Vol. 15, n. 1, febbraio 2022

STUDI E RICERCHE

Processi di consulenza e counseling come pratica di ricerca-azione e generazione di capitale sociale

Emanuele Testa1, Giuseppe Scaratti2 e Silvia Ivaldi2

Sommario

Il contributo esplora un intervento articolato di consulenza realizzato all’interno di una Federazione di scuole materne operante in una regione dell’Italia settentrionale. Vengono esplorate le ragioni di un intreccio tra consulenza, formazione e ricerca e la loro possibile declinazione nell’attivazione di processi di generazione di conoscenza rilevante e trasformativa, propria dell’approccio della ricerca-azione. Dopo tale inquadramento teorico, il contributo descrive il contesto in cui è stato realizzato l’intervento, evidenziando le dimensioni di complessità e le sfide a esse sottese e illustrando il dispositivo metodologico adottato per affrontarle. Vengono infine illustrati e discussi i principali esiti conoscitivi conseguiti e la messa a fuoco di alcune coordinate di riferimento per innovare e promuovere pratiche di partecipazione e comunicazione tra diversi stakeholder coinvolti nell’articolato scenario dell’educazione dell’infanzia, secondo una prospettiva psico-socio-organizzativa orientata alla generazione di capitale sociale.

Parole chiave

Consulenza, Counseling, Transitory and actionable knowledge, Ricerca-Azione, Formazione, Capitale sociale.

STUDIES AND RESEARCHES

Consultation and counseling processes as action-research practice and generation of social capital

Emanuele Testa3, Giuseppe Scaratti4 and Silvia Ivaldi2

Abstract

This contribution explores an articulated consultation intervention carried out within a federation of nursery schools operating in a region of northern Italy. The reasons for an intertwining of consultation, training and research are explored, along with their possible declination in the activation of processes for generating relevant and transformative knowledge, typical of the action research approach. Following this theoretical framework, the contribution describes the context in which the intervention was carried out, highlighting the complex dimensions and underlying challenges implied and illustrating the methodological device adopted to address them. Finally, the main cognitive outcomes achieved are illustrated and discussed and a series of reference coordinates aimed at innovating and promoting participation and communication practices between the various stakeholders involved are highlighted in the articulated scenario of childhood education, and in line with a psycho-socio-organisational perspective oriented towards the generation of social capital.

Keywords

Consultation, Counseling, Transitory and actionable knowledge, Action-Research, Training, Social capital.

Forme di intervento nelle organizzazioni e processi trasformativi

Il presente contributo si colloca in una prospettiva relativa alle modalità di intervento nelle organizzazioni, con particolare riferimento alla ricerca, alla formazione e alla consulenza. Abbiamo in altra occasione evidenziato (Scaratti et al., 2021) come queste tre diffuse forme di intervento nelle organizzazioni siano connotate da una distinta ma convergente e trasversale caratteristica, relativa alla generazione di conoscenza nelle e per le organizzazioni:

  • la ricerca produce conoscenza alimentata dai problemi e connessa ai sistemi di azione che li generano e ne determinano la rilevanza, mettendo in dialogo teoria e pratica;
  • la formazione sviluppa conoscenza accompagnando le persone a vedere/riconoscere i problemi e ad attribuire senso/significato a essi e a eventi e situazioni associate;
  • la consulenza promuove conoscenza sostenendo e supportando processi operativi inerenti specifici oggetti di lavoro e prefigurando ipotesi di trasformazione e cambiamento.

Nel presente contributo ci soffermiamo in particolare sulla consulenza come sequenza di azioni che genera individuazione del problema, alleanze con l’organizzazione, conoscenza condivisa, prefigurazione di azioni trasformative. Nella declinazione di Schein (1999) questo si traduce nella tensione verso una consulenza di processo, basata sulla creazione di una relazione con il cliente (percepire, comprendere, agire su avvenimenti e correggere la situazione), su una rappresentazione articolata dei processi esistenti (dimensioni umane e non umane; aspetti distribuiti e sociali; dinamiche legate all’asimmetria; costruzione del contratto psicologico) e sull’acquisizione di discernimento e sensibilità kairotica (uso al momento e ad hoc dei diversi modelli: modello expertise; modello medico-paziente; modello della consulenza di processo), per attivare azioni di cambiamento. Questa impostazione si riconnette anche al counseling (dal latino consulĕre) configurandosi come la possibilità di affrontare i problemi (rendere visibile, autorizzare, legittimare, ripensare, costruire, complessificare/semplificare), assumere responsabilità come attori/co-autori, regolando dissimmetrie mobili per sviluppare capacità di convivere con i problemi, riconoscendoli e gestendoli.

L’intervento consulenziale, così concepito, intercetta una produzione di conoscenza fortemente collegata a problemi emergenti, di cui le persone fanno esperienza nella loro vita lavorativa e organizzativa, configurando una situazione che si caratterizza per una forte attenzione ai contesti e alle possibili trasformazioni in esse riconosciute come sostenibili e realizzabili. Di qui una forte connessione, da un lato, con l’approccio della ricerca-azione (Galuppo & Ivaldi, 2021; Kaneklin et al., 2010; Scaratti et al., 2018) e le sue caratteristiche di confronto con problemi reali locali e contestuali; interlocuzione con più attori e stakeholder; attivazione di processi di cambiamento ed expansive learning; esercizio di pensiero critico sui propri presupposti ed esperienze. Dall’altro, la possibile spendibilità formativa centrata sulle conoscenze in tal modo acquisite e la loro diffusione e circolazione all’interno del comune sistema di attività.

Il presente contributo si propone di sviluppare le seguenti domande conoscitive:

  • quale livello di intersezione può essere evidenziato tra le diverse modalità di generazione di conoscenza: produzione (ricerca), elaborazione riflessiva (formazione) e applicazione trasformativa (consulenza);
  • quali regolazioni metodologiche sono richieste per l’attivazione di un intervento inteso come consulenza-ricerca-formazione in uno specifico contesto organizzativo.

A fronte delle domande richiamate, il paper si sviluppa come segue: viene inizialmente affrontato il tema della generazione di conoscenza e delle sue declinazioni; segue la presentazione del contesto organizzativo all’interno del quale si è sviluppato l’articolato processo di produzione, elaborazione e circolazione delle conoscenze acquisite, accompagnata dalla descrizione dell’architettura metodologica utilizzata; sono, infine, discussi e presentati i principali risultati ottenuti e le indicazioni per una loro spendibilità formativa.

Generazione di transitory and actionable knowledge

Il tema della conoscenza, della sua generazione e uso, si configura come cruciale e critico, per le implicazioni epistemologiche, metodologiche e operative che sottende. In gioco è l’accesso a una conoscenza significativa (rilevante, valida, efficace) con (non su) le persone, a partire dalle problematiche che le persone vivono nelle situazioni organizzative reali, così come da oggetti situati e riferiti a specifici contesti organizzativi, in cui i soggetti sono chiamati a confrontarsi con dimensioni di imprevedibilità, elevata variabilità e scarsa governabilità.

