Test Book

Interviste
Interviews

a cura di Annamaria Di Fabio

Università degli Studi di Firenze



Luca Tamassia - Esperto in processi valutativi e selettivi nella Pubblica Amministrazione

 

 

1) Come esperto nazionale dei processi di selezione, quale scenario intravede attualmente in Italia alla luce del vigente quadro normativo?

 

Il sistema selettivo nel nostro Paese, per quanto attiene all’assetto dei meccanismi valutativi per l’accesso ai ruoli pubblici e privati, non è certamente fondato su basi scientifiche, essendo, per lo più, fulcrato su aspetti relativi a conoscenze personali, all’acquisizione di informazioni dirette e indirette e a momenti di valutazione empirica per ciò che concerne il reclutamento nelle organizzazioni private, mentre, per ciò che riguarda il sistema pubblico, il momento di accesso al lavoro è ancora dominato da logiche formali e burocratiche, ben lontano dai meccanismi che, viceversa, dovrebbero orientare gli strumenti di scelta delle migliori professionalità necessarie.

Nel sistema pubblico in particolare, tuttavia, qualcosa si muove, in quanto recenti provvedimenti governativi di indirizzo, operanti indistintamente per tutti gli ambienti pubblici, impongono comportamenti valutativi, nell’approccio selettivo, certamente diversi e più moderni, coerenti con una realtà, la Pubblica Amministrazione, che deve indirizzare i propri meccanismi di gestione verso culture nuove, non solo più moderne, ma certamente più efficaci, soprattutto nel momento più rilevante e delicato dell’investimento sulle risorse umane, come chiaramente emerge in relazione al momento di ricerca e d’ingresso delle professionalità da acquisire.

Recentemente, infatti, la direttiva governativa del Governo italiano sul piano dei fabbisogni di personale, approvata con decreto ministeriale dell’8 maggio 2018, ha prescritto, espressamente, che tutte le amministrazioni pubbliche debbano rideterminare il contenuto dei profili professionali in atto nel proprio contesto organizzativo, stabilendo, in particolare, che le amministrazioni debbano individuare i profili professionali in coerenza con le funzioni (missioni) che sono chiamate a svolgere, della struttura organizzativa, dei processi e, non da ultimo, delle relazioni interne ed esterne e del codice etico e comportamentale. I profili professionali, pertanto, dovranno tenere conto del grado di responsabilità connesso a ciascuna posizione e, quindi, del posizionamento all’interno dell’organizzazione, delle relazioni richieste, delle attività da svolgere, degli strumenti da utilizzare (job description).

L’atto di indirizzo, prosegue imponendo di definire le competenze richieste per ciascun profilo professionale in relazione alle conoscenze, alle capacità e alle caratteristiche comportamentali.

La corretta individuazione dei profili professionali consente, poi, nella fase del reclutamento, di avere migliori strumenti per selezionare le risorse umane adeguate e per meglio finalizzare la scelta dei candidati.

L’ulteriore atto d’indirizzo adottato dal Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che detta prescrizioni nell’ambito dell’esperimento delle procedure concorsuali, di cui alla direttiva n. 3 del 24 aprile 2018 in materia di «Linee guida sulle procedure concorsuali», integrando le finalità della rilevazione delle competenze nell’ambito dell’attività revisionale di profili professionali, espressamente ha previsto che il concorso debba essere finalizzato a valutare non solo la preparazione, ma anche le capacità e le competenze.

