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Studi e ricerche / Studies and research

L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile: sfide e prospettive future
The Italian Alliance for Sustainable Development: future challenges and perspectives

Carla Collicelli

CNR-Itb, Institut for biomedical technologies



Sommario

Il contributo esamina gli obiettivi e le prospettive dell’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile dal suo nascere, nel 2016, ad oggi. In modo particolare si rende conto delle azioni messe in campo per stimolare una strategia italiana per l’attuazione dell’Agenda 2030 dell’Onu e dei relativi ostacoli. Un’attenzione particolare viene dedicata all’Obiettivo nr. 3 (Salute e benessere per tutti a tutte le età) e ai ritardi e inadempienze del sistema Italia.

Parole chiave

sviluppo sostenibile; Agenda ONU 2030; ASviS.


Abstract

The article examines the objectives and perspectives of the Italian alliance for sustainable development since its founding in 2016 until now. In particular, the contribution analyses the actions launched to stimulate an Italian strategy for implementing the UN 2030 Agenda and related obstacles. Special attention is dedicated to Goal n. 3 (Health and wellbeing for all at all ages) and to the delays and non-compliances of the Italian socio-economic system.

Keywords

sustainable development; Un 2030 Agenda; ASviS.


L’Agenda ONU 2030

 

L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) nasce il 3 febbraio 2016, su iniziativa dell’Università di Roma “Tor Vergata” e della Fondazione Unipolis, con lo scopo di promuovere una strategia italiana di avanzamento nella direzione della realizzazione dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile al 2030 (SDGs), lanciati dall’Onu per l’intero pianeta il 25 settembre 2015 e sottoscritti anche dall’Italia (UN 2015). I 17 obiettivi, i 169 sotto-obiettivi e le centinaia di indicatori, stilati dal consesso Onu, affrontano in maniera integrata temi che vanno dalla lotta alla povertà e alla fame alla promozione della pace e delle parità di genere, dall’ambiente all’occupazione, dallo sviluppo urbano alla cooperazione internazionale, dall’innovazione all’educazione.

Questi gli obiettivi:

  1. Porre fine a ogni forma di povertà nel mondo.

  2. Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile.

  3. Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età.

  4. Fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva e opportunità di apprendimento per tutti.

  5. Raggiungere l’eguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze.

  6. Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie.

  7. Assicurare a tutti l’accesso all’energia a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni.

  8. Incentivare una crescita economica, duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e un lavoro dignitoso per tutti.

  9. Costruire un’infrastruttura resiliente e promuovere l’innovazione e un’industrializzazione equa, responsabile e sostenibile.

  10. Ridurre le disuguaglianze all’interno e fra le nazioni.

  11. Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili.

  12. Garantire modelli sostenibili di produzione e consumo.

  13. Adottare misure urgenti per combattere i cambiamenti climatici e le loro conseguenze.

  14. Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile.

  15. Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, gestire sensibilmente le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e far retrocedere il degrado del terreno, e fermare la perdita di diversità biologica.

  16. Promuovere società pacifiche e più inclusive per uno sviluppo sostenibile, offrire l’accesso alla giustizia per tutti, e creare organismi efficaci, responsabili e inclusivi a tutti i livelli.

  17. Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile.

Le motivazioni sulle quali si fonda la definizione degli obiettivi dell’Agenda Onu 2030 sono molto chiare e riguardano “i mali” incombenti della modernità, che pregiudicano seriamente lo sviluppo futuro e il benessere delle future generazioni. “Il futuro che non vogliamo” è uno dei motti dell’Agenda, che denuncia il livello di insostenibilità raggiunto nei diversi ambiti della nostra vita collettiva, a livello mondiale come a livello locale:

  • innanzitutto il rallentamento progressivo della crescita economica misurata secondo gli standard ufficiali, che comporta una sempre minore disponibilità di risorse materiali e immateriali per affrontare i problemi e per finanziare gli interventi necessari, ma anche e soprattutto la crescita continua delle disuguaglianze sociali, non solo tra aree diverse del pianeta, ma anche all’interno di contesti nazionali e locali ristretti, con perdita del potere d’acquisto per molte fasce del cosiddetto ceto medio, aumento della povertà relativa e assoluta e progressivo allargarsi della forbice delle differenze tra ricchi e poveri;

  • la gravità crescente dei cambiamenti climatici, il surriscaldamento del pianeta, l’incidenza sempre maggiore di disastri ambientali;

  • la crescita dei livelli di ansia, del disagio psicologico e dello stress collegato alle condizioni di vita e di lavoro;

  • il dramma degli scarti materiali e immateriali che la società moderna provoca, il problema della plastica e quello dell’acqua pulita, le “vite di scarto” delle fasce di emarginazione nelle città e nei territori.

La sfida in termini di cambiamento radicale del modello di sviluppo proposto sta nell’applicazione di un principio di sostenibilità integrale ‒ non solo economica, né solo ambientale né solo sociale, né di tre “sostenibilità” diverse e separate tra loro ‒ , e al tempo stesso in quella di una realizzazione dei principi proposti in termini olistici, vale a dire sia nelle decisioni politiche, che nelle attività delle imprese, che in quelle del mondo del no profit, dei privati cittadini e delle associazioni.

Un’attenzione particolare nella definizione della strategia viene dedicata alla dimensione del futuro da progettare e da costruire per le generazioni che verranno. Nell’affrontare i diversi temi, infatti, l’Agenda indica la via per mettere al centro delle politiche pubbliche e dei comportamenti aziendali, associativi e individuali, il tema del futuro delle nostre società, e lo fa proponendo il ripensamento delle tradizionali linee di sviluppo della modernità, una visione di lungo periodo rispetto alle questioni ambientali, sociali, culturali ed economiche, e un confronto più avanzato sulle sfide del nostro tempo.

