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Articoli su invito / Invited articles

Counseling psicologico universitario e disabilità: nuove prospettive d’intervento in rete
University Counseling and disability: New web perspectives for psychological intervention

Karola Sorgi

Servizio Ascolto Psicologico (SAPCO), Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara

Valentina Sforza

Servizio Orientamento e Accoglienza Studenti Disabili (SOASD), Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara

Daniela Marchetti

Dipartimento di Scienze Psicologiche, della Salute e del Territorio, Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara

Mario Fulcheri

Dipartimento di Scienze Psicologiche, della Salute e del Territorio, Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara



Sommario

Il counseling psicologico universitario mira a sostenere gli individui impegnati nel contesto della formazione universitaria, in modo da potenziare le loro capacità progettuali e le competenze di gestione delle difficoltà. Al fine di implementare metodologie utili al raggiungimento del benessere psico-fisico e del successo accademico, il presente lavoro effettua un’analisi del disagio e dei bisogni degli studenti universitari con o senza disabilità; approfondisce la funzione del counseling psicologico universitario e infine suggerisce l’utilizzo di uno strumento alternativo al tradizionale intervento di counseling vis-á-vis, attraverso l’impiego delle moderne tecnologie ad alta diffusione (Information and Communications Technology-ICT).

Parole chiave

intervento psicologico, counseling universitario, studenti universitari, disabilità, tecnologie ad alta diffusione, cybercounseling.


Abstract

University-based counseling services provide support to university students in order to enhance their planning abilities and problem-solving skills. The paper focuses on methodologies useful in promoting the psycho-physical well-being and academic success of university students. Specifically, we analyse the uneasiness and the needs of college students with and without disabilities; we investigate in-depth the role of psychological counseling at universities. Finally, we highlight the usefulness of information and communication technologies in delivering counseling interventions as an alternative to the face-to-face approach.

Keywords

psychological intervention, university counseling, college student, disability, information and communication technology, cybercounseling.


 

Il counseling psicologico universitario

Il counseling universitario è un processo di facilitazione, finalizzato all’acquisizione di un maggiore livello di consapevolezza dello studente, per la gestione autonoma delle sue problematiche e la facilitazione stessa come processo di esplorazione degli schemi di pensiero e di azione, per un uso migliore delle proprie risorse in relazione ai propri bisogni e desideri (Spalletta & Germano, 2006).

Anche il concetto di empowerment appartiene a questo orizzonte di significati e si riferisce alla progressiva acquisizione di capacità e competenze indispensabili per agire positivamente nel mondo, affermando il proprio diritto a essere protagonisti del cambiamento.

Altresì nel contesto universitario il counseling concorre, con il suo specifico contributo, alla creazione di legami sociali fondati sul rispetto reciproco, sull’inclusione, sulla solidarietà e sul dialogo (Spalletta & Germano, 2006). Questa specifica relazione d’aiuto costituisce un valido strumento capace di offrire sostegno agli studenti con disabilità, che, a differenza dei normodotati, presentano delle caratteristiche distinte. Sia gli studenti normodotati, sia quelli diversamente abili, infatti, devono godere delle medesime possibilità di realizzazione nella società, e principalmente della possibilità di perseguire il raggiungimento di obiettivi formativi atti a un successivo inserimento lavorativo (Legge 17 del 28 gennaio 1999).

Questa specifica relazione d’aiuto rappresenta: “Un servizio consulenziale, regolato da principi e strumenti psicologici, in cui l’uso professionale della relazione è volto a sviluppare e sostenere le risorse personali e sociali della/del cliente/utente, promuovendo atteggiamenti pro-attivi e stimolando la consapevolezza di sé e delle proprie scelte. Nell'ambito di tale relazione il/la cliente è attore principale del processo di crescita emozionale e sviluppo delle proprie risorse anche in vista del benessere percepito nella costruzione e attuazione del proprio progetto professionale. Il Counseling psicologico universitario è specifico per funzione/scopo e mira a ottimizzare l’esperienza di ruolo nell’università: non si rivolge all’individuo in generale, ma al suo ruolo all’interno del contesto universitario. La sua funzione è, pertanto, quella di sostenere gli studenti impegnati nel contesto della formazione universitaria, in modo da potenziare le loro capacità progettuali e le competenze di gestione delle difficoltà” (Conferenza della Psicologia Accademica, 2015).

