Il presente studio intende fotografare lo stato attuale delle professioni psicologiche in Puglia e raccogliere indicazioni circa le prospettive future di questo settore di attività. In Italia, la professione dello psicologo ha affrontato e in parte sta ancora affrontando il suo processo di professionalizzazione, che consiste nel migliorare gradualmente le proprie condizioni, sia a livello istituzionale che a livello di prestigio e di considerazione sociale.

Il gruppo professionale venne istituzionalizzato nel 1989 con il DPR 56, che stabilì la nascita dell’Ordine degli Psicologi. Dall’istituzione dell’ordine a oggi, gli spazi d’intervento della psicologia si sono notevolmente allargati, raggiungendo settori lontani da quello tradizionalmente prevalente, ossia il settore sanitario e socio-assistenziale. Dopo l’avvio dei primi corsi di laurea in Psicologia negli anni ’70, il gruppo professionale degli psicologi cominciò a suscitare l’interesse di diversi ricercatori, che ne hanno indagato le caratteristiche demografiche e gli ambiti e i settori di attività. Quella che è stata giudicata come più ampia e completa (Rossati, 1981), è la ricerca di Trentini del 1977, che si riferisce a tutto il territorio nazionale. Tale indagine ebbe l’effetto di promuovere e incentivare una serie di ricerche sulle professioni psicologiche, molte delle quali non affrontavano l’argomento a livello nazionale, ma cercavano piuttosto di mettere a fuoco alcuni aspetti parziali o alcune situazioni specifiche. È questo il caso, ad esempio, della ricerca di Rossati (1981) in Lombardia e la ricerca di Palmonari del 1981, che è stata svolta analizzando alcune aree rappresentative della realtà italiana. L’interesse per l’argomento si è affievolito nel corso degli anni ’90, proprio dopo l’istituzione dell’Ordine degli Psicologi, quando iniziarono a verificarsi rapidi cambiamenti all’interno del gruppo professionale.

Attualmente il numero di psicologi in Italia continua a crescere. Tale evidente sviluppo della psicologia ha portato a una recente ripresa dell’interesse dei ricercatori verso il tema delle professioni psicologiche (Bosio, 2005; Bosio & Lozza, 2008, 2013; Sarchielli & Fraccaroli, 2002): le ultime indagini così svolte in Italia mostrano una forte tendenza al cambiamento, consistente soprattutto nella crisi dei settori di attività tradizionali (clinico e socio-assistenziale) e nello sviluppo di nuovi campi applicativi (risorse umane, pubblicità, marketing, sport, tempo libero). Date queste premesse, la finalità del presente contributo è quella di presentare i primi risultati di una ricerca esplorativa sullo stato attuale delle professioni psicologiche nella realtà locale della regione Puglia, cercando di cogliere il cambiamento in corso e i possibili sviluppi futuri, evidenziando informazioni utili per gli studenti che continuano a scegliere l’offerta formativa in materia psicologica e per i futuri studenti che sono orientati verso la professione.

A differenza delle professioni classiche affermatesi nel corso dell’800 (medicina, ingegneria, ecc.), il processo di professionalizzazione della psicologia è di datazione molto più recente e attualmente è ancora allo stato nascente (Bosio & Kaneklin, 2001). In Italia negli anni ’50, in particolare, gli psicologi allora presenti in Italia approdarono a un’identità precisa, lo psicologo era considerato un professionista che, nella scuola, nell’industria, nella pratica clinica e in genere nella società, aveva il compito di somministrare i test per sondare le attitudini professionali, misurare il livello intellettivo degli alunni o esplorare la personalità di soggetti disadattati. Lo psicologo era quindi un tecnico addetto alla somministrazione di test psicologici, una figura subordinata a quella di altri professionisti (gli insegnanti nell’ambito della scuola e gli psichiatri nell’ambito della psicologia clinica). Con l’anno accademico 1971/1972, sono stati avviati i primi corsi di laurea in Psicologia presso le Università di Roma e di Padova, dove si è assistito a una situazione di esasperato affollamento, con una media di circa 2000-2500 iscritti per anno a Padova e 3500-4000 a Roma.

Con l’evoluzione della psicologia, fra gli anni ’50 e gli anni ’80 si è verificata anche una crisi di identità dello psicologo. Nell’immaginario popolare prevaleva una visione magica della disciplina stessa e dello psicologo che era ritenuto in grado di risolvere qualsiasi problema umano. In generale, non era affatto chiaro chi fosse lo psicologo: quale fosse il suo ruolo, quali i suoi compiti, quale la preparazione richiestagli, quali i suoi campi d’intervento e i suoi strumenti. Questa condizione di incertezza si rifletteva nella molteplicità e nella frantumazione dell’attività lavorativa dello psicologo di questo periodo. Data la situazione di insicurezza sull’identità professionale dello psicologo appena descritta, nel 1973 si è avuta la prima richiesta di una normativa sul lavoro di psicologo, con un disegno di legge poi decaduto. Solo nel 1989 è stata elaborato il D.P.R. 56, che costituisce l’ordinamento della professione di psicologo e che ha istituito l’Ordine degli Psicologi. La definizione di psicologo ivi fornita è la seguente:

 

La professione di psicologo comprende l'uso di strumenti conoscitivi e d’intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione, riabilitazione e sostegno in ambito psicologico, rivolte alla persona, al gruppo agli organismi sociali e alla comunità. Comprende, altresì, le attività di sperimentazione, di ricerca e di didattica in tale ambito.