Una conoscenza che non è solo intesa, secondo una prospettiva strutturale, come entità cognitiva che le persone e le organizzazioni posseggono, ma soprattutto, secondo una prospettiva processuale (Czarniawska, 2008), come un sapere che si sviluppa attraverso la pratica, l’azione e le relazioni sociali, all’interno di un processo dinamico che coinvolge il conoscere, l’apprendere e l’organizzare dei soggetti. Di qui una rinnovata attenzione alle concrete esperienze lavorative, a quello che le persone fanno nei contesti, alle pratiche lavorative e professionali in cui sono impegnate.

Da un lato il confronto con contesti e situazioni sociali individua problemi la cui messa a fuoco è fortemente dipendente dalle rappresentazioni degli attori coinvolti e la cui delineazione non è da subito evidente. Essa richiede l’accesso a una conoscenza locale e situata, ai modi in cui viene costruita e utilizzata, alle forme della sua distribuzione e circolazione, attraverso un lavoro di negoziazione e di cura dei processi relazionali, di collegamento all’esperienza delle persone nel contesto, di regolazione dell’utilizzo prevalente ma non esclusivo di dispositivi di ricerca (Kaneklin et al., 2010).

Dall’altro il riferimento alla conoscenza esperienziale richiama prospettive di studio della pratica professionale introdotte da innovative traiettorie di indagine organizzativa, orientate alla practice based research (Gherardi, 2006, 2009), ai workplace studies (Engeström, 1987; Engeström & Middleton, 1996; Hutchins, 1995; Luff et al., 2000); ai repertori di conoscenza depositati in habitus, routine, artefatti, oggetti e tecnologie, criteri d’uso (Schultz, 2008). Ne deriva, secondo una prospettiva di psicologia del lavoro e delle organizzazioni cui ci ispiriamo, l’orientamento verso approcci che valorizzano le condizioni materiali, socio-linguistiche e relazionali dei processi di generazione di conoscenza, nella consapevolezza delle differenti, molteplici visioni e costruzioni del mondo esistenti (Goodman, 1978).

Possiamo rintracciare, fra i plurali riferimenti concettuali che supportano tale prospettiva, quello della svolta pratica (Knorr-Cetina et al., 2005) e della svolta riflessiva (Schön, 1991) come due rilevanti turning points per lo studio e l’intervento nei contesti organizzativi e la comprensione del funzionamento dei processi socio-lavorativi, riconducibili a un approccio post-burocratico ai modelli organizzativi (Hendry, 2006) e al riconoscimento di plurali prospettive paradigmatiche nella teoria dell’organizzazione (Hatch & Cunliffe, 2012). In tale cornice di riferimento l’enfasi, ancorché non esclusiva, viene assegnata alla tacit ed embedded knowledge, sottolineando l’impossibilità di eludere il confronto con la vita quotidiana quale fonte primaria da cui gli esseri umani attingono i loro significati e le modalità con cui agiscono. Il rapporto con il flusso dell’esperienza lavorativa delle persone, con il loro agire organizzato, attiva costanti processi di interpretazione in relazione alle strutture di significato presenti e diffuse (Scaratti, 2012). Gli attori organizzativi sperimentano quotidianamente la necessità di dare senso a eventi e accadimenti, a compiti e richieste, confrontandosi con una potenziale pluralità di letture e interpretazioni rese disponibili da una intelaiatura di simboli e significati che costituiscono una sorta di organizzazione silenziosa (Romano, 2006) accessibile. La rilevanza di tale conoscenza (Jarzabkowski et al., 2010) si esprime nei suoi aspetti concettuali (che orientano e modificano la comprensione delle situazioni: risposte al cosa), strumentali (che influenzano il corso di azione scelto in determinate situazioni: risposte al come) e di legittimazione (che sostengono e rinforzano i corsi di azione scelti: risposta al perché). Una rilevanza che risulta essa stessa socialmente costruita, connessa a processi organizzativi emergenti dai problemi che le persone affrontano all’interno dei loro sistemi di attività.

Shotter (2008, 2010) sottolinea al riguardo l’importanza di elementi di indexicality, secondo una prospettiva che valorizza da un lato il concetto di realtà come socialmente costruita, portando l’attenzione su come le persone impiegano linguaggio, conversazioni e discorsi per interpretare e dare senso alle situazioni che affrontano; dall’altro sottolinea gli aspetti relazionali che coinvolgono i vari attori (ricercatore/consulente, practitioners, stakeholders) in un comune processo di co-costruzione, secondo una prospettiva di situated dialogic action research (Shotter, 2010). In essa viene valorizzata sia una transitory knowledge (accurate and proper for coping with daily execution of the required tasks), sia una actionable knowledge (pointing forward movement rather than after the fact rationalization). Si tratta di due forme di conoscenza riconducibili a un approccio di ricerca-azione situato e conversazionale (Shotter, 2007), in contrasto con un approccio classico e tradizionale del fare scienza che risulta connotato da una perdita del fenomeno (losing the phenomena, Shotter, 2007, p. 67), in quanto non tiene conto degli account legati alle pratiche di vita quotidiana. La prospettiva è di accedere alle forme di knowing from within, intendendo con esse i modi di percepire, di pensare, di agire, di parlare, di valutare, circolanti e diffusi in un contesto. La sfida è di intercettare le conoscenze che i soggetti apprendono in situazione, interagendo con altri all’interno di pratiche operative e acquisendo usi di categorizzazioni (precomprensioni, approcci, epistemologie quotidiane) e giudizi, criteri di adeguatezza e non adeguatezza, ricorso a determinati descrittori e indicatori, impiego di dispositivi e strumenti. Un tale accesso permette di evidenziare visioni e modalità competenti di partecipazione non solo come esito di disposizioni personali o individuali, ma anche come espressione di modalità socialmente distribuite, che passano attraverso il costante intrecciarsi di dimensioni soggettive, relazionali, culturali, epistemiche e istituzionali di cui l’agire organizzato è connotato.

Ne derivano implicazioni epistemologiche, metodologiche e operative la cui trama sostiene l’intreccio delle diverse dimensioni di generazione di conoscenza: produzione, elaborazione, applicazione trasformativa.

Sul versante epistemologico si configura una prospettiva di ricerca:

  • fortemente ancorata ai contesti e all’esperienza vissuta dei soggetti che in essi operano, a partire da una importanza attribuita ai significati connessi alle pratiche e all’esigenza di promuovere un esercizio di riflessività comune sul proprio sistema di azione (processualità relazionale);
  • centrata sulla ricognizione delle conoscenze tacite e situate e sulla loro messa in dialogo con saperi consolidati e codificati, alimentando una dinamica ricorsività tra cornici teoriche e saperi pratici (situatività);
  • attenta alla rilevanza delle conoscenze prodotte in relazione alla possibilità dei soggetti di configurarsi come autori del proprio contesto organizzativo, sostenendo processi di riconfigurazione e trasformazione di pratiche professionali (trasformatività) (Kaneklin et al., 2010).

