Vol. 14, n. 2, giugno 2021

STUDI E RICERCHE

I need you, you need me

Uno studio esplorativo sulla relazione tra Pratiche di Gestione delle Risorse Umane, Crescita di Carriera ed Employability Percepita

Amelia Manuti1 e Maria Luisa Giancaspro1

Sommario

L’employability è un tema cruciale in Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni sia nella prospettiva individuale che organizzativa. Nel primo caso è intesa come insieme di risorse psico-sociali in grado di rendere occupabile l’individuo in un mercato in costante cambiamento. Nel secondo rappresenta un valore aggiunto distintivo del capitale umano che la caratterizza. Partendo da questa doppia prospettiva, il presente studio condotto su un gruppo di 399 lavoratori dipendenti ha inteso esplorare la relazione tra HRM practices perception ed employability, focalizzando l’attenzione sul ruolo di mediazione giocato dall’organizational career growth. I risultati confermano le ipotesi e aprono alcune piste di riflessione per la ricerca e la pratica professionale.

Parole chiave

Employability, HRM practices, Career growth, Career management.

STUDIES AND RESEARCHES

I need you, you need me

An explorative study on the relationship between Human Resource Management Practices, Career Growth and Perceived Employability

Amelia Manuti2 and Maria Luisa Giancaspro1

Abstract

Employability is a key concept within Work and Organizational Psychology, both from an individual and an organizational perspective. On the one hand, employability is a set of psychosocial resources which render people marketable even in a fast-changing scenario like the present one, while on the other hand, employability is an intangible asset of human capital working in that context. Moving from this double perspective, the present study conducted on a group of 399 employees aims to explore the relationship between HRM practices perception and employability through organizational career growth. Results confirm the hypotheses and pave the way for discussion of certain implications in theory and practice.

Keywords

Employability, HRM practices, Career growth, Career management.

Negli ultimi anni gli sviluppi della ricerca in tema di Human Resource Management (HRM) hanno mostrato una relazione significativa tra percezione delle politiche e delle pratiche di People Management e atteggiamenti e comportamenti positivi nei confronti delle organizzazioni (Alfes et al., 2013; Albrecht et al., 2015).

Questo filone di ricerche si inserisce prioritariamente nel solco tracciato dalla Social Exchange Theory (SET – Gouldner, 1960), secondo la quale la relazione individuo/organizzazione può essere intrepretata alla luce di uno scambio reciproco di natura win/win. Tale relazione si caratterizza alla luce degli accordi formali e dei vincoli contrattuali che regolano reciprocamente aspetti quali la retribuzione, l’orario di lavoro, gli obblighi e i diritti di ciascuna parte (Kehoe & Wright, 2013; Gould-Williams, 2007; Shore et al., 2006). Non meno rilevanti sono però gli aspetti sociali della relazione individuo/organizzazione, ovvero quelli che alimentano la percezione di interdipendenza tra le parti (Weick, 1995), che scaturisce dalla reiterazione di routine e regole implicite di interazione (Cropanzano & Mitchell, 2005). Alla luce di questa visione, la SET considera riuscite e durature le relazioni lavorative che si caratterizzano per alti livelli di lealtà e fiducia reciproca (Gould-Williams & Davies, 2005).

Questo framework teorico è ampiamente utilizzato per comprendere e progettare le cosiddette High-Performance Human Resource Practices (Boselie et al., 2005; Guest, 2014; Kurtessis et al., 2017; Messersmith et al., 2011; Sparrow & Cooper, 2014; Truss et al., 2013) o High-Commitment Practices (Boon & Kalshoven, 2014; Chian et al., 2011; Gould-Williams, 2004; Lepak & Snell, 2002; Meijerink et al., 2018), ovvero piani strategici, politiche e pratiche orientate alla gestione dei processi organizzativi con particolare attenzione alla motivazione, al coinvolgimento, alla fidelizzazione dei lavoratori e dunque al miglioramento della loro performance.

L’implementazione delle pratiche di gestione delle risorse umane secondo questo approccio si ricollega alla più ampia prospettiva resource-based dello HRM che in opposizione alla prospettiva control-based sottolinea la rilevanza strategica della valorizzazione del capitale umano nelle organizzazioni e la sua ricaduta a lungo termine sul successo organizzativo (Manuti & Giancaspro, 2019).