 

Attualmente in Italia ci sono poco più di 100.000 (per la precisione, parliamo di 102.890 unità) psicologi iscritti all’Ordine professionale. Si rileva un rapporto fra psicologi e popolazione totale di circa 1:750 (Bosio & Lozza, 2013). Ghiglione (1998) ritiene soddisfacente per le società occidentali postindustriali un rapporto psicologi per abitanti attorno allo 0.6; di conseguenza, il fabbisogno di psicologi nell'immediato futuro sarebbe ridotto, limitato solo al ricambio generazionale e in ogni caso al di sotto del numero di studenti che attualmente stanno conseguendo un titolo accademico in ambito psicologico.

Da un’analisi effettuata dall’ordine nazionale e dal CNOP, incrociando dati provenienti dal MIUR, a fronte di circa 100.000 psicologi iscritti all’albo, quelli attivi sono più o meno la metà (51.000); ogni anno si segnalano 5000 nuovi iscritti. Dei 51.000 psicologi attivi, molti di loro fanno parte della generazione X, hanno cioè un’età che va dai 35 ai 45 anni, con un’età di pensionamento alta (liberi professionisti che possono lavorare fino a 70-75 anni) che determina un fermo nel ricambio della domanda-offerta e nelle entrate/uscite nel e dal mercato del lavoro. D’altro canto c’è da segnalare un’importante tappa per l’evoluzione dell’identità professionale dello psicologo che riguarda la recente normativa sulle professioni sanitarie; lo psicologo entra a pieno titolo nella professione sanitaria con la conversione in legge del DDL Lorenzin sulla riforma degli Ordini professionali del 22 dicembre 2017. La norma stabilisce infatti che il controllo sulle professioni e relativi ordini, tra cui quello degli psicologi, passi dal Ministero della Giustizia al Ministero della salute. Questo risultato, per quanto importante, non esaurisce la discussione circa le differenti aree professionali in cui lo psicologo è presente. Questi dati descrittivi e normativi richiedono un’attenta riflessione, rinforzata da quanto evidenziato alcuni anni fa da Sarchielli e Fraccaroli nel 2002, secondo i quali il quadro futuro della psicologia non è certamente roseo, soprattutto se l'impostazione della disciplina permane ancorata agli ambiti d'intervento tradizionali, che si presentano ormai quasi saturi. Le possibilità di importanti sviluppi sembrano invece giocarsi sull'apertura verso nuovi campi d'attività.

Obiettivo

La ricerca ha coinvolto un campione di psicologi iscritti all’Ordine della Regione Puglia, con l’obiettivo di indagare, nell’ambito regionale, lo stato attuale delle professioni psicologiche e i possibili futuri sviluppi delle prospettive occupazionali per gli psicologi.

L’esigenza di monitorare la situazione delle professioni psicologiche è particolarmente forte in questo momento storico, in cui la psicologia è in piena espansione, il numero di psicologi continua a crescere e le università proliferano di aspiranti psicologi, ma al contempo la crisi economica che ha investito il mercato del lavoro obbliga molte delle professioni storicamente incardinate nei tessuti sociali a rimodellarsi e a rimettersi in gioco nel mercato delle professioni.

Uno degli scopi dell’indagine è quello di fornire informazioni utili all’orientamento professionale e formativo post-laurea dei giovani psicologi pugliesi, procurando una base concreta sulla quale operare le scelte di carriera.

Inoltre, attraverso i risultati della ricerca, si spera di contribuire a una migliore armonizzazione tra percorsi formativi e prospettive occupazionali. In particolare, l’indagine fornisce dei dati sul futuro delle professioni psicologiche e sulle competenze richieste dal mondo del lavoro, che potranno essere utilizzati per verificare l’adeguatezza dei percorsi formativi alla preparazione richiesta per esercitare la professione di psicologo. Infine, questo studio si propone di offrire delle indicazioni utili all’ordine professionale, che, conoscendo i settori di attività dei suoi iscritti, potrà lavorare più efficacemente nella difesa degli spazi occupazionali destinati agli psicologi. L’obiettivo della ricerca è quello di fornire una descrizione dello stato attuale delle professioni psicologiche in Puglia. In particolare, si ipotizzano differenze significative per settori professionali e per gruppi di età, tenendo presenti i settori disciplinari tradizionali e considerando le coorti di età per generazione (generazione Y = under 35 anni, generazione X = dai 35 ai 45 anni circa; generazione baby boom = over 45 anni).

Metodo

Partecipanti

Sono stati contattati, mediante l’Ordine Regionale pugliese, gli psicologi iscritti all’Albo, con il fine di esplorare lo stato e le prospettive della professione. Per tale motivo, il campione utilizzato è di convenienza. Il campione è composto da 333 psicologi che hanno accettato di partecipare allo studio e di rispondere all’intervista proposta: 87.45% di genere femminile, età media 38 anni (DS = 10.8), 80,47% a tempo pieno, anzianità media 11 anni (DS = 9.8), ore lavorative settimanali medie 39 (DS = 12.1). Inoltre, i partecipanti sono: 60.92% dipendenti, 27.25%, dirigenti, 7.31% insegnanti, 4.52% medici. Circa l’86.72% dei partecipanti svolge uno o due lavori, la maggioranza dei quali è lavoratore autonomo (39.64%) e lavora con altri professionisti (57.10%), gli altri professionisti sono medici (21.63%) o assistenti sociali (20.74%); il lavoro con altri professionisti viene percepito dagli intervistati come un arricchimento professionale (62.23%) a livello interdisciplinare.