Per quanto riguarda l’Italia, l’iniziativa lanciata nel 2016 di promuovere un’alleanza e una rete, per la realizzazione degli obiettivi Onu, ha riscosso subito un notevole successo e, dopo poco più di due anni, si è arrivati a raccogliere più di 220 adesioni da parte di altrettante organizzazioni no profit, che hanno assicurato il proprio sostegno alla proposta ASviS. Una proposta che prevede l’impegno di diffondere la cultura della sostenibilità, contribuire alla definizione di una strategia italiana di sviluppo sostenibile, sensibilizzare gli operatori pubblici e privati, la pubblica opinione e i singoli cittadini sull’Agenda per lo sviluppo sostenibile, stimolare la ricerca e l’innovazione nel campo delle soluzioni a favore della sostenibilità, proporre adeguate politiche e contribuire allo sviluppo di strumenti di monitoraggio di tale percorso. Le organizzazioni che aderiscono ad ASviS sono associazioni rappresentative delle parti sociali, reti di associazioni della società civile che riguardano specifici SDGs, associazioni di enti territoriali, università, centri di ricerca pubblici e privati, associazioni di soggetti attivi nei mondi della cultura e dell’informazione, fondazioni e reti di fondazioni, soggetti italiani appartenenti ad associazioni e reti internazionali attive sui temi dello sviluppo sostenibile. La pluralità della compagine degli aderenti all’ASviS riflette uno degli aspetti più importanti e innovativi del nuovo concetto di sviluppo sostenibile, quello dell’universalità dell’impegno e della collaborazione tra mondi diversi per la realizzazione di obiettivi di tipo trasversale. Agli aderenti si aggiungono gli associati, soggetti cioè che, non rientrando nei parametri previsti per gli aderenti, svolgono attività collaterali.

Tra le iniziative degli aderenti va segnalata in modo particolare l’attivazione della “Rete delle università per lo sviluppo sostenibile” (Rus), istituita dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, di cui fanno parte più di 50 atenei con la finalità di diffondere la cultura e le buone pratiche di sostenibilità, sia all’interno che all’esterno dell’università, e di mettere in comune competenze ed esperienze in ambito ambientale, etico, sociale ed economico.

A livello mondiale ASviS collabora con la Fondazione Global Compact Italia e con Sdsn-Italia ‒ che fa parte del Sustainable Development Solutions Network coordinato da J. Sachs per conto delle Nazioni Unite ‒, ed è iscritta alla Partnership for SDGs, guidata dalla Sustainable Development Division delle Nazioni Unite. A livello europeo, l’ASviS è iscritta nel Registro europeo per la trasparenza, che consente di partecipare alle consultazioni pubbliche lanciate dalla Commissione Ue, ed è Associated Partner dell’European Sustainable Development Network (Esdn), la più grande rete di scambio su strategie e politiche di sviluppo sostenibile, oltre ad essere membro di SDG Watch Europe, l'Alleanza europea di organizzazioni della società civile nata per monitorare l'implementazione dell'Agenda 2030 nel vecchio continente.

Per quanto riguarda gli obiettivi e le attività in Italia, ASviS sta puntando sin dall’inizio della sua attività ad aiutare in vario modo l’Italia a trovare una sua strada per rendere l’ambiente naturale e sociale più vivibile, umanamente soddisfacente e adatto ad affrontare le sfide che il futuro pone davanti a noi. Il programma di lavoro dell’Alleanza viene realizzato attraverso 21 gruppi di lavoro, cui partecipano più di 300 esperti, in parte membri del Segretariato ASviS e in parte designati dagli aderenti, che affrontano le tematiche dei 17 obiettivi e quelle di 4 temi trasversali, come la questione degli indicatori per misurare lo stato dell’arte o quella dei modelli previsionali. Il Segretariato supporta la realizzazione delle diverse iniziative, mentre una redazione apposita ha il compito di gestire il sito web (www.asvis.it) e di curare le newsletter inviate a oltre 6.000 destinatari.

Dal punto di vista delle concrete realizzazioni, la più importante è sicuramente quella della pubblicazione del Rapporto sullo sviluppo sostenibile. La prima edizione, del settembre del 2016 (ASviS, 2016), si è distinta nel panorama italiano per avere presentato per la prima volta un ricco know how sul tema, organizzato in un quadro coerente e completo (secondo alcuni commentatori “l’unico programma politico a medio termine disponibile per l’Italia” in quei mesi). A oggi sono stati pubblicati ulteriori due Rapporti, relativi al 2017 (ASviS, 2017) e al 2018 (ASviS, 2018). L’ultima edizione 2018, presentata all’opinione pubblica e alle istituzioni il 4 di ottobre 2018, esplora in maniera approfondita e ampia i dati relativi alle realizzazioni mondiali e locali sul fronte della sostenibilità prospettica secondo l’approccio dell’Agenda Onu, quelli della situazione italiana a livello nazionale e regionale misurata attraverso i principali indicatori elaborati dall’Istat, le azioni politiche promosse da ASviS in Italia e i passi avanti compiuti.

A fine novembre 2016 ha avuto avvio la trasmissione radiofonica mensile “Alta Sostenibilità”, curata dall’ASviS su Radio Radicale, e ASviS ha sostenuto e diffuso la campagna biennale di informazione ed educazione su “Sostenibilità, sobrietà, solidarietà” realizzata dalla Fondazione Pubblicità Progresso.

A marzo 2017, in occasione del 60° anniversario dei Trattati di Roma, si è tenuto il convegno Europe Ambition 2030, nel corso del quale è stata promossa la nascita di una nuova coalizione, impegnata a costruire un’Europa diversa attraverso la delineazione di un “sesto scenario”, oltre ai cinque prefigurati dalla Commissione Europea nel suo Libro Bianco.

Nel corso della prima metà del 2017, l’Alleanza ha fornito il proprio supporto al lavoro di consultazione promosso dal Governo, e realizzato con il coordinamento del Ministero dell’Ambiente, per la definizione della Strategia Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (MATM, 2017). Il contributo ASviS in questo ambito si è concretizzato nell’indicazione di eventuali lacune e approfondimenti necessari sui temi al centro degli obiettivi del paese. Il risultato finale di tale attività è dato da un documento centrato su cinque aree tematiche, da cui la definizione di “modello delle 5P” (Persone, Pianeta, Prosperità, Pace, Partnership), che illustra gli elementi cruciali della governance del processo. Il documento è diviso in due sezioni.

Nella prima vengono presentati: l'approccio metodologico e il processo di consultazione multilivello, la struttura della Strategia, una sintesi schematica delle aree prioritarie per la pianificazione delle politiche e azioni, gli indicatori nazionali per gli SDGs e il contesto internazionale delle Nazioni Unite e gli obiettivi specifici da perseguire adattati al contesto italiano. Nella seconda sezione è contenuta la trattazione più analitica dei 17 Goal e dei 169 Target, vengono fotografate le tendenze in corso nell'ultimo decennio e si fa riferimento ai vettori della sostenibilità e al monitoraggio da realizzare per una migliore implementazione dei Goal.

