Vol. 13, n. 3, novembre 2020

ARTICOLI SU INVITO

Il counseling psicologico-clinico nell’anziano

Carlo Cristini1 e Mario Fulcheri2

Sommario

Nel corso dell’invecchiamento avvengono vari cambiamenti funzionali che richiedono un continuo riadattamento. La specifica condizione di un anziano è caratterizzata dalla sua personalità e dalla sua biografia. Un atteggiamento, definito «depressività», è frequente nell’anziano. Sul piano psicodinamico, il nodo centrale di una condizione depressiva è rappresentato dai sentimenti di perdita. Il counseling psicologico-clinico aiuta a comprendere le angosce di separazione, a facilitare il lavoro del lutto, a riscoprire l’esperienza positiva del vivere. Allo psicologo del counseling viene richiesto un atteggiamento olistico sulla salute e sulla storia dell’anziano. Solitudine, disturbi psicosomatici, accumulo delle perdite, paura della disabilità, fisica e mentale, rappresentano le problematiche più frequenti dell’anziano. Il counseling psicologico-clinico consente di comprendere e aiutare l’anziano in difficoltà nel suo cammino esistenziale.

Parole chiave

Invecchiamento, counseling psicologico-clinico, anziano in difficoltà, depressione.

INVITED ARTICLES

Psychological-clinical counseling in the elderly

Carlo Cristini3 and Mario Fulcheri4

Abstract

Over the course of aging many functional changes take place and they require continuous re-adjustment. The specific condition of an elderly person is characterized by their personality and biography. The attitude of being depressed, defined as «depressivity», is frequent in the elderly. On a psychodynamic level, the central question of a depressive condition is represented by feelings of loss. Psychological-clinical counseling helps to understand separation anxieties, facilitate overcoming of grief and rediscover the positive experience of living. A holistic attitude towards the health and history of the elderly person is required in a counseling psychologist. Loneliness, psychosomatic disorders, accumulation of losses, and fear of physical and mental disability represent the most frequent problems of the elderly. Psychological-clinical counseling facilitates support of the elderly and helps them on their existential journey.

Keywords

Aging, psychological-clinical counseling, distressed elderly people, depression.

Invecchiamento e counseling psicologico-clinico

Il processo di invecchiamento implica modificazioni e riequilibri funzionali a carico di organi e apparati; si riduce il margine di sicurezza, aumenta la vulnerabilità agli agenti stressanti, fisici e psicosociali, e incrementano i rischi a salute e autonomia correlati al verificarsi di varie, possibili situazioni di disadattamento (Cesa-Bianchi, 2000; Simeone, 2001).

L’anziano sofferente, disadattato, angosciato, depresso, disperato, smarrito, affetto da demenza richiede attenzione, sensibilità, piena comprensione della sua condizione emotiva ed esistenziale. Le diverse psicopatologie riconoscono evidenze cliniche comuni, la cui espressione viene caratterizzata dalla personalità, dalla biografia e dal vissuto del malato. Eschilo affermava che le sofferenze degli uomini hanno vari colori e che mai se ne trovano due uguali. Le differenti esperienze della vita e della sofferenza configurano, personalizzano ogni malattia, che assume inconfondibilmente il volto di un malato.

La variabilità, definita anche eterocronia, costituisce una caratteristica essenziale nell’invecchiamento (Cesa-Bianchi & Cristini 2009; Hillman, 2000) ed è influenzata da molti fattori (Cesa-Bianchi, 1987; 2000; Cesa-Bianchi, Forabosco, Cristini, Cesa-Bianchi, & Porro, 2013; Cesa-Bianchi, Pravettoni, & Cesa-Bianchi, 1997): 1) fattori biologici: sono varie le teorie biologiche che riconoscono l’influenza di complessi meccanismi nell’orientare e determinare il ritmo, le fasi, la durata, le modifiche dell’invecchiamento; 2) fattori economici: le persone meno abbienti presentano generalmente un declino più precoce; alla povertà si associano spesso altre condizioni sfavorevoli, come la bassa scolarità e la comparsa di malattie; 3) fattori educativo-culturali: invecchia meglio chi stimola le proprie funzioni intellettive, esercita le proprie capacità espressive; 4) fattori sanitari: l’incremento di persone anziane e longeve implica aumentati rischi di disabilità, fisica e psichica; la prevenzione alla cronicità e alla non-autosufficienza è diventata un impegno particolarmente attivo in molti settori specialistici, sociali e culturali; 5) personalità: sensibilità, apertura, fiducia, flessibilità favoriscono un miglior adattamento e un invecchiamento positivo; 6) struttura familiare: essere soli, in coppia o in un gruppo più numeroso influenza il modo di pensare e di vivere l’età senile; 7) esperienze ed eventi di vita: pensionamento, sradicamento dall’ambiente, condizioni di malattia, propria o di un familiare, lutti, perdite economiche, allontanamento dei figli, atti di violenza subiti possono connotare negativamente l’invecchiamento; 8) fattori ambientali: si modificano la convivenza e la percezione sociale in ordine alla struttura culturale e urbanistica, rurale o metropolitana, delle periferie o dei centri cittadini, alle trasformazioni demografiche e abitative; 9) condizioni motivazionali, affettive e creative: la voglia di vivere fa vivere, il mantenersi proattivi aiuta a stare meglio; l’essere circondati da affetti infonde sicurezza e promuove benessere; l’essere creativi consente, anche per i meno fortunati, di contenere o superare determinate difficoltà, talora avvalendosi delle qualità umoristiche del pensiero.

