenti in discipline umanistiche e una mediazione totale nel gruppo di studenti in discipline STEM.

Figura 1

Il modello di mediazione moderata stimato su tutto il gruppo di studenti universitari. La linea tratteggiata indica effetti non significativi; * p < .05, ** p < .01, *** p < .001. Gli effetti delle variabili di controllo (i.e., età e genere) sul mediatore e sull’outcome sono stimati ma non mostrati per chiarezza della figura.

Figura 2

Il modello di mediazione stimato sul gruppo di studenti in discipline umanistiche. * p < .05, ** p < .01, *** p < .001. Gli effetti delle variabili di controllo (i.e., età e genere) sul mediatore e sull’outcome sono stimati ma non mostrati per chiarezza della figura.

Figura 3

Il modello di mediazione stimato sul gruppo di studenti in discipline STEM. La linea tratteggiata indica effetti non significativi; * p < .05, ** p < .01, *** p < .001. Gli effetti delle variabili di controllo (i.e., età e genere) sul mediatore e sull’outcome sono stimati ma non mostrati per chiarezza della figura.

Sulla base di numerosi contributi teorici che hanno evidenziato l’impatto che l’employability possa avere sugli atteggiamenti e i comportamenti di ricerca del lavoro (Chen & Lim, 2012; De Battisti et al., 2016; De Cuyper et al., 2008; Rothwell & Arnold, 2007; Rothwell et al., 2008; van der Heijde & van der Heijden, 2006; Zakkariya & Nimmi, 2020). I risultati del presente studio hanno supportato le ipotesi H1 e H2 mostrando relazioni significative e positive della percezione di employability degli studenti sulla loro autoefficacia e sui comportamenti di ricerca attiva del lavoro. Queste evidenze sono in linea con il filone di ricerca che vede l’employability come una disposizione personale in grado di predire strategie di career management efficaci (Atitsogbe et al., 2019; Berntson & Marklund, 2007; Gowan, 2012; Onyishi et al., 2015) che per giovani disoccupati inseriti in un percorso universitario si traducono in comportamenti e atteggiamenti orientati alla ricerca attiva del lavoro, caratteristici delle prime fasi di carriera. Inoltre, una lunga tradizione di ricerca ha evidenziato come gli atteggiamenti personali verso un particolare tema possano influenzare i comportamenti individuali (Chen et al., 2004; Lent, 2005; Sheu et al., 2010). Di conseguenza, numerosi studi hanno indagato e dimostrato il ruolo dell’autoefficacia nel motivare comportamenti diretti a uno scopo (Baron & Byrne, 2003; Feltz & Magyar, 2006; Hoy & Miskel, 2012) e, in particolare, nei casi in cui lo scopo dell’individuo sia trovare lavoro, sentirsi efficaci nel ricercarlo promuove la messa in atto di comportamenti di ricerca attiva (Caska, 1998; Guan et al., 2013; LaHuis, 2005; Lent & Brown, 2013; Lin & Flores, 2013; Liu et al., 2014; Song et al., 2006; Van Hooft et al., 2004; Wanberg et al., 2005; Zikic & Saks, 2009). I risultati dello studio sono in linea con lo sfondo teorico presentato e hanno confermato l’effetto della self-efficacy sui comportamenti di ricerca lavorativa (H3). Inoltre, il presente studio ha cercato di approfondire le relazioni tra i tre costrutti di interesse indagando il ruolo di mediazione dell’autoefficacia nella relazione tra employability e comportamenti di ricerca di lavoro (H4). I risultati hanno supportato l’ipotesi di mediazione, mostrando come l’autoefficacia medi parzialmente la relazione, dal momento che l’effetto diretto dell’employability sui comportamenti continua ad essere rilevante anche al netto del mediatore.