Come si legge nella Strategia «il documento identifica […] un sistema di vettori di sostenibilità, definiti come ambiti di azione trasversali e leve fondamentali per avviare, guidare, gestire e monitorare l’integrazione della sostenibilità nelle politiche, piani e progetti nazionali. Questa proposta preliminare alla Strategia promuove una visione di lungo periodo all’Agenda 2030, e potrà fornire un supporto nelle discussioni dell’Italia nelle sedi europee in cui si affronteranno le questioni legate allo sviluppo sostenibile. In tale contesto, la ownership della Strategia sarà la discriminante per il suo successo. Al contempo, la promozione di un modello di sviluppo equo e sostenibile richiede, inoltre, uno sforzo collettivo volto a ridurre diseguaglianze, povertà, disoccupazione, e a proteggere ambiente, natura e clima» (MATM, 2017).

Come si legge nel documento, «già nel prossimo quinquennio, l’obiettivo primario sarà riportare il Paese almeno nelle condizioni di benessere socio-economico che lo caratterizzavano prima della crisi economica: ridurre povertà, disuguaglianze, discriminazione e disoccupazione (soprattutto femminile e giovanile); assicurare la sostenibilità ambientale; ricreare la fiducia nelle istituzioni; rafforzare le opportunità di crescita professionale, studio, formazione; restituire competitività alle imprese attraverso una quarta rivoluzione industriale basata su tecnologie innovative e sostenibili. Il presente documento propone in modo sintetico una visione per un nuovo modello economico circolare, a basse emissioni di CO2, resiliente ai cambiamenti climatici e agli altri cambiamenti globali causa di crisi locali come, ad esempio, la perdita di biodiversità, la modificazione dei cicli biogeochimici fondamentali (carbonio, azoto, fosforo) e i cambiamenti nell’utilizzo del suolo».

In campo educativo e universitario un passo importante si è compiuto con la collaborazione che si è stabilita con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica (MIUR) per il coinvolgimento delle scuole di ogni ordine e grado nell’educazione allo sviluppo sostenibile. In particolare, a fine 2016 è stato firmato un Protocollo d’intesa tra ASviS e MIUR (ASviS MIUR, 2016), e nei mesi successivi le attività si sono concentrate sulla predisposizione di un corso e-learning per docenti sull’Agenda 2030 e gli SDGs, sulla promozione di attività didattiche nelle scuole elementari attraverso l’avvio del Concorso ASviS-Miur “Facciamo 17 goal. Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”, e sul disegno di altre iniziative dirette alle scuole medie e superiori, realizzate a partire dall’anno scolastico 2017/2018. Il Gruppo di lavoro, creato ad hoc su queste tematiche, ha predisposto il primo Piano Nazionale per l’Educazione alla Sostenibilità, presentato al pubblico nel luglio 2017 dalla Ministra, e che contiene 20 azioni concrete da realizzare in ambito scolastico e formativo.  

Sempre in tema educativo, l’Alleanza ha fornito il proprio contributo alla fondazione e costruzione di tre Master universitari: il Master Lumsa sul Management per gli SDGs, il Master dell’Università di Bologna in Giornalismo con specializzazione in sviluppo sostenibile, e il Master dell’Università di Venezia Ca’ Foscari in Global Economics and Social Affairs, e diverse università italiane hanno avviato corsi sul tema dello sviluppo sostenibile rivolti a tutti gli studenti, così da mostrare la trasversalità della tematica e assicurarsi che ogni futuro laureato sia non solo a conoscenza dell’Agenda 2030, ma comprenda anche le connessioni tra le materie oggetto del suo curriculum e le altre tematiche rilevanti. Contatti sono stati avviati anche con la Scuola Nazionale di Amministrazione (SNA) per l’avvio di corsi di formazione per i dirigenti pubblici sulla gestione delle amministrazioni per lo sviluppo sostenibile.

Seconda realizzazione importante dell’ASviS è data dal Festival italiano dello Sviluppo Sostenibile (Figura 3), realizzato in prima edizione tra maggio e giugno 2017 e in seconda edizione nello stesso periodo del 2018. Il Festival si caratterizza per un format del tutto originale e innovativo, che può essere definito “Festival diffuso”, in quanto prevede la realizzazione di numerosi eventi in contemporanea nell’arco di 10 giorni, su tutto il territorio nazionale ed a cura degli aderenti ASviS supportati dal Segretariato. Ad esempio il primo Festival, quello del 2017, si è aperto a Napoli il 22 maggio, con un convegno sulle disuguaglianze dal titolo “Italia 2030: che nessuno resti indietro!” e si è chiuso a Roma il 7 giugno, con l’evento “Italia 2030: un Paese in via di sviluppo sostenibile”, presso la Camera dei Deputati e alla presenza delle più alte cariche dello Stato.

Tra il primo e l’ultimo giorno del Festival gli aderenti hanno realizzato centinaia di diversi eventi. Tra i più importanti: il 1° giugno, all’UniCredit Pavilion di Milano, il convegno “Aziende e finanza 2030: il motore dello sviluppo sostenibile”, organizzato dal Segretariato dell’ASviS, con la presenza dei vertici delle grandi associazioni imprenditoriali, e il 23 maggio a Roma la 28 esima edizione del Forum PA, interamente dedicato ai temi dello sviluppo sostenibile, con la Lectio magistralis del prof. Jeffrey Sachs, uno dei dieci “Promotori” dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile nominati dal Segretario Generale dell’Onu. A Torino la Fondazione Giovanni Agnelli, in collaborazione con United Nations System Staff College e l’Università degli Studi di Torino, ha approfondito la centralità dell’istruzione per l’Agenda 2030.

A Palermo, il 30 maggio è stato presentato il WeWorld Index, che mette a fuoco il forte nesso tra diritti dei bambini e delle bambine e parità di genere secondo varie dimensioni considerate dall’Agenda. A Milano si è tenuta la premiazione sia del concorso “Facciamo 17 goal. Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”, indetto da Miur e ASviS per le scuole di ogni ordine e grado, cui hanno aderito oltre 200 scuole, sia del concorso Youth in Action for Sustainable Development Goals, rivolto ai giovani under 30 e promosso da Fondazione Italiana Accenture, Fondazione Eni Enrico Mattei e Fondazione Giacomo Feltrinelli. Il Festival del 2018 è stato ancora più ricco (per i dettagli si veda il sito www.asvis.it).

Volendo tentare un primo bilancio di quanto promosso da ASviS in due anni di attività, si può dire che l’Agenda 2030 e lo sviluppo sostenibile hanno assunto una maggiore rilevanza nel dibattito pubblico e molte parti della società italiana, dal mondo della scuola a quello delle imprese, dalla società civile alle amministrazioni locali, hanno cominciato a porre maggiore attenzione ai temi proposti. Il Governo e il Parlamento hanno fatto passi in avanti dal punto di vista dell’ascolto alle tematiche proposte da ASviS, anche le altre istituzioni hanno cominciato ad abbracciare i temi dello sviluppo sostenibile nelle loro analisi e posizioni. Analogamente, i media nazionali e locali hanno dato ampio spazio ai messaggi veicolati dall’Alleanza, anche se va detto che nella maggior parte dei casi si continua a presentare le singole tematiche e problematiche in maniera indipendente le une dalle altre.

