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Studi e ricerche / Studies and research

Il counseling psicodinamico per studenti universitari con disabilità. L’importanza dell’équipe multidisciplinare e le inevitabili variazioni del setting
Psychodynamic counseling for university students with disabilities. The importance of multidisciplinary teams and inevitable changes to settings.

Alessandra Ricciardi Serafino de Conciliis

Psicologa Psicoterapeuta presso il Centro di Ateneo per i Servizi per l’Inclusione Attiva e Partecipata degli Studenti (Centro Sinapsi), Università degli Studi di Napoli Federico II, Servizi di Tutorato Specializzato, Operatrice del Punto di Counseling Psicologico

Paolo Valerio

Professore Ordinario di Psicologia Clinica, Direttore del Centro di Ateneo Sinapsi, Delegato del Rettore per la Disabilità, Università degli Studi di Napoli Federico II



Sommario

Questo lavoro nasce dall’esigenza di riflettere sull’esperienza clinica maturata nell’ambito degli interventi di counseling psicologico per studenti universitari con disabilità. Gli autori si soffermano sull’importanza di lavorare all’interno di un’équipe multidisciplinare e sulle caratteristiche del setting adatto alle persone con disabilità. Nell’articolo vengono illustrati gli accorgimenti necessari per rendere un servizio psicologico effettivamente accessibile. Gli autori rintracciano le peculiarità di questo intervento, così come è andato delineandosi nel tempo, con la presentazione di alcune vignette cliniche.

Parole chiave

Counseling psicodinamico; disabilità; équipe multidisciplinare; servizi di tutorato specializzato; setting.


Abstract

This project arises from the need to reflect on the clinical experience matured in psychodynamic counseling for university students with disabilities. The authors focus on the importance of working within multidisciplinary teams and on the characteristics of settings suitable for people with disabilities. The paper shows the changes needed to render psychological services accessible. The authors trace the particularities of this kind of counseling, as it has been delineating over time, by presenting some clinical experiences.

Keywords

Psychodynamic counseling; disabilities; multidisciplinary team; specialised tutoring service; setting.


Il counseling per studenti universitari con disabilità. L’importanza dell’équipe multidisciplinare e le inevitabili variazioni del setting

I servizi di counseling psicologico per studenti universitari sono presenti nella maggior parte degli atenei italiani; essi offrono peculiari interventi comunicativi finalizzati ad affrontare disagi e difficoltà emergenti in momenti critici dell’esistenza, attraverso l’attivazione e la riorganizzazione delle risorse dell’individuo e con l’obiettivo di favorire in lui scelte e cambiamenti adattivi (AURAC,[1] 2002). Nell’Università degli Studi di Napoli Federico II gli interventi di counseling psicologico sono presenti fin dagli anni ’80; durante questo periodo, da interventi pionieristici, rivolti inizialmente solo agli studenti di medicina, ad opera di pochi psicoanalisti, sono stati organizzati in un servizio consolidato e stabile che può offrire interventi di counseling psicologico a tutta la popolazione studentesca dell’Ateneo.

Accanto a questo tipo di lavoro tradizionale (AA.VV., 1994; Adamo, 1993, 1994; De Beni, Lis, Sambin, & Trentin, 1997; Valerio, 1990, 1994), da diversi anni, viene offerto uno percorso di counseling specifico per studenti con disabilità; tale opportunità rientra nell’ambito delle attività offerte dall’Università Federico II all’interno dei Servizi di Tutorato Specializzato (STS). I STS sono stati istituiti nel 1999 con la legge n. 17 e hanno l’obiettivo di tutelare il diritto allo studio universitario, garantendo pari opportunità di formazione e di partecipazione universitaria degli studenti con disabilità. Nell’ateneo Fridericiano i Servizi sono stati organizzati in modo che gli studenti universitari con una condizione
di salute compromessa a causa di disabilità, di una malattia cronica o di una infermità temporanea possano essere supportati nel loro percorso con un progetto di studio individualizzato (Liccardo & Ricciardi Serafino de Conciliis, 2013). Tale progetto prevede, a seconda delle singole necessità, interventi sul piano dell’accessibilità degli spazi da frequentare, dell’usabilità del materiale didattico, della predisposizione di prove d’esame equipollenti, della consulenza sugli ausili informatici per la disabilità e del counseling psicologico. Tutte queste azioni sono predisposte come un unico progetto e sono realizzate in concerto da professionisti psicologi psicoterapeuti, bio-ingegneri, pedagogisti e esperti delle tecnologie assistive. Un’intera squadra di lavoro che in maniera coordinata si propone al singolo studente in modo da realizzare tutte le azioni al fine di favorire al meglio la partecipazione alla vita universitaria.