A supporto di questa visione people-based, negli ultimi decenni, numerose evidenze empiriche hanno mostrato come l’investimento in pratiche di gestione delle risorse umane «illuminate» si sia tradotto nella percezione positiva da parte dei lavoratori di tale sforzo nei loro confronti e dunque in un immediato ritorno di investimento affettivo nei confronti dell’organizzazione stessa e del proprio lavoro (Sun et al., 2007); tale consapevolezza di fatto contribuisce ad aumentare i livelli di soddisfazione lavorativa, commitment affettivo (Peccei et al., 2013), engagement lavorativo (Mackay et al., 2016; Meijerink et al., 2018) e comportamenti extra-ruolo (Snape & Redman, 2010).

Tuttavia, negli ultimi anni anche a seguito della ristrutturazione del significato di carriera divenuto sempre più fluido e adattabile alle svariate esigenze di flessibilità organizzativa (Hall, 2004; King, 2004; Briscoe & Hall, 2006), anche l’employability risulta essere un outcome rilevante della relazione positiva tra individuo e organizzazioni (Nelissen et al., 2017). Invero, rielaborando la SET secondo una prospettiva career-based è possibile interpretare l’employability come un prezioso capitale che l’organizzazione, nello sforzo di alimentare l’interdipendenza e la reciprocità nella relazione con i propri dipendenti, può valorizzare a vantaggio dello sviluppo delle risorse umane e dunque conseguentemente della propria performance (Van Harten et al., 2017; Philippaers et al., 2017).

A questo proposito, in un recente studio, Akkermans, Tims, Beyer e De Cuyper, (2019) hanno mostrato come l’investimento da parte dell’organizzazione in pratiche di gestione delle risorse umane orientate a valorizzare la comunicazione e l’engagement, le opportunità di formazione, lo sviluppo di competenze e i feedback sulla performance siano percepite positivamente dai lavoratori. Secondo la teoria dello scambio sociale tale sforzo rappresenta agli occhi del lavoratore un valore aggiunto nella relazione con il contesto organizzativo che contribuisce ad aumentare la disponibilità a rendersi «occupabile» e a impegnarsi nel proprio lavoro.

Lo studio di Akkermans e colleghi (2019) focalizza l’attenzione su una concezione di employability intesa come disponibilità individuale a mettere a valore il proprio patrimonio di risorse (conoscenze, competenze, caratteristiche personali, ecc.) cogliendo le opportunità di valorizzazione interne all’organizzazione (es. opportunità formative, avanzamenti di carriera, mobilità, ecc.).

Tuttavia, il concetto di employability è molto ampio e complesso (Fugate et al., 2004; Van der Heijde & Van der Heijden, 2006; Lo Presti & Pluviano, 2016). Esso si riferisce al capitale di risorse umane, sociali e culturali (es. conoscenze, abilità, caratteristiche personali, reti di relazione, ecc.) che le persone sviluppano nel corso della propria vita personale, formativa e lavorativa che consente loro di cogliere opportunità presenti nel contesto, sviluppando una propria personale traiettoria di carriera (Peeter et al., 2019). In quest’ottica, l’employability si riferisce alla capacità di leggere i contesti e capitalizzare la propria partecipazione ad essi.

Dunque, l’employability può essere compresa sia nell’ottica della valorizzazione delle proprie competenze e ambizioni all’interno dell’organizzazione ma anche come opportunità di sviluppo e di occupabilità esterna all’organizzazione (Forrier et al., 2015; Rothwell & Arnold, 2007), sposando perfettamente le esigenze poste dalle recenti evoluzioni del mercato del lavoro e del concetto di carriera senza confini che spingono sempre più i lavoratori a adattarsi a richieste mutevoli e a rielaborare i propri piani di carriera (De Cuyper & De Witte, 2011; Van der Heijde & Van der Heijden, 2006).