Molti sono i risultati positivi. È stata accolta la proposta di svolgere una gap analysis rispetto agli obiettivi e alle politiche già in essere, anche se mancano ancora l’adozione formale di questa azione da parte del CIPE (Comitato Interministeriale pe la Programmazione Economica) e la declinazione della Strategia in obiettivi specifici e quantificati. Il Ministero dell’Ambiente gestisce una piattaforma di consultazione con la società civile e gli esperti. La Regione Lombardia si è impegnata a svolgere un’analisi sulle responsabilità dei diversi livelli di governo rispetto agli SDGS. il MIUR si è impegnato a lanciare una campagna informativa estesa e persistente sui temi dello sviluppo sostenibile, come abbiamo visto ha collaborato alla produzione di un programma nazionale di educazione allo sviluppo sostenibile per gli insegnanti e tutti gli agenti educativi, ha sostenuto la Rete delle Università per lo sviluppo sostenibile, e ha promosso i bandi per progetti di educazione allo sviluppo sostenibile e alla cittadinanza globale e un concorso annuale nelle scuole di ogni ordine e grado. Soprattutto l’elaborazione, da parte del Governo, della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, di cui abbiamo detto e che è stata presentata poi a New York in sede di High Level Political Forum (HLPF), costituisce il momento nel quale vi è stata una particolare attenzione da parte delle istituzioni per i temi dell’Agenda.

Ma la realizzazione forse più importante è sicuramente quella dell’inserimento nella Legge di Bilancio di un primo insieme di indicatori per la valutazione delle politiche pubbliche. Accanto agli obiettivi tradizionali (Pil, occupazione, deficit e debito pubblico), sono stati così inseriti nel Documento di Economia e Finanza (Def) del 2017 una serie di indicatori aggiuntivi, tratti dal lavoro compiuto in sede di Programma Istat e Cnel per il Bes (Benessere Equo e Sostenibile), e un allegato che illustra “l'andamento, nell'ultimo triennio, degli indicatori di benessere equo e sostenibile [...] nonché le previsioni sull'evoluzione degli stessi nel periodo di riferimento”. Inoltre, si prevede che un’apposita relazione, predisposta dal Ministro dell'Economia e delle Finanze, contenga, sulla base dei dati forniti dall'Istat, il monitoraggio dell'evoluzione dell'andamento degli indicatori di benessere equo e sostenibile stessi.

Un apposito Comitato ha proposto a giugno 2017 i seguenti dodici indicatori da inserire: reddito pro-capite medio disponibile; indice di diseguaglianza del reddito disponibile; indice di povertà assoluta; speranza di vita in buona salute alla nascita; eccesso di peso; uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione; tasso di mancata partecipazione al lavoro; rapporto tra tasso di occupazione delle donne di 25-49 anni con figli in età prescolare e delle donne senza figli; indice di criminalità predatoria; indice di efficienza della giustizia civile; emissioni di C02 e altri gas clima alteranti; indice di abusivismo edilizio. Il Governo ha scelto di cominciare con quattro dei dodici indicatori suggeriti: il reddito medio disponibile, un indice di diseguaglianza del reddito disponibile, un indicatore della mancata partecipazione al mercato del lavoro e l’andamento delle emissioni di CO2 e altri gas clima alteranti e di illustrarne l’andamento del triennio passato (2014-2016) e quello prevedibile secondo uno scenario a politiche vigenti e secondo uno scenario che include gli obiettivi programmatici (2017-2020).

Questa importante innovazione pone l’Italia all’avanguardia nello scenario internazionale in quanto il nostro è il primo tra i Paesi G7 e Ocse a introdurre in maniera così diretta misure integrative del Pil nella programmazione economica, come previsto già in occasione del lancio del Bes, quando si era detto che l’obiettivo finale del lavoro era quello di rendere gli indicatori Bes oggetto di dibattito pubblico e strumento di programmazione e valutazione delle politiche. La forte sovrapposizione tra le tematiche oggetto degli indicatori Bes e quelle incluse negli SDGs rappresenta una straordinaria occasione per fare un salto culturale e anche per mettere a punto nuovi strumenti analitici.

Per quanto riguarda le proposte non ancora accolte, non è stato costituito, come proposto da ASviS, il “Fondo per lo Sviluppo Sostenibile”, che dovrebbe servire a finanziare azioni da definire con la Strategia, non si è presa in considerazione la proposta di inserimento all’interno della Costituzione italiana del principio dello sviluppo sostenibile, né si è proceduto alla trasformazione del “Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica” in “Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile”.

Parallelamente, il sostegno dei cittadini per politiche orientate allo sviluppo sostenibile sembra piuttosto ampio, soprattutto tra le nuove generazioni. Un sondaggio, realizzato a gennaio 2017 per conto della Fondazione Unipolis su circa 1.600 persone, evidenzia come la stragrande maggioranza degli italiani (85%) si dica favorevole a politiche per lo sviluppo sostenibile, una percentuale che sale ancora tra i giovani: in particolare, il 71% dei giovani di 15-24 anni e il 72% degli adulti di 35-44 anni ritengono prioritarie le politiche a favore della protezione dell’ambiente anche a costo di una minore crescita economica, a fronte di una quota del 58% tra gli ultrasessantacinquenni. Un terzo delle persone di 45-54 anni ritiene invece che la priorità debba andare alla crescita economica, anche a scapito dell’ambiente, posizione condivisa solo dal 28% dei giovani e da meno di un quarto delle persone che vivono nelle grandi città e dal 22% di quelle con titolo di studio elevato. Da segnalare, infine, che la percentuale di chi, a inizio 2017, si dichiara a favore delle politiche per lo sviluppo sostenibile sia aumentata di otto punti rispetto al 2016, a fronte di una netta riduzione di chi un anno prima non esprimeva un’opinione sull’argomento.

Solo pochi italiani, però, conoscono l’Agenda 2030: infatti, la percentuale di chi è informato “poco” e “per niente” si attesta al 77%, un valore decisamente più alto di quello relativo a chi si dichiara “abbastanza informato” (17%) e “molto informato” (5%). Un quarto degli ultrasessantacinquenni è informato dell’Agenda 2030 a fronte di un 16% dei giovani di 15-24 anni; inoltre, i maschi sono più informati delle femmine, così come le persone con titoli di studio più elevati, che svolgono professioni più qualificate e quelle che vivono nei grandi comuni.

