Vol. 14, n. 2, giugno 2021 — pp. 100-105

COUNSELING E PSICOLOGIA POSITIVA

a cura di Antonella Delle Fave e Annamaria Di Fabio

Compassione nelle organizzazioni e psicologia positiva

Annamaria Di Fabio1

Il termine «compassione» deriva dal latino «cum patior» (soffrire con) e dal greco συμπα’θεια, «sympatheia» («simpatia», provare emozioni con…), e fa tradizionalmente riferimento a un sentimento in base al quale un individuo percepisce emozionalmente la sofferenza altrui desiderando alleviarla.

In letteratura sembra esserci un ampio consenso sul fatto che la compassione implichi non soltanto il percepire la sofferenza degli altri ma anche essere motivati ad aiutarli (Goetz et al., 2010; Lazarus, 1991; Strauss et al., 2016). Varie definizioni si sono susseguite nel tempo. Lazarus (1991) definisce la compassione come «essere commossi dalla sofferenza di un altro e volerlo aiutare» (p. 289). Il Dalai Lama (1995) si riferisce alla compassione come a un’apertura alla sofferenza degli altri con l’impegno ad alleviarla. Le concettualizzazioni buddiste evidenziano anche le componenti cognitive e si avvicinano a coloro che soffrono con tolleranza e assenza di giudizio. Una definizione successiva (Neff, 2003) considera la compassione come «essere toccati dalla sofferenza degli altri, aprire la propria consapevolezza al dolore degli altri e non evitarlo o disconnettersi da esso, in modo che emergano sentimenti di gentilezza verso gli altri e il desiderio di alleviare la loro sofferenza. Implica anche l’offerta di una comprensione non giudicante a coloro che falliscono o agiscono in modo sbagliato» (pp. 86-87).

Con Kanov e colleghi (2006) si comincia a riflettere sulla natura multidimensionale del costrutto di compassione. Gli autori individuano tre dimensioni: noticing, feeling, e responding. Successivamente Gilbert (2009) definisce la compassione come «una profonda consapevolezza della sofferenza di un altro unita al desiderio di alleviarla» e individua sei dimensioni: Sensitivity, Sympathy, Empathy, Motivation/Caring, Distress Tolerance, Non-Judgement. L’anno seguente Goetz e colleghi (2010) si riferiscono alla compassione come al «sentimento che nasce nell’assistere alla sofferenza altrui e che motiva un successivo desiderio di aiutare» (p. 351) e Pommier (2010) individua tre dimensioni: kindness, mindfulness, common humanity. Nel 2011 Feldman e Kuyken affermano che la compassione è «un orientamento mentale che riconosce il dolore e l’universalità del dolore nell’esperienza umana e la capacità di affrontare quel dolore con gentilezza, empatia, equanimità e pazienza» (p. 145). Strauss e colleghi (2016), effettuando una rassegna della letteratura sulla compassione, hanno ulteriormente messo in evidenza la natura multidimensionale del costrutto. Sulla base delle loro conclusioni il costrutto di compassione risulta comprendere cinque dimensioni: 1) riconoscere la sofferenza; 2) comprendere l’universalità della sofferenza nell’esperienza umana; 3) capire i sentimenti delle persone che soffrono connettendosi emotivamente con la loro angoscia; 4) tollerare ogni sensazione di disagio suscitato (ad esempio, paura, disgusto, angoscia, rabbia) in modo tale da rimanere aperti alle persone nella loro sofferenza; 5) agire o essere motivati ad agire per alleviare la sofferenza. Gu e colleghi (2017) hanno sviluppato la Compassion Scale (CS) che consente di rilevare queste cinque dimensioni costitutive del costrutto emerse dall’esame della letteratura. Nell’ambito della psicologia positiva (Seligman, 2002; Seligman & Csikszentmihalyi, 2000), la compassione viene riconosciuta come una risorsa fondamentale per l’individuo (Lopez & Snyder, 2009). La compassione è infatti associata a molteplici esiti positivi come emozioni positive, relazioni positive con gli altri e comportamenti proattivi (Lopez & Snyder, 2009).