Se considerata in quest’ottica, l’employability diventa una responsabilità condivisa tra lavoratore e organizzazione (Clarke, 2018) poiché quest’ultima attraverso una gestione delle risorse umane people-based mette a disposizione dei lavoratori le opportunità di sviluppare la propria employability, consentendo ai lavoratori di «capitalizzare» tali opportunità per rimanere occupabili sul mercato, anche in tempi di grande incertezza e flessibilità (Cerdin et al., 2020). Nonostante l’evidente fondamento di tale argomentazione, questa visione dell’employability è scarsamente presente in letteratura nella quale tale costrutto si ricollega per lo più all’idea di un patrimonio individuale della cui cura e manutenzione si fa carico esclusivamente il lavoratore (Forrier et al., 2018); ciò renderebbe evidente quello che viene definito l’employability paradox (Rodriguez et al., 2020), ovvero il rischio per le organizzazioni che investire nel competenze dei lavoratori possa tradursi in una «fuga di talenti».

Tuttavia, se a prescindere dalla prospettiva adottata, si considera l’employability come un capitale prezioso di risorse, tra queste innegabilmente figurano motivazioni, credenze e disposizioni verso la carriera che di fatto guidano i comportamenti orientati al career management. In particolare, con specifico riferimento alla relazione tra pratiche di gestione delle risorse umane ed employability, la letteratura si concentra sul costrutto di organizational career growth, ovvero la percezione che il lavoratore ha delle opportunità di sviluppo e di avanzamento di carriera offerte all’interno dell’organizzazione (Weng, 2010). In particolare, tali percezioni si riferiscono a quattro fattori: 1) obiettivi di carriera, ossia quanto l’organizzazione offre opportunità di carriera coerenti con i propri obiettivi; 2) sviluppo delle abilità professionali, ovvero quanto il lavoratore è messo in condizione di acquisire nuove conoscenze e competenze; 3) opportunità di promozione, intesa come percezione circa la probabilità di ottenere avanzamenti di carriera; 4) aumento di stipendio, ovvero la percezione circa la probabilità di ottenere un aumento di stipendio in tempi rapidi. In piena coerenza con il paradigma delle met expectations (Porter & Steers, 1973) e con il concetto di contratto psicologico (Rousseau, 1995), oltre che con la prospettiva SET esposta in precedenze, l’organizational career growth rappresenta un costrutto multidimensionale che da un lato spiega gli sforzi che il lavoratore compie nella gestione della propria carriera per allineare obiettivi e acquisire competenze coerenti con i propri piani, e dall’altro interpreta gli sforzi compiuti dall’organizzazione per riconoscere e premiare in maniera tangibile e intangibile tali sforzi attraverso riconoscimenti, promozioni, opportunità formative, ecc.

In questo quadro, la relazione tra organizational career growth e pratiche di gestione delle risorse umane appare particolarmente significativa. Uno studio recente di Bagdadli e Giannecchini (2019) ha infatti dimostrato come l’investimento dell’organizzazione in pratiche di gestione della carriera dei propri dipendenti sia positivamente correlato al loro successo di carriera soggettivo, inteso come soddisfazione individuale verso ogni aspetto della propria carriera (Greenhaus et al., 1990), e oggettivo, con specifico riferimento al raggiungimento di traguardi professionali tangibili e valutabili (Judge et al., 1995). Sulla stessa linea, una ricerca condotta da Nawaz e Pangil (2016) ha mostrato una relazione significativa tra percezione delle pratiche di gestione delle risorse umane e organizational career growth, evidenziando come questa possa essere funzionale a contenere i livelli di turnover.

Pertanto, l’obiettivo di questo contributo è quello di considerare l’employability in una doppia prospettiva: individuale e organizzativa, come opportunità di valorizzare le proprie risorse all’interno o all’esterno dell’organizzazione, proprio come suggerito dalla SET.

Da questa assunzione deriva la prima ipotesi dello studio.

H1: la percezione positiva delle pratiche e delle politiche di gestione delle risorse umane da parte dei dipendenti è positivamente correlata con la loro employability.

Rispetto alla relazione con l’employability, invece, essendo presenti in letteratura ancora pochi studi che hanno specificatamente considerato il ruolo di questa variabile come esito della relazione tra percezione della gestione delle risorse e organizational career growth, lo studio intende esplorare una seconda ipotesi.

H2: la percezione positiva delle pratiche HR influenza i livelli di career growth.