Il counseling psicologico per studenti con disabilità diviene, quindi, uno strumento all’interno di una più vasta serie di servizi offerti allo studente e non si configura più come intervento isolato. Lavorare con gli studenti con disabilità richiede un continuo ripensamento e talvolta aggiustamento delle regole del setting classico, tanto che in alcuni casi è necessario contravvenire alle regole dell’intervento tipico, rassicurante, ma che risulta essere lontano da quello che serve alla persona, per dare vita a un intervento atipico, forse avventuristico, ma necessario per incontrare la persona con le sue peculiarità. Quindi, data la specificità degli interventi rivolti agli studenti con disabilità, e dato che la terapeuta lavora all’interno di un’équipe multidisciplinare, di fatto questi fattori hanno reso la consultazione psicologica non del tutto sovrapponibile, per contesto, setting e tecnica, al classico servizio di counseling per studenti universitari.

Descrivere, anche se per sommi capi, il funzionamento dei STS e le modalità con cui lo studente viene supportato nel progetto universitario, permette di definire gli elementi che danno forma al contesto dell’intervento, meglio definito come setting istituzionale, e che differiscono dal setting istituzionale del servizio di counseling tradizionale. Come Gilliéron (1995) teorizza, il setting istituzionale è la prima realtà nella quale la persona è inserita, è l’elemento contestuale in grado di agire sul funzionamento psichico dei soggetti che esso contiene. Come ben sappiamo ogni elemento psichico può essere compreso solo in relazione al setting che lo contiene. La domanda di aiuto, così come l’offerta da parte del terapeuta, può essere compresa solo in relazione a un setting che viene riconosciuto da entrambi.

Il setting istituzionale: la disabilità e i servizi di tutorato specializzato

I Servizi di Tutorato Specializzato (STS) sono attivati su richiesta del singolo studente che, data la propria condizione di salute, vive con difficoltà l’esperienza universitaria. Lo studente rivolge la propria richiesta al Punto Accoglienza. Qui lavorano due psicologhe che, mediante diversi incontri, accolgono e rielaborano la richiesta dello studente e descrivono il funzionamento della persona secondo la prospettiva bio-psico-sociale (World Health Organization, 1998). Per la descrizione viene usata la checklist della Classificazione Internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF).

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la disabilità: “[…] come la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali, e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo”. Questa definizione stabilisce che la disabilità non è data solo dalla diagnosi medica, ma anche dall’interazione di una condizione di salute con i fattori contestuali, che, a seconda della presenza di aspetti facilitanti o ostacolanti, possono determinare un livello di disabilità molto diverso (Leonardi, 2009).

Questa prospettiva è molto interessante perché permette di cogliere contemporaneamente gli aspetti del corpo, della persona e dell’ambiente e di affrontare le questioni secondo un’ottica multidimensionale, spostando l’attenzione dal soggetto con un deficit all’interazione tra il soggetto e il contesto/ambiente. Questo significa che lo studente viene descritto in base alle proprie caratteristiche che risultano essere risorse o limiti in relazione al contesto universitario.

Le psicologhe presentano la situazione dello studente durante la riunione settimanale di staff operativo; lo staff è composto dagli operatori dei Punti Accoglienza, Pedagogia, Tecnologia e Counseling. In questa sede, a partire dalla presentazione fatta dalle psicologhe del Punto Accoglienza, i diversi professionisti propongono le consulenze necessarie per rendere l’esperienza universitaria accessibile per quella persona. Quindi lo studente viene invitato a prendere contatti con i Punti di consulenza necessari, in modo che ogni operatore possa conoscere personalmente lo studente e scegliere con lui la miglior soluzione possibile data una certa condizione di salute in relazione al contesto dello specifico corso di studi.

Una volta decise le azioni necessarie viene individuato il Case Manager, che diviene punto di riferimento per lo studente, e quindi viene confezionato un progetto individualizzato. Tale progetto prevede azioni che, per quanto possibile, intervengono sul contesto universitario in modo da renderlo fruibile e agisce sullo studente offrendo soluzioni tecnologiche, didattiche che possono supportarlo nello studio universitario. Il progetto individualizzato segue lo studente lungo tutto l’anno accademico e viene rinnovato ogni anno, anche se può essere modificato in qualsiasi momento in base alle mutate condizioni di salute dello studente. Il gruppo di lavoro multidisciplinare ha rappresentato una modifica importante al setting dell’intervento rispetto al servizio di counseling universitario tradizionale, che si avvale solo della figura professionale dello psicologo psicoterapeuta (Vitelli, Galiani, Amodeo, Adamo, & Valerio, 1998) e che non ha altre implicazioni nel percorso universitario degli studenti.