All’interno della popolazione di studenti universitari potrebbero essere presenti dinamiche differenti nelle relazioni tra i costrutti di employability, autoefficacia e comportamenti di ricerca attiva in studenti in discipline STEM e studenti in discipline umanistiche, a causa delle differenti competenze, risorse e possibilità lavorative (Bennet et al., 2020, 2021; Mondo et al., 2021). Sulla scia di queste riflessioni, i risultati hanno evidenziato livelli di employability percepita e autoefficacia statisticamente più elevati nel gruppo di studenti in discipline umanistiche. Questa evidenza sembra essere dissonante rispetto alla retorica sociale e alle percezioni dei datori di lavoro che tendono a esaltare l’occupabilità dei laureati STEM (Dare et al., 2018). D’altra parte, alcune ricerche precedenti avevano già mostrato che, sebbene gli studenti STEM posseggano un bagaglio di competenze tecniche altamente spendibili nel mercato del lavoro, potrebbero avere una percezione peggiore della propria occupabilità e capacità di gestione della carriera a causa del minore sviluppo di competenze trasversali rispetto ai colleghi di discipline umanistiche (Dika & D’Amico, 2016; Prinsley & Baranyai, 2015; Rayner & Papakonstantinou, 2016; Whalen & Shelley, 2010; Wilson, 2010; Xu, 2013). Risulta interessante notare come non emergano differenze significative nei comportamenti effettivi di ricerca del lavoro tra i due gruppi di studenti, sebbene gli studenti STEM mostrino livelli inferiori nella percezione di employability e autoefficacia. Sulla scia di queste differenze, il presente studio ha indagato il ruolo moderatore della disciplina di studio, rivelando differenze significative tra i due gruppi di studenti nelle relazioni tra employability e comportamenti (H5a) e tra autoefficacia e comportamenti di ricerca lavorativa (H5c). Non è stata riscontrata differenza statisticamente significativa tra i due gruppi nella relazione tra employability e autoefficacia (H5b), evidenziando come le due variabili crescano insieme allo stesso modo per tutti gli studenti anche a fronte di medie differenti nei livelli di ogni variabile. Di conseguenza, il modello ipotizzato ha evidenziato nel gruppo di studenti in discipline umanistiche l’autoefficacia come un mediatore parziale nella relazione tra employability e comportamenti di ricerca del lavoro, mentre nel gruppo di studenti STEM l’autoefficacia è risultata un mediatore totale. Sembra, quindi, che per gli studenti STEM la percezione di employability possa arrivare a motivare i comportamenti di ricerca attiva del lavoro solo indirettamente attraverso la mediazione dell’autoefficacia, che diventa una variabile fondamentale in questo gruppo. Per gli studenti in discipline umanistiche, invece, sembra che l’employability riesca a promuovere comportamenti di ricerca lavorativa anche al netto dell’autoefficacia, sebbene quest’ultima rimanga un mediatore fondamentale nella relazione. Emerge tra i due gruppi la differenza nel ruolo dell’autoefficacia che risulta particolarmente rilevante per gli studenti STEM che riescono a motivare i comportamenti di ricerca del lavoro sulla base della percezione della propria occupabilità solo se accompagnata dalla fiducia nelle proprie capacità di riuscita.

In definitiva, seppur nei limiti di una ricerca esplorativa di natura cross-sectional che utilizza misure self-report di natura soggettiva, i risultati del presente studio rappresentano un utile contributo allo sviluppo della letteratura sul career management universitario offrendo alla ricerca e alla pratica di consulenza indicazioni per migliorare la qualità e l’impatto di politiche e pratiche di placement. Più in dettaglio, due sono le indicazioni che emergono in maniera chiara a valle della indagine. In primo luogo, lo studio sottolinea la rilevanza dell’employability quale risorsa fondamentale nella transizione per tutti gli studenti. Ne deriva l’opportunità di potenziare l’offerta di proposte formative extra-curriculari utili a favorirne il potenziamento in un’ottica di career management strategico. Accanto a questa evidenza, una seconda indicazione è quella di valorizzare in tali percorsi anche la risorsa della self-efficacy. In particolare, lo studio ha mostrato come tale risorsa possa essere maggiormente rilevante per studenti impegnati in percorsi STEM in cui è meno presente l’attenzione ad attività volte all’implementazione di competenze trasversali, alla pianificazione di carriera, alla riflessione su sé stessi, alla metacognizione. L’autoefficacia che può derivare da tali percorsi ha rivelato relazioni strette con l’employability che a sua volta contribuisce a trasformare la percezione di employability in veri e propri comportamenti di ricerca attiva del lavoro. Tale evidenza offre preziosi spunti di approfondimento alla ricerca futura che potrebbe indagare attraverso un disegno longitudinale se e in che misura la percezione di autoefficacia e l’employability confermino la loro persistenza anche nella fase di ingresso e socializzazione con il mondo del lavoro sia per i laureati STEM che non STEM, associando questo dato anche a indicatori oggettivi di successo di carriera. Un disegno longitudinale potrebbe inoltre fornire dati concreti a supporto dell’efficacia del training transfer di competenze per la ricerca attiva del lavoro veicolate dalle azioni di placement realizzate nel contesto universitario.

In conclusione, seppur alla luce della natura esplorativa appena illustrata, i risultati rinforzano la necessità di riconsiderare l’orientamento come un processo autodiretto in cui il soggetto definisce e ridefinisce costantemente traiettorie, obiettivi, strategie in vista del raggiungimento di un progetto personale, nella logica della sperimentazione personale di sé e del contesto e dell’acquisizione delle risorse necessarie a rendersi pronti all’occorrenza a vivere la transizione verso il mercato del lavoro in modo efficace. In tal senso, l’orientamento si connota come un processo di career management, di gestione responsabile della propria carriera formativa e professionale, che si estende lungo tutto l’arco della vita, cui certamente possono contribuire in maniera significativa i servizi professionali di accompagnamento e di orientamento, la cui azione concorre alla presa di consapevolezza e alla valorizzazione delle risorse a supporto della scelta.

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1 Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione, Università degli Studi «Aldo Moro» di Bari.

2 Agenzia per il Placement dell’Università degli Studi «Aldo Moro» di Bari.

3 Università degli Studi «Aldo Moro» di Bari.

Vol. 15, Issue 2, June 2022

 

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