Infine, poiché, alcune evidenze empiriche mostrano come la percezione di opportunità di carriera all’interno del contesto organizzativo possano influenzare la percezione di employability e contribuire a sviluppare atteggiamenti di sfiducia e di risentimento quali l’intenzione di turnover e l’esaurimento emotivo (Lu et al., 2016). Partendo da tali assunzioni, pertanto, sul solco di quanto affermato dalla letteratura circa il ruolo del career growth che si colloca a cavallo tra l’investimento compiuto dall’organizzazione per la crescita dei propri dipendenti e l’impegno dei dipendenti per sviluppare il proprio potenziale e gestire efficacemente la propria carriera al fine di rendersi maggiormente employable, lo studio si propone di verificare il ruolo di mediazione del career growth:

H3: la relazione tra percezione delle pratiche di gestione delle risorse umane ed employability è mediata dall’organizational career growth.

Metodo

Partecipanti

Hanno partecipato alla ricerca 399 lavoratori, dei quali il 54.5% di genere maschile e il 45.5% di genere femminile (età media 34.64; DS=11.83). Rispetto al titolo di studio, il 47.8% dei partecipanti possiede un diploma e il 45.5% svolge un lavoro dipendente come impiegato. Il 61.5% ha un contratto a tempo determinato e il 71% è impiegato nel settore privato.

Strumenti

Lo strumento utilizzato per raccogliere i dati è stato un questionario semi-strutturato, articolato in una sezione dedicata alla raccolta di informazioni socio-anagrafiche e lavorative e una sezione comprendente le scale psico-sociali utilizzate come misura delle variabili oggetto di studio.

In particolare, la ricerca si è concentrata sulla rilevazione delle seguenti variabili.

  • Percezione delle Pratiche di Gestione delle Risorse Umane. Questa variabile è stata misurata con la scala Perception of HRM Scale (Gould-Williams & Davis, 2005) nella versione italiana a cura di Manuti e colleghi (2020). Si tratta di una scala mono-fattoriale composta da 9 item. Per ciascuna affermazione viene chiesto ai partecipanti di indicare il proprio accordo/disaccordo utilizzando una scala Likert da 1= «Per nulla» a 5= «Del tutto» (es. «L’azienda mi offre sufficienti opportunità di formazione e sviluppo»). La coerenza interna della scala misurata con l’alfa di Cronbach è pari a α=.90.
  • Organizational Career Growth. Per misurare questa variabile è stata utilizzata la scala Organizational Career Growth Scale messa a punto originariamente da Weng (2010) e validata nella versione italiana da Spagnoli e Weng (2017). Si tratta di una scala composta da 15 item, che utilizza una scala Likert di accordo/disaccordo a 5 passi (da 1= «Per nulla» a 5= «Del tutto»). La scala è articolata in 4 sottoscale: 1) Obiettivi, composto da 4 item, che misurano la percezione di raggiungimento degli obiettivi di sviluppo della carriera (es. «Il mio lavoro attuale mi aiuta a raggiungere i miei obiettivi di carriera»); 2) Abilità, composto da 4 item, che misurano la percezione che i dipendenti hanno della propria abilità nello sviluppare la propria carriera (es. «Il mio lavoro attuale mi stimola a migliorare costantemente le mie capacità lavorative»); 3) Carriera, composto da 4 item, finalizzati a misurare la percezione dello sviluppo della propria carriera all’interno dell’azienda (es. «I miei avanzamenti di carriera sono stati più rapidi di quelli dei miei colleghi»); 4) Crescita, composto da 3 item, che misurano la percezione di crescita all’interno dell’azienda (es. «Il mio stipendio è aumentato velocemente in questa organizzazione»). La coerenza interna della scala completa misurata con l’alfa di Cronbach è pari a α=.95.
  • Employability. Questa variabile è stata misurata mediante la scala Multidimensional employability scale messa a punto da Lo Presti e colleghi (2019). Si tratta di una scala composta da 28 item, articolati in 4 dimensioni: 1) capitale umano e sviluppo professionale (es. «Le mie esperienze formative e professionali sono un bagaglio fondamentale per il mio successo lavorativo»); 2) capitale sociale e networking (es. «In generale, il supporto sociale di cui godo è un valore aggiunto per la mia carriera»); 3) identità di carriera e self-management (es. «Ritengo di avere un progetto chiaro per la mia carriera»); 4) conoscenza del contesto del mercato del lavoro (es. «Conosco i trend occupazionali del mio ambito lavorativo di riferimento»). Ai partecipanti è chiesto di indicare il proprio accordo/disaccordo utilizzando una scala Likert a 5 passi da 1= «Per nulla» a 5= «Del tutto». La coerenza interna della scala completa misurata con l’alfa di Cronbach è pari a α=.86.