Più ampia e profonda è la conoscenza dell’anziano in difficoltà, più chiara è l’analisi e la comprensione del suo problema clinico ed esistenziale, maggiori sono le probabilità di un supporto valido, efficace che può avvenire solamente in un clima relazionale caratterizzato da sentimenti di rispetto, fiducia e solidarietà.

Il sostegno psicologico, a maggior ragione nel tempo della pandemia, diviene uno strumento essenziale per aiutare il vecchio a contenere, a rielaborare, a superare le sue difficoltà e paure.

Il counseling psicologico-clinico, quale peculiare relazione professionale, basata sulla comunicazione e sulla compartecipazione emotiva in un contesto relazionale cooperativo (Fulcheri, Bellino, Zizza, Sandri, & Bogetto, 2002; Fulcheri, Carrozzino, & Patierno, 2019; Patierno, Carrozzino, & Fulcheri, 2017) è un intervento particolarmente utile e appropriato per l’anziano coinvolto, se non a volte travolto, da quanto accaduto con la pandemia, soprattutto in alcune aree territoriali.

L’obiettivo principale del counseling psicologico-clinico consiste nel fornire uno specifico aiuto in momenti critici dell’esistenza, caratterizzati da inquietudine e sofferenza, come può avvenire per la minaccia di una pandemia (Taylor, 2019). L’esercizio competente di una relazione professionale, intersoggettiva come quella del counseling psicologico-clinico — che si distingue in modo evidente da una generica relazione implicante un aiuto psicologico — richiede un approfondito percorso formativo che considera la complessità e la multidimensionalità della persona sofferente. E l’anziano, spesso interprete di più espressioni cliniche della sofferenza, necessita inevitabilmente di valutazioni e interventi multidimensionali e interdisciplinari che si declinano attraverso l’acquisizione di tre saperi fondamentali: il sapere, il saper fare e il saper essere. Il sapere, quale necessità di una valida preparazione personale, di un costante aggiornamento delle conoscenze sul mondo dei vecchi; il saper fare, quale continuo apprendimento e perfezionamento — in particolare attraverso l’esperienza — di abilità tecniche, specifiche per sostenere e soccorrere l’anziano; il saper essere, quale sorta di qualificante integrazione di quanto si è appresso cognitivamente ed emotivamente per meglio comprendere e aiutare.

Un valido counseling psicologico-clinico, come ogni altro intervento nell’ambito di un trattamento psicologico, congiunge il sapere professionale e il sapere personale (Fulcheri, 2005; Fulcheri & Accomazzo, 1999). Più le situazioni sono complesse, come spesso accade nell’anziano, e maggiori appaiono gli intrecci, le correlazioni — e sfumano i confini — fra competenze tecniche e conoscenze umane, esistenziali. La qualità dell’intervento psicologico in un contesto relazionale, intersoggettivo, il nucleo dell’essere un professionista della salute emotiva, qual è uno psicologo del counseling, si combinano e si riflettono nella integrazione dinamica fra la comprensione essenzialmente cognitiva, intuitiva e la comprensione più profonda, quella affettiva, empatica. Sosteneva Kierkegaard in La malattia mortale (1995, p. 69): «Comprendere, dunque, e comprendere sono due cose diverse».

Risulta fondamentale il costante approfondimento teorico-pratico, l’aggiornamento e il rinnovamento delle proprie competenze, dei propri saperi.

Appare sempre opportuno richiamare le linee guida proposte dal Council for Accreditation of Counseling and Related Educational Programs (CACREP), che prevedono lo sviluppo di varie competenze, particolarmente rilevanti per l’esercizio del counseling psicologico-clinico, che sinteticamente riportiamo.

  1. Stabilire e facilitare relazioni costruttive e sicure con i pazienti, vale a dire saper attivare un processo di fiducia con l’utente/cliente nell’ambito di un’alleanza di aiuto che veicoli non tanto una modalità di adherence e/o compliance passiva, quanto un’autentica e reciproca concordance.
  2. Saper promuovere e comunicare nella relazione: rispetto, incoraggiamento, considerazione positiva dell’altro, compartecipazione affettiva, autenticità e apertura all’imperfezione e al dubbio.
  3. Saper garantire un ascolto attivo, così pure rassicurazione e sostegno emotivo.
  4. Saper migliorare la qualità delle relazioni interpersonali, potenziando, parallelamente, i livelli individuali di benessere psicologico.
  5. Pianificare l’intervento e implementare il trattamento attraverso programmi di valutazione (sia per lo screening che per la diagnosi).
  6. Mantenere e preservare adeguati comportamenti etici, legali e professionali con i propri assistiti.

Molti anziani con problemi di salute e di autonomia, desiderano esprimere, comunicare i motivi del loro malessere, l’angoscia e il dolore, ma anche la fiducia e la speranza, vogliono parlare di sé, di ciò che pensano e provano (Cesa-Bianchi, 2002; Cesa-Bianchi, Cristini & Cesa-Bianchi, 2000), a volte attraverso un linguaggio da interpretare, in particolare nelle situazioni di declino cognitivo e affettivo (Cristini, 2018a).

L’anziano, specialmente in condizioni di sofferenza psichica, sa cogliere con particolare sensibilità gli atteggiamenti, il linguaggio non verbale delle persone che lo circondano. Ogni vecchio in difficoltà ha l’esigenza essenziale di essere ascoltato, compreso e aiutato: ecco il finis del counseling psicologico-clinico.

L’anziano e le sue fragilità

Non è sempre possibile, ancor più nell’anziano, tracciare una linea di demarcazione fra disturbi somatici e psichici. Peraltro, ogni persona reagisce complessivamente a situazioni di stress e di dolore, fisico o mentale; e nella condizione clinica che ne può derivare, i diversi sintomi risultano spesso interdipendenti e integrati (Cesa-Bianchi & Cristini, 2014).