L’operatrice tra esperienza personale e controtransfert

Quando nel 2006 l’operatrice ha iniziato questa esperienza di lavoro aveva già familiarità con la teoria e la tecnica del counseling secondo il modello psicodinamico, ma non aveva alcuna esperienza di lavoro psicologico con persone con disabilità o malattia cronica. Il suo punto di partenza è stato uno scritto della psicoanalista e counselor britannica Julia Segal,[2] nel quale vengono delineati alcuni nodi emozionali e psichici che le giovani persone con disabilità o con una malattia cronica devono affrontare. Julia Segal introduce le sue riflessioni partendo dal vissuto personale di ambivalenza nei confronti della notizia che alla Federico II fosse stato istituito un servizio di counseling per studenti con disabilità e malattia cronica.

Ella scrive: da un lato sono stata contenta che questi studenti venissero riconosciuti come persone, che potevano avere bisogno di terapeuti competenti, […] dall’altro mi sono chiesta perché questi studenti non potessero accedere al servizio di counseling tradizionale. A suo avviso questa differenziazione avrebbe potuto restituire all’esterno l’idea che gli studenti con disabilità fossero differenti da tutti gli altri, rimarcando una presunta diversità tra persone che in realtà non esiste, ma quando creata genera esclusione e segregazione. Proprio partendo da queste riflessioni la terapeuta nei primi mesi di attività si chiedeva quale fosse il senso del suo lavoro. Quale differenza può fare e deve fare una disabilità? quali differenze non dovrebbe fare una condizione di disabilità? quali concessioni sono utili o necessarie quando incontriamo persone con disabilità o malattia cronica?

Prima del suo arrivo, presso il servizio, si erano susseguiti diversi psicoterapeuti, che, per vari motivi, avevano lasciato l’incarico dopo alcuni mesi, e per questo, dopo l’entusiasmo iniziale, le sembrò di essere approdata in un posto poco importante, un posto che era stato sempre lasciato per qualche altra cosa che doveva essere sembrata migliore. Iniziò a chiedersi se non fosse un servizio di serie B. Inizialmente è stato molto importante per l’operatrice usufruire di uno spazio di supervisione, in modo da riflettere sulle difficoltà emozionali connesse all’attività. Fu evidente che le condizioni di salute che determinano una disabilità, essendo parti concrete e immodificabili dell’individuo, producono una sofferenza emozionale molto intensa anche nel terapeuta, e che tale vissuto emotivo necessita di un costante lavoro di elaborazione del lutto per essere compreso e mitigato.

Lavorare nell’ambito della disabilità significa entrare costantemente in contatto con l’angoscia di morte; le dinamiche controtransferali che si determinano sono in relazione a una costante esperienza depressiva, la quale di volta in volta, se non accolta e riconosciuta, attiva meccanismi di difesa primitivi, come il diniego e la negazione, che di fatto espellono il dolore presentato dall’altro e reificano la sensazione di esclusione. Per la terapeuta essere inserita in un gruppo di lavoro multidisciplinare e sentire di farne parte appieno ha rappresentato un punto di forza molto importante; questa appartenenza ha segnato in maniera importante l’esperienza clinica e ha modificato il setting.

All’inizio della sua attività l’operatrice era molto attenta al tipo di disabilità presentata dagli studenti, ma con il fare esperienza si è resa conto che negli incontri di counseling a prevalere erano le persone nella loro complessità, ognuno con la propria storia, e si è resa conto che la disabilità non riusciva a rendere omogenea la narrazione degli studenti, ma ogni persona viveva la propria condizione di disabilità in maniera unica.