Procedura

I dati sono stati raccolti tramite un questionario semi-strutturato costruito tramite l’applicazione Google moduli. Il link del questionario è stato diffuso su diversi canali social, con esplicita richiesta di compilazione volontaria a lavoratori dipendenti di organizzazioni pubbliche e private di varie dimensioni e operanti in diversi contesti, impiegati su tutto il territorio nazionale. Il campionamento è stato pertanto di convenienza.

Ai partecipanti sono state illustrate le finalità generali della ricerca. La sezione iniziale del questionario è stata dedicata alla descrizione dell’informativa sul trattamento dei dati come previsto dalla normativa europea 2016/679. Ai partecipanti è stato chiesto di indicare il proprio consenso informato.

Analisi dei dati

Al fine di testare le ipotesi e di verificare il ruolo di mediatore del career growth tra la percezione delle pratiche HR e l’employability, i dati sono stati sottoposti ad alcune analisi preliminari condotte mediante software di analisi statistica SPSS.

Risultati

La tabella 1 mostra la distribuzione dei punteggi medi e le deviazioni standard relative a ciascuna variabile presa in considerazione e gli indici di correlazione bivariata di Pearson.

In particolar modo, risulta significativa la correlazione tra la percezione delle pratiche HR e il career growth (r=.87; p<.005), a conferma della rilevanza della relazione tra percezione della centralità attribuita alle risorse umane nel contesto organizzativo e opportunità di crescita e di sviluppo delle proprie competenze. Allo stesso modo il career growth correla positivamente con l’employability (r=.50; p<.005), sottolineando come i dipendenti che nell’ambito della propria esperienza professionale percepiscono un investimento da parte dell’azienda a favore della loro crescita, tendano a sviluppare maggiore consapevolezza nelle proprie capacità e competenze, risorse preziose per lo sviluppo della propria carriera.

A seguito di queste analisi, per verificare le ipotesi di relazione tra percezione delle pratiche HR, employability e organizational career growth, sulla scorta dei contributi della letteratura internazionale, è stato applicato un modello di mediazione semplice (Preacher & Hayes, 2004) attraverso l’utilizzo della Macro PROCESS di SPSS (Hayes, 2012). Data la dimensione limitata del campione e al fine di prevenire la violazione delle ipotesi di distribuzione normale, è stato utilizzato il metodo di bootstrap non parametrico come stima affidabile di effetti sia diretti che indiretti (Preacher & Hayes, 2008). Il bootstrap fornisce un intervallo di confidenza (CI) attorno all’effetto indiretto della variabile indipendente (percezione delle pratiche HR) sulla variabile dipendente (employability) tramite il mediatore (career growth). La tecnica genera una stima degli effetti in un intervallo di confidenza del 95% e le mediazioni multiple sono significative se l’intervallo tra il limite superiore (UL) e il limite inferiore (LL) dell’IC non contiene zero, il che significa che l’effetto di mediazione è diverso da zero (Preacher & Hayes, 2008).

I risultati delle analisi effettuate al fine di testare le ipotesi e verificare gli obiettivi promossi dallo studio hanno mostrato interessanti conferme e ulteriori spunti di riflessione.

Nello specifico in riferimento all’H1, appare confermata la relazione diretta tra la percezione positiva delle pratiche HR ed employability (β=.47; p=.000). Pertanto, i contesti organizzativi percepiti come orientati a una gestione delle risorse umane centrata sulla valorizzazione delle persone e sulla loro crescita determinano un accrescimento della percezione di employability dei propri dipendenti, e dunque una maggiore consapevolezza delle proprie capacità e competenze e di come impiegarle.

Allo stesso modo, appare confermata anche l’H2. La percezione positiva da parte dei dipendenti delle pratiche HR adottate in azienda incide significativamente anche sulla consapevolezza di essere in un contesto attento alla gestione e al raggiungimento dei propri obiettivi di carriera, e dunque del proprio sviluppo (β=.76; p=.000).