Strumento

La ricerca si è concentrata su cinque aree tematiche d’indagine:

  • profilo generale;

  • percorso formativo e competenze;

  • situazione professionale;

  • valutazione dell’esperienza professionale;

  • futuro della professione.

Lo strumento utilizzato è il questionario-intervista sviluppato da Bosio (2011). Le aree tematiche sopra indicate sono state rielaborate e divise in sezioni presenti nel questionario, ognuna delle quali è composta da una serie di domande di diversa natura.

Il questionario in totale è composto da 35 domande il cui formato di risposta varia a seconda della tipologia di risposta. Gli item del questionario corrispondono a domande filtro, vale a dire domande che permettono di saltare uno o più quesiti successivi se sono verificate determinate condizioni.

La prima sezione riguarda la situazione professionale (9 item), uno degli item utilizzati è: d.1 “Parliamo innanzitutto della sua situazione lavorativa ATTUALE. In questo momento Lei lavora?”, le risposte sono 5 e sono le seguenti: Sì-no, Sono disoccupato-no, Sono in cerca di prima occupazione-no, Proseguo gli studi-no, Sono pensionato-no.” In base a ogni risposta, il ricercatore continua l’intervista al soggetto partecipante, segnando di volta in volta le risposte ottenute.

La seconda sezione riguarda la descrizione professionale (4 item in totale) (item 10: “Nello svolgere il suo lavoro, in genere Lei lavora…”). Nell’item 10, sono previste due risposte (1 = Da solo; 2 = Con altri professionisti). Nella terza sezione relativa alle competenze professionali (3 item), viene richiesto agli intervistati di indicare, fornendo anche più risposte, quali sono le competenze che servono nel lavoro svolto e quali sono quelle potenzialmente richieste nel futuro, considerando le domande che, secondo il soggetto intervistato, sono presenti nel settore in cui opera.

L’elenco delle competenze è il seguente: diagnosi/perizie, counseling/sostegno/mediazione, psicoterapia, riabilitazione, ricerca sociale, interventi sul territorio/di comunità. Valutazione qualità dei processi, analisi della domanda del cliente, gestione relazioni di lavoro, lavoro in gruppo, comunicazione con il pubblico, insegnamento, formazione, selezione/assessment/valutazione delle competenze, attività di management/programmazione/gestione, conoscenze informatiche, lingue straniere. Un’ulteriore sezione è quella della valutazione e soddisfazione dell’attività professionale (3 item). Esempi di item sono: “Quanto è soddisfatta/o per ciascuno degli aspetti di seguito elencati? Dia sempre un voto da 0 a 10”. Le risposte sono: Contenuti del lavoro, Trattamento economico ricevuto, Fatica e stress derivante dalla professione, Considerazione sociale in cui è tenuta questa professione.

Nella sezione “Prospettive/potenzialità” (10 item), le domande riguardano le aree e i settori di sviluppo della psicologia, sia in termini di tipologia di settore (pubblico/privato) sia in termini di settori e aree di intervento (item 24a “In ogni caso, in quali settori, fra quelli che le leggo, lei vede più possibilità di sviluppi per la psicologia nel prossimo futuro?”). L’elenco delle risposte è il seguente: Psicoterapia pubblica, Psicoterapia privata, Servizi sanitari/sociali, Psicologia della scuola/dell’educazione, Psicologia del lavoro, Organizzazioni e marketing, altro.

Ultima sezione è quella relativa al percorso formativo (reddito, titoli di studio e ulteriore formazione post laurea) e alle informazioni socio-anagrafiche.

Procedura

La rilevazione è stata svolta attraverso interviste telefoniche, condotte registrando i dati forniti in modo anonimo, nel rispetto della privacy. Per raggiungere tale obiettivo, sono stati contattati circa 600 psicologi iscritti all’Ordine della Regione Puglia, previo consenso. Nelle modalità di risposta all’intervista, non si notano particolari resistenze dei soggetti a fornire le informazioni richieste. Solo una piccola parte dei rispondenti ha omesso il luogo di residenza e di lavoro o ha riportato solo la provincia (di residenza o di lavoro), tralasciando di specificare il comune. Una discreta percentuale di soggetti non ha riportato la fascia di reddito alla quale appartiene. Molto evidente è, invece, l’effetto d’ordine: la quota di risposte si abbassa notevolmente nelle ultime domande del questionario.

Analisi dei dati

La ricerca ha considerato la popolazione degli iscritti all’Albo Regionale degli Psicologi della Regione Puglia, costituita, al momento della rilevazione, da 4.115 unità. Il campione oggetto d’indagine è costituito da 333 psicologi iscritti all’Ordine. I dati ottenuti dalle interviste sono stati analizzati attraverso il software SPSS (versione n. 24). In primo luogo, è stata effettuata un’analisi di tipo descrittivo, consistita nel conteggio delle frequenze, delle percentuali e delle medie di risposta a ogni domanda e nel calcolo di frequenze incrociate fra più variabili. Successivamente, sono state effettuate delle elaborazioni di secondo livello, si è proceduto col verificare se vi fossero differenze significative per gruppi di età nelle diverse variabili misurate.