Le domande, dunque, afferma la direttiva governativa, non dovrebbero essere prevalentemente volte a premiare lo studio mnemonico, ma dovrebbero includere sia quesiti basati sulla preparazione (generale e nelle materie indicate dal bando), sia quesiti basati sulla soluzione di problemi, in base ai diversi tipi di ragionamento logico, deduttivo, numerico, con ciò stesso esplicitando la ratio dell’obbligo di ricognizione delle competenze quale contenuto fondamentale della costruzione dei profili professionali in un ambito pubblico organizzato, creando i presupposti per impostare sistemi di valutazione selettiva nel contesto delle procedure concorsuali pubbliche non limitati alle mere conoscenze teoriche, spessore di cognizioni del tutto inadeguato a rappresentare l’idoneità ad assumere un ruolo nel contesto dell’amministrazione pubblica, bensì estesi ad accertare le componenti delle capacità soggettive e dei comportamenti personali, indagando, con appropriati strumenti di rilevazione, gli aspetti di propensione individuale che, soli, possono fornire il quadro di adeguatezza dell’individuo a rivestire una posizione funzionale nel contesto organizzativo pubblico, secondo la logica che chi sa non sempre è in grado di ricoprire un ruolo.

Questo dovrebbe essere il futuro, prossimo e non anteriore, delle organizzazioni produttive, sia pubbliche che private, ma soprattutto le prime avrebbero concretamente la necessità di una radicale rifondazione dei sistemi di recruiting per migliorare immediatamente i livelli di qualità erogativa dei servizi istituzionali.

 

 

2) Quali possono essere i contributi di rilievo che la psicologia del lavoro e delle organizzazioni può offrire in questo contesto?

 

La psicologia del lavoro in un contesto di forte modernizzazione e di conseguente rilancio dei sistemi produttivi, sia privati, ma ancor più pubblici, può dare un contributo determinante e fondamentale, sia in termini qualitativi che di sviluppo e diffusione culturale. L’errore più comune, negli ambienti di produzione di beni e servizi, è quello di sottovalutare l’apporto d’inimmaginabile utilità che la psicologia offre, applicando, al mondo del lavoro organizzato, tecniche, esperienze, metodologie e culture senza le quali risulta pressoché impossibile scongiurare errori e prospettive distorte, con conseguenti fenomeni di diseconomia produttiva e distonie organizzative difficilmente fronteggiabili, oltre che particolarmente onerose.

La professionalità di elevata specializzazione che questo sistema offre al mondo organizzato ancora non è percepita adeguatamente, né si avverte la profonda utilità che una scelta corretta nel momento genetico del rapporto di lavoro è in grado di originare al sistema produttivo. Se solo si pensi che nell’attuale realtà pubblica le organizzazioni ancora si affidano, nel processo di selezione delle professionalità, al solo sapere astratto e non sono assolutamente in grado di valutare attitudini, propensioni, motivazioni, tensioni e compulsioni che determinano l’individuo a un determinato ruolo funzionale nell’organizzazione, si comprende perfettamente come il nostro ambiente dei servizi pubblici sia, nella gran parte dei casi, del tutto inefficiente e inadeguato a fornire risposte idonee ed efficaci a favore di un’utenza in repentina crescita culturale, oltre che sempre più orientata a fondate pretese di qualificazione dei servizi e di adeguatezza delle relative prestazioni.

In questa realtà fallimentare, pertanto, il ruolo della psicologia applicata agli assetti organizzati appare del tutto imprescindibile e chi non lo comprende si collocherà, per sempre, ai margini di un sistema produttivo incapace di fornire idonei livelli di prestazioni, scivolando verso la china dell’improduttività, dell’inefficienza e della diseconomicità produttiva, malessere ben conosciuto e ben diffuso nell’ambiente pubblico.

Peraltro il nostro Paese vanta sicure eccellenze nel campo dei sistemi di psicologia del lavoro, eccellenze che non hanno certamente nulla da invidiare ai Paesi più industrializzati e che, viceversa, non di rado costituiscono punti di riferimento, sia nella ricerca che nell’applicazione pratica, di metodi, culture e innovazioni che il nostro Paese dovrebbe per primo sfruttare in modo massivo.

