Vol. 13, n. 3, novembre 2020

ARTICOLI SU INVITO

Pandemia da Covid-19, lavoro e carriere

L’importanza del career counseling

Guido Sarchielli1

Sommario

Il coinvolgimento degli psicologi sulle problematiche personali e sociali indotte dalla pandemia Covid-19 è stato rapido e molto ampio e ha permesso di evidenziare interferenze negative sul modo di immaginare e progettare le carriere. Si tratta di uno shock professionale che incide sugli atteggiamenti e i significati del lavoro e richiede capacità di reinterpretare la situazione e ridefinire gli scopi a lungo termine della vita personale. Tali tendenze comportano forti cambiamenti nelle pratiche di career counseling non più finalizzate solamente al potenziamento delle capacità professionali e all’ottimizzazione delle scelte, ma indirizzate a far acquisire le risorse e a valorizzare i fattori protettivi per costruire una carriera sostenibile e aumentare la resilienza alle crisi che potranno presentarsi durante la vita professionale.

Parole chiave

Disoccupazione, lavoro a distanza, flessibilità, shock professionale, counseling di carriera.

INVITED ARTICLES

Covid-19 pandemic, work and careers

The relevance of career counseling

Guido Sarchielli2

Abstract

Psychologists’ involvement in personal and social issues induced by the Covid-19 pandemic has been rapid and very broad and has highlighted negative interferences on how to imagine and design careers. We are dealing with a professional shock that affects attitudes towards work and meanings of work, and one that requires competences to reinterpret the situation and redefine long-term goals of personal life. Such trends also lead to a significant change in career counseling practices, which are no longer aimed solely at enhancing professional skills and optimizing choices but at acquiring resources and increasing protective factors to build a sustainable career and develop resilience to crises that may arise during professional life.

Keywords

Unemployment, telecommuting, flexibility, professional shock, career counseling.

Introduzione

Sin dai primi mesi del 2020 in diverse parti del mondo, in parallelo con la ricerca sanitaria ed epidemiologica sulla natura del virus, la prevalenza e incidenza della malattia, le terapie più efficaci e i possibili vaccini, sono state effettuate indagini di tipo psicologico, psicosociale e psichiatrico sugli effetti del Covid-19 sulle persone e sulle comunità nonché valutazioni delle conseguenze psicologiche delle stesse azioni pubbliche di contrasto come il confinamento e il distanziamento fisico e sociale (Shigemura et al., 2020). Il coinvolgimento degli psicologi sulle problematiche personali e sociali indotte dalla pandemia è stato rapido e molto ampio e si sta tuttora specificando su differenti obiettivi:

  1. il monitoraggio degli effetti sul benessere e la salute mentale e individuazione di efficaci interventi e servizi di aiuto. A fronte dei sintomi depressivi, di ansia e stress (compresa la sindrome post-traumatica da stress) evidenziati da numerose indagini internazionali (ad esempio, Zhang et al., 2020; Talevi et al., 2020) sono stati proposti per la loro appropriatezza clinica e organizzativa gli interventi di counseling psicologico/clinico messi a disposizione, ad esempio, per il personale sanitario e di front-line o in particolari situazioni di isolamento sociale dovute alla quarantena o nella fase di rientro al lavoro per la persistenza delle paure del contagio (si può ricordare per l’Italia il notevole coinvolgimento di psicologi clinici nella campagna promossa dal Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi per offrire alla cittadinanza varie forme gratuite di counseling on-line);
  2. la comprensione dei comportamenti collettivi prima, durante e dopo la pandemia anche al fine di fornire una consulenza attendibile a sostegno delle politiche pubbliche sanitarie e sociali di prevenzione, contrasto e recupero. In questo senso si sono analizzati il ruolo dell’identità sociale (Cruwys et al., 2020) e delle relazioni tra gruppi (Van Assche et al., 2020) nell’attivare reazioni di etnocentrismo e intolleranza xenofoba; le disparità sociali nel conformarsi alle indicazioni sulla salute pubblica (Templeton et al., 2020); il ruolo positivo di un orientamento collettivista e di solidarietà nel promuovere condotte salutari (Biddlestone et al., 2020); il contrasto alle distorsioni informative e complottiste (Pennycook & Rand, 2020) che mantengono pregiudizi antiscientifici e minano l’adesione alle regole sociali. Nel complesso, si rileva l’importanza di una comunicazione pubblica sistematica, comprensibile, trasparente, basata sui fatti e tesa a ridurre le cause del clima di sfiducia sociale);
  3. la valutazione degli effetti a più lungo termine con particolare attenzione a numerosi cambiamenti in atto o prospettati in vari sottosistemi sociali come, ad esempio, il mondo del lavoro.