Alla fragilità dell’anziano si accompagnano in molti casi un senso di malessere, sogni irrealizzati, delusioni, difficoltà relazionali, inquietudini, minore autonomia, assedio dei bisogni, fenomeni involutivi. La storia e il vissuto dell’anziano improntano spesso la sintomatologia, che diviene pertanto il risultato degli effetti del processo morboso, della situazione ambientale, della struttura di personalità, delle esperienze e dello stile esistenziale.

In vecchiaia si possono determinare varie sofferenze: ansia, depressione, apatia, declino cognitivo insorgono e si confrontano tra mondo interiore e ambiente relazionale. Sono espressioni cliniche che connotano il disagio, il dolore dell’anziano e richiedono una peculiare sensibilità umana e professionale.

La comparsa e lo sviluppo di una condizione di fragilità e disadattamento dipendono anche dalla vita trascorsa e dal contesto nel quale l’anziano è inserito. L’incremento della fragilità non si traduce necessariamente in disfunzione o in malattia, ma suggerisce maggiori precauzioni, una più attenta prevenzione, tramite in particolare l’ascolto e il sostegno emotivo, l’intervento di counseling psicologico-clinico.

Le angosce dimenticate dell’infanzia, i conflitti irrisolti dell’adolescenza, le difficoltà negli anni successivi possono ricomparire in vecchiaia. Il sentimento di sicurezza in età senile, legato a salute, autonomia, affetti, condizioni economiche, vita associativa, può essere sottoposto a varie prove e messo in crisi (Cristini, 2004).

Dimenticanze, smarrimenti, confusioni possono accadere in ogni fase della vita, ma sembrano connotare in modo peculiare alcune condizioni dell’età senile. Il declino delle funzioni dinamiche e cognitive rappresenta la smagliatura, lo strappo del margine di protezione, la rottura dell’equilibrio, la difficoltà o l’incapacità a funzionare o a strutturare nuovi modelli organizzativi, nonostante interventi di riparazione e di ricostruzione. Si può frenare, rallentare il decadimento patologico, ma non si riesce ad arrestarlo; è possibile, comunque, anche mediante un appropriato counseling psicologico-clinico offrire la miglior qualità della vita — all’anziano e ai suoi familiari — in una determinata condizione di fragilità e sofferenza.

Le diverse problematiche psicologiche della vecchiaia non sembrano prescindere dalle esperienze passate, fra quanto la memoria riporta o nasconde (Cipolli & Cristini, 2012).

Il progressivo allungamento della vita media modifica le caratteristiche demografiche, sociali, culturali della vecchiaia. Vi sono anziani intraprendenti, creativi, interpreti attivi del loro modo di essere, della loro condizione esistenziale e altri, meno fortunati, che vivono in situazioni di forzata solitudine, inoperosità, non autosufficienza, fisica e mentale.

Nel corso dell’invecchiamento si indeboliscono alcune funzioni, si diventa più fragili nell’organismo, tuttavia più forti di ciò che si è imparato e si continua ad apprendere. Elkhonon Golberg (2005) sostiene che la mente diventa più forte, quando il cervello invecchia.

Si può invecchiare imparando, interpretando l’età senile come un’ulteriore occasione di conoscenza. Per molti anziani, tuttavia, la vecchiaia sembra trasformarsi in un periodo connotato da difficoltà, ostacoli, disadattamenti, sofferenze. I cambiamenti, le perdite, soprattutto affettive, la discriminazione all’interno del gruppo di appartenenza o di riferimento, la sfortuna rischiano di orientare in senso negativo il trascorrere degli anni, facilitando la comparsa di sentimenti depressivi, l’insinuarsi graduale di un declino emotivo e cognitivo che richiedono un ascolto attento e sensibile.

Vari studi hanno dimostrato che il processo di invecchiamento non descrive un percorso uniforme e omogeneo (Baltes, Staudinger, & Lindenberger, 1999; Cesa-Bianchi & Cristini, 2009; Cesa-Bianchi, Cristini, Fulcheri, & Peirone, 2014; Cristini & Cesa-Bianchi, 2019; De Beni, & Borella, 2015; Ghisletta Nesselroade, Featherman, & Rowe, 2002; Ploton, 2003; Trabucchi, 2005).

Esistono tante vecchiaie quanti sono i vecchi.

Il processo di counseling è fondamentalmente un percorso individuale di apprendimento, dell’essere consapevoli di quanto ci accade e si vuole conservare e realizzare, indipendentemente dall’età e dalle condizioni di autonomia e salute. Se da vecchi si è sempre in grado di imparare, di aggiungere e scoprire ricordi, di modificare pensieri, sentimenti, di costruire nuove immagini e rappresentazioni è anche possibile intraprendere un percorso di counseling psicologico-clinico, di conoscenza più approfondita di sé e della vita. Lo scrittore cileno Francisco Coloane, da longevo, desiderava ricordare episodi lontani nei quali fantasia e realtà fossero mescolati. È un’immagine che riporta in particolare al periodo infantile; lo scrittore sembra auspicare una chiarezza complessiva di ricordi e di consapevolezza.

«Depressività» e counseling psicologico-clinico in età senile

Un atteggiamento passivo e depressivo, definito «depressività», si rileva spesso nell’anziano con problemi dell’umore e meno frequentemente in età adulta (Simeone, 2001).