Infine, in merito all’H3, l’analisi di mediazione ha confermato che l’organizational career growth media parzialmente la relazione tra la percezione delle politiche e delle pratiche HR e l’employability, considerato il persistente effetto diretto delle pratiche HR sull’employability (tabella 2).

Discussione

Le recenti trasformazioni del lavoro hanno prodotto un notevole impatto sulla vita organizzativa, influenzandone le relazioni, il senso di appartenenza e il livello di motivazione al lavoro. Ne deriva il peso determinante che una gestione delle risorse umane people-based possa avere per il successo delle organizzazioni (Manuti & Giancaspro, 2019). Lo studio qui presentato ha voluto rappresentare un ulteriore contributo empirico a supporto di tale evidenza.

I risultati hanno, infatti, mostrato quanto la percezione che i dipendenti hanno circa le pratiche e le politiche di people management adottate dall’organizzazione possano influenzare la valutazione delle concrete opportunità di crescita e di avanzamento di carriera loro offerte all’interno del contesto organizzativo, incidendo di conseguenza sulla loro employability (Mossholder et al., 2011; Forrier et al., 2015).

Pertanto, in relazione alle ipotesi di una relazione diretta e positiva tra percezione delle risorse umane ed employability e tra percezione delle risorse umane e crescita di carriera lo studio ha mostrato effetti pienamente soddisfacenti (H1 e H2). Sulla stessa scia, anche l’ipotesi di una mediazione della percezione delle opportunità di crescita di carriera nella relazione tra percezione delle pratiche di gestione delle risorse umane ed employability trova conferma nell’analisi dei dati seppur parziale (H3), in virtù del significativo effetto diretto delle pratiche HR sull’employability.

Dunque, superando la visione che vede nel potenziamento dell’employability, un rischio di «fuga» del dipendente dal contesto organizzativo (De Cuyper & De Witte, 2011), il presente studio ha inteso sottolineare come una gestione «illuminata» delle risorse umane, attenta a valorizzare opportunità di formazione e sviluppo, a cogliere esigenze di crescita professionale, e ad ascoltare bisogni di comunicazione e coinvolgimento dei lavoratori, possa determinare un valore aggiunto nella relazione tra individuo e organizzazione. In altre parole, sulla scia della teoria dello scambio sociale richiamata dallo sfondo teorico della ricerca, contribuire a rafforzare le competenze, ad alimentare la motivazione e l’attaccamento del lavoratore può rappresentare uno sforzo che l’organizzazione compie a suo vantaggio allorché gestisce in maniera strategica il proprio capitale umano in un mercato altamente competitivo e a vantaggio dell’individuo, che conseguentemente trova nel contesto di lavoro opportunità per arricchire il proprio capitale intangibile di risorse, capitalizzabili dentro e fuori del contesto organizzativo.

In quest’ottica, parafrasando il paradigma degli happy workers = productive workers (Peiró et al., 2019) i risultati della ricerca sembrano suggerire che employability-oriented contexts = employable workers, laddove contesti employability-oriented possono essere intesi come contesti attenti a offrire opportunità di sviluppo e valorizzazione delle risorse dei dipendenti e l’employability come una sorta di meta-competenza, come un orientamento all’adattabilità e alla flessibilità, come capacità di riconfigurazione e conversione delle proprie competenze in relazione alle mutevoli esigenze dei contesti organizzativi, ancor più provati in tempi di grande cambiamento come quelli attuali.

Pertanto, a margine dei limiti presenti in una ricerca cross-sectional, condotta su un numero limitato di partecipanti e utilizzando misure self-report, i risultati registrati consentono di trarre alcune conclusioni potenzialmente utili per la futura ricerca e per la pratica professionale in relazione alla funzione HRM.

Nello specifico, per la ricerca nell’ambito della Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni, lo studio conferma, nello scenario post-moderno caratterizzato da un mercato del lavoro turbolento, da carriere senza confini e da una estrema mobilità delle risorse umane, la necessità di approfondire e attualizzare la prospettiva di interdipendenza che lega individuo e organizzazione (Weick, 1995), con particolare riferimento al ruolo della funzione di people management e alle dinamiche win-win che essa comporta secondo la social exchange theory.