L’insicurezza dell’attuale contesto lavorativo aggravata dalla pandemia Covid-19 sottolinea l’importanza di creare e promuovere healthy organizations (Di Fabio, 2017; Di Fabio et al., 2020). Le Strenght based prevention perspectives (Di Fabio & Saklofske, 2021) nelle organizzazioni sono incentrate sulla promozione delle risorse dei lavoratori attraverso azioni di intervento precoce che promuovono le risorse personali attraverso programmi mirati. Ciò ha portato alla crescita di una prospettiva di psicologia positiva e allo sviluppo e alla promozione di iniziative di intervento e prevenzione basate sulle forze (Di Fabio & Saklofske, 2014a, 2014b, 2021) incrementabili con training specific a sostegno della salute e del benessere degli individui. La compassione è uno dei fattori legati alla salute e al benessere psicologico (Cassell, 2002; Worline & Dutton, 2017) e può dunque essere considerata come una risorsa cruciale per la promozione di healthy organizations. La compassione sul posto di lavoro è connessa con la relational theory of working (Blustein, 2011) e con l’importanza delle relazioni nei contesti organizzativi per il benessere dei lavoratori (Allan et al., 2015; Duffy et al., 2016). Le persone che hanno sperimentato la compassione degli altri sul posto di lavoro mostrano maggiori emozioni positive (Lilius et al., 2008) e un maggiore commitment organizzativo (Grant et al., 2008). Coloro che provano compassione sembrano essere orgogliosi quando altre persone nella loro organizzazione sono compassionevoli e incoraggianti verso gli altri (Dutton et al., 2007; Haidt, 2002). La compassione osservata nelle organizzazioni sembra favorire risultati positivi collettivi in termini di livelli più elevati di emozioni positive condivise come orgoglio e gratitudine (Dutton et al., 2007), maggiore commitment collettivo e minore turnover (Grant et al., 2008; Lilius et al., 2008). La compassione mostrata dai colleghi ha portato a un aumento delle prestazioni dei lavoratori (Dutton et al., 2002; Frost et al., 2000). Secondo Chu (2017) la compassione potrebbe configurarsi anche come un aspetto fondamentale per la produttività nelle organizzazioni. Anche uno studio successivo (Eldor, 2018) ha mostrato che i dipendenti che hanno ricevuto compassione da parte dei loro supervisori hanno mostrato una maggiore performance. Nell’ambito delle Strength based prevention perspectives, uno studio recente condotto con lavoratori italiani (Di Fabio & Saklofske, 2021) ha messo in relazione la trait emotional intelligence (Petrides & Furnham, 2001) con la compassion, controllando per i tratti di personalità dei Big Five. I risultati di questo studio hanno mostrato che la trait emotional intelligence spiega una percentuale di varianza incrementale rispetto ai tratti di personalità. Inoltre, la trait emotional intelligence media la relazione tra amicalità e compassione. Se i risultati di questo studio saranno confermati in ricerche future, l’intelligenza emotiva in quanto incrementabile mediante training specifici, potrebbe costituire un altro ingrediente critico preventivo per favorire anche la compassione nei contesti organizzativi (Di Fabio & Saklofske, 2021).

Si riconferma pertanto l’importanza di considerare una prospettiva di prevenzione primaria (Di Fabio & Kenny, 2016; Hage et al., 2017) come valore aggiunto nei contesti organizzativi, per una circolarità positiva in termini di healthy organizations, healthy business, healthy workers (Di Fabio, 2017) a partire dai primi momenti dell’onboarding per proseguire ciclicamente nell’accompagnamento delle transizioni come degli sviluppi, dei cambiamenti e delle sfide.

Bibliografia

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1 Università di Firenze.

 

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