Sul piano psicodinamico, il nodo centrale della deflessione del tono dell’umore, più o meno severa, è rappresentato da vissuti di separazione, da sentimenti di perdita non elaborati. Freud (1915) sostiene che il processo del lutto e la condizione di melanconia presentano molte caratteristiche in comune, fra cui atteggiamenti e reazioni alla perdita di una persona amata. Reazioni e sentimenti depressivi sono di esperienza comune dopo una separazione, una perdita affettiva, un insuccesso, un abbandono; essi corrispondono a quanto si riferisce al lutto. I vissuti depressivi assumono connotazioni cliniche, quando presentano una particolare intensità e perdurano nel tempo, interferendo con le attività e l’ambiente relazionale. L’elaborazione del lutto implica il riconoscimento e l’accettazione di ciò che è accaduto; la persistenza e l’evoluzione di una condizione depressiva sembrano riflettere un avvilimento del sentimento di sé, un mancato superamento della fase di lutto, una peculiare difficoltà ad accettare l’evento e l’esperienza dolorosi, un rimanere inibiti, prigionieri, sopraffatti dalla sofferenza, dal dramma interiore.

L’età senile più di ogni altra fase della vita è caratterizzata da molteplici fattori di disadattamento, come i rischi di perdita e separazioni che possono determinare in alcune persone anziane la comparsa di una depressione clinica, generalmente correlata alle esperienze precedenti (Barucci, 1995). Da vecchi si è più facilmente soggetti a sviluppi depressivi, poiché aumenta la probabilità di subire perdite, di vivere il dolore, l’angoscia di un’assenza, di un riferimento significativo. Il modo in cui si percepisce, si soffre una separazione, temporanea o permanente, è connesso allo stile e alle esperienze di vita, alla personalità, a ciò che si pensa e si sente, al valore che si attribuisce a se stessi e all’esistenza, agli altri, al loro e al proprio divenire.

Il counseling psicologico-clinico può aiutare l’anziano che vive una condizione di depressività, di abbassamento del tono dell’umore a comprendere meglio le ragioni della sua sofferenza, a intravedere nuove opportunità ed eventualmente orientarlo verso interventi più specialistici o integrati.

In età avanzata risulta spesso difficile discriminare — quando si rileva un abbassamento del tono affettivo — fra l’espressione di un vissuto o di una elaborazione esistenziali, la reazione a un recente evento luttuoso e l’instaurarsi di un quadro clinico. Si corre il rischio di trasformare in patologia un sentimento di tristezza, di temporaneo scoraggiamento o rinuncia, una delusione, un dispiacere dovuti a una situazione problematica oppure di sottostimare, di non considerare adeguatamente l’insorgere di una significativa malattia depressiva; un’esperienza dolorosa della vita diventerebbe un disturbo nosografico e la comparsa di una depressione un atteggiamento da banalizzare.

Il counseling psicologico-clinico nell’affrontare i problemi dell’anziano si modula in base alle sue caratteristiche biografiche e di personalità, alle sue esigenze e condizioni, alla struttura dell’ambiente familiare, sociale, culturale, istituzionale nel quale egli vive e a cui si sente più o meno di appartenere.

I sentimenti depressivi e la depressività richiedono un ascolto attivo, la garanzia di una presenza, di un riferimento, interessato e partecipato; può emergere nel prosieguo degli incontri la necessità di un’integrazione o di un trattamento differente. Anche nelle depressioni più importanti, accanto a un trattamento farmacologico, si rivela indispensabile un qualificato supporto psicologico — come può essere un attento counseling psicologico-clinico — per completare e proseguire la cura.

È da sottolineare che i sintomi fisici costituiscono, in età senile, una modalità frequente per esprimere vissuti dolorosi di varia natura e richiedono indagini e controlli psicologico-clinici approfonditi e mirati (Simeone, 1977).

La qualità dell’incontro e dell’interazione fra lo psicologo del counseling e l’anziano in difficoltà rappresenta sempre uno dei fattori di cura più importanti e significativi per definire e orientare l’evoluzione di una situazione problematica.

Nell’anziano può svilupparsi una forma depressiva per le difficoltà incontrate nell’elaborazione di una perdita affettiva, nel «lavoro del lutto» (Freud, 1915, p. 105). Spesso la perdita sofferta riattiva il ricordo di esperienze dolorose dimenticate, non adeguatamente revisionate. Il declino e lo smarrimento del sentimento di sé costituiscono una delle caratteristiche principali della depressività in vecchiaia.

Il counseling psicologico-clinico può aiutare ad accettare, qualora fosse necessario, le modifiche fisiologiche dell’invecchiamento, i cambiamenti relazionali, ambientali e culturali, a ridefinire esigenze, interessi, progetti, a riorganizzare la vita e il suo senso. Anche la disabilità fisica, la sofferenza, la solitudine possono essere progressivamente considerate e vissute in una dimensione dinamica e costruttiva (Simeone & Abraham, 1984).

Nell’anziano si può avere un accumulo di perdite che non permette una sufficiente elaborazione dei lutti sofferti e l’ultima perdita, a volte apparentemente meno rilevante di altre, in realtà si esprime in termini particolarmente dolorosi e irreparabili. I significati del vivere possono modificarsi o emergere con il procedere e il finire dell’età. L’ultima perdita non solo può riattivare problemi non risolti, ridurre o destituire le forze rimaste, ma anche inserirsi nel delicato equilibrio fra ricerca e abdicazione di sé, memoria e oblio (Cristini, Scotuzzi, Guerrini, & Ploton, 2013). Un trattamento come il counseling psicologico-clinico, peraltro non molto diffuso, può aiutare a ritrovare e chiarire ricordi, a comprendere quanto sta accadendo, ad aprire nuove prospettive.