In questo contributo focalizzeremo l’attenzione solo su alcuni dei principali effetti generati dalla pandemia nei contesti di lavoro, sulle carriere e sugli interventi di sostegno tramite il career counseling.

Pandemia e contesti di lavoro

La pandemia Covid-19 ha investito pesantemente anche i contesti di lavoro provocando non solo paura e ansie diffuse per il contagio e preoccupazioni per la gestione dei dispositivi di protezione individuale e collettiva, ma soprattutto gravi perdite economiche e ripercussioni occupazionali. Queste ultime sono evidenziate dalla crescita della disoccupazione e della sottoccupazione e dalla necessità di urgenti misure assistenziali in favore dei lavoratori lasciati a casa. Anche su queste problematiche gli psicologi si stanno adoperando con ricerche empiriche e riflessioni teoriche tese comprendere e contrastare gli effetti più negativi dell’attuale situazione critica. Ad esempio, ci si è soffermati sulle condizioni di lavoro evidenziando che esse sono divenute più impegnative e faticose soprattutto per i lavoratori essenziali, come quelli della sanità, spesso aumentando i rischi per il loro benessere e salute psicofisica (Luo et al., 2020). Da una recente breve sintesi di ricerca (Restubog et al., 2020) emerge che, oltre a quelli del settore sanitario, i lavoratori in molte altre organizzazioni devono ora sopportare condizioni di lavoro più difficili con una limitata disponibilità di supporti sociali e organizzativi, un aumento delle richieste lavorative, orari di lavoro irregolari, benefici inadeguati, complicazioni nell’accesso ai dispositivi di sicurezza e all’assistenza sanitaria ed effetti secondari negativi dovuti alle misure di confinamento (Fana et al., 2020). È stato anche sottolineato che la recessione economica associata alla pandemia Covid-19 in molti paesi continuerà probabilmente a provocare licenziamenti, ridimensionamenti aziendali e disoccupazione involontaria che aumentano la job insecurity reale o percepita dai lavoratori in diverse fasi di carriera, ma soprattutto dai giovani e in vari settori aziendali, come l’ospitalità, i servizi di ristorazione, la vendita al dettaglio, i viaggi e, in generale, il commercio. A tale riguardo Blustein e colleghi (2020), richiamando la tradizione di ricerca psicologica sulla disoccupazione, conferma i suoi possibili esiti traumatici a livello individuale e collettivo suggerendo di approfondirne le specificità connesse con la pandemia anche per selezionare gli interventi psicologici più efficaci e orientare quelli di politica sociale più adatti ad affrontare i bisogni particolari delle persone e delle comunità. Occorrono infatti interventi su misura tenendo conto che la gravità degli esiti dell’attuale crisi dipende anche dalle notevoli differenze individuali nel possesso di risorse personali e sociali (Zacher & Rudolph, 2020).

Uno dei cambiamenti organizzativi più diffusi dovuti alla pandemia Covid-19 è stato il passaggio di molti dipendenti al lavoro a distanza. Ciò ha stimolato due prospettive di approfondimento e di riflessione.