Dal punto di vista metodologico possiamo riferirci a Janssens e Steyaert (2009) relativamente alla loro sollecitazione per interpretazioni alternative e nuove prospettive, centrate sulle pratiche sociali, lavorative e organizzative, come testi eterotopici in cui vari linguaggi accademici, concetti e azioni sono assemblati attraverso processi sociali più complessi di argomentazione, influenzamento reciproco e attivazione. Come nella ricerca-azione, in gioco sono richiesti approcci più contestualizzati, aperti a prospettive diverse e voci plurali, espressione di letture e interpretazioni varie e differenziate, secondo una declinazione multiparadigmatica e multimetodologica dello statuto di scientificità (Cunliffe, 2011).

Sul versante operativo, al consulente/ricercatore/formatore è richiesto di muoversi costantemente tra aspetti di realtà indagata che sono socialmente costruiti (attraverso processi conversazionali, linguistici, materiali e simbolici); di situarsi in una realtà relazionale rispetto alla quale gli è chiesta una costante regolazione di posizionamento, riflettendo sul suo pensare/pensarsi all’interno di un processo dialogico avviato (Shotter, 2010); di intercettare processi emergenti, legati al divenire degli eventi e delle situazioni, ai mutamenti degli scenari, ai cambiamenti che accadono a vari livelli.

Nel paragrafo successivo illustreremo un caso che si presta, per la configurazione del contesto e l’articolazione dei processi in esso attivati, a cogliere le molteplici intersezioni e gli intrecci legati alle dimensioni di consulenza, ricerca e formazione in gioco.

Contesto di riferimento

Il contesto di riferimento in cui si sviluppa il caso di seguito descritto può essere opportunamente indicato come organizzazione pluralistica, intesa come sistema di attività in cui coesistono molteplici e a volte divergenti interessi, plurali culture e valori, differenti identità professionali e gruppi organizzativi (Denis et al., 2001). La definizione di contesto pluralistico (Denis et al., 2007) lo descrive come organizzazione caratterizzata da tre dimensioni: molteplici obiettivi, potere diffuso e processi di lavoro knowledge-based. Jarzabkowski e Fenton (2006) parlano di internal and external motivated pluralism per indicare sia le molteplici pratiche, culture e interessi presenti all’interno delle organizzazioni, sia obiettivi e finalità perseguite per rispondere a plurali, mutevoli, spesso contraddittorie e competitive domande dell’ambiente esterno. Di qui la sfida a come produrre, applicare, elaborare conoscenza quali espressioni tipiche del processo di consulenza.

Le caratteristiche evocate sono ben rappresentate dal contesto in questione: una Federazione provinciale di Scuole materne operante in una regione del nord Italia come associazione di 135 scuole dell’infanzia autonome. Nata nel 1950 dal volere delle scuole dell’infanzia distribuite sul territorio provinciale, la Federazione ha come mission storica quella di valorizzare l’identità di ogni scuola e promuoverne il ruolo di stretta interazione con la comunità.

In particolare, la Federazione persegue i seguenti fini:

  • concorrere a definire e promuovere il progetto storico e pedagogico delle comunità scolastiche associate, ordinato alla promozione e allo sviluppo di una cultura educativa e scolastica rispondente ai bisogni e ai valori delle stesse comunità e della più ampia società civile;
  • promuovere l’elaborazione e la realizzazione del modello istituzionale, pedagogico e organizzativo della scuola dell’infanzia;
  • definire e promuovere la «Scuola autonoma della comunità» come principio regolativo delle scuole equiparate dell’infanzia, elaborando e diffondendo la cultura dell’autonomia, della partecipazione e delle realtà associative.

La Federazione svolge oggi a favore dei propri associati una vasta gamma di servizi che spaziano dagli aspetti istituzionali, gestionali, legali, fino a quelli più specificamente educativi, pedagogico-didattici, scientifici, culturali e sociali, perseguendo i seguenti obiettivi:

  • sostenere i singoli Enti gestori nel ruolo di interpreti dei bisogni delle comunità locali, mettendo a loro disposizione risorse e strumenti adeguati;
  • realizzare pienamente la loro autonomia in tutti gli ambiti del loro impegno, in particolare in quelli culturali e scientifici;
  • promuovere la ricerca, l’innovazione e la sperimentazione negli ambiti delle scienze dell’educazione;
  • sostenere, promuovere e attuare programmi di politica scolastica;
  • elaborare, proporre e gestire interventi di formazione e di aggiornamento per il personale in servizio presso le scuole associate e per gli stessi Enti gestori;
  • organizzare seminari, convegni e iniziative sui temi della scuola, dell’università e della ricerca;
  • sviluppare un’intensa attività editoriale e di documentazione.

La Federazione ha propri organi istituzionali (Assemblea dei soci; Consiglio direttivo e Giunta esecutiva) e impiega 72 dipendenti, afferenti ai vari servizi (coordinamento; ricerca e formazione; amministrazione; servizi legali e di supporto), che supportano le 135 scuole disseminate sul territorio della provincia, con una affluenza di 6592 bambini e l’impiego di 881 insegnanti e 457 figure di personale ausiliario (cuochi, assistenti, operatori di servizio). Ogni scuola è governata da un ente gestore, associato alla Federazione, che contempla una Presidenza e un comitato di gestione, entrambi composti da volontari, eletti in quanto espressione delle varie comunità locali. A fronte di tale articolata e impegnativa consistenza, la Federazione garantisce un adeguato raccordo e integrazione tra le varie scuole, con l’attivazione di 21 circoli che aggregano, per omogeneità territoriale, un numero da 4 a 8 scuole, nominando un rappresentante di Circolo che è membro del Consiglio direttivo e supportando ogni Circolo con una figura di coordinatore, afferente al servizio coordinamento.

Si tratta di una figura professionale chiave, con funzioni di accompagnamento sia dei processi necessari a sostenere realizzare un’idea di bambino competente e attivo (avendo come interlocutori in primo luogo gli insegnanti), sia di promozione di una relazione privilegiata con le comunità, quali contesti educativamente capaci di generare nuova cittadinanza nei bambini di oggi che saranno gli adulti di domani (avendo come target altri stakeholder interni ed esterni). L’attivazione di tali figure è il risultato di un intenso processo di cambiamento organizzativo e di sostegno formativo a innovative traiettorie di apprendimento e identificazione professionale (Scaratti et al., 2009; Zucchermaglio & Scaratti, 2008), che hanno caratterizzato i due passati decenni della storia della Federazione.

Come si può evincere dalla presentazione precedente, possiamo ritrovare nella Federazione le dimensioni relative a testi eterotopici e molteplicità di voci, evocate da Janssens e Steyaert (2009), quanto quelle di complessità e articolazione, tipiche di un contesto pluralistico, sia sul versante dell’organizzazione interna (servizi, figure professionali, funzioni differenziate, configurazione istituzionale), sia sul versante del rapporto con gli stakeholder esterni (famiglie, comunità territoriali, molteplici soggetti collettivi, pubblici e privati).