Caratteristiche del percorso di counseling

Agli studenti vengono offerti quattro colloqui, svolti a cadenza settimanale, della durata di 45 minuti. Questo è un intervento breve, secondo il modello psicodinamico, che mira a fornire al giovane un tempo dove poter esprimere le difficoltà e i conflitti, in modo da attivare un processo di riflessione e di rielaborazione ed è anche l’occasione per esplorare l’opportunità o meno di intraprendere un percorso di counseling prolungato. La matrice che dà origine e forma a ogni tipo di intervento di counseling - sia di tipo tradizionale e sia dei STS - è l’Università. Per cui ciò che non cambia è lo statuto di studente universitario che pone al servizio una richiesta di essere aiutato a riflettere in termini emozionali e relazionali su una certa problematica, che nella maggior parte dei casi è attinente con il proprio percorso universitario. Nel counseling universitario si evincono, in maniera preminente, le problematiche della tardo-adolescenza e dei giovani adulti, impegnati nella gestione delle conflittualità separative e edipiche nella costruzione della identità adulta (Adamo, Giusti, Petrì, Portanova, & Valerio, 1994; Adamo & Valerio, 1993; Adamo, Valerio, & Giusti, 1992); nel counseling con studenti con disabilità troviamo le stesse emergenze
evolutive, ma fortemente influenzate dalla condizione di disabilità. Il corpo deturpato, imperfetto o danneggiato nella sua funzionalità ha un impatto drammatico sulla scena psichica dell’individuo, sia che la disabilità sia congenita sia che rappresenti una condizione acquisita nel corso della vita.

Mentre nel setting del counseling classico a essere predominanti sono la brevità dell’intervento e l’autodeterminazione dello studente, nel counseling per studenti con disabilità queste due caratteristiche, pur essendo presenti, sono molto attenuate. Infatti lo studente, prima di entrare in relazione con la terapeuta, è in relazione con i servizi nel loro insieme e resterà nei servizi anche dopo i 4 colloqui. La relazione con i servizi nell’insieme stempera molto l’ansia della separazione, sia nello studente che nell’operatrice; nel counseling classico l’ansia della separazione è un elemento fondante e centrale della relazione (Giusti & Valerio, 2001; Valerio & Giusti, 1994).

Anche l’autosegnalazione è qualcosa di imprescindibile nel counseling classico, mentre gli studenti con disabilità arrivano spesso al counseling su suggerimento di un operatore. Infatti tutti gli studenti che accedono ai STS vengono informati della possibilità di avvantaggiarsi, in qualsiasi momento ne sentano l’esigenza, dello spazio del counseling psicologico. Il servizio di counseling viene presentato nel dettaglio e spesso lo studente è aiutato a riflettere, o già in fase di accoglienza o nella relazione con il Case Manager, sulla possibilità di trarre giovamento dal percorso psicologico nell’affrontare un particolare momento critico. La domanda dello studente è in qualche modo già pre-elaborata. Anche le sue fantasie e le sue aspettative nei confronti del percorso sono influenzate dalle precedenti esperienze che lo studente ha instaurato con gli altri operatori e con il Servizio in generale. D’altro canto, per quanto riguarda l’operatrice, essere inserita in un gruppo di lavoro e dover partecipare attivamente alla predisposizione dei progetti individualizzati le consente di avere a disposizione molte informazioni sugli studenti che normalmente non si avrebbero.

Alcune informazioni sono strettamente necessarie affinché si possa predisporre un percorso di counseling accessibile, nel caso, ad esempio, di quegli studenti che usano dei mediatori per la comunicazione. Ma oltre alle informazioni strettamente necessarie alla realizzazione dell’incontro, l’operatrice ha tutta una serie di informazioni che riguardano lo stato di salute, le modalità relazionali, l’andamento universitario, che comunque influenzano la relazione di counseling e che contribuiscono a formare le aspettative e le fantasie della terapeuta relativamente alla persona che incontrerà e al percorso che si attiverà. Sono informazioni estremamente preziose che aiutano a lavorare anche in condizioni limite e che aiutano a interpretare il vissuto controtransferale dell’operatrice. Infatti, se nel percorso di counseling lo studente elabora i profondi livelli di sofferenza emozionali, nelle relazioni con gli altri operatori, nella maggior parte dei casi, lo studente mostra le parti più vitali e funzionanti. Entrare in contatto, anche se indirettamente, con le parti funzionali dello studente rende la sofferenza depressiva della relazione di counseling più sopportabile e aiuta a gestirla meglio. L’attenzione non è rivolta alla disabilità, ma alla persona nella sua complessità e alla sua progettualità. Questo è soprattutto un atteggiamento mentale che permette di avere una visione prospettica e completa della persona. La relazione di counseling si stabilisce a partire dalle risorse del giovane, e si adatta di volta in volta alle possibilità di interazione della persona che richiede la consultazione. In letteratura non esistono molte esperienze di psicoterapia psicoanalitica con persone con disabilità, spesso il gruppo di lavoro si interroga sulla efficacia e validità dei tanti cambiamenti e aggiustamenti che vengono apportati agli interventi clinici. Accanto a questi interrogativi, però, ci sono anche una forte curiosità e propensione dell’operatrice a inoltrarsi in aree della psicoterapia poco esplorate per rispondere comunque a delle richieste di aiuto che vengono dalle persone con disabilità.