 

L’Obiettivo 3: salute e benessere per tutti

 

Il recente documento dell’Ocse Tackling Wasteful Spending on Health (Affrontare gli sprechi in sanità) del gennaio 2017 (OECD, 2017) si basa su di un lavoro di consultazione promosso dalla Divisione Salute dell’Ocse nel corso del 2016, concretizzatosi in un’indagine tramite questionario realizzata presso esperti di vari Paesi, un Meeting internazionale che si è svolto il giorno 8 aprile 2016 e l’incontro del Comitato Ocse per la Salute del 28-29 giugno 2016. I dati contenuti nel rapporto e le analisi prodotte sono di estremo interesse per capire quali siano i problemi di sostenibilità che i sistemi sanitari dei Paesi industrializzati incontrano ai giorni nostri. Dal lavoro svolto emerge, ad esempio, che il 10% dei pazienti dei Paesi Ocse subisce un danno durante o a seguito dei trattamenti sanitari; più del 10% della spesa ospedaliera è impiegata per porre rimedio a errori o infezioni contratte in ospedale; un bambino su tre nasce per parto cesareo; la diffusione dei farmaci equivalenti (fuori brevetto e dunque meno cari di quelli soggetti a brevetto ma terapeuticamente altrettanto efficaci) varia tra il 10% e l’80% rispetto alla spesa farmaceutica dei diversi paesi; e un terzo dei cittadini dei Paesi Ocse ritiene che il sistema sanitario sia corrotto o molto corrotto.

Il Rapporto non intende mettere in discussione la qualità dell’assistenza sanitaria dei Paesi industrializzati e gli ottimi risultati raggiunti in termini di allungamento della vita e di lotta a molte malattie. Si propone però di tentare un’analisi di approfondimento in merito ad alcune importanti preoccupazioni sollevate da tempo dagli utenti, e in qualche caso anche dagli operatori del settore, e relative al buon uso delle risorse, alla appropriatezza delle prestazioni erogate rispetto ai criteri clinici e ai principi etici di umanizzazione e equità, al rapporto costi-benefici e risorse impiegate-valore.

Il primo tipo di approfondimento riguarda le categorie di spreco individuate. Secondo il Rapporto esistono sprechi di tipo clinico (ad esempio l’erogazione di cure inappropriate, la duplicazione delle prestazioni o la mancata prevenzione di mali prevenibili), sprechi di tipo organizzativo (prezzi troppo elevati, mancata utilizzazione di dati importanti per la diagnosi e le terapie o eccessivo uso di prestazioni molto care) e sprechi di tipo amministrativo (cattiva gestione delle risorse). Molti gli approfondimenti che il rapporto fornisce su specifici aspetti delle tre forme di spreco. Ad esempio, per quanto riguarda i farmaci, un ampio capitolo è dedicato all’uso inappropriato e spesso eccessivo di farmaci antibiotici e ai trend di consumo in diversi paesi, e un altro ai già citati farmaci equivalenti.

Rispetto alle cure ospedaliere, vengono descritti le forme di accesso inappropriato al ricovero, alcuni dei principali processi di cura inefficienti durante il decorso del ricovero e i ritardi nelle dimissioni, cui si legano le carenze della continuità terapeutica, come viene chiamata la prosecuzione delle cure a domicilio per chi ha lasciato l’ospedale. Per quanto riguarda i problemi di tipo gestionale e organizzativo, l’analisi distingue tra livello dei finanziamenti e livello della governance e tra livello “micro” (quello degli individui), livello “meso” (delle organizzazioni di gestione e provider di servizi) e livello “macro” (delle istituzioni centrali).

L’Italia presenta rispetto ai diversi aspetti trattati alcuni buoni risultati e altri meno buoni. Ad esempio è buona la performance dell’Italia nel trattamento di alcune importanti patologie croniche e del loro trattamento efficace ma non troppo costoso (ad esempio solo 13 accessi all’ospedale per 1.000 pazienti diabetici, come Svizzera e Canada), in quanto gestito in regime ambulatoriale o di day-hospital. Meno positivi sono i risultati dell’Italia per quanto riguarda altri aspetti, ad esempio i parti cesarei (troppo numerosi), l’uso dei farmaci equivalenti (molto basso) e la corruzione percepita.

Sicuramente la parte più interessante del Rapporto riguarda le raccomandazioni e le buone pratiche. Il documento è denso di esempi e di linee guida utili per migliorare la situazione dal punto di vista del buon uso delle risorse e della lotta agli sprechi: dalle campagne informative per sviluppare la consapevolezza, alle liste di percorsi diagnostico-terapeutici efficaci e dal costo adeguato (ad esempio Choosing Wisely) e di procedure da evitare (do not use), ai sistemi di standardizzazione dei costi e delle procedure, all’incremento della prevenzione, al corretto uso delle tecnologie, alla Health Technology Assessement (Hta), ai sistemi di sorveglianza nazionali e internazionali, alle varie forme di educazione alla salute, alla incentivazione economica da introdurre per favorire il buon uso delle risorse, agli acquisti per procurement, all’integrazione tra prevenzione, cura e riabilitazione, alla migliore organizzazione dei controlli, alla trasparenza dei dati. Un panorama vasto e dettagliato di tutti i principali temi all’ordine del giorno rispetto alle proposte di riduzione degli sprechi nei sistemi sanitari dei Paesi avanzati.

Dal punto di vista italiano, salta agli occhi l’assenza dell’Italia da molte statistiche e anche dalla descrizione delle buone pratiche. I temi sollevati dal documento dell’Ocse sono in realtà ben noti agli operatori e policy-maker italiani, e non si può dire che manchino letteratura, studi e iniziative su diversi aspetti degli sprechi in sanità. Ma evidentemente l’Italia partecipa poco ai momenti internazionali di confronto sul tema. Occorrerebbe quindi innanzitutto sviluppare maggiormente la partecipazione a questi livelli e la raccolta di dati e informazioni confrontabili con quelle degli altri paesi. In secondo luogo si coglie una certa staticità rispetto alla soluzione di alcune questioni cruciali, da tempo indicate ai decisori come importanti, a partire dai parti cesarei, per finire alla equità degli accessi per le prestazioni specialistiche e diagnostiche, su cui da tempo si attendono azioni efficaci di miglioramento.