Un valido supporto di counseling può consentire all’anziano un riadattamento del modo di pensare e di considerare la vita e i suoi progetti. A volte è possibile riattivare e ridefinire conflitti irrisolti, permettere in alcuni casi un confronto con l’angoscia di morte, con la sofferta dialettica con il proprio invecchiare e il suo compimento.

L’apprendimento a invecchiare diventa essenziale, anche se per alcuni individui appare problematico. Invecchiare è innanzitutto accettare «che si invecchia», il suo prospettarsi e realizzarsi, anche quale fattore protettivo di una depressività complicata. Scrive Simone de Beauvoir (1971, p. 15): «Nell’avvenire che ci aspetta è in gioco il senso della nostra vita; non sappiamo chi siamo, se ignoriamo chi saremo: dobbiamo riconoscerci in quel vecchio, in quella vecchia; è necessario, se vogliamo assumere nella sua complessità la nostra condizione umana». Invecchiare è non aver paura di invecchiare. Invecchiare è anche imparare a morire. Sostiene Lucio Anneo Seneca nel De Brevitate Vitae (1993, p. 35): «Per imparare a vivere ci vuole una vita intera, ma la cosa più sorprendente è che per tutta la vita bisogna imparare a morire», e riprende Leonardo da Vinci nel Codice Atlantico (1993, p. 31): «Quando crederò di imparare a vivere, imparerò a morire».

Imparare a invecchiare e a morire è concepire l’età senile con i suoi vantaggi e svantaggi. Purtroppo, molte persone, invecchiando, non vedono e non vivono che gli svantaggi, specialmente chi, nella vita, ha sempre confuso l’essere e l’avere, l’essere e l’apparire (Fromm, 1977; Simeone, 2001). In questa confusione sempre più frequente nei tempi moderni, la paura di invecchiare sembra dominare l’ultima età della vita, e non raramente la vecchiaia viene vissuta come un destino immeritato, a volte come una persecuzione e un castigo. Forse una finalità ontologica dell’invecchiare concerne il divenire, l’emergere e il realizzarsi dell’essere.

L’età senile, come l’adolescenza, può costituire una crisi del divenire (Van der Borght, 1976). I fenomeni di accrescimento e quelli di invecchiamento «costituiscono due modalità del processo di sviluppo», sostiene Cesa-Bianchi (1987, p. 10)

Counseling psicologico-clinico nell’anziano: contenuti e interventi

L’invecchiamento di per sé non giustifica uno stato di tristezza, di disagio, di depressività; a volte si attribuiscono all’età senile, in quanto tale, le ragioni delle varie difficoltà dell’esistenza, pregresse e attuali, l’ineluttabilità di un destino, i sentimenti di inadeguatezza, di delusione e sconfitta, il vissuto doloroso delle perdite. La vecchiaia è spesso considerata in termini di amarezza, rinuncia e declino e raramente come acquisizione e realizzazione: l’altra o forse l’unica verità ontologica dell’invecchiare.

Nel counseling psicologico-clinico dell’anziano ricorrono come contenuti i sentimenti di perdita, la condizione di solitudine, il problema narcisistico, la crisi di identità, i disturbi sessuali, l’indebolimento psichico, i cambiamenti del ruolo sociale, il senso di vuoto affettivo, la diminuita autostima, la paura della disabilità, fisica e mentale, l’angoscia della morte (Balier, 1979; Cristini, 2018b; Ploton, 2003).

In vecchiaia, più che in altre età della vita, si verificano esperienze di perdita che richiedono un processo di elaborazione, di lutto. Invecchiare è un po’ come il lutto di se stessi vissuto nel quotidiano (Simeone, 2001). Molte persone diventano particolarmente ansiose, si deprimono o rifiutano la comparsa di irrilevanti sintomi o lievi difficoltà. Ci sono anziani che compensano la perdita con la ricerca di nuovi investimenti affettivi e creativi, con la scoperta di attività e impegni; in altri la perdita attuale riattiva, fa riemergere quelle pregresse, all’epoca non tollerate e non adeguatamente elaborate. Ciò che viene a mancare non è sostituito da nuovi interessi. La nostalgia e il dolore di quanto perduto rischiano di svalutare e inibire ogni curiosità nei confronti di altre prospettive e organizzazioni dell’avvenire, di ricercare nuove esperienze relazionali; i processi di separazione e di ricostruzione di legami caratterizzano spesso i passaggi della crescita, esprimono una tendenza verso l’autonomia, e sembrano presentarsi maggiormente, anche in modo drammatico, in alcuni periodi della vita, come in vecchiaia.

Il counseling psicologico-clinico può diventare indispensabile per contenere e comprendere le frustrazioni, le angosce connesse alle perdite, per facilitare il lavoro del lutto, per riprendere o riscoprire l’esperienza positiva del vivere, per favorire e sostenere l’autostima, il valore di sé e delle proprie capacità creative e di resilienza.

Mediante la presenza attiva, costante e rassicurante dello psicologo del counseling, il vecchio potrà accettare, «farsi una ragione» delle perdite, senza sentirsi solo, disperato e abbandonato.

Nell’anziano il desiderio di capire sembra assumere particolari valenze: conoscersi ed essere soddisfatto di sé prima che non sia troppo tardi, come se il compimento della vita ristabilisca una gerarchia di urgenze, necessità e valori esistenziali. La prossimità del finire richiama l’essenzialità e il significato delle proprie esperienze, il senso e la realizzazione di sé, la tendenza a vivere l’ultima espressione del processo creativo (Cristini, Cesa-Bianchi, Cesa-Bianchi, & Porro, 2011).