Risultati

Per gli psicologi pugliesi, l’ingresso nella professione si rivela un’esperienza piuttosto protratta nel tempo: se il 50% del campione dichiara di aver trovato genericamente lavoro entro un anno, il tempo intercorso tra quando i rispondenti hanno iniziato a cercare lavoro come psicologi e quando hanno trovato il primo lavoro nella professione è di circa 2 anni. La ricerca del primo lavoro come psicologo viene giudicata prevalentemente come abbastanza facile solo dal 35.42%. Tuttavia il lavoro svolto viene riconosciuto nella stragrande maggioranza dei casi come un’attività che richiede specifiche competenze psicologiche o che può essere svolto solo da psicologi (93.34%). Gli psicologi intervistati sono impegnati per il 14.63% nel settore scolastico ed il 7,55% in quello dei servizi sociali, mentre una larga maggioranza (66.72%) svolge la propria attività nel settore nell’ambito della prevenzione o della cura della salute. Può essere degno di nota rilevare come la maggior parte dei professionisti che indicano l’ultima opzione come ambito lavorativo siano quelli con la maggiore età, rientrando nel 25.23% dei casi tra i rispondenti della generazione con più di 55 anni.

Il quadro d’insieme presenta delle interessanti differenze associate all’età. Se nella fascia d’età dei più giovani (fino a 30 anni) il tempo medio per la ricerca del lavoro si abbassa (media 18 mesi), tra di essi si manifesta anche un alto tasso di disoccupazione (35%). I più giovani risultano naturalmente anche quelli che sono in cerca di prima occupazione (62.5%). La fascia d’età che va dai 30 ai 34 anni risulta invece quella che dichiara in larga maggioranza di proseguire ancora gli studi (circa il 60%). Non vi sono invece differenze di genere sostanziali per quanto concerne il tempo di ricerca del lavoro come psicologo. Se la maggior parte dei professionisti più anziani (oltre 55 anni) svolge questo lavoro nell’ambito di enti pubblici (47.12%), i professionisti tra i 30 e i 34 anni lavorano invece in cooperativa (51.45%). Più della metà dei professionisti che svolgono lavoro come psicologo esercitano attività psicoterapeutica (50.52%), con un approccio sistemico/relazionale (10.83%), cognitivo/comportamentale (9.92%), gestaltista (9.67%) o psicodinamico (5.18%).

Al fine di comprendere quali siano le competenze utilizzate dagli psicologi pugliesi nella loro attività lavorativa e di cogliere eventuali mutamenti in atto, è stato chiesto ai partecipanti alla ricerca quali fossero le competenze richieste attualmente dal loro lavoro e quali quelle che sarebbe opportuno potenziare per il futuro.

Le competenze richieste dal lavoro

Tra le competenze specifiche dell’ambito professionale clinico rimandano soprattutto alle aree del counseling, del sostegno e della mediazione (65.94%), molto richieste anche a livello nazionale (Bosio & Lozza, 2008), e della diagnosi e delle perizie (59%), meno richiesta in altre regioni (Bosio & Lozza, 2008), e nella psicoterapia (55%).

Tra le competenze trasversali, invece, emergono come maggiormente rilevanti le competenze di lavoro in gruppo (53.97%), di analisi della domanda del cliente (55.24%), ma anche la necessità di formazione (46%).

Meno richieste appaiono competenze lontane dall’ambito prettamente psicologico clinico, come la conoscenza delle lingue straniere (27.83%), le competenze di management/programmazione/gestione (17.12%), di selezione/assessment/valutazione delle competenze (19.05%) e di ricerca sociale (23.02%).

Le competenze da potenziare

Gli psicologi dediti alle nuove aree professionali anche per il futuro confermano l’importanza delle competenze specifiche possedute ma anche di quelle trasversali. In particolare, in queste ultime, si rinvengono la formazione (15.16%), gli interventi sul territorio (12.33%), l’analisi domanda del cliente (12.35), il lavoro in gruppo (12.34%) e la conoscenza delle lingue straniere (7.79%).

Alla domanda su quali siano le possibilità di sviluppo per la psicologia nel prossimo futuro il 38.6% ritiene che sia l’area della scuola e dell’educazione, il 21.58% quelle della psicoterapia privata. Quest’ultima, tuttavia è anche ritenuta un’area in cui sussistono più rischi di crisi per le professioni psicologiche (28.74%), sebbene l’ambito della psicoterapia pubblica sia largamente indicata (45.32%) come l’area con maggiori incognite nel futuro professionale.

Competenze utilizzate e competenze consigliate

Un confronto che riteniamo particolarmente interessante è quello fra le competenze effettivamente utilizzate dagli psicologi nel proprio lavoro, o perlomeno così come dichiarate, e quelle che invece vengono proposte dagli stessi come particolarmente utili al fine di intraprendere l’attività. La tabella 1 riassume questa intersezione fra i dati sotto forma di percentuale di risposta.

Nella diagonale principale della tabella è possibile visualizzare la percentuale dei rispondenti che dichiara anche utile la propria competenza dichiarata. Il 25.82% di coloro che fanno attività di counseling, sostegno o mediazione la individuano come attività particolarmente in crescita. Seguono le competenze nel fare diagnosi o perizie (23.77%) e quelle in psicoterapia indicate dal 22.13% dei rispondenti come competenza in via di sviluppo. Viceversa solo il 2.46% di coloro che fanno attività di management, programmazione e gestione ne intravede lo sviluppo. Particolarmente interessante è la percentuale di coloro che fanno insegnamento, i quali solo nel 2.87% dei casi ne intravedono lo sviluppo. Analogamente solo il 3.69% di coloro che effettuano la valutazione della qualità dei processi la dichiara come una risorsa da implementare.