Per quanto riguarda nello specifico il Goal 3 (Salute e benessere per tutti) dell’Agenda Onu 2030, il documento reso noto dal Ministero dell’Ambiente a marzo 2017 sulle Strategie del Governo Italiano (MATM 2017) prende in esame i diversi target settoriali (mortalità materna, mortalità neonatale, epidemie e malattie infettive, prevenzione e abusi, incidenti stradali, accesso ai servizi per la salute riproduttiva, accesso ai servizi sanitari essenziali, mortalità da inquinamento, lotta al tabagismo, vaccini, sanità nei paesi in via di sviluppo, segnalazione e monitoraggio dei rischi sanitari), riportando per ciascuno di essi una descrizione dei principali indicatori che lo misurano, il posizionamento dell’Italia, l’eventuale carenza di dati su specifiche tematiche, eventuali elementi tratti dalla consultazione delle università, dei centri studi e dell’ASviS, e alcune conclusioni con cenni a possibili interventi messi in atto o proposti a livello nazionale.

Molti dei contributi forniti da ASviS vengono citati nella parte del documento dedicata al Goal 3, soprattutto in merito alla mortalità infantile, alla copertura vaccinale, alla mortalità per le diverse cause per classi di età e per territorio, ad alcune osservazioni rispetto al consumo di alcol, ai maggiori dettagli da utilizzare per gli incidenti stradali, ad alcuni dati aggiuntivi relativi alle liste di attesa per l’accesso ai servizi sanitari ed all’indicatore Eurostat dei bisogni insoddisfatti, nonché alla proposta di integrare ulteriormente la lista degli indicatori con quelli relativi agli anni di vita in buona salute per sesso, agli stili di vita non salutari (specie sedentarietà e cattiva alimentazione), al disagio psichico, alla riabilitazione post-traumatica e alle cure per i malati terminali.

Nel complesso la questione di un sistema della salute e di sanità sostenibile viene affrontata con correttezza analitica nei suoi diversi sotto aspetti, tenuto anche conto del fatto che la situazione italiana è, rispetto a salute e benessere, una situazione tipica dei Paesi ad alto livello di sviluppo, e come tale rappresentata solo parzialmente dai target Onu, pensati per il contesto mondiale. Molte fenomenologie e problematiche della salute e della sanità in Italia, come peraltro quelle di altri Paesi sviluppati, non trovano cioè riscontro adeguato negli indicatori proposti, e spesso nemmeno in quelli comunemente in uso nelle statistiche nazionali ufficiali, pensati per assetti precedenti e dipendenti spesso dalla fonte di tipo amministrativo del dato, poco sensibile ad alcuni importanti fenomeni innovativi e/o problematici. Di conseguenza, nelle osservazioni prodotte in merito al Goal 3 ASviS ha ritenuto di dover specificare che in un Paese come l’Italia la situazione della salute si presenta in maniera molto positiva per il raggiungimento di molti degli obiettivi Onu, per l’elevata speranza di vita, per il controllo della maggior parte delle patologie – soprattutto quelle acute e trasmissibili –, e per l’universalismo del suo sistema di offerta, il Servizio sanitario nazionale e quelli regionali. Al tempo stesso vanno però segnalate alcune criticità – anch’esse tipiche dei Paesi avanzati –, che riguardano nello specifico: la sostenibilità economica di un sistema di offerta sempre più costoso, di fronte a una domanda sempre più esigente; la sostenibilità sociale di una domanda di servizi caratterizzata da presenza crescente di anziani e disabili; i problemi della qualità percepita, della soddisfazione degli utenti, dell’umanizzazione e dell’empowerment; le lacune applicative del principio di equità sociale, soprattutto relativamente ai tempi e alle procedure di accesso ai servizi ed alla distribuzione dell’offerta sul territorio; le carenze, e in alcuni casi il peggioramento, rispetto agli stili di vita importanti per la salute; la necessità di integrare maggiormente servizi sanitari e sociali e di sviluppare, sia quantitativamente che qualitativamente, la cosiddetta sanità del territorio, preventiva, curativa e riabilitativa.

Per quanto riguarda, ad esempio, le malattie non trasmissibili, i due indicatori prescelti per questo target (mortalità per patologie cardio-circolatorie, tumori, diabete e malattie respiratorie croniche; mortalità per suicidi) riflettono le due tendenze citate, e cioè da un lato (il primo indicatore) i buoni risultati raggiunti nella lotta alle principali patologie in Italia, e dall’altro (il secondo) l’emergere di alcune problematiche tipiche dei Paesi maturi in termini di benessere e salute mentale. Ma non sono sufficienti per riflettere la complessità della situazione, e sarebbe auspicabile poterli integrare con alcuni ulteriori indicatori, relativi ad esempio alla prevenzione e relativa spesa, all’equità di accesso, alla incidenza delle patologie croniche per età (alcune elaborazioni a cura della Facoltà di Economia di Tor Vergata segnalano, ad esempio, un aumento dei casi diagnosticati precocemente per alcune di queste patologie), al benessere psicologico, all’uso di psicofarmaci ed al disagio psichico.

Ancora, nei suoi commenti ASviS ha richiamato l’attenzione su quella che può essere considerata la criticità principale della salute e della sanità nei Paesi avanzati e in Italia, la questione dell’equità degli accessi, proponendo di inserire nell’analisi dati relativi alla distribuzione delle strutture sanitarie pubbliche sul territorio, alla rinuncia alle prestazioni sanitarie per motivi economici e organizzativi, all’assistenza domiciliare e integrazione socio-sanitaria, alla spesa privata out of pocket delle famiglie per la sanità, alla diffusione del welfare sanitario aziendale e delle forme di mutualità sanitaria collettiva, al sostegno economico ai disabili e cronici.

In conclusione si può dire che il lavoro svolto per la definizione della Strategia nazionale di sviluppo sostenibile, per ciò che attiene al Goal 3, è sicuramente di ottima qualità, ma da completare in alcune parti, relative ad aspetti poco studiati e considerati, ivi compresi gli strumenti di misurazione dei risultati e la definizione quantitativa degli obiettivi. In particolare ASviS ha sottolineato la necessità di attuare una maggiore collaborazione multisettoriale, visto che il Goal 3 è correlato con molti altri obiettivi dell’Agenda 2030 che rientrano nel quadro complessivo del benessere, richiamato dal titolo del goal, ma di fatto poco sviluppato. In particolare si è segnalata l’esigenza di un approfondimento maggiore sul tema del benessere di tipo olistico e di una ricerca di modelli e strategie più avanzate, come peraltro anticipato ormai da molte riflessioni e studi a livello scientifico, che sempre più frequentemente tendono ad abbandonare gli approcci settoriali e quelli che fanno riferimento ad indicatori settorialmente distinti. Grandi sforzi sono stati compiuti in questa direzione dalla stessa Onu, soprattutto dalle sue unità che si occupano del sottosviluppo (UNDP in particolare), per elaborare indici compositi di sviluppo e benessere basati su un insieme complesso di indicatori, come l’Indice di Sviluppo Umano (HDI), che comprende molti dati differenti sulla salute, l’educazione e il tenore di vita delle popolazioni, considerati in maniera integrata.