I risultati di numerose ricerche realizzate nel contesto universitario, sia in Italia che all’estero, confermano l’ipotesi che il passaggio verso l’università e le caratteristiche della vita universitaria stessa possano avere un ruolo nella manifestazione di problemi di salute mentale (Fulcheri, Torre & Caporale, 2003; Prince, 2015). È presumibile che una certa quantità di stress sia inevitabile, tuttavia gli ostacoli incontrati nel corso dell’iter formativo possono avere conseguenze negative sugli studenti favorendo difficoltà di adattamento e malessere psichico (Biasi, Mallia, Menozzia, & Patrizi, 2015; Clinciu, 2013; Fulcheri, Giordanengo, Torre, Dotti, & Perrone, 2003). Non di rado è possibile riscontrare tra la popolazione studentesca la presenza di disturbi, quali depressione e ansia, oltreché abuso di alcol e droghe, che possono incidere negativamente sui processi di apprendimento. Inoltre problematiche di tipo relazionale e comportamentale rappresentano impedimenti critici per il successo accademico degli studenti (Prince, 2015).

In vista di ciò, il counseling psicologico universitario si propone di contrastare l’emersione del malessere e del disturbo psichico, concentrandosi sulla promozione del benessere e della salute mentale attraverso la realizzazione di interventi, individuali o di gruppo, volti alla crescita personale, all’ampliamento delle consapevolezze, al conseguimento dell’autonomia e alla realizzazione di sé, in termini sia individuali, sia collettivi, sia formativo-professionali.

Naturalmente è indispensabile che tale intervento sia pensato e progettato ad hoc, tenendo in considerazione le esigenze di ciascuno studente. La presenza di bisogni specifici, quali un’eventuale disabilità e/o un DSA, obbliga i professionisti che operano in tale contesto a un’attenta riflessione metodologica e all’implementazione di tecniche e strumenti utili al raggiungimento degli obiettivi concordati in sinergia con ogni studente. Tale intervento, in quanto “complesso”, richiede una lettura sistemica, del disagio, dei bisogni e delle risorse dello studente, nonché delle caratteristiche dell’ambiente nel quale egli intende realizzarsi.

Uno dei principali fattori che concorrono al disagio psichico dello studente universitario può essere associato all’impatto con un ambiente totalmente diverso dalla realtà scolastica, sociale e affettiva precedente (De Beni, Lis, Sambin & Trentin, 1997). La realtà universitaria, infatti, richiede l’adesione a nuove regole sociali che impongono una riorganizzazione affettiva del soggetto.

Anche la scelta del Corso di Studi non viene sempre attuata in relazione alle proprie attitudini, capacità e desideri, ma spesso viene compiuta per imitazione, per adesione alle aspettative familiari e/o a seguito di pressioni e influenze esterne al soggetto. In alcuni casi l’università è considerata un’alternativa a una situazione occupazionale precaria e/o poco gratificante (Boni, Luderin, Semi, & Tortorella, 2014).

Un ulteriore fattore che può contribuire all’emersione del disagio psichico è ascrivibile alle difficoltà organizzative dello studente che è chiamato a crescere nell’autonomia: deve infatti essere capace di gestire al meglio il suo tempo e le varie discipline, mettendo in atto strategie volte al raggiungimento degli obiettivi accademici. Inoltre, quando intravede la fine del percorso universitario, egli si rende conto che non è più sufficiente essere un “bravo” studente, ma occorre definire un progetto di vita personale e professionale e ciò può suscitare ansie e preoccupazioni riguardanti il futuro.

Tali criticità emergono in una fase evolutiva caratterizzata dal passaggio dall’adolescenza all’età adulta, che richiede il superamento di specifici compiti e processi quali: la separazione-individuazione del sé, l’acquisizione dell’autonomia e della capacità di costruire e mantenere relazioni di intimità (Fulcheri, Torre, & Caporale, 2003). Questa tappa evolutiva non di rado è accompagnata da bisogni e malesseri di varia natura, che si uniscono a fattori e compiti peculiari del percorso universitario (De Beni et al., 1997).

Il processo di separazione-individuazione si realizza non soltanto attraverso la formazione di un’identità personale e di una competenza professionale, ma anche attraverso nuove esperienze e profonde rivisitazioni delle relazioni con i familiari e i pari. In questa fase di transizione si misurano e si evidenziano risorse e limiti; inoltre possono emergere difficoltà e conflitti connessi alle scelte esistenziali che permettono la costruzione dell’identità (Fulcheri & Accomazzo, 1999).