I colloqui di counseling hanno luogo presso una sede universitaria che ha spazi accessibili e dove si svolgono attività rivolte a tutta la popolazione studentesca. La sede dei colloqui è quindi fisicamente distaccata dalla sede centrale dedicata alla disabilità, questo consente agli studenti di vivere lo spazio del counseling con maggiore libertà e di essere inseriti in un contesto non etichettato come servizio per disabili. Accanto a questo spazio canonico del counseling, c’è la possibilità di svolgere i colloqui anche presso la sede centrale dei STS. Questa sede viene preferita quando le condizioni di salute degli studenti sono talmente compromesse da richiedere misure particolari per svolgere il colloquio.

In questo servizio di counseling si presta molta attenzione ai luoghi della consultazione, in quanto è necessario che ogni studente possa muoversi autonomamente per raggiungere la stanza del colloquio. Per questo particolare attenzione è posta alla collocazione degli arredi sia nelle stanze di consultazione sia lungo il corridoio, in modo che non ci siano ostacoli imprevedibili o spazi troppo stretti da risultare delle barriere ambientali. Sono previste anche diverse modalità di prenotazione dei colloqui; la prenotazione può avvenire telefonicamente, utilizzando il numero dell’ufficio, o tramite posta elettronica, in modo che anche le persone che non possono comunicare verbalmente abbiano la possibilità di rivolgersi senza intermediari al servizio, mantenendo così la riservatezza e l’autonomia della richiesta.

Di seguito verranno presentate delle vignette cliniche in modo da rendere evidente quali tipi di modifiche sono state apportate nelle interazioni. L’esperienza clinica mostra come la parola e lo sguardo debbano adattarsi alla corporeità imponente dell’altro e non più solo alla realtà psichica ed emotiva. A volte il modo di stare insieme all’altro è stato inventato, creato, costruito lì sul momento. Questo è accaduto in particolar modo in tutte quelle condizioni di salute in cui a essere deficitaria è una delle componenti, verbale o non verbale, della comunicazione, ossia quando a mancare è l’udito, la vista o la voce. Condizioni che impediscono o alterano di fatto la classica interazione tra terapeuta e paziente fatta principalmente di commenti e interpretazioni, ma anche di toni ed espressioni.

Con queste limitazioni è stato importante prestare attenzione ai pensieri, alle emozioni, alle sensazioni che si sono attivati nella terapeuta durante le consultazioni e utilizzarli per aumentare la comprensione dell’altro e avviare una relazione. Sono stati scelti tre studenti: Sara, Luca e Luciana, che di fatto hanno rappresentato tutte le prime volte che la counselor si è confrontata con la necessità di modificare la propria modalità di interagire con l’altro. La prima studentessa presentata è Sara, una ragazza di 25 anni, studentessa fuori corso di una facoltà scientifica, sorda dalla nascita, che chiese di poter svolgere i colloqui di counseling con il proprio interprete della Lingua Italiana dei Segni (LIS). Nella seconda vignetta clinica si descrive il percorso di counseling con Luca. È sicuramente l’intervento più atipico, ma permette di dare risalto all’importanza di lavorare all’interno di un gruppo multidisciplinare anche per realizzare un intervento psicologico. È un’esperienza clinica realizzata più recentemente rispetto agli altri due casi presentati e riflette la maggiore disponibilità della terapeuta a confrontarsi con situazioni limite. Infine si parlerà di Luciana, una studentessa giovanissima, cieca dalla nascita, che chiese di intraprendere un percorso di counseling appena iscritta all’università.

Vignetta clinica: Sara e la Lingua Italiana dei Segni (LIS)

Sara, 25 anni, per contattare il servizio, si avvalse di un servizio di mediazione comunicativa offerto da un’associazione al servizio delle persone sorde che, con una traduzione simultanea tra la LIS e l’italiano parlato, permette alle persone sorde di comunicare attraverso il telefono. Sara fece la sua richiesta telefonicamente chiedendo alla terapeuta se conoscesse la lingua dei segni. Quella richiesta fece sentire l’operatrice in difetto non conoscendo la LIS, quindi la studentessa disse che avrebbe voluto svolgere l’incontro con il proprio interprete. Una richiesta che la counselor avvertì come ricattatoria, perché se non avesse accettato l'interprete la studentessa non sarebbe andata all’incontro, anche se riferiva di essere in una condizione di profondo disagio.