Anche la Fondazione Europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di Dublino (Eurofound) ha sviluppato un approccio multidimensionale al tema delle condizioni di vita e di lavoro, legato alla vita dei singoli individui e alla percezione soggettiva di benessere, e numerosi sono dagli anni 2000 in poi gli studi dedicati a evidenziare le relazioni tra aspetti materiali e aspetti immateriali del benessere e tra settori diversi della convivenza sociale e delle politiche (Eurofound 2015). Negli anni più recenti l’attenzione si è concentrata soprattutto sull’Indice Better Life dell’Ocse, comprensivo di numerosi indicatori quantitativi e qualitativi, sia sugli aspetti materiali (reddito, lavoro e casa), che su quelli istituzionali e comunitari (salute, educazione, impegno civico, governance), che su quelli relativi alla qualità della vita ed alla soddisfazione (legami sociali, qualità dell’ambiente, sicurezza, benessere soggettivo). E molti passi avanti sono stati compiuti in particolare in merito all’utilizzazione degli indicatori soggettivi. La discussione sviluppatasi recentemente nella comunità scientifica internazionale sul benessere ha prodotto un’attenzione crescente e una rivalutazione degli indicatori soggettivi, già ampiamente utilizzati dalla sociologia, ma poco dall’economia e dalla statistica.

Nei vari approcci relativi al benessere delle nazioni, in altre parole, non perde certo terreno l’attenzione per la salute, ma questa viene sempre più spesso considerata in correlazione con altre aree e nell’ambito di tutte le politiche pubbliche, e non solo di quelle sanitarie, da quelle che si occupano della promozione di un lavoro a misura d’uomo, a quelle che puntano a un’organizzazione sociale e a un’urbanistica che producano benessere, alle politiche sociali e ai temi della coesione, della comunità e delle relazioni esistenziali significative. E le posizioni strategiche più avanzate tendono sempre più spesso a coniugare economia con umanesimo e benessere sociale, secondo un paradigma di necessaria e progressiva integrazione sistemica tra diverse sfere della vita.

Anche nel più ristretto ambito del concetto di salute, la dimensione fisica e corporea, mentre rimane importante e densa di implicazioni settoriali da non trascurare, tende crescentemente a integrarsi con quella psichica e ambientale, secondo un approccio olistico, che sostituisce quello specialistico basato sul modello biomedico tradizionale. L’approccio integrato considera piuttosto l’insieme degli elementi sociali, clinici, economici, psicologici e ambientali che concorrono alla determinazione del benessere e del malessere delle persone, spostando con ciò l’ottica degli interventi dalla applicazione di schematiche logiche terapeutiche, centrate su sindromi e casistiche cliniche preclassificate, alla promozione di processi di cura dinamici e relazionali, oltre che attenti a tutti i fattori in gioco.

È il modello “psico-somato-ambientale” ipotizzato già da tempo a vari livelli, ad esempio nell’ambito delle ricerche del Censis sulla sanità dagli anni Ottanta in poi, che sfocia in tre possibili livelli di intervento, frequentemente tenuti separati nel passato, e cioè quello degli aspetti del trade-off clinico (cultura dei soggetti, comprensione dei fenomeni, informazione), quelli dell’organizzazione dei servizi (tecnologie, modelli organizzativi, aspetti economici), e quelli dello sviluppo strutturale del settore (politica della ricerca, investimenti, rapporto pubblico-privato, integrazione delle politiche sul tema della salute) (Collicelli, 2011). La novità dell’approccio sta pertanto non tanto nell’oggetto della riflessione e dello studio, quanto nel fatto che i tre ambiti vengano considerati e analizzati in maniera congiunta e con particolare attenzione proprio per le interrelazioni tra di essi. Ed è proprio a partire da queste esigenze e da queste nuove tipologie di approccio che occorre ripartire per immaginare una più avanzata strategia di realizzazione dell’Obiettivo 3 della agenda Onu al 2030.

Queste e altre considerazioni sono state al centro del dibattito promosso da ASviS sull’Obiettivo 3 nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2018. Tra gli altri eventi di portata nazionale organizzati dal Segretariato ASviS, si colloca infatti l’evento che ha avuto luogo il 1̊ giugno a Bologna, dal titolo “Salute per tutti a tutte le età: verso la piena applicazione dell’obiettivo Onu di sostenibilità in sanità”. L’evento si è svolto sul palco di Piazza Verdi a Bologna, è stato introdotto dal Portavoce di ASviS Enrico Giovannini, e ha visto 2 relazioni introduttive, la prima a cura di Giuseppe Costa (coordinatore del Progetto Italia per l’equità in salute e professore dell’Università di Torino) sul tema “Disuguaglianze di salute e sostenibilità sociale”, e la seconda a cura di Anna Lisa Mandorino di Cittadinanzattiva sul tema “Il diritto alla salute e il benessere collettivo”. Alle relazioni ha fatto seguito la presentazione di un Decalogo elaborato dal gruppo di lavoro italiano dell’Obiettivo 3 per la sostenibilità nel campo della salute e della sanità e di un metodo di valutazione tramite indicatori che ASviS ha implementato per monitorare lo stato dell’arte e gli avanzamenti. Il Decalogo e le proposte contenute hanno costituito l’oggetto della Tavola Rotonda successiva, nella quale assessori alla Sanità, rappresentanti del Terzo Settore, del mondo delle aziende e degli enti locali hanno indicato le priorità dal loro punto di vista e le responsabilità istituzionali da stimolare e coinvolgere negli anni a venire.

Il Decalogo proposto dal gruppo di lavoro dell’obiettivo 3 di ASviS prende le mosse dai punti contenuti per questa area tematica all’interno dell’Agenda ONU 2030, con lo scopo di individuare le priorità per l’Italia. Un Paese a sviluppo avanzato, per il quale le criticità più importanti in ambito sanitario riguardano, come dicevamo, le disuguaglianze, ma anche la prevenzione in senso olistico, l’integrazione dei servizi sanitari e socio-sanitari sul territorio, la cura a lungo termine per i cronici e disabili, la lotta agli sprechi e lo sviluppo di una cultura della salute diffusa e consapevole. Dal punto di vista delle responsabilità il gioco, il Decalogo indica negli organi di Governo nazionale specifiche responsabilità rispetto al punto 1, dedicato alla “Salute in tutte le politiche” (in particolare riduzione dell’inquinamento, degli incidenti stradali e lavorativi, dello stress lavorativo, del traffico di autoveicoli privati), e al punto 6 della educazione e informazione sanitaria per il largo pubblico (e in particolare lotta alle fake-news e interventi nella scuola, nello sport e nella comunicazione di massa).