In tale contesto gli autori del presente contributo hanno avuto un ruolo di consulenza scientifica (in relazione all’impianto scientifico-pedagogico al quale la Federazione e le scuole associate fanno riferimento, nel modo di concepire il bambino, la scuola, il ruolo degli insegnanti, la famiglia, la comunità e le connesse progettualità), e di accompagnamento formativo a équipe di coordinatori afferenti a diversi circoli, attraverso modalità di produzione, elaborazione e applicazione di conoscenza. La posta in gioco è stata la tessitura di una comune progettualità per il miglioramento delle relazioni tra i vari soggetti implicati, la promozione di appartenenza e partecipazione per valorizzare il ruolo attivo del volontariato locale, la partecipazione e lo sviluppo di reti istituzionali territoriali, il consolidamento del rapporto con le famiglie.

Concretamente tale tessitura ha richiesto un costante intreccio tra dimensioni di produzione di conoscenza (ricerca), elaborazione e riflessione critica (formazione) attuazione e applicazioni di decisioni per fronteggiare problematiche cruciali (consulenza). Dimensioni certo distinte, ma non separabili o distanti, a fronte degli innumerevoli incroci, intersezioni e interconnessioni sollecitate e richieste dalla loro concreta attuazione. Si è trattato infatti di sviluppare (ricercando, formando, applicando) inedite sensibilità e culture professionali e organizzative, di individuare le realtà associative e istituzionali delle comunità locali con cui stabilire rapporti, di promuovere progetti integrati tra scuola e territorio con l’implicazione del volontariato locale, di ripensare i tradizionali modelli pedagogici nel concepire la propria proposta educativa e di scuola. In sintesi, è stato alimentato un lavoro che ha visto le scuole dell’infanzia come risorsa fondamentale per la configurazione di un tessuto sociale, orientato alla comune crescita civile, culturale ed economica. Intervenire in siffatti contesti implica la necessaria intersezione tra ricerca/consulenza/formazione, interpretati non come box distinti, ma nella loro fattuale configurazione di processi di realizzazione (accomplishment) in cui teoria e pratica, conoscenza e attività, riflessione e azione sono costantemente coniugate, intrecciate, intersecate.

All’interno di un tale scenario, il caso su cui ci soffermiamo riguarda una specifica richiesta di intervento, connessa con la fase di lockdown che lo sviluppo della pandemia Covid-19 ha determinato, imponendo stringenti condizioni di distanziamento fisico che hanno drammaticamente impattato sugli abituali processi comunicativi, relazionali e sociali propri di realtà e organizzazioni di servizio, in special modo le scuole e quelle dell’infanzia in modo particolarmente significativo.

All’interno di alcuni circoli della Federazione, infatti, è stata rivolta una sollecitazione a uno degli autori, consulente e formatore delle équipe in essi attive, per una rilettura e riconfigurazione di processi di lavoro inerenti i rapporti con famiglie e territorio a fronte delle limitazioni imposte dalla pandemia. Insegnanti e operatori delle scuole si sono di fatto trovati improvvisamente in una situazione di impasse, dove le abituali modalità di lavoro erano interdette dal distanziamento fisico imposto dal lockdown e altre dovevano essere immaginate, progettate e realizzate in alternativa. Di qui la necessità di generare transitory and actionable knowledge, in grado di trasformare le pratiche esistenti e di adottarne di nuove. Il dialogo intercorso tra gli autori del presente contributo5 e i vari stakeholder della Federazione coinvolti (enti gestori delle scuole, servizio di coordinamento, coordinatori, insegnanti e personale ausiliario) ha portato alla configurazione di una domanda di intervento che ridefinisse i rapporti tra scuole dell’infanzia e comunità di riferimento in relazione a due centrature: le pratiche di partecipazione e comunicazione e le rappresentazioni/comprensioni della proposta didattico-educativa offerta dalle scuole.

È stata condivisa la necessità (tanto convergente quanto inevitabile) di un confronto con le esperienze concrete sperimentate nelle varie scuole nell’immediata fase successiva al lockdown, attivando un ascolto rispetto alle azioni intraprese, alle pratiche attivate (per quanto provvisorie e imperfette), alle intuizioni e iniziative messe in atto per fronteggiare una situazione critica drammatica. La consulenza come possibilità di affrontare i problemi per sviluppare possibili e sostenibili risposte a essi, si è così di fatto tradotta in una logica di ricerca-azione, sensibile da un lato alla mobilitazione delle conoscenze disponibili, riferite alle esperienze sperimentate, dall’altro orientata a definire traiettorie e percorsi operativi in grado di fronteggiare la delicata situazione. Ciò ha richiesto l’attivazione di dimensioni inerenti sia aspetti della ricerca, sia modalità di utilizzo formativo delle conoscenze in tal modo acquisite.

Metodologia

La decisione di intercettare le conoscenze disponibili all’interno dei quattro circoli, seguiti da uno degli autori del presente contributo, ha comportato una regolazione metodologica impegnativa. L’ipotesi, infatti, è stata quella di esercitare un ascolto delle conoscenze esperienziali concrete vissute dai diversi attori organizzativi coinvolti: insegnanti, genitori, personale ausiliario, volontari con ruoli di governance degli enti gestori delle scuole, bambini. Ciò a fronte del coinvolgimento di 4 circoli, per un totale di 27 scuole, con 192 insegnanti, 100 figure di personale ausiliario (cuochi, assistenti, personale di servizio, ecc.) e circa venti volontari impegnati nella governance delle scuole (Presidenti degli enti gestori, rappresentanti di Circolo, consiglieri dei comitati di gestione degli enti).

Il processo di generazione di conoscenza adottato è stata l’attivazione di focus group, ritenuti appropriati per cogliere elementi di costruzione sociale rispetto alle pratiche di partecipazione e comunicazione riconosciute come congruenti e attribuite di significatività. Durate i mesi di ottobre e novembre 2020 sono stati realizzati in via telematica diversi focus group in ogni Circolo (4 con i genitori, 4 con insegnanti, 4 con enti gestori, 4 con personale ausiliario, ognuno composto da 4 a 6 partecipanti), gestiti dal formatore e dai coordinatori, tutti audioregistrati con il consenso dei partecipanti. In ogni Circolo alcune insegnanti hanno attivato dei focus group anche con i bambini, seguendo una tradizione inaugurata dalla Federazione nel 2012 e relativa al «Concilio dei bambini», un progetto istituzionale promosso nelle scuole per dare voce ai più piccoli, riconoscendo loro la capacità di pensiero e la possibilità di partecipare ai processi decisionali. Il progetto prevede l’attivazione di contesti di discussione in piccoli gruppi di 4-5 bambini per valorizzare e sostenere la capacità di esprimere opinioni e prendere decisioni insieme, a partire dalla concretezza della quotidianità e delle relazioni dentro la scuola e in famiglia. L’assunto è che insieme, attraverso l’interazione discorsiva tra bambini, si possano prendere decisioni su aspetti che riguardano la vita comune a scuola, sia su questioni di tipo relazionale, sia su questioni legate ad aspetti pratici e organizzativi.