Dopo avere riflettuto sulle possibili scelte, l’operatrice accettò la presenza dell’interprete. Accettare questa condizione significò lavorare nel primo colloquio principalmente sulle modalità relazionali che la studentessa stava agendo, al di là delle comunicazioni esplicite che poteva fare. Nel primo colloquio venne accolto e fu reso manifesto il bisogno sottostante e inconscio alla richiesta esplicita, tanto che la studentessa dopo questo primo incontro non ebbe più bisogno della presenza dell'interprete per realizzare il percorso di counseling.

Commento

La terapeuta e la studentessa riuscirono a lavorare aiutandosi in alcuni casi con l'utilizzo di carta e panna. Ovviamente carta e penna non potevano vicariare tutte le sfumature della comunicazione che la componente paraverbale consente, così come l’operatrice fece l’esperienza di dover assumere una postura più fissa, per facilitare la lettura del labiale, e ha dovuto tollerare che l'attenzione dell'altra persona fosse tutta convogliata sulle sue labbra ogni istante dei colloqui. Per impedire che tutte queste novità fossero un ostacolo alla realizzazione di un buon incontro è stato necessario monitorare le sensazioni e riflettere dopo ogni colloquio sul vissuto controtransferale, tenendo in considerazione anche quanto la nuova esperienza la aveva allontanata dal suo modo tipico di condurre i colloqui di counseling.

Vignetta clinica: Luca e il counseling impossibile

Luca è uno studente universitario adulto che, a causa di un incidente, ha perso la maggior parte della funzionalità del proprio corpo; infatti una paralisi molto estesa ne ha compromesso anche la capacità di parlare. Aveva quasi terminato gli studi quando dovette abbandonare il progetto universitario a causa delle mutate condizioni di salute. Dopo quasi 10 anni Luca si è rivolto ai Servizi per riprendere il percorso e portarlo a termine. Il primo passo per questo studente è stato predisporre un ausilio per la comunicazione, quindi è stato necessario istruirlo all’uso del comunicatore e infine si è lavorato con i docenti per predisporre un lavoro di tesi che lo studente avrebbe potuto fare in autonomia.

Attualmente lo studente comunica attraverso un ausilio complesso che è stato predisposto, integrato e fornito dagli operatori del Punto tecnologico. Il sistema di comunicazione è stato costruito in modo tale da soddisfare le esigenze dello studente sfruttando le residue capacità di movimento di un arto superiore. Lo studente, dopo avere preso padronanza nell’uso del comunicatore, espresse al proprio Case Manager alcune preoccupazioni che lo agitavano. Il Case Manager gli propose di avvantaggiarsi di un percorso di counseling, dopo qualche mese da questa informazione, arrivò alla terapeuta una mail di Luca nella quale chiedeva di incontrarlo. In accordo con l’équipe venne predisposta una stanza che risultasse accessibile per lo studente.

Sono stati svolti tre incontri, le interazioni erano lentissime, la terapeuta poteva leggere quello che lo studente scriveva su di un monitor, ma Luca, con un comando, preferiva dare voce alle sue parole usando una sintesi vocale che leggeva il suo scritto dopo che aveva completato la frase. Ogni incontro è durato 90 minuti, il doppio rispetto ai canonici 45 minuti del solito colloquio, però questo era il tempo necessario per consentire a Luca di poter esprimere almeno qualche pensiero. Un tempo infinito, si potrebbe pensare. Per la coppia era invece un tempo limitatissimo nel quale comprendersi. Furono un tempo e un luogo usati da Luca per dare voce alle ansie e alle angosce che non poteva condividere con le persone che gli stavano accanto, già troppo angosciate per lui e per altre tristi vicende familiari. Furono tre incontri molto dolorosi, per tutti e due. Tre incontri nei quali la vita e la morte erano confuse, non potevano essere sciolte, in quegli incontri non poteva essere pensata, invocata, né la vita né la morte. Tre settimane nelle quali la terapeuta, quando era alla guida della sua auto, immaginava di poter fare un incidente, tre settimane nelle quali ha sentito l’inutilità del lavoro di elaborazione psichica, e nelle quali pensava a tutto ciò che accadeva o che sarebbe potuto accadere in una sorta di continuo slidingdoors.