In quest’ottica l’università può essere considerata come il contesto deputato alla realizzazione della “crescita” del soggetto, che tuttavia suscita nello studente ulteriori questioni, quali le frustrazioni legate ai risultati accademici e i dubbi relativi al futuro, che comportano una sorta di ristrutturazione del senso di Sé, connessa non solo ai processi maturativi interni, ma anche al mutare delle condizioni dell’ambiente esterno.

Tali criticità riguardano anche gli studenti con disabilità che in primis sono chiamati a fronteggiare le barriere culturali e architettoniche che possono inficiare i rapporti intra e interpersonali, alimentando sentimenti negativi connessi alle restrizioni fisiche derivate dalla propria condizione e dall’impossibilità di vivere in modo pienamente indipendente le esperienze della vita universitaria.

Lo studente rappresenta allora l’attore principale del proprio processo di crescita emozionale e dello sviluppo delle proprie risorse, anche in vista del benessere percepito nella costruzione del proprio progetto professionale.

Sovente la richiesta di aiuto ai servizi di counseling nasce sotto la spinta pressante di un momento acuto di crisi: le problematiche presentate rimandano nella maggior parte dei casi alle difficoltà di elaborazione del processo di separazione-individuazione, mentre solo alcune volte rientrano in quadri psicopatologici riconoscibili. L’evento critico, che conduce alla decisione di chiedere aiuto, a volte è in primo piano, altre volte invece sembra non esserci. In alcuni casi si evidenziano degli stati d’ansia o delle problematiche relative all’immagine di Sé; altre volte ancora, in assenza di un evento critico esterno, è la fase evolutiva stessa a creare tensioni e “nodi” nel contesto familiare e personale. A volte il disagio dello studente può essere ricondotto alla sfera dei “disturbi d’ansia” (ansia da prestazione, ansia generalizzata, attacchi di panico, fobie) (Boni, Luderin, Semi, & Tortorella, 2014).

Gli studenti sopraffatti dall’ansia, che chiedono consulenza, mostrano un vissuto di incomprensibilità, di incapacità di lettura del proprio mondo interno. Le motivazioni più frequenti che i giovani associano a tali disturbi sono: pressioni genitoriali sulla scelta universitaria, sul rendimento e sul proseguimento degli studi; tensioni causate dagli esami, considerati prova del proprio valore piuttosto che di una singola prestazione; problemi di comunicazione e incomprensioni con i docenti. Non di rado si manifestano “attacchi di panico”, riferiti in particolar modo da studenti di sesso femminile, che in consulenza mostrano di aver già una discreta consapevolezza del loro problema (Boni et al., 2014).

Ancora tra la popolazione studentesca si possono riscontrare disagi associati alla sfera relazionale. Un recente studio realizzato in Italia su 250 studenti universitari di sesso femminile (Biasi et al., 2015) evidenzia la presenza di problemi di integrazione sociale, difficoltà nelle relazioni interpersonali, nonché nella regolazione degli affetti. Tali risultati sono in linea con precedenti ricerche che indicano una maggiore incidenza di ansia e depressione tra studenti universitari di sesso femminile (Biasi & Bonaiuto, 2014; Hunt & Eisenberg, 2010), nonché difficoltà di adattamento alla vita universitaria, rispetto agli studenti di sesso maschile (Enochs & Roland, 2006; Gadzella & Carvalho, 2006; Gadzella, Masten, & Stacks, 1998; Wintre & Yaffe, 2000). Tuttavia, mentre gli studenti di sesso maschile mostrano una maggiore capacità di adattamento emotivo alla vita universitaria, quelli di sesso femminile hanno una migliore capacità di adattamento in relazione al rendimento accademico (Clinciu, 2013).

Anche altre variabili, quali l’età e il luogo di provenienza, possono influire sul processo di integrazione. Alcuni studi evidenziano che, all’aumentare dell’età, aumenta le capacità di adattamento; inoltre studenti provenienti da aree metropolitane mostrano una maggiore capacità di resilienza, rispetto a quelli provenienti da zone rurali (Hunt & Eisenberg, 2010).

Studenti con disabilità: dall’adattamento all’integrazione

In riferimento al processo di integrazione e adattamento alla vita universitaria, l’eventuale presenza di disabilità, sia essa fisica e/o mentale, è di per sé rilevante in quanto può porre lo studente in una condizione di “svantaggio”. Il disagio osservabile nello studente disabile è riconducibile in primo luogo a ostacoli di ordine pratico, quali la difficoltà nel raggiungere autonomamente le strutture, dovuta talvolta alla presenza di barriere architettoniche.