Questo anche nell’ottica di alimentare un senso di responsabilità e di appartenenza rispetto alla propria comunità e alle istituzioni che in essa operano, come la scuola, alimentando il piacere e l’interessa di partecipare alla vita pubblica avendo attenzione al bene comune e condividendo con gli altri desideri e progetti, è possibile e realizzabile.

Nel caso della produzione di conoscenza in oggetto «Il Concilio dei bambini» è stato attivato per discutere in merito a come comunicare con i genitori, per individuare quali concrete forme usare.

Le audioregistrazioni sono state trascritte e analizzate dagli autori del presente contributo, insieme con i coordinatori dei circoli coinvolti, individuando categorie e cluster che sono stati presentati, commentati e discussi in successivi momenti di restituzione realizzati nei mesi di febbraio e marzo 2021 attraverso 8 incontri interCircolo (due per ogni tipologia di partecipante) che hanno visto la partecipazione dei vari attori sulle tematiche emerse. In ogni Circolo, infine, il rappresentante di Circolo ha convocato un’assemblea degli enti gestori appartenenti per condividere gli esiti del lavoro svolto nel giugno del 2021.

Risultati

Rispetto alle due centrature precedentemente descritte, in questo contributo prenderemo in considerazione, per vincoli di spazio, solo quella inerente le pratiche di partecipazione e comunicazione, presentando i principali risultati acquisiti e soffermandoci sul loro articolato utilizzo in termini di circolazione di conoscenza.

Un primo esito riguarda l’effetto di mobilitazione e coinvolgimento generato dall’attivazione dei focus group: l’adesione, la ricchezza dei contributi, l’attiva partecipazione dei vari interlocutori interessati costituiscono altrettanti elementi di un non scontato risultato di efficace processo comunicativo. Sono state infatti valorizzate le molteplici voci e letture esistenti, così come il loro confronto, la messa a fuoco di elementi comuni e trasversali e l’individuazione di prospettive di miglioramento.

Nel merito dei contenuti emersi riportiamo di seguito alcuni estratti della conversazione sviluppata all’interno dei focus group e relativi alle pratiche trasversalmemte più diffuse, in considerazione delle molteplici fenomenologie individuate dai diversi attori coinvolti a seconda del loro puto di vista. Possiamo utilizzare tre macrocategorie che aggregano le principali pratiche comunicative evidenziate: quella del vedere, del vivere e dell’ascoltare.

Per quanto attiene al vedere le pratiche trasversalmente riconosciute come promettenti da tutti e quattro gli interlocutori coinvolti sono le video e foto inviate e la newsletter con foto.

Video e foto inviate

La metodologia del piccolo gruppo ha dato una svolta un po’ alla nostra scuola, secondo me. E dopo io ho continuato comunque a raccogliere le esperienze che facevo con i bambini, i video delle esperienze che facevo con i bambini delle varie attività in piccolo gruppo. Io le ho sempre raccolte e ho sempre — non so se ho fatto bene o se ho fatto male — ma i genitori hanno apprezzato molto, ho sempre dato ai genitori dei video dove c’erano alcune esperienze di bambini dall’albo illustrato alla sperimentazione scientifica, dove i genitori vedevano proprio in un momento così, dove [vedevano] i loro bambini (Focus group insegnanti, Circolo n. 2).

[…] Secondo me il canale video potrebbe essere un canale molto molto valido. Perché questa cosa di vederli giocare tutti assieme, e vederli fare anche attività strutturate tutti assieme, potrebbe aiutare tantissimo, ovviamente nel nostro caso, anche i genitori (Focus group genitori, Circolo n. 3).

Stiamo apprezzando, che hanno iniziato a mandarci un piccolo video, delle attività che han fatto, non erano, non l’avevamo mai ricevuto, quindi vedere il video, del tuo bambino che in quel momento sta facendo un’attività, così e interagire con altri bambini, è molto di più, secondo me, rispetto a quello che ti riportano a voce e così, insomma, vedi come si sta trovando in quel momento, quindi a noi i video, insomma, in questo momento ci stanno dando supporto anche, e tranquillità [...] (Focus group genitori, Circolo n. 4).

Newsletter con foto

Allora fino all’anno scorso ok, c’erano le newsletter, quest’anno le chiamiamo diario mensile che inviamo ai genitori. Allora, la funzione è un po’ duplice. Quella di far vedere, di portare a casa ai genitori, quello che la scuola e i bambini insieme fanno. Ma anche quella di far raccontare al bambino cosa fa a scuola con gli amici. Nel senso che noi quando abbiamo, all’inizio dell’anno scolastico spieghiamo ai genitori che la newsletter o il diario, serve per farsi raccontare anche dal bambino cosa, tramite le foto, cosa fa il bambino a scuola con i suoi amici (Focus group insegnanti, Circolo n. 1).

Una cosa molto, che trovo molto preziosa, che fanno le nostre insegnanti è il giornalino, che periodicamente aggiorna su tutta la documentazione, il programma insomma, che facevano i nostri figli su tutte le attività, con foto e con attenzione anche dei metodi utilizzati (Focus group genitori, Circolo n. 2).

Io apprezzo tantissimo… oggi, anche l’altro ieri le maestre ci hanno mandato come facevano durante il lockdown, il PowerPoint con le attività che hanno fatto. A me piace tantissimo, vedere quella. Allora se non posso entrare nella scuola per la pandemia, posso però vedere la foto di lui, come si relaziona con i suoi compagni, le cose che ha fatto. Rivedere alcune delle cose che mi ha raccontato, per me è fantastico. Cioè, magari non tutti i genitori apprezzano questa versione un po’ tecnologica. Per quelli che lo sono, è un modo bello di avere un aggiornamento sulle attività, insomma, io l’ho molto apprezzato (Circolo n. 4).

In riferimento alle pratiche categorizzate come vivere sono state trasversalmente individuate i piccoli gruppi tra genitori e tra genitori e bambini e la merenda educativa (si tratta di momenti di partecipazione degli adulti a situazioni sia organizzate dai bambini e che prevedono attività di allestimento e preparazione, sia di condivisione di momenti di vita comune come il pranzo o la merenda, accompagnati da spazi di discussione e approfondimento dialogico rispetto alle cose che si fanno, alle modalità con cui sono fatte e al senso della loro attuazione).