La prima prospettiva (Kramer & Kramer, 2020) riguarda il fatto che questa modalità lavorativa — se si manterrà nel tempo — potrebbe incidere sulla percezione dei lavori buoni (centrali, altamente qualificati e attuabili anche in condizioni estreme a distanza) e del lavori cattivi (periferici, poveri, a bassa qualificazione e attuabili solo in uno specifico luogo di lavoro) aumentando il divario tra loro e incrementando così la segmentazione del mercato del lavoro e le disparità di accesso per alcune categorie sociali svantaggiate. Inoltre, certi gruppi professionali, come i lavori essenziali in sanità, potrebbero aumentare il loro status e prestigio sociale e la loro attrattività influenzando le scelte di carriera dei giovani, indipendentemente dalla loro vocazione iniziale. Si è poi osservato che la condizione pandemica non è un equalizzatore sociale ma anzi influenza in modo differenziato i lavoratori (colpiscono di più le donne, i lavoratori precari e i low skilled) accrescendo le già presenti disparità socio-economiche e culturali (Pouliakas & Branka, 2020). Anche Kantamneni (2020) rileva che sono maggiormente danneggiati dagli effetti biologici e psicosociali del Covid-19 i lavoratori provenienti da ambienti a basso reddito, con limitato livello di istruzione e spesso appartenenti a minoranze etniche socialmente periferiche e già a rischio di stigma sociale. Ciò costituisce un’ulteriore fonte di emarginazione sociale poiché amplifica la probabilità di perdere il lavoro o di cadere nella sottoccupazione e rappresenta un serio ostacolo al recupero di un lavoro dignitoso nel senso di un lavoro giusto ed equo, che garantisca i diritti fondamentali sul posto di lavoro nonché condizioni lavorative sicure e protette e con compensi e benefici adeguati (Blustein et al., 2019).

La seconda prospettiva concerne la considerazione degli effetti della gestione delle responsabilità familiari e lavorative e del possibile conflitto dovuto al doppio ruolo delle donne, accentuato dall’improvvisa massiccia diffusione del lavoro da casa. In particolare, si è visto il rischio che sfumino i confini tra famiglia e ruoli lavorativi e che possano provare notevoli disagi soprattutto coloro che preferiscono la segmentazione e una minore permeabilità lavoro-famiglia; hanno più elevate esigenze familiari; o sono meno pronti per il telelavoro in termini di competenze tecnologiche e attrezzature funzionali (Cho, 2020). È emersa quindi la necessità di trovare un nuovo equilibrio tra il lavoro e vita privata poiché possono determinarsi prestazioni inferiori sia nel dominio lavorativo che in quello familiare e un aumento dell’esaurimento emotivo, dello stress e del burnout (Kramer & Kramer 2020).

In ogni caso, l’attenzione posta sul lavoro a distanza e su questa sorta di sperimentazione forzata e non programmata di tale modalità organizzativa è coerente con le recenti riflessioni della psicologia del lavoro e dell’organizzazione che insiste sulla necessità di innovazioni favorenti l’agilità dei contesti e dei modi di lavorare ma che tengano conto anche delle esigenze delle persone (Spreitzer et al., 2017). Ciò tramite: 1) la flessibilità nei rapporti/contratti di lavoro; 2) la flessibilità nella programmazione del lavoro (organizzazione, leadership, modi di controllo centrati sugli obiettivi, clima di fiducia organizzativa); 3) la flessibilità degli spazi (dentro o fuori l’azienda, aree di coworking, una diversa architettura degli spazi che incorpori la protezione delle persone); 4) la flessibilità dei tempi (degli orari e dei ritmi e delle forme possibili di conciliazione lavoro-vita privata). Il lavoro a distanza è ormai considerato dagli psicologi come una delle aree problematiche centrali da studiare empiricamente per il suo impatto sulla vita delle persone e il funzionamento organizzativo. Esso, infatti, rientra nei dieci argomenti che la psicologia del lavoro e dell’organizzazione deve affrontare per utilizzare le conoscenze disponibili o produrre nuove evidenze relative al come la pandemia da Covid-19 è stata influenzata da o sta influenzando i processi legati al lavoro (Rudolph et al., 2020). Tale operazione di approfondimento teorico e empirico dovrebbe individuare linee di possibile intervento per attenuare i rischi e per sfruttare le opportunità offerte dalle organizzazioni al fine di supportare i dipendenti tramite, ad esempio, un maggiore sostegno sociale e organizzativo da parte della leadership, la digitalizzazione dei processi di lavoro, l’implementazione di un lavoro di squadra più efficace e modifiche alle politiche sulla gestione della salute. Le problematiche proposte per l’analisi e l’intervento includono, oltre al telelavoro, la salute e sicurezza lavorativa, la relazione lavoro famiglia-lavoro, il lavoro virtuale di squadra, l’insicurezza lavorativa, il lavoro precario, la leadership, la politica delle risorse umane, invecchiamento della forza lavoro e le carriere. Quest’ultimo tema sarà esplorato nel paragrafo successivo.