Sentimenti di impotenza, inferiorità, insicurezza e demoralizzazione possono caratterizzare il suo vissuto generando stress e ansia. L’incapacità di muoversi liberamente, dovuta in parte dai limiti soggettivi, si affianca infatti a questioni di ordine logistico/architettonico, provocando talvolta malessere, ostilità e sentimenti di vergogna per le proprie “mancanze”. Tali problematicità potrebbero ripercuotersi sia sul rendimento, sia sul piano relazionale. Nel primo caso l’eventuale presenza di disturbi e deficit psico-fisici, unita alle difficoltà di accesso alle strutture, alle informazioni e al reperimento del materiale di studio, può rallentare l’andamento del percorso formativo, comportando talvolta l’abbandono.

A tal proposito un’indagine qualitativa ha identificato disagi/ostacoli e risorse/facilitatori degli studenti disabili nel contesto universitario (Vrămá, 2014). Gli ostacoli maggiormente riscontrati sono associati al reperimento delle informazioni: infatti un significativo numero di studenti disabili riferiscono delle difficoltà nel contattare i docenti e nel reperire i libri di testo in formato accessibile (disservizi che riguardano tutti gli studenti, ma che penalizzano in particolar modo quelli con disabilità), mentre solo la minoranza riesce a ottenere le informazioni di cui necessita, grazie all’utilizzo di internet e delle varie tecnologie disponibili (ad esempio con l’ausilio di programmi di sintesi vocale Job Access With Speech - JAWS).

Parallelamente a questioni di ordine pratico e logistico gli studenti disabili esprimono anche disagi nella sfera sociale: spesso lamentano atteggiamenti discriminatori e di chiusura da parte dei pari, fino a esperire delle vere e proprie “barriere culturali” che li portano ad isolarsi e vivere un senso di solitudine rispetto ai propri colleghi. Il soggetto disabile nutre costantemente un sentimento di soggezione e talvolta di subordinazione nel rapporto con i suoi pari, che tuttavia può essere ridotto in buona parte attraverso un sostegno di tipo “formale” (da parte del counselor) e/o “informale” (da parte dei pari).

L’accettazione delle proprie restrizioni rappresenta una delle sfide principali per il soggetto diversamente abile, che spesso lo portano ad assumere un atteggiamento di negazione della propria condizione. Negare i propri limiti equivale a mascherare ciò che si prefigura come un ostacolo prevaricante nell’affrontare la vita di tutti i giorni, sia nella gestione delle proprie attività, sia nella tessitura dei rapporti sociali (Vrămá, 2014).

Il disagio relazionale che il soggetto disabile vive all’interno dell’università si manifesta nel corso di un processo di difficile comunicazione e integrazione che, il più delle volte, viene posto in secondo piano rispetto alle problematiche oggettivamente più invalidanti. In questo modo, è come se si tendesse a prestare maggior attenzione a elementi di carattere medico conclamati, piuttosto che ad aspetti di carattere emotivo e relazionale (Dogan, 2012).

A conclusione di una sintetica argomentazione riguardante i molteplici bisogni e i disagi maggiormente riscontrabili tra gli studenti universitari disabili e non, risulta indispensabile accennare alla problematica del drop-out. Le principali cause di abbandono del percorso universitario evidenziate in letteratura sono riconducibili a difficoltà accademiche e problematiche di adattamento, scarsa motivazione, difficoltà d’apprendimento, scarse possibilità economiche, isolamento (Modica, 2002; Tinto, 1996). Inoltre, tra i fattori di rischio non persistono le difficoltà connesse alla selettività e ai livelli di impegno richiesti dai singoli Corsi di Studio, ma piuttosto problemi legati a attenzione, concentrazione, memoria, strategie di apprendimento e capacità di pianificazione dello studio (De Beni et al., 1997). L’abbandono degli studi può celare anche l’evitamento, talvolta inconscio, del piano di realtà da parte dello studente. Tale fenomeno si riscontra principalmente tra le matricole o tra gli studenti che hanno vissuto numerosi insuccessi (Boni et al., 2014).

Vari studi hanno indagato anche le performance degli studenti con disabilità, evidenziando rallentamenti nel conseguimento del titolo rispetto a studenti normodotati e numerosi fenomeni di abbandono (Da Deppo, 2009).