Piccoli gruppi tra genitori e tra genitori e bambini

Noi l’anno scorso, durante l’assemblea […] abbiamo diviso i genitori in piccoli gruppi…sono rimasti un pochino perplessi quando si sono accorti che c’era una matita sul tavolo, che c’era una colla, che c’era materiale solo, in realtà, solo per una persona, ok? E lì abbiamo spiegato appunto che dovevano riuscire a parlarsi. Dovevano riuscire a mettersi d’accordo…e abbiamo spiegato che anche i loro figli facevano cose analoghe, discutendo, facendo, costruendo insieme, imparando in gruppo…Poi abbiamo fatto una documentazione, proprio attraverso foto, e scritte e anche da mettere fuori nell’atrio, per tutti, anche gli altri, quelli che purtroppo non hanno potuto venire. confronto, diciamo così a confronto […] di altre riunioni frontali […] c’è stata veramente un’ampia partecipazione che non ci aspettavamo (Focus group insegnanti, Circolo n. 3).

[…] utile quando c’è stato il lavoro soprattutto del piccolo gruppo, e ci hanno diviso in piccoli gruppi, in cui dovevamo collaborare con gli stessi strumenti, le stesse modalità, che utilizzavano i nostri bimbi» (Focus group genitori, Circolo n. 4).

[…] Anche i laboratori fatti con i nostri bambini, sempre nelle loro modalità e con la discussione sempre del piccolo gruppo, sempre con le stesse modalità dei nostri bimbi. Ecco. Questo secondo me aiuta moltissimo i genitori… anche tra i genitori c’era un momento di scambio, ecco (Focus group genitori, Circolo n. 2).

Mi ricordo della riunione con gli insegnanti di riferimento della sezione della mia bambina, e le insegnanti hanno proposto questo incontro, a piccoli gruppi anche per noi adulti, infatti eravamo quattro genitori per gruppetto. E devo dire che nella sezione della mia bambina su sedici genitori, quattordici erano presenti. Io l’ho trovato molto interessante, anche perché le insegnanti ci hanno fatto vedere i lavori che hanno, creato insieme ai nostri bambini in questi primi tre mesi e hanno inoltre proposto un video. Quindi io l’ho trovato molto interessante. Sono riuscita a confrontarmi anche con un’altra mamma che era nel gruppo dopo di me, e devo dire che è stata entusiasta [...] Però l’ho trovato efficace, questa cosa dei piccoli gruppi. Anche perché nei piccoli gruppi hai modo di interagire anche con gli insegnanti, puoi chiedere qualcosa in più magari rispetto al tuo bambino o fare una domanda in più che nel grande gruppo alle volte, diventa difficoltoso, per timidezza o per qualsiasi motivo, insomma, è difficile partecipare (Focus group genitori, Circolo n. 3).

Merenda educativa

Anche da noi è da qualche anno che si è instaurata questa tradizione dei bambini dell’ultimo anno che, appunto, Covid permettendo, organizzano una festa con tutti bambini e genitori, appunto — solo dei bambini dell’ultimo anno — e i genitori vivono con i propri bambini e vedono come i bambini poi sono autonomi nell’apparecchiare, nell’aiutarsi a vicenda. E questo aiuta, aiuta proprio nel vedere proprio, come l’idea del bambino autonomo. No? Perché appunto come diceva la collega, è un momento che fa capire ai genitori tante cose (Focus group genitori, Circolo n. 1).

Va sottolineato come la categoria delle pratiche legate al vivere rappresenti l’insieme delle esperienze che più sono state penalizzate e limitate dal lockdown e che in ogni caso, nella rappresentazione dei vari attori coinvolti, costituiscono in punto di riferimento su cui tornare a investire nel futuro.

Le pratiche maggiormente sottolineate in modo trasversale relative all’ascoltare sono i colloqui con gli insegnanti e i racconti dei bambini.

In riferimento ai racconti dei bambini è emerso, nei focus group realizzati dalle insegnanti con i bambini, il loro desiderio di raccontare a casa quello che hanno fatto a scuola e a scuola di riferire le reazioni dei genitori ai loro racconti. Diverse le sollecitazioni ricavate dalle conversazioni con i bambini dagli insegnanti e rivolte agli adulti di riferimento, al fine di creare le condizioni affinché i bambini stessi divengano attori di comprensione della proposta educativa offerta dalle scuole:

  • «fatevi spiegare dai bambini che cosa fanno»;
  • «provate a osservare i vostri bambini, come intervengono, come fanno: meglio in presenza, se no nei video»;
  • monitorare ciò che i genitori riportano di quanto detto dai bambini, spesso manifestando sorpresa e stupore.

Colloqui con gli insegnanti

C’è tutto un lavoro dietro, una preparazione del piano annuale, delle attività, tutto no? Per far capire i processi di apprendimento che stiamo affrontando, gli indicatori, […] quindi il fatto di essere chiari anche a livello di discussione con i genitori, con una modalità molto particolareggiata nei colloqui individuali. Quindi questo ti fa capire come c’è un interesse, un ascolto anche da parte dei genitori su alcune attività (Focus group insegnanti, Circolo n. 1).

Le insegnanti si sono sempre proposte di spiegare come lavorano, con incontri rivolti a tutti i genitori e infine anche con momenti individuali, perché penso che anche nelle altre scuole, sempre in epoca pre-Covid, sono sempre stati organizzati dei colloqui individuali, sull’andamento del bambino, tipo delle piccole udienze… poi col Covid abbiamo usato whatsapp e gli incontri online (Focus group genitori, Circolo n. 3).

Gli anni in cui ero un genitore, solo genitore, effettivamente i momenti in cui riuscivo a capire cosa la scuola faceva era l’incontro di ottobre per i genitori a inizio anno e i colloqui che si facevano in vari momenti con le insegnanti; erano sicuramente i momenti in cui avevi il contatto con la maestra, che ti faceva vedere e con cui discutevi, no? (Focus group enti gestori, Circolo n. 4).

Come durante il lockdown, visto che erano saltate presenze, mi sono fatta una chiamata, una call con la maestra del mio bimbo. È stato bellissimo, perché tantissime cose io non lo sapevo, cioè io posso vedere come si comporta a casa, posso vedere come si comporta nel gruppo dei pari, ma al parco, con gli amici di amici, coi figli di amici, ma non con un rapporto di pari a scuola dove i genitori non ci sono. E quindi è stato proprio bello. Quindi secondo me sono fondamentali questi momenti di incontro, in cui la comunicazione è veramente reciproca (Focus group genitori, Circolo n. 2).

Gli excerpts selezionati e raccolti dalle trascrizioni delle conversazioni dei focus group, documentano il riferimento a pratiche operative concrete, che si collocano nella quotidiana esperienza di insegnanti, genitori, personale ausiliario, bambini e rappresentanti degli enti gestori. Sono evidenziati elementi e aspetti promettenti, che tracciano traiettorie da seguire per consolidare e migliorare l’esperienza educativa vissuta da tutti a vari livelli nelle scuole. Sono inoltre emerse indicazioni sulle pratiche da investire, come l’adeguamento della tecnologia per consentire modalità di incontro miste (in presenza e a distanza); lo scambio di esperienze tra circoli e scuole, alimentando visite reciproche di insegnanti e referenti di enti gestori e sviluppando movimenti di circolazione di conoscenza; consolidare i setting dei colloqui e arricchire la competenza relativa ai diversi registri e funzioni comunicative da gestire.