Una caratteristica e una complicanza del trattamento psicologico nell’anziano è costituita dall’emergenza dei problemi somatici — più frequenti con il progredire dell’età avanzata e nei vecchi istituzionalizzati (Cristini, Simeone, & Fulcheri, 2018). La malattia, il malessere fisico possono comparire sulla scena relazionale; si evidenzia ancora l’importanza di terapie integrate, di una rete interdisciplinare di supporto. Lo psicologo clinico del counseling — specialmente se si occupa dell’anziano — deve necessariamente prevedere interazioni e collaborazioni con altri professionisti della salute.

Un aspetto sempre da considerare riguarda l’idea, più o meno consapevole, che lo psicologo del counseling ha dei vecchi e della vecchiaia, oltre che del suo proprio invecchiare. Sappiamo che i pensieri, soprattutto quelli inconsci, orientano, determinano le modalità comunicative e relazionali e possono influenzare significativamente il processo di aiuto (Cristini, 2020).

È necessario a volte superare i pregiudizi che considerano la vecchiaia in termini esclusivamente negativi. Le interazioni con i genitori, i nonni, gli anziani che si conoscono o si sono conosciuti, i significati attribuiti all’età senile e alla prospettiva della propria vecchiaia, contribuiscono a formare il «modello d’aiuto» dello psicologo clinico del counseling e stabilire la tecnica e il livello di intervento più consoni.

Counseling psicologico-clinico e ascolto dell’anziano

Una delle funzioni principali del counseling psicologico-clinico è l’ascolto partecipe. Per aiutare è necessario comprendere e per comprendere è necessario saper ascoltare.

In ogni comunicazione interpersonale e specialmente in quella fra lo psicologo clinico del counseling e l’anziano in difficoltà assumono una particolare valenza il tempo, la disponibilità e la capacità dedicati alla funzione dell’ascolto.

Lo sviluppo, la qualità, l’efficacia di un’interazione, di uno scambio di messaggi, informazioni sul registro cognitivo e/o affettivo dipendono in gran parte dalle modalità di ascolto, di interesse che si pongono verso il racconto, le parole, le espressioni dell’anziano.

Più concretamente e approfonditamente si ascolta un vecchio e maggiormente si è in grado ci comprendere quanto egli ci sta dicendo — in termini di motivazioni, aspettative riguardo al colloquio, di eventuali problematiche riferite — e anche quanto vi può essere di nascosto o inespresso nelle comunicazioni verbali e non. Un ascolto attento, sensibile può meglio chiarire la domanda (o le domande) che l’anziano ci rivolge, nelle sue forme esplicite e implicite, facilitare la comprensione dei contenuti esposti, delle modalità e strategie comunicative impiegate e consentire risposte più appropriate (Cristini, 2018c).

L’ascoltare riflette un atteggiamento dell’animo umano, una tendenza all’aprirsi all’incontro con l’anziano, con le sue emozioni, le sue difficoltà, la sua storia, la sua diversità, le sue aspettative. Nelle relazioni di aiuto, come è specificamente il counseling psicologico-clinico (Di Fabio, 2002; 2003; Fulcheri & Torre, 2001) — specialmente nelle situazioni di sofferenza mentale —, l’ascolto è uno strumento irrinunciabile.

È la qualità dell’ascolto a costruire e sviluppare una relazione propositiva, efficace di sostegno, a differenziarne valore e senso. Ma che cosa significa ascoltare un vecchio? Che cos’è l’ascolto? Indubbiamente è una modalità, una funzione che richiede attenzione, interesse, partecipazione emotiva, comprensione della vicenda umana di una persona anziana, implicante la disponibilità a offrire un aiuto, il più adeguato possibile.

L’ascolto non viene da sé, non cade dal cielo, ma lo si cerca e lo si impara, gradualmente. È un processo che si svolge nel tempo, è un’acquisizione continua, progressiva che si realizza attraverso l’esperienza relazionale, intersoggettiva (Cristini, 2013).

Il modo, il sentimento dell’ascoltare rappresentano spesso lo specchio, il riflesso manifesto, diretto dell’interesse, delle motivazioni che hanno portato un individuo a compiere una scelta, a decidere di fare e di essere un professionista della salute, un psicologo clinico del counseling, a trovarsi, in quella determinata situazione, a interagire con una persona anziana (o a un gruppo di anziani o ai loro familiari) che esprime con le parole, gli atteggiamenti, i silenzi quello che pensa e prova.

Se non si ascolta attentamente non si trovano neppure le parole più adatte per comunicare. Chi non sa ascoltare, spesso non sa nemmeno adeguatamente rispondere. Scriveva Eraclito da Efeso nei Frammenti che ci sono pervenuti (1992, p. 41): «Ascolto non danno, dire non sanno».

Ascoltare e comprendere rappresentano la cartina tornasole della lealtà, dell’autenticità relazionale e comunicativa di ogni operatore della salute. Le modalità dell’ascoltare traducono la disposizione, attestano la «verità» del proprio agire, costituiscono la chiave del percorso di aiuto, delle sue aperture e sviluppi o dei suoi impedimenti e rinunce.

L’ascolto dell’anziano, in particolare se sofferente, non si improvvisa, ma lo si può apprendere, giorno dopo giorno. Non si dovrebbe disporsi ad ascoltare solo quando se ne ha voglia o non si ha altro da fare, per riempire in qualche modo le ore e sentirsi a posto con la coscienza, ma anche e forse soprattutto quando appare faticoso, problematico; è spesso in queste situazioni che si ampliano e si approfondiscono i contenuti, il senso e le esperienze dell’ascoltare.