Attualmente, tutti gli Atenei italiani, in virtù della normativa vigente, si sono adeguati a garantire una gamma di servizi utili ad assicurare una piena integrazione degli studenti disabili e a migliorare il loro percorso formativo, al fine di ridurre insuccessi accademici, ritardi nella conclusione degli studi e allarmanti fenomeni di abbandono (Arcuri & Soresi, 1997). Tuttavia il ridimensionamento di tali fenomeni richiede attente valutazioni della qualità della didattica, nonché l’individuazione di supporti e di servizi a favore degli studenti, al fine di ridurre i rischi citati e realizzare condizioni ideali che consentano loro un effettivo diritto allo studio (Soresi, 2007).

Tra i numerosi servizi che gli Atenei italiani offrono agli studenti, il Servizio di Counseling Psicologico Universitario può rappresentare un valido strumento capace di contrastare, in stretta sinergia e collaborazione con tutti gli attori che operano in tale contesto, anche il fenomeno del drop-out, realizzando interventi che si fanno carico del disagio per il superamento della crisi.

Il Counseling psicologico universitario nella disabilità

Il Counseling Universitario rappresenta un vero e proprio sostegno nei confronti degli studenti con disabilità, che presentano delle caratteristiche specifiche che inevitabilmente influenzano la relazione studente-counselor. Durante ciascun incontro, infatti, il professionista è chiamato ad assumere un atteggiamento diversificato a seconda della tipologia di disabilità presentata.

Qualunque sia la tipologia di disabilità riscontrata, è necessario prestare allo studente un particolare supporto, sia nella fase di accoglienza e di orientamento, sia durante l’intero percorso di studi attraverso l’implementazione di specifiche programmazioni didattiche, la fruibilità delle strutture architettoniche, attività di tutoraggio e di ascolto/sostegno psicologico.

Nella fase iniziale e nella presa in carico risulta fondante l’individuazione dei principali ostacoli e degli elementi di facilitazione per ciascuno studente, al fine di accrescere corrette misure di empowerment (Tate, 2001). Lo studente disabile è un soggetto che cela numerose risorse, tuttavia diviene consapevole dei propri punti di forza e dei limiti solo una volta intrapreso il percorso universitario; in questo processo il counselor può rappresentare una figura di rilievo in termini di sostegno, crescita, facilitazione e sviluppo di competenze.

Tuttavia uno dei maggiori ostacoli riscontrabili tra gli studenti risiede nella difficoltà di rivolgersi a un consulente professionista, dunque, nella formulazione della richiesta di aiuto. Il bisogno di aiuto e la ricerca di una figura che abbia le capacità adeguate ad accogliere le proprie criticità a volte vengono considerate come una forma di debolezza, di fragilità insita nell’individuo richiedente, che può tradursi in un atteggiamento di forte chiusura emotiva e insicurezza. Eppure il desiderio di superare la condizione di disabilità e/o un momento di crisi, unitamente a una forte motivazione, può consentire allo studente di vincere le proprie resistenze e di gestire le emozioni originate da una nuova sfida (Smart & Smart, 2006).

I servizi di counseling che accompagnano gli studenti disabili in un nuovo progetto di vita risultano necessari per un approccio proattivo (in collaborazione con altri servizi di Ateneo): migliorare le capacità di comunicazione, agevolare l’adattamento alla vita universitaria, sviluppare una maggiore assertività, fare fronte allo stress e imparare a gestire l’ansia (Dogan, 2012). Durante la fase di accoglienza e orientamento, ad esempio, risulta basilare fornire agli studenti e alle rispettive famiglie una corretta informazione sulle tipologie di problematiche che si potranno incontrare nel percorso accademico, descrivendo gli strumenti disponibili e utili a mitigare eventuali frustrazioni (Dong & Lucas, 2014). Il counselor dovrà essere ben attento a non rapportarsi allo studente come a un soggetto “deficitario”: tale errore potrebbe infatti incrementare la percezione negativa della disabilità dello studente, ostacolando in modo determinante il proprio processo di inclusione. Includere significa dare a ognuno la possibilità di realizzare, all’interno del proprio contesto di vita, i diritti di libertà e di uguaglianza. Significa di conseguenza valorizzare le differenze considerandole come una sorgente di ricchezza e come uno strumento valido per costruire un modello di vita che permetta la realizzazione dell’unità nella diversità. L’integrazione indica non solo l’accoglienza del “normodotato” verso il “disabile”, ma anche del “disabile”, nella direzione opposta. Il disabile è chiamato pertanto ad accettare i propri deficit facendo in modo che questi non condizionino negativamente la relazione con l’altro, che, a sua volta, si impegna nel fare altrettanto (Canevaro & Ianes, 2003).