Le carriere e servizi di career counseling al tempo della pandemia

Le modifiche che si stanno profilando nel mercato del lavoro (Restubog et al., 2020), l’aumento della job insecurity e la diffusione della disoccupazione e del lavoro precario possono influenzare notevolmente lo sviluppo delle carriere e produrre effetti negativi sul modo di immaginarle e gestirle da parte delle persone, soprattutto di coloro che già possedevano minori risorse per affrontare, ad esempio, le transizioni dalla formazione al lavoro, dal lavoro provvisorio o precario a quello stabile e i frequenti cambiamenti del lavoro dovuti alle dinamiche competitive dei mercati. Al riguardo, sono noti dalle precedenti esperienze di recessione economica effetti preoccupanti come: aumento delle difficoltà nella ricerca e mantenimento del lavoro, più ridotte possibilità di apprendistato per l’acquisizione di competenze professionali, significativi peggioramenti delle condizioni lavorative (tagli salariali, modifiche degli orari, maggiori richieste organizzative, più ridotto interesse per il benessere lavorativo, ecc.) anche per i lavoratori sopravissuti allo sconvolgimento occupazionale (Frone, 2018).

Crisi delle carriere una sfida per i servizi di career counseling

Dunque, le alterazioni indotte forzatamente nel mondo del lavoro dalla pandemia contribuiscono ad accelerare i rischi di una crisi delle carriere e di una possibile radicale modifica sia delle traiettorie di sviluppo desiderate da chi già lavora sia dei criteri e dei tipi di scelte professionali di chi invece ha costruito aspettative sul proprio futuro lavorativo che potrebbero diventare poco realizzabili. Baert et al. (2020), indagando sull’impatto della crisi del Covid-19 sulle aspirazioni di carriera rileva le paure di precarietà per il futuro professionale di quasi tutti gli intervistati (ma specialmente di coloro con meno risorse come i migranti) e sottolinea le modifiche sui significati attribuiti al lavoro che, per oltre la metà dei casi, enfatizzano l’importanza: delle condizioni di lavoro, della qualità dei rapporti di lavoro (soprattutto quanto i datori di lavoro tengono conto delle aspettative dei dipendenti), dell’equilibrio tra lavoro e vita personale e del telelavoro. Questa tendenza ad ampliare i criteri per valutare il lavoro e la carriera corrisponde a quanto Hirshi et al. (2020) evidenziano nella loro ricerca a proposito del fatto che le persone si orientano sempre di più a prendere decisioni di carriera, a pianificarla e ad autogestirla considerando anche i ruoli non lavorativi e il loro significato. In altri termini, va meglio riconosciuto che le carriere sostenibili si svolgono nel tempo all’intersezione di più contesti di vita, lavorativi e non lavorativi (Hirshi et al., 2020). Esse assumono come riferimento l’aspettativa della persona di poter autogestire il proprio percorso non solo nel lavoro, ma nei molteplici ambiti e ruoli della vita personale e sociale rivalutando così la salute, le relazioni familiari, amicali, con i colleghi e con la comunità e ottenendo con questa modalità olistica la soddisfazione desiderata per una buona riuscita, il benessere psicofisico e la produttività nel lavoro e fuori dal lavoro. Ciò, evidentemente mette in risalto il ruolo del contesto (e non solo dell’individuo come attore della carriera) poiché esso può essere più o meno limitante a causa di norme, politiche organizzative o di settore, fattori culturali e, nel caso della pandemia, di drastici cambiamenti organizzativi e sovraccarichi di responsabilità che riducono i margini di manovra delle persone; aumentano le disparità sociali nell’accesso e uso delle risorse; riducono la capacità di progettare, testare e mantenere la direzione di carriera auspicata, nonostante la propria capacità di adattamento.

Man mano che tali andamenti si fanno più diffusi ed aumentano le situazioni di malessere sociale e di diseguaglianza di opportunità per ampie fasce di popolazione mentre, nello stesso tempo, si riducono le risorse critiche per la carriera in termini di capitale umano (capacità e conoscenze professionali), di capitale sociale (reti, sostegno sociale) e di attributi psicologici (speranza, autoefficacia, ecc.), è assai probabile che anche il lavoro modifichi i suoi significati e che molte occupazioni cambino il loro grado di attrattività (Kramer & Kramer, 2020).