Riassumendo i dati sulla diagonale principale, sembrerebbe che chi mette in atto processi professionali di natura clinica/terapeutica appaia più convinto dello sviluppo per la psicologia delle competenze, mentre chi possiede competenze nell’area organizzativa non ne intravede un potenziamento. Nello specifico, osservando i valori massimi delle competenze più richieste nel futuro si può osservare che chi utilizza il counseling ritiene che verranno richieste competenze in psicoterapia, in riabilitazione, nella ricerca sociale e abilità informatiche. Coloro che possiedono preparazione in psicoterapia ritengono che la competenza diagnostica/peritale sarà maggiormente richiesta in futuro. Chi utilizza l’analisi della domanda ritiene invece che ci sarà necessità di avere maggiore competenza nella valutazione della qualità dei processi, nella gestione delle relazioni di lavoro, nella selezione e valutazione delle competenze, così come nelle attività di management e nelle conoscenze linguistiche. Infine, chi lavora con i gruppi ritiene che ci sarà maggior bisogno di counseling, interventi di comunità, analisi della domanda, formazione e conoscenza delle lingue straniere.

Tabella 1. Competenze utilizzate e competenze potenziali non utilizzate ma valutate come utili nel proprio lavoro

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Note: In grassetto, nella diagonale, è indicato il match tra le competenze utilizzate e quelle potenziali, vale a dire quelle non utilizzate ma percepite come utili nel proprio lavoro

Legenda

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Soddisfazione e futuro lavorativo

La valutazione dell’esperienza professionale, nello strumento elaborato da Bosio (2011), viene trattata da due punti di vista: la soddisfazione per la professione in generale e la soddisfazione specifica, indagata attraverso delle scale di soddisfazione riguardanti i vari aspetti della vita lavorativa (l’aspetto economico, la stabilità del lavoro, i contenuti professionali, il grado di autonomia, la relazione con i colleghi e con utenti/clienti/committenti, il tempo libero, l’utilità sociale del lavoro, la possibilità di realizzazione personale, il prestigio, la sostenibilità del lavoro per la fatica e lo stress).

Per quanto riguarda il futuro della professione, è stato richiesto ai soggetti di fornire sia una visione complessiva del prossimo sviluppo delle professioni psicologiche, che quella specifica del loro contesto occupazionale, in base alla previsione di una contrazione o di un’espansione futura del loro ambito di attività. Inoltre è stata chiesta ai soggetti una valutazione su quali saranno gli ambiti con più possibilità di sviluppo e quali quelli più a rischio.

In generale, gli psicologi interrogati si dichiarano soddisfatti della propria professione in particolare per i contenuti del lavoro (M = 7.86; DS = 1.9), per la fatica e lo stress derivante dalla professione (M = 6.32; DS = 2.54), per la considerazione sociale in cui è tenuta la professione (M = 6.13; DS = 2.34) e con minore soddisfazione per il trattamento economico ricevuto (M = 6.10; DS = 2.21). Meno di un terzo degli intervistati ritiene che tra 5 anni migliorerà la situazione economica, mentre in maggior numero ritengono che resterà immutata (37.81%). Tuttavia vengono ritenute migliori tra 5 anni sia la considerazione sociale della professione (49.13%), e ancor di più le opportunità e i contenuti professionali offerti (59%), soprattutto in ambito privato (65.24%). Sussiste molta indecisione se consigliare a un giovane di intraprendere la professione di psicologo: il 49.76% è sul versante affermativo, il 48.71% su quello negativo. Il 39.58% ritiene peggiori, fra 5 anni, le possibilità di inserimento di nuovi psicologi, il 33.45%, invece, le stima migliori. In tal senso le Università dovrebbero impegnarsi a sostenere la formazione di studenti in psicologia veicolando la formazione sul piano metodologico (42.91%), supportando la conoscenza del territorio e delle nuove richieste che provengono dai settori professionali (24.92%), infine integrando le attività formative con lo sviluppo di competenze gestionali (15.96%).

Cluster professionali e futuro della professione

Sulla base della proposta di lettura fornita in Bosio (2004, 2011), il futuro professionale può essere espresso come un ambito di valutazione prendendo a riferimento simultaneamente tutte le risposte specifiche proposte nell’intervista ai professionisti e proiettandole in uno spazio fattoriale entro cui rintracciare successivamente dei raggruppamenti (cluster) di risposta tipici. I valori generati dall’analisi dei cluster hanno così evidenziato 5 tipologie di rispondenti, corrispondenti ad altrettante aree professionali ben definite, che si caratterizzano in relazione alle opinioni sulla professione e sul futuro professionale della psicologia.

Il primo cluster, il più numeroso (30.93%), definito come “salute pubblica”, è composto da psicologi che si occupano della prevenzione e cura dei pazienti. Si tratta perlopiù di professionisti uomini che lavorano in aziende pubbliche, dipendenti a tempo indeterminato, generalmente di età superiore ai 55 anni, che spesso lavorano con altri professionisti. Gli appartenenti a questo gruppo ritengono che la situazione della psicologia tra 5 anni resterà immutata o sarà peggiore dell’attuale dal punto di vista del prestigio sociale della professione e ritengono che ci saranno maggiori possibilità di sviluppo nel settore della psicologia scolastica.

Anche il secondo gruppo di psicologi si occupa di clinica e salute, tuttavia lavora autonomamente negli studi privati come libero professionista esercitando l’attività psicoterapeutica. Il gruppo in questione è composto per la maggior parte da uomini, ed è stato definito “psicoterapia privata”. Si tratta di professionisti di una fascia d’età che va dai 30 ai 44 anni e che rappresentano il 25.28% dei rispondenti. Sono i professionisti che si dichiarano maggiormente soddisfatti per il contenuto del proprio lavoro, e forse per questo vedono il proprio ambito, insieme a quello della psicologia scolastica, come quello con maggiori possibilità di sviluppo nel futuro.