Ricevere supporto da parte dei servizi offerti dall’Ateneo, così come dagli stessi colleghi di studio, suscita sentimenti di accettazione concreta e reale nello studente disabile, il quale si sente finalmente accolto in un ambiente nuovo come quello universitario. A tal proposito, Soresi (2007) ritiene opportuno sostenere la necessità di sensibilizzare la popolazione studentesca, diffondendo alcune informazioni con la finalità di ridimensionare gli ostacoli che potrebbero rallentare esperienze di integrazione all’interno degli Atenei, sottolineando l’importanza di attivare iniziative per favorire, tra gli studenti e i docenti universitari, una corretta cultura delle disabilità dal momento che anche i loro propri comportamenti e atteggiamenti sarebbero influenzati da pregiudizi e stereotipi.

La Cyberconsulenza: nuove prospettive di intervento in rete

Il counseling psicologico universitario costituisce uno dei dispositivi validi che permettono di concretizzare quanto sancito dalla legge riguardo al diritto di inclusione[1] anche attraverso l’uso di nuove metodologie. Senza mai porre in secondo piano l’efficacia della “tradizionale” relazione “vis-à-vis”, l’uso di tecnologie ad alta diffusione (Information and Communications Technology-ICT) può rappresentare una nuova modalità di intervento nel contesto universitario (cybercounseling, Sistemi di Instant Messaging, e-mail, chat e videoconferenze), capace di sfruttare a pieno i benefici che la progressiva diffusione delle tecnologie possono offrire. Le “nuove tecnologie” hanno mutato profondamente molti aspetti della vita sociale e lavorativa riducendo le distanze spaziali e temporali (Censis, 2008). Anche l’area del benessere e della salute mentale è stata investita da tale cambiamento, sia in termini di informazioni disponibili in rete (Lenhart et al., 2003), sia in termini di sostegno fornito direttamente tramite le nuove tecnologie (Chebli, Blaszczynski, & Gainsbury, 2016; Melioli et al., 2016; Norcross, Hedges, & Prochaska, 2002).

La cyberconsulenza è stata designata come una nuova modalità di promozione del benessere, essendo considerata come una buona alternativa alla classica consulenza. A differenza di quest’ultima, la cyberconsulenza viene condotta da professionisti che si servono della rete Internet per relazionarsi con il cliente.

Un recente studio ha indagato l’atteggiamento da parte degli studenti universitari disabili, verso l’utilizzo del cybercounseling come strumento alternativo, considerando alcune variabili demografiche, i bisogni legati all’utilizzo di internet, gli atteggiamenti verso la ricerca di aiuto e gli obiettivi della consulenza a distanza (Lan, 2015).

Nel counseling on-line coesistono realtà molto diverse, differenziabili sulla base delle modalità comunicative prevalenti (solo audio, audio e video, solo scrittura, utilizzo di immagini o icone), oppure in base all’approccio (individuale o di gruppo) o ancora all’articolazione temporale dell’intervento (sincronico quando avviene in tempo reale, asincronico quando l’interazione tra i soggetti avviene in tempi differenti), favorendo pertanto un alto grado di personalizzazione in base alle richieste e peculiarità del fruitore.

Tra le modalità asincrone la e-mail è certamente la più diffusa (Mallen, Vogel, Rochlen, & Susan, 2005). La chat rappresenta una seconda modalità di interazione molto utilizzata nel counseling on-line, particolarmente indicata per le persone con disabilità uditive e mutismo: in questo caso gli interlocutori sono on-line nello stesso momento; la comunicazione avviene pertanto in tempo reale attraverso lo scambio di messaggi di testo.

La videoconferenza, infine, costituisce un’ulteriore modalità di erogazione di servizi di counseling on-line oggi sempre più diffusa grazie all’ausilio di software gratuiti (Skype) e all’economicità della tecnologia necessaria (microfono e webcam). Si tratta certamente di una modalità più dinamica in quanto include parzialmente anche l’area non verbale della comunicazione (Bouchard et al., 2004), ma particolarmente indicata per quegli studenti che, a causa di gravissime disabilità, non hanno modo di affrontare viaggi o spostamenti.