Secondo un detto popolare «chi sa ascoltare… dopo un po’ finisce con l’imparare qualcosa». Ascoltando un anziano, le sue parole e i suoi silenzi, si impara qualcosa di ciò che lo riguarda e di se stessi, dell’interazione, di quanto vi scorre, in termini di esperienze, storie che si raccontano, si incontrano e talvolta cambiano.

Ma che cosa si ascolta e perché? L’ascolto non si inventa. Si ascolta ciò che il vecchio dice, ma anche cogliendo i suoi comportamenti, le sue espressioni non verbali. Si ascolta per capire, per comunicare, per trovare la risposta più appropriata. Si ascoltano le parole, si recepiscono gli atteggiamenti, la postura, il non detto, il silenzio, l’atmosfera relazionale, ciò che passa, trasmette l’anziano, oltre le sue dichiarazioni verbali, ciò che avverte dentro di sé chi ascolta. Ogni processo di ascolto è diverso da un altro, poiché differenti sono le persone, i dialoghi e i loro contenuti, le relazioni, i contesti sociali e culturali.

L’ascolto, come ogni altra disponibilità relazionale, richiede apprendimento, esercizio, sensibilità.

Talora le persone anziane in difficoltà, specialmente se vivono in condizioni di isolamento, di scarsa stimolazione e interazione hanno un particolare desiderio e molte cose da raccontare. La tipologia, la qualità dell’ascolto riflettono spesso i contenuti e la validità della comunicazione. Si ascolta in genere quanto si è in grado di ascoltare, di recepire e accogliere nella propria dimensione emotiva, esperienziale, culturale. Come è possibile ascoltare e comprendere le esigenze, i turbamenti, i desideri, le aspettative di una persona anziana se il suo racconto richiama le oscurità e i vincoli emotivi di chi ascolta?

La disponibilità a un ascolto attento e rispettoso rappresenta una premessa indispensabile per consentire un via libera alla parola, alla narrazione, per costruire e raggiungere una condizione di empatia relazionale che facilita l’espressione e la comunione autentica di contenuti di particolare intensità e significato, promuove l’intesa e l’esperienza comunicativa. Ascoltare è comprendere e sentire, media e orienta la narrazione.

Ascoltare distrattamente, frettolosamente tende a inibire, a limitare le intenzioni verbali e la motivazione al raccontare, a esprimere qualcosa di sé, della propria vita. Se quando si ascolta si guarda per esempio di frequente l’orologio, o ci si distrae facilmente, o si fanno contemporaneamente altre cose, anche interrompendo la conversazione, come rispondere al telefono, inviare messaggi con il cellulare, leggere, scrivere o stampare saltuariamente qualcosa, prestare attenzione al computer, guardare altrove, manifestare segni di impazienza, di provvisorietà — anche uno solo di questi atteggiamenti, soprattutto se ripetuto — si possono seriamente ostacolare, se non vanificare l’efficacia e il valore di un intervento, di una relazione e determinare o accentuare le difficoltà per realizzare altre esperienze, interazioni positive. Scriveva Plutarco in L’arte di ascoltare (p. 31):

Ci sono alcune regole, norme di comportamento, generali e comuni, da seguire sempre in ogni ascolto, anche quando l’esposizione non appare efficace. Innanzitutto, si deve stare seduti con una postura corretta; lo sguardo deve essere rivolto verso chi parla, con un atteggiamento di sincera attenzione; l’espressione del volto deve essere rilassata, in modo da non trasmettere senso di superiorità o insofferenza, né tradire altri pensieri o preoccupazioni. In ogni opera d’arte la bellezza deriva dalla simmetria e dall’armonia, quando vari fattori si combinano in misura appropriata; e così il brutto si determina, si evidenzia all’istante quando un elemento manca o viene aggiunto fuori luogo. Analogamente accade con l’ascolto: non solo un’espressione del volto accigliata o annoiata, uno sguardo vago e distratto, una postura scomposta e le gambe male accavallate sono da evitare, ma anche un cenno o un bisbiglio a un altro, un sorriso, uno sbadiglio, lo sguardo sempre abbassato o altri gesti e atteggiamenti simili.

Si dovrebbe sempre avere la pazienza, la costanza di ascoltare anche quando il racconto non appare coinvolgente e interessante o in qualche modo infastidisce, annoia e disturba.

Lo spazio dell’ascolto può rappresentare una nuova opportunità, una finestra aperta sul mondo interiore di una persona, sulla sua storia, su quanto la affligge o desidera acquisire.

Un anziano può aver bisogno di molto tempo per raccontare e raccontarsi, deve percepire intorno a sé un clima di fiducia, di condivisione, di reale interesse, deve sentirsi accettato, libero dai pregiudizi altrui. Un vecchio, spesso non avverte la differenza di anni con un’altra persona che lo sa ascoltare, se l’età non rappresenta un ostacolo allo stesso interlocutore. Molti individui non riferiscono alcune storie, episodi della loro vita, peculiari esperienze poiché non avvertono un vero interesse in chi ascolta o temono di non essere pienamente compresi. Talvolta essi interrompono o cambiano discorso poiché percepiscono atteggiamenti di disagio, inadeguatezza o poca partecipazione in chi dovrebbe ascoltare.

Le persone anziane, emarginate, sole, malate o inabili, desiderano generalmente parlare di sé e sanno esprimere nell’intimità di un colloquio i dubbi, le passioni, i tormenti, le speranze, i valori e il senso del loro incedere esistenziale. Ogni racconto si modula sulle capacità di un ascolto attento e sensibile dell’interlocutore; spesso i limiti, le strettoie, le vie e gli spazi di una comunicazione sono tracciati dalle caratteristiche verbali e non verbali dell’interazione. Nell’ascolto sono fondamentali il rispetto, la pazienza, la gentilezza, la curiosità di conoscere per comprendere.