Del resto, la possibilità che una grave situazione socio-economica incida negativamente sulle aspettative e sulle traiettorie di vita e lavorative di molte persone non è una novità. Da tempo Blustein et al. (2008) hanno richiamato il fatto che con la globalizzazione è aumentata la distanza tra chi ha la possibilità di scegliere e progettare la carriera e chi invece è costretto a vivere nell’incertezza, nell’instabilità e nel rischio di marginalizzazione. Prendere atto di ciò può comportare un forte cambiamento anche nelle tradizionali pratiche di orientamento e career counseling non più finalizzate solamente all’ottimizzazione delle scelte e delle capacità progettuali delle persone culturalmente o socialmente privilegiate che possono permetterselo. Esse dovrebbero invece essere indirizzate: a) a far riflettere sui fattori personali e strutturali che ostacolano la relazione persona-lavoro partendo dalla voce dei diretti interessati (Blustein et al., 2020) che possono evidenziare l’impatto differenziale della situazione di crisi; b) a riconoscere che, in molti casi, anche nei paesi cosiddetti avanzati, il lavoro è oggi caratterizzato da insicurezza, precarietà, intensificazione degli sforzi, dequalificazione, contratti temporanei e sorveglianza intrusiva dei supervisori. Occorre dunque una «pratica psicologica inclusiva» del counseling: a) che aiuti a connettere i vari ambiti di vita personale con il lavoro e a collocarli in una prospettiva temporale più ampia rispetto ai singoli momenti di transizione o di scelta; b) che almeno faciliti un avvicinamento al lavoro riconoscendolo meglio per i suoi significati di base cioè come mezzo per la sopravvivenza e l’acquisizione di una capacità di controllo sulla propria vita; come mezzo di connessione sociale (valorizzando le capacità relazionali); come risorsa per sviluppare comportamenti orientati agli obiettivi che favoriscano anche l’autodeterminazione all’interno dei vari domini di vita più rilevanti (Blustein et al.,2008).

Shock professionale ed esigenze di sostegno

Sappiamo da tempo che uno dei cambiamenti più significativi delle carriere contemporanee concerne la centralità attribuita al lavoratore nello sviluppo della carriera visto come attore e responsabile principale della sua riuscita professionale. Tale modo di intendere le nuove carriere sembra tuttavia uno «standard ottimistico» con cui valutare le carriere concrete. Esso appare poco generalizzabile dal momento sottostima le crescenti diseguaglianze sociali relative alla disponibilità delle risorse personali necessarie per la gestione delle carriere. Inoltre, considera poco il peso delle differenti connessioni sociali delle persone (famiglia, gruppo dei pari, colleghi, supervisori, ecc.), dei fattori oggettivi di contesto, delle contingenze situazionali e degli eventi straordinari che possono facilitare o ostacolare un percorso di carriera (De Vos et al., 2020).

In questo senso per molti lavoratori e per molti giovani alla ricerca del lavoro la crisi pandemica oltre ad agire in modo immediato, con la riduzione dell’occupazione e della qualità del lavoro, può essere concepita come un fattore di contesto che si presenta come uno shock professionale imprevisto capace di incidere sugli atteggiamenti e sul modo di affrontare ora e in futuro le transizioni di carriera. Akkermans et al. (2018) utilizzano una concettualizzazione degli shock professionali focalizzata sulla loro funzione sia di perturbazione dell’assetto psicologico sia di possibile stimolo a una reinterpretazione della situazione, a una ricerca di senso e a cambiamenti sulla vita e la carriera di una persona. Tale impatto risulta più o meno accentuato in base agli attributi di frequenza, controllabilità, intensità, valenza e durata dell’evento shoccante e potrebbe assumere anche un segno positivo qualora la persona disponga di un capitale psicosociale in grado di aumentare la motivazione a cogliere le eventuali opportunità della situazione (Feng et al, 2019). Per quanto riguarda la pandemia da Covid-19, pur essendo un evento di bassa frequenza, prevalgono l’incontrollabilità, l’intensità, l’ormai lunga durata e la valenza densa di paure e ansie per il presente e preoccupazioni per il futuro. Dunque, si possono prevedere effetti negativi immediati esplicitati dalle difficoltà occupazionali o a più lungo termine relativi a mobilità, cambiamenti di settore o di professione (Akkermans et al., 2020). Da ciò derivano implicazioni per il counseling di carriera, in realtà molto simili a quanto previsto dalla happestance theory (Miller, 1983) che nel counseling privilegia l’aiuto ad affrontare positivamente anche gli eventi e fattori sociali imprevedibili stimolando precocemente la curiosità, la tenacia nell’affrontare gli ostacoli, la flessibilità cognitiva e l’ottimismo per massimizzare i benefici di eventi non pianificati.