Si tratta di conoscenze prodotte dal processo di ricerca-azione attivato, che sono poi confluite in momenti di formazione dedicati agli insegnanti delle scuole, che hanno lavorato sui materiali restituiti dai formatori e discusso modalità e spendibilità per il trasferimento di pratiche riconosciute rilevanti e significative anche in contesti diversi. Il materiale generato dalla ricerca è divenuto in tal modo patrimonio e punto di riferimento per i coordinatori di altri circoli e per la formazione delle insegnanti ad essi afferenti.

Discussione

In riferimento alle due domande sollecitate dal presente contributo, possiamo evidenziare come, rispetto alla prima questione, i dati empirici raccolti rimandino a un elevato livello di intersezione richiesto tra le diverse modalità di generazione di conoscenza: ricerca, elaborazione riflessivamente e applicazione trasformativa. Esse, per quanto distinte, sono costantemente intrecciate, proprio perché ci si confronta con il riferimento alle esperienze concrete quotidianamente vissute dagli attori organizzativi coinvolti e con il significato da essi attribuito. dunque da un lato si mobilita la produzione di conoscenza (ricerca) a partire da sollecitazioni riconosciute rilevanti (nel nostro caso la rilettura delle pratiche di partecipazione e comunicazione; dall’altro è inevitabile la riflessione selettiva e interpretativa sulle pratiche da considerare riflessivamente (formazione) come più o meno adeguate, promettenti o critiche, da consolidare o modificare; ne consegue la terza implicazione, legata agli effetti potenzialmente trasformativi innescati da tale dinamica e dalle decisioni da prendere in funzione di cosa mantenere, cambiare, aggiustare, riconfigurare di ciò che si fa.

Questa triplice interconnessione consente il guadagno di una risposta anche alla seconda domanda, riguardante le regolazioni metodologiche richieste per l’attivazione di un intervento inteso come consulenza-ricerca-formazione in uno specifico contesto organizzativo. La metodologia richiesta in questi casi non può che riferirsi a una logica di ricerca-azione (Galuppo & Ivaldi, 2021; Kaneklin et al., 2010; Scaratti, et al., 2018) caratterizzata da:

  • situatività, in quanto relativa al confronto con problemi reali e complessi, in contesti naturali e dentro situazioni sociali, da individuare e configurare negozialmente con gli attori coinvolti;
  • relazionalità, connessa alla necessità di coinvolgere più interlocutori, ascoltare più voci, punti di vista diversi, per acquisire una comprensione più articolata di problemi complessi tenendo conto della conoscenza esperienziale dei vari interlocutori;
  • trasformatività, relativa alle inevitabili prospettive di potenziale azione individuate dal confronto riflessivo con i problemi, secondo ipotesi di cambiamento da vagliare e validare;
  • riflessività, riferita all’esercizio di un pensiero critico su quello che si fa, su come lo si fa e sul perché lo si fa, in un orizzonte di sense-making distribuito e diffuso.

Le pratiche descritte ed evidenziate nel paragrafo precedente restituiscono elementi di transitory e actionable knowledge riferiti a concreta situazione che connotano la quotidiana attività dei vari interlocutori. D’altro canto, gli esiti conoscitivi e trasformativi della RA dipendono dal processo di mobilitazione, coinvolgimento, e committenza (istituzionale e personale) che si attiva come esito non scontato tra gli attori organizzativi in gioco.

Possiamo a questo proposito considerare quanto la pratica di consulenza descritta sia in grado di promuovere attivare processi di generazione di capitale sociale.

Nel gergo delle scienze umane il capitale sociale esprime il patrimonio legato alla disponibilità di relazioni, di rapporti di fiducia, di interesse reciproco che si attivano e si sviluppano all’interno di un contesto (Nahapiet & Ghoshal, 1998). Come dire che la qualità di un territorio e di un tessuto comunitario dipende anche dalla presenza di forme e manifestazioni varie di solidarietà, di scambio di attenzione e cura, di dedizione reciproca. Queste forme diventano espressione di affidamento, di speranza, di positività che alimentano a loro volta esperienze concrete che promuovono attenzione ai bisogni, convergenza su valori comuni, stimoli all’impegno e alla sensibilità collettiva.

Parlare di capitale significa nel nostro caso indicare una ricchezza, una dotazione di opportunità che non è scontata e nemmeno si presenta automaticamente all’interno dei contesti, ma va pazientemente e tenacemente promossa, costruita e sviluppata. Un capitale specificamente immateriale, ma non per questo meno concreto e tangibile, da coltivare e far crescere. In questo senso le scuole della Federazione rappresentano una potenziale risorsa e un patrimonio per la crescita del bene collettivo di una comunità.

Questo capitale è sociale in quanto legato alla possibilità che persone e soggetti vari entrino in relazione e costruiscano rapporti significativi e collaborativi, capaci di aprire spazi ed esperienze di solidarietà, di comune impegno, di orientamento a scopi e finalità che vanno oltre i propri singoli interessi. La connotazione sociale rimanda dunque al fatto che siamo in rapporto con altri e che tale interazione richiede un lavoro: servono attenzioni reciproche, capacità di ascolto e di mediazione, rispetto e responsabilità per dialogare con altri e costruire congiuntamente con loro. Il termine sociale dice anche la tensione a cercare convergenze possibili, a condividere interessi e obiettivi, a non concepirsi isolati ma connessi e integrati, a sentirsi alleati in un’impresa che guarda oltre i propri limiti e confini e crede nella forza che il federarsi insieme attribuisce ai valori e alla prospettiva che si intendono perseguire.

Le scuole della Federazione possono/devono essere, in tal senso, generatori di capitale sociale, cioè attori comunitari protagonisti insieme ad altri nella costruzione di esperienze qualificate e significative di azione pedagogica nell’ambito dell’educazione all’infanzia.

Generare significa far nascere, far crescere, prendersi cura e sviluppare, attorno al tema dell’educazione all’infanzia, sensibilità e interesse, orientamenti e investimenti che ne riconoscano la centralità per rinnovate forme di convivenza sociale e di cittadinanza partecipata.

Occuparsi di educazione dell’infanzia esprime, in tale prospettiva, un atto di cittadinanza e si propone come azione politica a tutto tondo, nel senso autentico di costruzione della polis: un tessuto sociale connettivo che regge la possibilità di una vita civica orientata al rispetto reciproco e alla comune responsabilità.

Fare consulenza in questa prospettiva richiede un intelligente intreccio di ricerca, formazione e applicazione, al fine di coinvolgere diversi attori, operatori, famiglie, istituzioni in una comune impresa collettiva, il cui senso travalica interessi parziali e singoli, traducendosi in uno sguardo capace di disegnare un futuro per le nuove generazioni.