Un terzo gruppo è formato dai psicologi che lavorano nel settore della psicologia del lavoro e delle organizzazioni e nel settore della formazione professionale. Questi professionisti cominciano generalmente tardi la loro attività e rappresentano il 6,92% del campione. Il lavoro esercitato da questo gruppo di professionisti viene espletato soprattutto nelle strutture private, con contratti a tempo determinato o da lavoratore autonomo, i soggetti dichiarano di svolgere solitamente più lavori in affiancamento ad altri professionisti non psicologi. Essi si situano in una fascia d’età che va dai 30 ai 44 anni. Questo gruppo di colleghi è quello che manifesta maggiore soddisfazione per la considerazione in cui è tenuta la professione. Anche in questo caso è proprio questo settore professionale in cui essi intravedono uno sviluppo, insieme all’ambito della psicologia scolastica che considerano un settore in progressiva crescita.

Un quarto gruppo di soggetti, rappresentativo del 18% dei rispondenti, lavora per i “servizi socioeducativi”. Generalmente essi prestano la propria opera entro 6 anni dalla laurea in cooperative, con contratti a progetto e a tempo indeterminato, in collaborazione con altri professionisti. Possono occupare anche due posizioni lavorative e la fascia d’età cui appartengono va generalmente dai 30 ai 34 anni. Gli psicologi di questo cluster sono maggiormente ottimisti riguardo alla professione, ritenendo che nell’immediato futuro migliorerà sia l’accesso alla carriera che la situazione economica dei professionisti. Anche in questo caso la psicologia scolastica è vista come la migliore opportunità di inserimento professionale.

Un ultimo gruppo di professionisti è formato da psicologi che non danno molte risposte alle domande sulla attività esercitata, sono generalmente donne molto giovani, appartenendo a una fascia di età inferiore ai 29 anni, disoccupati o in cerca di occupazione o ancora persone che lavorano con contratti atipici e precari. Essi rappresentano il 18.96% dei rispondenti e sono stati classificati come “indefiniti”. Gli psicologi di questo raggruppamento sono i più pessimisti riguardo al futuro della professione ritenendo la situazione lavorativa fra 5 anni decisamente peggiore. L’unico ambito di sviluppo professionale intravisto è quello della psicologia scolastica.

Discussione

Dalla ricerca sono emersi alcuni aspetti fondamentali che, pur non essendo generalizzabili alla popolazione degli psicologi pugliesi, forniscono alcune indicazioni per lo studio del processo di professionalizzazione della psicologia. Quanto emerso dalle elaborazioni si può ritenere una descrizione sintetica dei rispondenti all’indagine ma non una rappresentazione della popolazione degli psicologi della Puglia, dal momento che il gruppo che ha fornito i dati non è un campione rappresentativo della stessa.

La professione dello psicologo, così come la sua posizione sociale all’interno del mercato del lavoro attuale, rimane un tema molto complesso che non può ridursi alla mera elencazione delle competenze professionali utilizzate e quelle non utilizzate ma richieste dal lavoro (Ponzio, 2008). L’esistenza di un albo ha avuto e ha tuttora un’utilità anche per l’utente, che così è in grado di riconoscere come psicologo l’operatore cui si rivolge ed è tutelato dall’esistenza di un codice deontologico. La committenza, invece, ha ritrovato nell’albo un punto di riferimento per individuare l’operatore che è in possesso dei requisiti richiesti dalla legge per esercitare la professione.

Nel periodo in cui è stato istituito l’Ordine degli Psicologi, si è verificato anche l’emergere di una serie di nuove prospettive occupazionali (lavoro, forze armate, sport, anziani, turismo, emergenze), accanto all’ambito sanitario e socio-assistenziale, fino ad allora nettamente prevalente. Infatti, la ristrutturazione del corso di laurea, realizzata in questa fase, può essere considerata come parte di un più vasto panorama che, oltre a prevedere un arco più allargato di competenze, ha visto rinnovato anche il ruolo dello psicologo negli ospedali e nelle ASL. Il rinnovato corso di laurea è stato strutturato in quattro indirizzi: Psicologia generale e sperimentale, Psicologia dello sviluppo e dell’educazione, Psicologia clinica e di comunità, Psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Con questo rinnovamento si è cercato di fornire ai laureati una maggiore professionalità, che consentisse loro di individuare nuovi ambiti lavorativi e di proporsi ad essi con le conoscenze teoriche e pratiche adeguate (Calvi & Lombardo, 1989).

Attualmente, il processo di professionalizzazione della psicologia non può dirsi concluso per diversi motivi. Innanzitutto, gli sforzi di definire gli attributi professionali e le forme di erogazione delle competenze sono ancora in atto. La questione è ancora quella di individuare e giustificare dove e come gli psicologi possono lavorare. Infatti, per gli psicologi vi è ancora un’insufficiente specificità dell’ambito operativo e delle prestazioni attribuite, con l’eccezione del settore sanitario. Ci sono, difatti, psicologi operanti nel settore dei servizi e in quello industriale; psicologi che lavorano in modo autonomo e come dipendenti; con ampio margine di autonomia lavorativa oppure come semplici collaboratori di altri professionisti; con un orientamento libero-professionale o impiegatizio; con guadagni molto diversificati. Inoltre, spesso per gli stessi psicologi la professione sembra essere basata sull’offerta solo di alcune risposte o servizi, tipici delle professioni d’aiuto, e, dunque, poco attenta a cogliere la domanda potenziale esistente nella società per fornire nuovi tipi di prestazione.