In sostanza, si può ritenere che aiutare a costruire chiari obiettivi e razionali piani di carriera sia ancora un intervento orientativo e di counseling assai utile. Tuttavia, è opportuno immaginare preventivamente che anche imprevisti e shock possano accadere e far deragliare dal cammino intrapreso. Pertanto vale, in primo luogo, la promozione di capacità di resilienza per riprendersi e andare avanti e di adattabilità cioè di riformulazione degli obiettivi e delle strategie. In secondo luogo, risulta decisiva la preparazione preventiva ai possibili shock potenziando competenze di carriera riflessive, comunicative e relazionali intese come capitale psicosociale al quale attingere per gestire meglio gli eventi critici inaspettati (Blokker et al., 2019).

In questa direzione si muovono Hite e McDonald (2020) accentuando la necessità di ridefinire la carriera collocandola in una prospettiva a lungo termine, lungo l’arco di vita. Inoltre, occorre ricavare dall’attuale esperienza di crisi pandemica l’impegno a facilitare carriere sostenibili tramite l’attivazione di servizi di supporto che aiutino le persone ad acquisire le risorse e valorizzare i fattori protettivi per costruire la loro resilienza alle crisi. Ciò significa: l’apprendimento di competenze aggiuntive per l’adattabilità a nuovi lavori o modi di lavorare; l’esplorazione di opzioni alternative realistiche che aiutino a costruire carriere sostenibili; l’utilizzo di servizi di coaching, consulenza psicosociale e promozione di una cultura che promuove l’apprendimento agile e premi l’innovazione nei processi di lavoro (Heslin et al., 2020).

Tali tipi di azioni di aiuto, promossi dagli uffici Risorse Umane delle organizzazioni o dai servizi pubblici, hanno valore soprattutto se sono personalizzati (si tiene conto delle differenze nella valenza e nelle risposte individuali a questa crisi) e assumono come prioritario il principio dell’advocacy delle persone più svantaggiate tramite, ad esempio, un miglioramento delle conoscenze e dell’accessibilità ai servizi e alle consulenze per il benessere psicosociale (Hite & McDonald, 2020). Non si tratta dunque solo di prendere atto che la situazione pandemica rischia di sconvolgere le traiettorie di carriera, ma di cogliere questa occasione per dimostrare le potenzialità del career counseling e dell’orientamento come servizi essenziali per la crescita personale e l’emancipazione collettiva e per la diffusione di una maggiore giustizia sociale. Ciò può essere conseguito mediante l’assunzione di prospettive di social advocacy (patrocinio e difesa) per le categorie più vulnerabili e di prevenzione primaria che sfruttino i molteplici strumenti innovativi sviluppati dalla vocational psychology (Di Fabio & Venceslai, 2020). In sintesi, secondo Hooley et al. (2020) l’orientamento e il career counseling non devono limitarsi alla gestione delle crisi, aiutando le persone a sopportare le difficoltà o a incrementare l’adattabilità ai cambiamenti di carriera durante la pandemia. È invece importante aiutare le persone a ricostruire una «nuova normalità» stimolando una conoscenza critica della situazione (che eviti reazioni solo di tipo individuale), facendo riflettere sulle disparità sociali nel sopportare la crisi, mostrando l’importanza della solidarietà e di un approccio collettivo alle carriere che riconosca l’importanza di agire sul contesto accanto alle iniziative di consulenza informativa, counseling e formazione rivolte alle singole persone.

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1 Professore Emerito Psicologia del lavoro, Alma Mater studiorum, Università di Bologna.

2 Professor Emeritus in Psychology of work, Alma Mater studiorum, University of Bologna.

 

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