Nella prospettiva individuale, questa esigenza di approfondimento collega il tema dell’employability a quello del career management, inteso come sforzo di manutenzione del ricco capitale umano, sociale e professionale degli individui (Di Fabio & Cumbo, 2017). Sul versante organizzativo, invece, considerare la relazione tra HRM practices ed employability consente di far luce su quella che è stata definita la HRM black box (Steffensen et al., 2019), ovvero la complessa relazione che lega le pratiche di gestione delle persone alla performance organizzativa e che questo studio tenta di spiegare alla luce del ruolo cruciale giocato dall’employability (Akkermans et al., 2019).

In linea con tali assunzioni e in una prospettiva evidence-based applicata alla pratica professionale, i risultati della ricerca suggeriscono interessanti approfondimenti in riferimento alla implementazione di azioni di training & development funzionali a valorizzare il capitale di employability dei dipendenti (Peeters et al., 2019; van Harten et al., 2020). In quest’ottica, alla luce dei risultati registrati, la condivisione da parte dell’organizzazione di un piano strategico di iniziative di career management e sviluppo organizzativo potrebbe rappresentare nella relazione individuo/organizzazione un prezioso investimento con effetti a breve e a lungo termine. Invero, gli effetti a breve termine si registrano osservando quanto promuovere e realizzare iniziative di formazione e sviluppo delle competenze dei propri dipendenti di fatto sia una operazione funzionale al potenziamento di risorse chiave utili agli obiettivi e alla performance organizzativa. D’altra parte, però, lo studio qui presentato sembra mostrare quanto questo investimento a breve termine possa operare anche sul lungo raggio, talvolta tacitamente ma in misura significativa, comunicando attraverso queste iniziative importanti messaggi culturali circa la vision che l’organizzazione persegue in termini di HRM. Questi messaggi diventano quanto mai strategici per motivare, coinvolgere, attrarre a sé le risorse umane incidendo sulla loro employability percepita e sulla soddisfazione di carriera (De Vos et al., 2011) e in misura ancora più rilevante sulla loro performance e sul successo organizzativo (De Cuyper et al., 2011).

Infine, nella prospettiva individuale del career management, i risultati dello studio suggeriscono anche interessanti spunti di approfondimento in relazione alla progettazione e realizzazione di attività di career counseling, orientate a rendere consapevoli i lavoratori circa il proprio capitale di competenze e allo stesso tempo a supportare la definizione di un piano d’azione e di sviluppo professionale coerente con i propri bisogni e le proprie aspettative.

In definitiva, questo potrebbe essere il vero «ritorno di investimento» in grado di rendere l’employability parte di una più ampia strategia di sustainable management, orientata a valorizzare la dimensione «umana» delle proprie risorse (Ybema et al., 2020), e allo stesso tempo, dal punto di vista dei lavoratori, un tassello importante nella costruzione di una sustainable career (De Vos et al., 2020), fondata non solo su indicatori di performance e produttività ma sulla ricerca del benessere e del significato personale.

Bibliografia

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1 Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione, Università degli Studi di Bari.

2 Università degli Studi di Bari.

Vol. 14, Issue 2, June 2021

Tabella 1

Medie, deviazioni standard, alfa di Cronbach e correlazioni (N=176).

Variabile

M (DS)

1

2

3

1. Percezione delle pratiche HR

3.10 (.97)

(α=.90)

2. Career growth

3.01 (.97)

.759**

(α=.95)

3. Employability

3.23 (.96)

.475**

.504**

(α=86)

*p<.001 (2-tailed); **p<.005(2-tailed) I numeri tra parentesi indicano l’alfa di Cronbach.

Tabella 2

Risultati dell’analisi di mediazione sull’HRM practices verso il Career growth e l’Employability (H4) (5000 bootstraps).

Variabile Indipendente

VI

HRM

Mediatori

M

Career growth

Variabile Dipendente

VD

Employability

Effetto della VI su M

(a)

.76 (SE = .03)**

Effetto del M su VD

(b)

.34 (SE = .06)**

Effetti Diretti

(c’)

.22 (SE =.06)**

Effetti Indiretti

(a x b)

.26**.

95% CI

(.158/364)

Effetto Totale

(c)

.474 (SE = .04)**

 

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