La terapeuta faceva appello a tutta la sua forza per restare viva in presenza di tanta impotenza. È stato un percorso in cui è stata accolta un’esperienza tragica, un vissuto emozionale molto potente, che non poteva essere trasformato, elaborato o risignificato. Per la terapeuta è stato importante dare un senso ai meccanismi di identificazione proiettiva e contro-identificazione proiettiva, per comprendere quanto Luca fosse inchiodato al momento dell’incidente e offrirgli una possibilità di parlare delle paure trovando una possibilità per pensarle. Alla fine del terzo colloquio Luca ringraziò l’operatrice per aver dato un tempo alle sue angosce, sentiva che aveva detto tutto quello che per lui era urgente in quel momento e che era stato utile parlare, aveva deciso fermarsi con i colloqui, perché aveva il suo progetto da portare avanti e sentiva di aver ritrovato il suo tempo per farlo.

Commento

La storia del percorso con Luca mette in evidenza che senza il lavoro dello staff multidisciplinare questo studente non avrebbe avuto la possibilità di comunicare in maniera complessa e articolata, né la terapeuta avrebbe potuto accogliere la sua richiesta. Senza avere una descrizione utile dello studente, del suo modo di relazionarsi e del suo funzionamento, senza una stanza accessibile e la disponibilità dell’ausilio informatico, l’incontro non sarebbe stato possibile. È stato un percorso di counseling psicodinamico? No, se lo si intende nel termine classico del termine. Ma è stata una possibilità che l’altro ha colto per elaborare un dolore indicibile, è stato, quindi, un intervento psicodinamicamente orientato perché psicodinamici sono stati i costrutti che hanno permesso alla counselor di pensare e offrire uno spazio di riflessione.

Vignetta clinica: Luciana e la voglia di autonomia

Luciana è una giovane studentessa del nostro ateneo non vedente dalla nascita. La sua richiesta di un percorso breve di counseling venne maturata in seguito all’incontro con uno degli operatori del servizio accoglienza. In quella sede Luciana, per la prima volta, parlò delle sue preoccupazioni rispetto al suo inserimento nel nuovo contesto universitario. Arrivò al primo colloquio accompagnata dalla madre che, in ansia per la figlia, non voleva lasciarla. Ma Luciana chiese alla madre di restare in disparte e nella stanza di segreteria chiese all’operatrice se poteva metterle una mano sulla spalla per entrare nella stanza di consultazione. La terapeuta lasciò che Luciana si appoggiasse a lei e si avviarono verso la stanza di consultazione, nel frattempo le descriva il percorso che stavano facendo.

Al secondo incontro Luciana arrivò di nuovo accompagnata dalla madre che, questa volta, andò via senza commentare, mentre Luciana era già completamente autonoma nel raggiungere la stanza di consultazione. Luciana parlò fin da subito delle difficoltà che aveva nell’incontrare persone nuove a causa della sua innata diffidenza, e del frequente ricorso all’isolamento in mezzo alla gente. Iniziò così il percorso di riflessione della giovane che le consentì di sperimentare la possibilità di parlare della sua rabbia, senza sentirsi zittire con frasi di circostanza, come ad esempio devi accettare la tua condizione, oppure con frasi volte a minimizzare le difficoltà, che familiari e amici più volte le ripetevano in tono di rassicurazione.

Luciana aveva la possibilità di confrontarsi parlando fino in fondo della delusione per una condizione che le dispiaceva e che non poteva mutare. Mise a fuoco la sua voglia di apparire sempre al meglio per non suscitare la pietà o l’ansia in chi la accompagnava e le fece scorgere un mondo interiore molto più complesso di quanto, a uno sguardo superficiale, lei stessa avrebbe potuto cogliere. Le sembrò che l’isolamento, che la allontanava dai rapporti interpersonali e che le appariva involontario, avesse invece anche una caratteristica piacevole; era un isolamento che le permetteva di entrare in contatto con il suo mondo interno e con le fantasie, quando la realtà le sembrava poco piacevole o troppo caotica per essere compresa. In questo modo lo spazio di riflessione si spostò sul mondo interno e sui meccanismi di difesa. E fu nella risonanza del mondo interiore che Luciana trovò una visione di sé meno infantile e passiva, in questo modo colse l’occasione per iniziare a costruire una immagine di sé più autonoma e adulta.