Anche i tentativi di mantenere il controllo e l’autonomia professionale e di regolamentare l’accesso dei nuovi membri e l’iter verso i livelli di eccellenza professionale non risultano conclusi. Per gli psicologi, l’esclusività e l’autonomia vengono mantenute per legge sulla base del principio di salvaguardia dell’interesse pubblico per un bene collettivo come la salute, ma esse non sono ancora una realtà in molti settori d’attività non prettamente sanitari, in cui non sono chiare e condivise le caratteristiche delle prestazioni professionali. Difatti, in molti settori operativi di tipo sociale, economico, educativo ed aziendale gli psicologi devono contendersi l’esclusività dell’intervento con altri professionisti di discipline limitrofe e persino con titolo di studio inferiore (si pensi alla questione ampiamente dibattuta circa la figura del counselor).

Infine, la comunità professionale degli psicologi non è ancora riuscita a definire chiaramente i suoi confini professionali, mediante codici di comportamento, dichiarazioni di solidarietà corporativa, stili di vita, segnali di prestigio formalizzati. Uno dei versanti più critici risulta essere la rappresentazione sociale della professione, che si presenta distorta e non univoca. Domina un’immagine dello psicologo come medico dell’anima, che contribuisce ad occultare le diversità professionali intra-categoriali, a creare aspettative inadeguate sulle potenzialità e l’effettiva applicazione professionale delle conoscenze psicologiche in molti settori ed a frenare lo sviluppo di un’identità collettiva (Sarchielli, 2003).

Nel settore socio-assistenziale, che raccoglie la maggioranza degli psicologi, rientrano le attività svolte negli ospedali, nei consultori, nei centri di salute mentale, nei centri per tossicodipendenti, nel campo giuridico e nelle carceri. In questi contesti lo psicologo clinico svolge una serie di attività preventive, di promozione della salute e terapeutiche. L’ospedale richiede allo psicologo interventi differenziati: può intervenire sull’organizzazione del lavoro, sulla divisione dei compiti e sul rapporto operatori/utenti.

Nei consultori lo psicologo lavora con singoli, con gruppi e con famiglie, svolge attività di prevenzione primaria (ad esempio, incontri sulla contraccezione), organizza corsi di preparazione al parto, interviene su gruppi a rischio (ad esempio, donne con aborti ripetuti) ed effettua ricerche per indirizzare gli interventi di formazione e sensibilizzazione. Lo psicologo di comunità opera, invece, nei centri di salute mentale e nei centri per tossicodipendenti con programmi di recupero e di prevenzione primaria e secondaria. Ci sono anche alcuni psicologi clinici che operano in campo giuridico e si occupano di adozione e affidamento di soggetti in età evolutiva, di problematiche di separazione di coniugi con figli e di perizie psicologiche di minori incorsi in comportamenti devianti. Nelle carceri, infine, lo psicologo clinico può intervenire su più fronti: sull’istituzione carcere e sul suo rapporto con la realtà esterna, sul reinserimento in famiglia o nel mondo del lavoro dei detenuti e sull’organizzazione delle attività e della vita dei detenuti nel carcere (Caprara, Dazzi, & Roncato, 1994).

Un altro settore d’intervento per lo psicologo è la scuola. In Italia attualmente lo psicologo è presente in questo campo, ma di solito con un ruolo troppo limitato se si considerano le potenzialità di utilizzo che hanno le conoscenze psicologiche nell’ambito della formazione (Andreani Dentici, 1998) e la presenza di gran lunga maggiore di questa figura professionale negli altri paesi europei (Pagnin, 2004). Le funzioni che la psicologia può svolgere nel sistema scolastico possono essere raggruppate in tre grandi aree (Andreani Dentici, 1998; Pagnin, 2004).

La prima è un’area clinica, che oggi è parzialmente coperta e affidata a figure professionali abbastanza consolidate, come psicologi liberi professionisti ingaggiati dalle scuole e psicologi delle ASL. Essi si occupano soprattutto di colloqui personali, di terapia con soggetti con problematiche psicologiche, di assistenza a ragazzi con handicap e di interventi di educazione alla salute e alla sessualità.

La seconda area riguarda gli interventi di tipo psicosociale, da attuare nei casi di problemi di comportamento, di violenza, di bullismo, ma anche nelle dinamiche di conduzione della classe. Questa area oggi è abbondantemente scoperta, poiché non vi è una vera figura di riferimento: talvolta se ne fa carico l’insegnante, raramente lo psicologo esterno ingaggiato dalla scuola.

La terza area riguarda l’apprendimento e gli aspetti cognitivi, che costituisce attualmente un settore totalmente scoperto e lasciato alle sole capacità degli insegnanti. In questo ambito le conoscenze psicologiche permetterebbero l’analisi degli interessi e delle attitudini, l’intervento sulle difficoltà di apprendimento, l’aiuto agli insegnanti nel comprendere i problemi dei ragazzi e il modo migliore per lavorare con loro.

Un altro ramo d’intervento della psicologia è la psicologia del lavoro, che ha diverse aree di studio e d’intervento. La prima ad affermarsi è stata la selezione del personale, che consiste nella scelta del candidato più idoneo fra gli aspiranti a un mestiere. Gli psicologi che lavorano come selezionatori svolgono innanzitutto attività di analisi della posizione, per individuare le caratteristiche, le abilità e le conoscenze che un nuovo assunto deve avere per essere idoneo a svolgere un lavoro; sulla base del profilo costruito, successivamente i selettori effettuano uno screening dei curricula ricevuti; infine, adottano i metodi più efficaci (generalmente test e interviste) per individuare le persone da inserire nell’organizzazione.