I limiti della ricerca riguardano lo specifico perimetro d’azione dei sistemi di attività considerati, inerenti la realtà delle scuole dell’infanzia e il loro peculiare ambito nel contesto studiato, che acquista una valenza singolare, pur se potenzialmente trasferibile in altri contesti con opportuni e appropriati aggiustamenti. La presente ricerca offre, peraltro, proprio in questa direzione, spunti metodologici e operativi per altre indagini indirizzate al produrre, elaborare e applicare conoscenza in organizzazioni pluralistiche, cercando di cogliere specificità e trasversalità dei processi di consulenza orientati alla generazione di capitale sociale.

Bibliografia

Cunliffe, A. L. (2011). Crafting qualitative research: Morgan and Smircich 30 years on. Organizational Research Methods, 14(4), 647-673. doi: 10.1177/1094428110373658

Czarniawska, B. (2008). Organizing: How to study it and how to write about it. Qualitative Research in Organizations and Management: An International Journal, 3(1), 4-20. doi: 10.1108/17465640810870364

Denis, J.L., Lamothe, L., & Langley, A. (2001). The dynamics of collective leadership and strategic change in pluralistic organizations. Academy of Management Journal, 44(4), 809-837. doi: 10.2307/3069417

Denis, J. L., Langley, A., & Rouleau, L. (2007). Strategizing in pluralistic contexts: Rethinking theoretical frames. Human Relations60(1), 179-215. doi: 10.1177/0018726707075288

Engeström, Y. (1987). The emergence of learning activity as a historical form of human learning. In Y. Engeström (Ed.), Learning by expanding: An activity-theoretical approach to developmental research (pp. 150-182). Cambridge: Cambridge University Press.

Engeström, Y., & Middleton, D. (1996). Cognition and communication at work. Cambridge: Cambridge University Press.

Galuppo, L., & Ivaldi, S. (2021). La ricerca-azione. Il caso di una rete di coworking solidale. In G. Scaratti (Ed.), La ricerca qualitativa nelle organizzazioni. Pratiche di conoscenza situata e trasformativa (pp. 125-152). Milano: Cortina.

Gherardi, S. (2006). Journey beyond institutional knowledge: Dante’s reading of the Odyssey. In P. Gagliardi & B. Czarniawska (Eds.), Management education and humanities (pp. 174-199). Cheltenham: Edward Elgar.

Gherardi, S. (2009), Introduction: The critical power of the «Practice Lens». Management Learning, 40(2), 115-128. doi: 10.1177/1350507608101225

Goodman, N. (1978). Ways of worldmaking. Indianapolis: Hackett.

Hatch, M. J., & Cunliffe, A. L. (2012). Organization theory: Modern, symbolic, and postmodern perspectives. New York, NY: Oxford University Press.

Hendry, D. G. (2006). Workplace for search. Journal of the American Society for Information Science and Technology, 57(6), 800-802.

Hutchins, E. (1995). Cognition in the Wild. Boston, MA: The MIT Press.

Kaneklin, C., Piccardo, C., & Scaratti, G. (2010). La ricerca-azione. Cambiare per conoscere nei contesti organizzativi. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Knorr-Cetina, K., Schatzki, T. R., & Von Savigny, E. (2005). The Practice Turn in Contemporary Theory. London: Routledge.

Janssens, M., & Steyaert, C. (2009). HRM and performance: A plea for reflexivity in HRM studies. Journal of Management Studies, 46(1), 143-155. doi: 10.1111/j.1467-6486.2008.00812.x

Jarzabkowski, P., & Fenton, E. (2006). Strategizing and organizing in pluralistic contexts. Long Range Planning39(6), 631-648. doi: 10.1016/j.lrp.2006.11.002

Jarzabkowski, P., Mohrman, S. A., & Scherer, A. G. (2010). Organization studies as applied science: The generation and use of academic knowledge about organizations introduction to the special issue. Organization Studies31, 9-10, 1189-1207. doi: 10.1177/0170840610374394

Luff, P., Hindmarsh, J., & Heath, C. (2000). Workplace studies: Recovering work practice and informing system design. Cambridge: Cambridge University Press.

Nahapiet, J., & Ghoshal, S. (1998). Social capital, intellectual capital, and the organizational advantage. Academy of Management Review23(2), 242-266.

Romano, D. F. (2006). L’organizzazione silenziosa. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Scaratti, G. (2012). Shaping organizational contexts: A psychological view among working practices and reflexion in action. Rassegna Italiana di Sociologia, 53(2), 315-340.

Scaratti, G., Gorli, M., & Ripamonti, S. (2009). The power of professionally situated practice analysis in redesigning organizations: A psychosociological approach. Journal of Workplace Learning, 21, 538-554. doi: 10.1108/13665620910985531

Scaratti, G., Testa, E., & Ivaldi, S. (2021). Esercizio di stile. Fare consulenza con sensibilità qualitativa. In G. Scaratti (Eds.), La ricerca qualitativa nelle organizzazioni. Pratiche di conoscenza situata e trasformativa (pp. 287-300). Milano: Raffaello Cortina Editore.

Scaratti, G., Gorli, M., Galuppo, L., & Ripamonti, S. (2018). Action research: Knowing and changing (in) organizational contexts. In C. Cassell, A. C. Cunliffe, & G. Grandy (Eds.), Qualitative business and management research methods (pp. 86-307). London: Sage.

Schein, E. H. (1999). Process consultation revisited: Building the helping relationship. Reading, MA: Addison-Wesley-Longman.

Schön, D. A. (1991). The reflective practitioner – How professionals think in action. London: Routledge.

Schultz, M. (2008). Identity Hijack. In H. Hansen & D. Barry (Eds.), The Sage handbook of new approaches in management and organization (pp. 447-448). London: Sage.

Shotter, J. (2007). With what kind of science should action research be contrasted? International Journal of Action Research3, 65-92.

Shotter, J. (2008). Conversational realities revised: Life, language, body and world. Taos, NM: Taos Institute Publications.

Shotter, J. (2010). Situated dialogic action research: Disclosing «beginnings» for innovative change in organizations. Organizational Research Methods, 13, 268-285. doi: 10.1177/1094428109340347

Zucchermaglio, C., & Scaratti, G. (2008). Autori d’ambienti organizzativi. Roma: Carocci.


1 Dipartimento di Psicologia, UC di Milano.

2 Dipartimento di Scienze umane e sociali, Università di Bergamo.

3 Dipartimento di Psicologia, UC di Milano.

4 Dipartimento di Scienze umane e sociali, Università di Bergamo.

5 Il dialogo si è svolto in funzione del loro ruolo di consulenti-ricercatori-formatori a vario titolo operanti nella Federazione (il primo autore è formatore delle équipe operati nei circoli; il secondo autore è consulente del comitato scientifico della Federazione; il terzo autore è ricercatore e formatore per la Federazione).

Vol. 15, Issue 1, February 2022

 

Indietro