Commento

Questo percorso di counseling mette in evidenza l’importanza di offrire un luogo che diventi facilmente accessibile. Luciana ha mostrato fin da subito la sua voglia di autonomia e di emancipazione nei confronti delle figure di accudimento, tanto da chiedere alla madre di essere lasciata sulla soglia del servizio e di chiedere all’operatrice di essere guidata. Il descriverle il corridoio che stavano percorrendo, indicarle i punti di riferimento che poteva trovare per orientarsi e indicarle l’inesistenza di ostacoli hanno consentito alla studentessa, già al secondo colloquio, di recarsi in autonomia nella stanza dei colloqui. Di contro Luciana ci mostra come tutto ciò che lei portava su un piano di realtà fosse anche la chiave di accesso per leggere la sua voglia di esplorazione del suo mondo interno e della sua emotività.

La studentessa stava chiedendo alla terapeuta di trovare dei punti di riferimento interni per affrontare la nuova esperienza universitaria e di non porla di fronte alle solite frasi di circostanza - devi accettare la condizione, pensa a chi sta molto peggio di te, non ci pensare - che di fatto erano state vissute come degli ostacoli al libero pensiero e all’esplorazione delle spinte evolutive. Probabilmente, se l’operatrice non avesse accettato di contravvenire alle regole del setting classico e avesse rimandato ogni commento e azione all’interno della stanza di consultazione, avrebbe messo di fronte all’esperienza di Luciana degli ostacoli simili a quelli che incontrava nella vita di tutti i giorni. Se l’operatrice non avesse usato se stessa come strumento di accessibilità avrebbe spinto il percorso verso l’intellettualizzazione e sarebbe stato più difficile fare un’esperienza di autonomia e di possibilità.

Discussione

In questo lavoro sono stati descritti percorsi di counseling psicodinamico che non seguono le coordinate del setting classico, sono state messe in evidenza le modifiche del setting per rendere uno spazio psicologico accessibile alle persone con disabilità. Winnicott (1971) scrive: “La psicoterapia ha a che fare con due persone che giocano insieme […] quando il gioco non è possibile, allora il lavoro svolto dal terapeuta ha come fine di portare il paziente da uno stadio in cui non è capace di giocare a uno stadio in cui è capace”. Nei casi presentati le persone che si sono rivolte al servizio non erano impossibilitate a giocare perché incapaci di accedere alla funzione simbolica del pensiero, ma erano incapaci di comunicare come siamo abituati a fare.

La possibilità rintracciata per rendere lo spazio di counseling un luogo di incontro e di pensiero è stato rendere lo spazio comunicativo accessibile. Questo, come precedentemente evidenziato, ha comportato stravolgimenti nel setting e ha fatto emergere la necessità di avvalersi del lavoro di un gruppo multidisciplinare. Il setting è stato costruito sulle facoltà dell’altro, e questo ha comportato il dover rinunciare, di volta in volta, alle certezze del setting tradizionale, pena l’inaccessibilità del percorso di counseling per la maggior parte degli studenti con disabilità.

In tutte queste esperienze il corpo della terapeuta è entrato prepotentemente nella relazione di counseling per raggiungere l’altro. Ciò che ha permesso all’operatrice di essere lì a disposizione per l’altro, secondo le sue esigenze, restando viva come psicoterapeuta; è stato considerare il setting come uno strumento di lavoro e non solo una cornice di contenimento entro cui muoversi. Il fatto di riconoscere un’identità professionale sicura e il non sentire l’urgenza di verificarla continuamente permette alla mente dell’operatore di offrirsi come luogo mentale pronto a esperire, anche, la dimensione concreta della relazione; in questo modo l’identità professionale non viene utilizzata in maniera difensiva, ma viene messa al servizio della relazione.

Bibliografia

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Adamo, S. M. G. (1993). Tempo evolutivo e tempo istituzionale, tempo clinico nel counselling psicodinamico con studenti universitari. Prospettive Psicoanalitiche nel Lavoro Istituzionale, 11(3), 321-337.

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[1] Aurac: Associazione Universitari per lo Sviluppo e La Formazione alla Relazione d’aiuto e al Counseling, costituita il 12 novembre 2001.

[2] Comunicazione orale presentata nel 2002 in occasione dell’inaugurazione dei Servizi di Tutorato Specializzato dell’Università degli Studi Federico II, lavoro successivamente pubblicato nel 2013.


Autore per la corrispondenza

A. Ricciardi Serafino de Conciliis.
Indirizzo e-mail: alessandradeconciliis@gmail.com, counselling.sinapsi@unina.it
Servizi di Tutorato Specializzato, Via Cinthia, 26, Complesso Universitario di Monte Sant’Angelo, Edificio 1 (Centri Comuni), 80126 Napoli  



Note

1 A

DOI: 10.14605/CS1111802


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ISSN 2421-2202. Counseling.
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