L’uso del “cyber”, come nuovo strumento per promuovere il concetto di salute psicologica, può assumere varie forme. Lan (2015) ha indagato i bisogni e i fattori che possono spingere gli studenti a prediligere la cyberconsulenza. I risultati evidenziano che in questo caso le richieste di tale tipologia di aiuto riguardano in primis questioni associate alla carriera universitaria e secondariamente bisogni personali e sociali.

I risultati evidenziano, nel complesso, atteggiamenti propositivi da parte degli studenti nei confronti della consulenza online che può aumentare notevolmente l’accesso alle cure, riducendo il fenomeno della stigmatizzazione (Folsom, 2010).

Qualora si intenda attivare interventi di counseling internet mediati è tuttavia necessario conoscere i fenomeni che caratterizzano tali scenari e la cultura giovanile. I professionisti della relazione di aiuto potrebbero dunque accogliere “la sfida” insita nell’uso delle nuove tecnologie, lavorando in rete per la costruzione di un rapporto “autentico” con i giovani. Di certo tra i vantaggi della cyberconsulenza, quali l’accessibilità, l’immediatezza del contatto e la garanzia dell’anonimato, potrebbero favorire la self-disclosure (Derek, 2009) e la formulazione della richiesta di aiuto, specie nel primo contatto di net-help. Non di rado infatti gli studenti nutrono sentimenti di forte imbarazzo e timore nel recarsi di persona ai servizi di counseling, e/o in alcuni casi, a causa di gravissime e limitanti condizioni di disabilità, impedimenti fisici che ne ostacolano l’accesso.

Del counseling online sono messi in luce numerosi vantaggi tra cui la facilità di accesso in termini di orari e spazi, economicità e la continuità degli interventi (Folsom, 2010). La natura di questi servizi li rende, infatti, indubbiamente efficaci nel raggiungere i pazienti disabili che per i propri spostamenti non potrebbero accedere a una relazione terapeutica tradizionale o coloro che vivono in aree rurali prive di servizi di salute mentale (Klein & Richards, 2001; Rezzonico, & Meier, 2010).

In questo contesto non mancano tuttavia delle potenziali criticità derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie. In particolare, la mancanza di informazioni non verbali (prosodia, accento, pause, ecc.). Ancora la gestione delle situazioni di crisi, l‘anonimato, il dilazionamento nel tempo degli scambi (soprattutto quando avviene via e-mail) e il digital divide, ossia il deficit tecnologico (sia in termini di difficoltà o impossibilità di accesso, che di competenze di utilizzo) caratterizza alcune aree del mondo o alcune fasce di popolazione (Drude & Lichstein, 2005; Skinner & Latchford, 2006).

Indubbiamente, l’assenza di interazione piena viene considerata da più parti la limitazione principale che inficia qualsiasi tipo di intervento: la riduzione del non verbale potrebbe costituire un serio impedimento alla costruzione e al mantenimento di una relazione, sia per l’impossibilità di avere completo accesso alle informazioni, sia per l’impossibilità di utilizzare la comunicazione non verbale in modo strategicamente orientato. Esistono tuttavia altre modalità per veicolare sensazioni, emozioni e stati d’animo che possono passare attraverso una descrizione di ciò che si sente o in modo più immediato attraverso smiles[2], icone, cambi di dimensione o carattere, punteggiatura (Alleman, 2002). Inoltre, non vanno trascurate le implicazioni etiche e deontologiche che sono già oggetto di dibattito da diversi anni (Allaert & Dusserre 1995; Rivera, Borasky, Rice, & Carayon, 2005; Demiris, Oliver, & Courthey, 2006).