Ascoltare una persona anziana, in difficoltà, è imparare qualcosa di più sull’animo umano, ostacolato a volte dalle forme e dalle diversità, ma impegnato nella difesa dell’essenza, della dignità e del senso civile della vita, oltre ogni maschera e limitazione.

L’ascolto della parola o dei suoi silenzi si configura in una dimensione di crescita, di trasformazione, di cambiamento attraverso la compartecipazione alle esperienze altrui (Cesa-Bianchi, 2013; Cristini, 2013).

Il servizio di counseling, l’ascolto devono essere rivolti anche alla famiglia della persona anziana in difficoltà. Non raramente i familiari sono affaticati, provati da una impegnativa e prolungata assistenza e richiedono, anche se spesso non lo fanno esplicitamente, sostegno e comprensione. La famiglia, specialmente nell’ambito dell’aiuto domiciliare, rappresenta una risorsa utile, indispensabile per governare e gestire la situazione, ma può anche costituire un gruppo a rischio che ha bisogno di essere guidato, accompagnato.

Una peculiare attenzione, per evitare atteggiamenti impropri, intromissioni inopportune, schieramenti aprioristici, deve essere posta alle interazioni e alle dinamiche familiari, in altri termini ai ruoli e funzioni, al clima relazionale, alla qualità e alle modalità comportamentali e comunicative fra i diversi congiunti. Non vi sono condotte o scelte prestabilite, ma situazioni da esaminare, valutare, comprendere, aiutare.

Conclusioni

In età senile, più che in altre epoche, si evidenzia l’interazione fra fattori psicologici, biologici, ambientali e culturali (Giardina, 2019); è necessaria una comprensione globale dei disturbi, della sofferenza espressa per valutare e applicare adeguatamente gli strumenti di aiuto. Il counseling psicologico-clinico nell’anziano riguarda sia i contenuti presenti anche nei trattamenti dell’adulto, sia i problemi specifici dell’età avanzata. Inoltre, la ricomparsa di antiche sofferenze si intreccia con le difficoltà attuali, pratiche ed esistenziali.

Il counseling psicologico-clinico nell’anziano implica una dialettica differente — rispetto a quella elaborata con le persone più giovani — relativamente a determinate tematiche: la solitudine, la ridotta aspettativa di vita, la rilevanza somatica, l’accumulo delle perdite, la paura della disabilità, del dolore e della morte. Allo psicologo clinico del counseling viene richiesto un atteggiamento olistico, un impegno e uno sguardo complessivo sulla salute e sull’arco di storia dell’anziano.

Lo psicologo del counseling diventa il referente, l’interlocutore privilegiato attraverso il quale il vecchio si può confrontare e riconsiderare. Nel processo di counseling psicologico-clinico con un anziano in difficoltà possono riemergere le esperienze vissute, riordinarsi i ricordi e la loro trama narrativa. Sono numerosi e in aumento i vecchi attivi, liberati dagli impegni di lavoro e familiari, tipici della vita adulta, da vincoli culturali del passato, fiduciosi delle proprie capacità creative e che sanno esprimere e realizzare aspettative e progetti (Cesa-Bianchi, 1998; 2002; 2006; Cristini & Cesa-Bianchi, 2019; Hillman, 2000). Anziani che intendono vivere, imparare, affrontare serenamente la loro vita e il loro destino se ne conoscono sempre di più. Il counseling psicologico-clinico può rappresentare un’opportunità per chi invecchia o per chi assiste un anziano con problemi.

Il counseling psicologico-clinico consente di affiancare, accompagnare, sostenere l’anziano in difficoltà nel suo cammino esistenziale. L’invecchiare serenamente è un diritto umano e civile per chiunque, anche se per molti, per vari motivi, risulta difficile, complicato.

Chi invecchia angustiato, appesantito da vicende dolorose, da ricordi spiacevoli, da condizioni frustranti, dal prevalere di sentimenti di delusione, tristezza, angoscia, smarrimento, rabbia, disperazione può sempre sperare di ritrovare forza e fiducia in se stesso mediante un trattamento, un supporto specifico, quale il counseling. Si può e si dovrebbe concludere l’esistenza in modo sereno, liberi dalla sofferenza, fisica e morale, senza sentirsi soli, abbandonati, angosciati, depressi. Un valido counseling psicologico-clinico permette di comprendere, a chi la sta vivendo, la sua ultima esperienza — definita anche come l’ultima creatività — gli stati d’animo che la caratterizzano, di proseguire consapevole fino al termine, di ricomporre le memorie, il senso e il valore di sé, di riconciliarsi con la vita e ciò che si è stati.

In vecchiaia e verso il suo finire prosegue l’avventura esistenziale dell’essere umano, con le sue ragioni, i suoi sentimenti, la sua storia. La conoscenza di sé e della vita non termina alle soglie di un’età, ma continua attraverso ogni tempo vissuto e da vivere, da soli, in compagnia, a volte con l’aiuto di qualcuno che sappia ascoltare, capire, aiutare.

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1 Professore Ordinario di Psicologia Dinamica, Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali, Università degli Studi di Brescia.

2 Professore Ordinario fuori ruolo di Psicologia Clinica, Università degli Studi «Gabriele d’Annunzio» Chieti-Pescara.

3 Full Professor in Dynamic Psychology, Department of Clinical and Experimental Sciences, University of Brescia.

4 Untenured Professor in Clinical Psychology, D’Annunzio University of Chieti-Pescara.

 

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