Il Ministero della Salute viene chiamato in causa in particolare per quanto riguarda il punto 2 “Piena attuazione dei LEA e misurazione dei risultati raggiunti anno per anno” (e in particolare per l’equità nell’accesso alle prestazioni previste dai LEA, specie se innovative e ivi compresi i farmaci di nuova generazione, il sostegno a disabilità e non autosufficienza, l’assistenza domiciliare, i vaccini, gli screening, la continuità assistenziale e la medicina di iniziativa e presa in carico). All’Istituto Superiore di Sanità si chiede di impegnarsi per il punto 3 del Decalogo dedicato alla prevenzione (in particolare per la promozione di corretti e salutari stili di vita e per le misure di carattere preventivo nei confronti degli eventi naturali catastrofici), nonché per il punto 5 relativo agli sprechi e abusi (in particolare per quanto riguarda farmaci e prestazioni inappropriate, medicina estetica e omeopatia e criteri di appropriatezza per le strutture pubbliche e la medicina di base).

La Conferenza delle Regioni dovrebbe occuparsi in via preminente del riequilibrio dell’offerta sanitaria sul territorio nazionale, incoraggiando l’attività delle reti cliniche di qualità e misurando gli avanzamenti con specifici indicatori, come previsto dal punto 7 del Decalogo. ASL e Comuni vengono chiamati in causa in particolare per il punto 9, che riguarda la promozione di un Piano condiviso per la assistenza socio-sanitaria territoriale, la presa in carico delle persone e famiglie in difficoltà, la lotta alla solitudine e alla depressione, lo sviluppo di forme comunitarie di supporto territoriale alle fragilità e la migliore organizzazione della vita urbana. I Comuni vengono richiamati anche per la valorizzazione del ruolo del privato sociale, di cui al punto 10, evitando duplicazioni e sovrapposizioni, promuovendo l’integrazione delle funzioni e dei servizi e concordando sperimentazioni territoriali avanzate di collaborazione pubblico-privato.

L’Istituto Nazionale di Medicina della Povertà e dell’Immigrazione (INMP) viene richiamato con il punto 4 del Decalogo a intensificare gli sforzi per i soggetti più fragili e il supporto preventivo e sanitario ai poveri, agli stranieri in difficoltà, agli anziani soli, ai carcerati. Il Miur ricorre al punto 8 del Decalogo, dove si pone l’obiettivo dell’incremento degli investimenti in ricerca biomedica, nelle scienze per la vita e nella sanità digitale. La discussione sul Decalogo è sfociata nella proposta di dare vita a un Tavolo allargato per la realizzazione piena in Italia dell’Obiettivo 3 dell’Agenda 2030, che comprenda oltre ai soggetti già attivi in ASviS, anche i rappresentanti istituzionali cui competono le azioni e gli interventi.

 

Conclusioni

 

La trattazione svolta fin qui è sicuramente servita a documentare la ricchezza degli sforzi e delle iniziative promosse da ASviS e i molti risultati positivi raggiunti. Sarebbe un errore, però, credere che la strada verso il raggiungimento della sostenibilità nell’accezione della Agenda Onu sia una strada ormai spianata. In realtà molte sono le lacune e molti i ritardi, sui quali si è concentrata la sintesi dello stato dell’arte offerta all’opinione pubblica nel corso della presentazione del Rapporto 2018. Come detto nell’introduzione al Rapporto, infatti, guardando ai dati disponibili e alle azioni concrete assunte negli ultimi tre anni, è evidente che, nonostante il miglioramento di tanti indicatori e le azioni intraprese, non si è ancora determinata “quella discontinuità culturale e di scelte strategiche necessaria per raggiungere, entro il 2030, i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile”. E non si è determinata nel mondo, in Europa e in Italia.

Come dimostrano gli indicatori elaborati dall’ASviS, il progresso verso gli SDGs è troppo lento e in alcuni casi assente. Anche laddove si riscontrano evidenti miglioramenti, siamo molto lontani dagli obiettivi, mentre in altri casi le tendenze osservate vanno nella direzione sbagliata, senza parlare delle fortissime disuguaglianze tra generi, gruppi sociali e territori. In particolare, secondo gli ultimi dati disponibili l’Italia mostra segni di miglioramento in molte aree, ma la situazione è peggiorata sensibilmente per povertà, condizione economica e occupazionale, disuguaglianze, condizioni delle città ed ecosistema terrestre, mentre appare sostanzialmente invariata per acqua e strutture igienico-sanitarie, sistema energetico, condizione dei mari e qualità della governance, pace, giustizia e istituzioni solide.

Alla presentazione del 3° Rapporto, pertanto l’ASviS ha ribadito con forza l’urgenza di avviare il dibattito parlamentare per introdurre lo sviluppo sostenibile tra i principi fondamentali della Costituzione, dare attuazione alla prevista “Commissione nazionale per lo sviluppo sostenibile” presso la Presidenza del Consiglio, accompagnare la presentazione della prossima Legge di Bilancio con un rapporto sull’impatto atteso di quest’ultima sui 12 indicatori di Benessere Equo e Sostenibile (BES) entrati nella programmazione finanziaria; trasformare il “Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica” (CIPE) in “Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile, adottare un’Agenda urbana nazionale basata sugli SDGs, che si proponga come l’articolazione urbana della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, istituire, presso la Presidenza del Consiglio, un organismo permanente per la concertazione con la società civile delle politiche a favore della parità di genere, predisporre “linee guida” per le amministrazioni pubbliche affinché esse applichino standard ambientali e organizzativi che contribuiscano al raggiungimento degli SDGs, intervenire con la Legge di Bilancio o con altro strumento normativo agile per assicurare il conseguimento dei 22 Target che devono essere raggiunti entro il 2020, e allargare alle imprese di media dimensione l’obbligo di rendicontazione non finanziaria, strumento ormai indispensabile per accedere al crescente flusso di investimenti attivati dalla “finanza sostenibile”.

 

Bibliografia

 

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Autore per la corrispondenza

C. Collicelli. Tel. +39 335328324.
Indirizzo e-mail: c.collicelli.17@gmail.com; carla.collicelli@itb.cnr.it
CNR-Itb, Institut for biomedical technologies Circonvallazione Clodia 177/A, 00195 Roma



Note

1 A

DOI: 10.14605/CS1131805


© 2017 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
ISSN 2421-2202. Counseling.
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