Vol. 13, n. 2, giugno 2020

STUDI E RICERCHE

La relazione tra commitment verso il cambiamento, strategie di coping ed engagement organizzativo

Un contributo di ricerca people-oriented sul cambiamento organizzativo

Maria Luisa Giancaspro1 e Amelia Manuti2

Sommario

Negli ultimi anni, la ricerca e la consulenza professionale hanno dedicato grande attenzione al tema del cambiamento organizzativo. In particolare, adottando una prospettiva d’analisi people-oriented, numerose evidenze empiriche hanno mostrato il ruolo cruciale giocato da atteggiamenti e credenze di individui e gruppi nel processo di ristrutturazione dei comportamenti organizzativi funzionali al cambiamento organizzativo. Il presente studio ha inteso indagare la relazione tra commitment verso il cambiamento ed engagement organizzativo analizzando il ruolo di mediatore svolto dal coping. Hanno partecipato 176 dipendenti impiegati in una media impresa italiana leader nel settore dell’arredo, coinvolta in un processo di ristrutturazione organizzativa. I risultati hanno confermato le ipotesi mostrando la rilevanza della funzione HRM nel sostenere e rinforzare la relazione persona/organizzazione.

Parole chiave

Cambiamento organizzativo, commitment, coping.

STUDIES AND RESEARCH

The relationship between commitment to change, coping with change and organizational engagement

A people-oriented study on organizational change

Maria Luisa Giancaspro3 and Amelia Manuti4

Abstract

Over the last few decades, research and professional practice have devoted great attention to the topic of organizational change in an attempt to formulate concrete suggestions regarding its management. More specifically, by adopting a people-oriented perspective, considerable empirical evidence has highlighted the role played by individual and group attitudes and cognitions in the process of organizational change. The study examined the relationship between commitment to change and organizational engagement, supposing a mediating role of coping with change. Participants were 176 employees working in a medium-sized leading manufacturing company, which was experiencing a radical change in the organization of its working processes. Results confirmed the hypotheses emphasizing the crucial role that the HRM function can play in sustaining the person/organization relationship.

Keywords

Organizational change, commitment, coping.

Negli ultimi anni grandi trasformazioni economiche, sociali e culturali hanno ridisegnato il mondo delle organizzazioni rendendo sempre più urgente la riflessione sul tema della gestione del cambiamento organizzativo (Al-Haddad & Kotnour, 2015).

Nell’ambito della Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni, con l’etichetta «cambiamento organizzativo» si intende «l’insieme di azioni pensate ed orientate dichiaratamente e deliberatamente verso un obiettivo di mutamento dell’organizzazione» (Quaglino, 1990, p. 323). Sostanzialmente si fa riferimento al processo che l’organizzazione decide di mettere in atto una volta accertato che il suo funzionamento è divenuto critico (Ashurst & Hodges, 2010; Dess & Picken, 2000). Tali criticità possono riguardare sia elementi che appartengono all’apparato tecnico (obiettivi, compiti, mezzi, strumenti, ecc.) che elementi sociali, legati alle caratteristiche degli attori organizzativi (età, ruolo, carriera, ecc.).

A prescindere dalle spinte che avviano questo processo, il cambiamento organizzativo si caratterizza in maniera differente a seconda delle modalità con le quali si manifesta (Weick & Quinn, 1999). Esso si configura come accidentale ed incrementale, quando avviene spontaneamente ed in modo del tutto casuale, oppure come pianificato e radicale, se invece rappresenta il risultato dello sforzo deliberato di mutare l’organizzazione da uno stato attuale ad uno stato ideale, ad esempio in seguito a fusioni, fallimenti, downsizing. Conseguentemente, cambiano anche le strategie che l’organizzazione utilizza per gestire le proprie risorse finanziarie, strumentali ed umane in relazione al fenomeno. Nel caso di un cambiamento accidentale, l’obiettivo organizzativo è principalmente orientato a minimizzare le conseguenze negative e massimizzare gli eventuali benefici dell’azione di cambiamento, mentre nel caso di un cambiamento pianificato, l’organizzazione è maggiormente focalizzata sull’obiettivo di motivare le proprie risorse umane a condividere il progetto proposto, vincendo resistenze e timori individuali e collettivi.

In entrambi i casi, un ruolo rilevante in questi processi di cambiamento è giocato dagli agenti di cambiamento, ovvero da quelle figure carismatiche per ruolo formale e/o informale all’interno dell’organizzazione, in grado di guidare e supportare il cambiamento trainando individui e gruppi (Ackoff, 2006; Haidar, 2006).