In Italia il codice deontologico non affronta questi aspetti in modo chiaro; l’unico vincolo esplicito legato all’archiviazione del materiale clinico sia cartaceo che elettronico è descritto nell’art. 17. Nel 2013 l’Ordine Nazionale degli Psicologi ha approvato delle linee guida per le prestazioni a distanza che si configurano soprattutto come limiti imposti alle pratiche di attività psicodiagnostica e psicoterapeutica effettuate via Internet.L'American Psychological Association nel 1997 ha rilasciato disposizioni circa l'uso del telefono e di altri strumenti di comunicazione a distanza per l’erogazione di servizi di salute mentale e nel 2002 si è dotata di alcune modifiche al codice deontologico che ne estende la validità anche ai contesti di interazione mediata dalle tecnologie. Sebbene il nuovo Codice Etico APA del 2002 riconosca la trasmissione di informazioni tramite Internet e strumenti elettronici, non offre standard chiari o linee guida pratiche su come superare gli ostacoli specifici che si incontrano quando si forniscono servizi a clienti a distanza. Un primo aspetto di criticità è dato dalle situazioni di emergenza che, in presenza di anonimato e di distanza tra terapeuta e cliente, diventa difficilmente gestibile; questo aspetto ha portato alcuni autori a suggerire la necessità di conoscere l’identità del paziente, anche attraverso un incontro preliminare vis-à-vis. In linea di massima, è considerata buona pratica l’uso del consenso informato fornito al cliente all'inizio del trattamento.

Infine la confidenzialità e sicurezza sono due aspetti che risultano particolarmente delicati in rete: secondo il codice APA lo psicologo che offre servizi, prodotti o informazioni tramite trasmissione elettronica ha l’obbligo di informare il cliente circa i rischi connessi alla privacy e i limiti della riservatezza (Knapp & Vandecreek, 2004).

Il professionista dovrebbe discutere con il cliente a proposito dei limiti di riservatezza che egli può garantire e informarlo anche dell’importanza di gestire con attenzione il materiale, soprattutto se le sessioni on-line avvengono su computer condivisi. Anche la verbalizzazione e la conservazione dei dati raccolti assumono una notevole importanza: attraverso le nuove tecnologie, il professionista può facilmente tenere traccia delle comunicazioni con il cliente e avere un’accurata cronologia di ciò che accade durante l’intervento. Ciò può presentare potenziali benefici, tanto quanto rischi per le parti in causa. Si potrà infatti ripercorrere le precedenti comunicazioni e valutare con maggiore accuratezza il percorso fatto; da parte sua, il cliente/studente può riflettere sugli argomenti più importanti affrontati e lavorare in modo indipendente sul materiale prodotto. D’altro canto il rischio connesso al salvataggio delle comunicazioni si concretizza nella possibilità di accesso da parte di terzi al materiale conservato e nel suo cattivo utilizzo. Anche in questo caso l’uso del consenso informato simile a quello previsto per le sedute videoregistrate è considerato uno strumento indispensabile (Knapp & Vandecreek, 2004).

Conclusioni

Il cybercounseling può rappresentare uno strumento differente e innovativo nel contesto universitario, sia per gli studenti normodotati, sia per quelli con disabilità. Tuttavia, prima di programmarne l'implementazione, è auspicabile effettuare un’indagine conoscitiva che permetta di valutare esigenze e atteggiamenti della popolazione studentesca nei confronti di tale modalità di erogazione dell’intervento. Inoltre, risulta necessario effettuare ulteriori analisi sui fattori ambientali e sociali che caratterizzano ciascun contesto universitario, al fine di convalidarne l’uso e le finalità prima e gli effetti successivamente.

Bibliografia

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[1] Nel 1987, una sentenza della Corte Costituzionale ha avviato il processo di integrazione degli studenti disabili nelle scuole secondarie superiori, concedendo loro la possibilità di conseguire un diploma e di iscriversi all’università (Soresi, 2007). Anche la Legge 104 all’art 13/b prevede che ogni università sia dotata “di attrezzature tecniche e di sussidi didattici, nonché di ogni altra forma di sussidio tecnico” e che i programmi siano adeguati sia ai bisogni della persona, sia alla peculiarità del piano di studi individuale. Indicazioni a questo riguardo sono presenti anche nella Legge 390/1991, nel decreto del 13 aprile 1994 e nella Legge 180/1992, che riconosce l’università come un luogo privilegiato di ricerca e studio per quanto riguarda l’intervento medico, psicopedagogico, sociale, in materia di disabilità.

 

[2] Rappresentazione stilizzata di un volto umano che esprime un’emozione.


Autore per la corrispondenza

M. Fulcheri. Fax +39 0871 355 5212 Tel +39 0871 355 5214
Indirizzo e-mail: mfulcheri@unich.it
Dipartimento di Scienze Psicologiche, della Salute e del Territorio - Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara, Via dei Vestini 31, 66100 Chieti, Italia



Note

1 A

DOI: 10.14605/CS1031702


© 2017 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
ISSN 2421-2202. Counseling.
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