Nella psicologia del lavoro rientra anche l’orientamento professionale (vocational guidance o career counseling in un’accezione internazionale); esso è inteso come azione professionale erogata da esperti con l’obiettivo di supportare l’inserimento nel mondo del lavoro, attraverso lo sviluppo di un senso di identità stabile, con il fine di adattarsi con successo ai nuovi e continui cambiamenti che caratterizzano il mercato del lavoro attuale; nell’era postmoderna, infatti, i lavoratori sono chiamati non solo a costruire da sé le carriere professionali, ma anche a saperle ridefinire e rimodulare in base alle nuove richieste e alle nuove transizioni in atto (nuovi contratti, nuove forme di lavoro etc.) (Di Fabio & Maree, 2012).

Un altro settore della psicologia del lavoro è la formazione, consistente in un’azione intenzionale e programmata di cambiamento, messa a punto attraverso interventi di educazione, istruzione e addestramento, mirati ad accrescere le competenze degli utenti. Gli psicologi del lavoro possono occuparsi anche di sicurezza e infortuni sul lavoro e di ergonomia, cioè dello studio degli aspetti psicologici dei sistemi di lavorazione. I settori più recenti della psicologia applicata al lavoro sono la psicologia dell’organizzazione e l’analisi delle mansioni. La prima studia i fenomeni, le condizioni e gli effetti dei rapporti organizzativi sulla vita e sul comportamento dei soggetti che lavorano in un’organizzazione ed inoltre si interessa alla possibilità di mutamento di questi rapporti con il fine di migliorare la vita lavorativa (Pedon & Maeran, 2002).

Oltre a quelli sopra citati, si stanno sviluppando anche nuovi ambiti d’intervento (Albiero, 2004):

  • la psicologia della disabilità e della riabilitazione, che interviene nella progettazione di percorsi di accompagnamento per la riabilitazione;

  • la psicologia del ciclo di vita, che si interessa in particolare all’infanzia e all’adolescenza, ma anche alle fasce anziane della popolazione (a questo proposito, in Italia sono in corso numerosi progetti rivolti ad anziani soli o inseriti in micro-comunità);

  • la psicologia dell’emergenza, che si occupa di interventi in situazioni di crisi, di disastri e di calamità;

  • la psicologia del traffico, che si interessa a trovare soluzioni a problemi della mobilità e opera nella valutazione dell’idoneità alla guida e nell’educazione stradale;

  • la psicologia dello sport, che studia come migliorare la prestazione agonistica, lavorando sulle rappresentazioni mentali dell’atleta rispetto alla resa e alla performance;

  • la psicologia del turismo, che intende aiutare e formare gli operatori del settore a offrire le risposte adeguate alle necessità della clientela.

La professione dello psicologo in Puglia si mostra come un ambito di lavoro prettamente femminile e tale trend appare in forte crescita tra le giovani generazioni di psicologi. Ma il dato che più appare pregnante nella descrizione del gruppo professionale pugliese è la netta differenziazione tra fasce d’età più giovani e fasce d’età mature per i diversi aspetti della professione: ambiti di lavoro, settori di attività, livelli di soddisfazione, formazione professionale, ecc. Gli psicologi più giovani, come dimostrano anche le opinioni dei partecipanti alla ricerca sul futuro professionale, hanno maggiori difficoltà nell’affermarsi nel mondo del lavoro e minore soddisfazione lavorativa.

La professione in Puglia appare in generale ben affermata: la maggioranza degli psicologi lavora a tempo pieno svolgendo attività di natura psicologica e con elevati livelli di soddisfazione. Tuttavia, è evidente che vi sono dei cambiamenti in atto che il gruppo professionale stesso non riesce a cogliere e di conseguenza probabilmente a supportare adeguatamente: vi è una grande disomogeneità nei criteri di definizione della propria attività professionale e si avverte una mancata conoscenza da parte degli stessi psicologi della vastità e della eterogeneità degli ambiti applicativi della psicologia.

Probabilmente anche in conseguenza di ciò, il percorso formativo accademico svolto dai professionisti pugliesi si dimostra poco utile rispetto ad altre esperienze formative e, in generale, poco allineato rispetto alle competenze richieste dall’agire professionale.

L’evoluzione della professione appare in discontinuità con il passato. Se attualmente il quadro professionale vede una netta prevalenza di professionisti appartenenti al settore clinico e all’ambito pubblico, le previsioni fatte dagli psicologi pugliesi lasciano intravedere lo sviluppo di opportunità professionali soprattutto in ambito privato e in settori differenti, come le scuole e le organizzazioni. Infine, un elemento che accomuna i vari settori è la trasversalità delle competenze professionali, sia di quelle già presenti e utilizzate nello svolgimento delle attività, sia di quelle potenzialmente utili per la professione ma non attualmente utilizzate. Una di queste competenze riguarda il counseling. L’attività di counseling rientra nelle aree di expertise trasversali alla professione, con importanti conseguenze sul piano etico e normativo. Il counseling viene definito come un intervento psicologico finalizzato a operare sulla salute più che sulla patologia (Di Fabio, 2003), per tale ragione la sua importanza riguarda non solo la sua trasversalità nei diversi settori disciplinari (career counseling nella psicologia del lavoro e delle organizzazioni ad esempio, oppure counseling scolastico), ma soprattutto il suo carattere distintivo in termini di skills ed elementi che caratterizzano l’attività di consulenza.

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