Infine, i contenuti del cambiamento possono variare da situazione a situazione ed impattare diversamente su alcune variabili cruciali della vita lavorativa. I cambiamenti possono riguardare la struttura e le strategie organizzative, ovvero implicare cambiamenti nel sistema di ricompense, di controllo e coordinamento di tipo top-down concentrati ai livelli medio-alti della gerarchia organizzativa. Possono riferirsi ai processi di lavoro ed all’ambiente lavorativo, quando interessano i programmi di benessere, la qualità della vita e l’empowerment. Inoltre, possono implicare un cambiamento culturale, quando si riferiscono ai cambiamenti nei valori, nelle norme, atteggiamenti, credenze e comportamenti.

Alla luce di queste evidenze, la riflessione teorica che si è sviluppata nella letteratura di settore distingue un approccio micro allo studio del cambiamento organizzativo, ovvero un approccio people-oriented, finalizzato ad indagare i comportamenti, le cognizioni e gli atteggiamenti dei lavoratori coinvolti nel processo di cambiamento (Cunningham, 2006; Herscovitch & Meyer, 2002; Judge, Thoresen, Pucik, & Welbourne, 1999; Wanberg & Banas, 2000), da un approccio macro, detto anche approccio resource-dependent che invece si interroga sulle variabili di sistema implicate (Cunningham, Woodward, Shannon, MacIntosh, Lendrum, Rosenbloom, & Brown, 2002; Oliver, 1992; Pfeffer & Salancik, 1978; Van de Ven & Poole, 1995).

In particolare, gli studi people-oriented hanno offerto un notevole contributo alla ricerca psicologica circa l’impatto che le caratteristiche soggettive degli attori organizzativi possono avere sulla condivisione del progetto di cambiamento loro proposto, influenzando di conseguenza in misura significativa i comportamenti messi in atto per realizzare o resistere alla proposta di trasformazione organizzativa.

Diversi contributi empirici hanno mostrato, infatti, come ad esempio alti livelli di resistenza al cambiamento siano correlati a minore soddisfazione lavorativa e più alti tassi di turnover (Wanberg & Banas 2000) e come la fiducia nutrita dai dipendenti nei confronti delle scelte organizzative sia correlata a bassi livelli di abbandono organizzativo (Abubakar, Chauhan, & Kura, 2014) ed a comportamenti di cittadinanza organizzativa (Singh & Srivastava, 2016).

Tra questi fattori individuali, un ruolo importante nel processo di sense-making operato dagli attori organizzativi di fronte al cambiamento è offerto dal commitment verso il cambiamento (commitment to change), una variabile ampiamente studiata in riferimento ai processi di cambiamento organizzativo, in quanto predittore significativo di comportamenti organizzativi di supporto all’azione di cambiamento (Cunningham, 2006; Parish, Cadwallader, & Bush, 2006).

Il commitment verso il cambiamento può essere definito come «una forza (un mindset) che collega l’individuo ad un corso d’azione che è necessario intraprendere per l’implementazione ed il successo di una iniziativa di cambiamento» (Herscovitch & Meyer, 2002, p. 475). Questo costrutto in linea con gli studi sul più ampio costrutto di commitment organizzativo (Meyer, Allen, & Smith, 1993) si articola in tre dimensioni, una affettiva, una normativa ed una comportamentale strettamente connessi a specifici outcomes comportamentali di supporto al cambiamento a medio ed a lungo termine (Jaros, 2010; Parish, Cadwallader, & Busch, 2006).

Il commitment verso il cambiamento rappresenta anche un significativo predittore di un altro fattore cruciale in questi processi, ovvero le strategie di coping che gli attori organizzativi adottano per gestire il cambiamento ed attuare comportamenti ad esso funzionali. I comportamenti di coping possono essere definiti come «consapevoli sforzi fisici e psicologici orientati a migliorare la percezione delle proprie risorse a supporto della gestione di eventi stressanti o di pressanti richieste esterne» (Anshel, Kim, Kim, Chang, & Hom, 2001, p. 45). Negli ultimi anni, la ricerca ha mostrato come il coping sia particolarmente utile nel contesto del cambiamento organizzativo poiché in generale tali trasformazioni sono accompagnate da sentimenti di incertezza, stress, rabbia e conflitto e conseguentemente possono influenzare il benessere degli individui ed i loro comportamenti organizzativi (Fugate, Kinicki & Prussia, 2008; Rafferty & Griffin, 2006). A tal proposito, ad esempio, la fiducia nei confronti della propria capacità di coping con il cambiamento organizzativo ha mostrato correlazioni positive con la disponibilità al cambiamento e con la percezione di poter offrire un contributo al cambiamento (Cunningham et al., 2002).