Il supporto che oggi viene richiesto, infatti, non è solo limitato a episodici momenti di applicazione e di accompagnamento nella gestione della ricchezza umana, ma sempre più si avverte la necessità di strutturare percorsi in grado di trasferire tecniche e culture finalizzate, in modo tale che i saperi e le loro applicazioni possano rappresentare patrimonio di un contesto sempre più allargato, trasferendo, nella «borsa degli attrezzi» dei gestori di risorse umane, gli strumenti di valutazione che siano in grado di supportare tutto il ciclo di gestione dei ruoli professionali, dall’ingresso, alla valorizzazione, dalla premialità, alla formazione.

In questo scenario, infine, risulta fondamentale l’apporto qualitativo e didattico degli Atenei nel nostro Paese, punto di riferimento per la ricerca e la divulgazione dei meccanismi di modernizzazione più avanzati, il cui apporto appare, soprattutto in questa fase di lancio, del tutto necessario.

 

 

3) Quali suggerimenti, come testimone privilegiato, può proporre a vari livelli organizzativi di gestione dei sistemi pubblici e privati, in relazione ai processi di selezione e valutazione per una nuova stagione ancorata ai principi scientifici del XXI secolo?

 

Il suggerimento principale che ritengo di poter offrire, il quale, peraltro, emerge anche dalle precedenti considerazioni, è sintetizzato in un’icona: il costo di un adeguato investimento sulla risorsa umana non varrà mai la spesa sostenuta per fronteggiare l’incapacità e l’inettitudine a un ruolo. Questo significa che occorre imboccare, coraggiosamente, definitivamente e in modo deciso, il percorso di valorizzazione della risorsa umana sin dal momento d’ingresso all’interno del sistema produttivo, operando quell’investimento, in termini di adeguatezza del processo selettivo e valutativo, che valga a scongiurare il rischio, sempre elevato, d’incorrere nell’errore selettivo e di opzione.

Per fare ciò, tuttavia, appare inevitabile affidarsi a selezionatori esperti e professionalizzati, in grado di valutare il quadro delle competenze rispetto al ruolo produttivo da interpretare, uscendo dalla logica delle conoscenze personali o, peggio, come avviene ancora oggi nel mondo pubblico, delle conoscenze apparenti o dei saperi astratti, visione del tutto miope e pregiudizievole del sistema produttivo, estendendo, quindi, la valutazione alla profondità delle capacità e dei comportamenti, le sole dimensioni in grado di svelare veramente l’adeguatezza alla funzione produttiva che intendiamo acquisire.

In questo orizzonte d’intervento, quindi, occorre che i sistemi si affidino sempre più, rispetto a quanto avviene oggi, alle metodiche e alle tecniche di approccio psicologico, il solo in grado di scrutare le attitudini più profonde e di individuare il migliore portatore di queste, nell’interesse del sistema economico e di quello pubblico.

Non comprendere l’utilità e la fatalità di tale percorso, equivale a non aver ancora compreso i propri bisogni o aver avvertito particolari esigenze, ma non saperne interpretare correttamente le soluzioni, probabilmente per una diffusa e infondata convinzione dell’autosufficienza organizzativa e di scetticismo limitativo che non contribuiscono alla diffusione di culture innovative e certamente utili o, meglio, necessarie al sistema privato come a quello pubblico.

L’esigenza è quella di perseverare nell’approccio culturale e metodologico che abbia alla base la cultura psicologica applicata, di cui la psicologia del lavoro e delle organizzazioni nel nostro Paese ha storie scientifiche di eccellenza e nel presente ha testimonianze di grande respiro scientifico e internazionale su tali tematiche. La cultura psicologica applicata, è la sola, oggi, in grado di assicurare un vero rilancio industriale e una spinta decisiva all’evoluzione dell’apparato pubblico, ancora troppo ancorato alle burocrazie più retrive e poco aperto ai veri contributi d’innovazione. Ma il tempo è dalla nostra parte e la pazienza non ci manca. Vivremo la nostra mission di divulgatori di culture con il massimo impegno e la più forte abnegazione, auspicando quel cambiamento che ci accomuna nelle nostre speranze e che ci unisce nelle nostre passioni.

 

 




Note

1 A

© 2017 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
ISSN 2421-2202. Counseling.
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