In particolare, Herscovitch e Meyer (2002) suggeriscono che siano l’affective e il continuance commitment ad avere un impatto maggiore sulle strategie di coping verso il cambiamento. Le persone che risultano affettivamente impegnate nei processi di cambiamento organizzativo, infatti, credono nel valore del cambiamento, pensano che il cambiamento abbia uno scopo importante per l’organizzazione e considerano il cambiamento come una strategia efficace di gestione della complessità organizzativa (Herscovitch & Meyer, 2002). Dunque, le persone che mantengono atteggiamenti così positivi verso il processo di cambiamento, nonostante lo stress sperimentato, saranno in grado di far fronte efficacemente a tali transizioni in quanto ne riconoscono il valore e l’utilità. In questo modo, l’affective commitment verso il cambiamento è funzionale a «tamponare l’effetto dello stress legato al cambiamento e a garantire la salute e il benessere dei dipendenti» (Herscovitch & Meyer, 2002, p. 485).

Pertanto, se da un lato è lecito ipotizzare che il commitment affettivo nei confronti del cambiamento sia positivamente associato ai comportamenti messi in atto dai dipendenti per gestire e supportare il cambiamento, dall’altro, ci si attende un effetto negativo del continuance commitment. In questo caso, infatti, l’impegno verso il cambiamento da parte dei dipendenti è legato alla sensazione di non avere altra scelta che accettare il cambiamento, anche in virtù della percezione di rischio associato al mancato supporto al cambiamento richiesto (Herscovitch & Meyer, 2002). Tale percezione rappresenta una grande fonte di stress e anziché favorire comportamenti a supporto del cambiamento organizzativo, finisce per produrre effetti negativi sul cambiamento stesso. Nei loro studi, infatti, Irving e Coleman (2003) hanno verificato come il continuance commitment verso il cambiamento sia positivamente associato alla tensione lavorativa e Meyer, Stanley, Herscovitch e Topolnytsky (2002) nella loro meta-analisi hanno riscontrato risultati simili, confermando che l’impegno verso il cambiamento di continuità è positivamente associato allo stress lavorativo.

Allo stesso tempo, mentre è possibile formulare delle ipotesi di relazione tra le dimensioni affettiva e di continuità del commitment verso il cambiamento ed il coping, non si può dire lo stesso per quanto riguarda la dimensione normative. Herscovitch e Meyer (2002), infatti, sostengono che le persone che sviluppano un normative commitment verso il cambiamento percepiscono un senso di obbligo, quasi un dovere ad impegnarsi per il cambiamento. A fronte di questa concettualizzazione, è difficile prevedere in che modo la dimensione normativa del commitment possa realmente influenzare i comportamenti di coping.

Uno degli esiti auspicabili per le organizzazioni soprattutto in un momento di cambiamento è l’engagement dei propri dipendenti.

Come sottolinea Saks (2006), l’engagement organizzativo è un costrutto relativamente poco studiato in letteratura, spesso associato al commitment, sebbene in realtà se ne differenzi notevolmente (Ologbo & Saudah, 2012). Il commitment rappresenta il desiderio del lavoratore di mantenere nel tempo il vincolo con la propria organizzazione, sia in funzione della relazione affettiva che della relazione normativa e di continuità con essa sviluppata. Questo desiderio di sentirsi pienamente parte del contesto organizzativo si traduce a sua volta nell’intenzione di aderire ai valori dell’organizzazione e di impegnarsi attivamente per realizzare i suoi obiettivi (Becker, Randal, & Riegel 1995). Diversamente, l’engagement connota il grado di coinvolgimento nel proprio ruolo in una organizzazione (Saks 2006), la «presenza psicologica» del lavoratore nello svolgimento dei suoi compiti organizzativi (Kahn, 1990). Studi nell’ambito della teoria dello scambio sociale (Cropanzano & Mitchell, 2005), mostrano come l’engagement rappresenti una forma di restituzione di fiducia ed impegno all’organizzazione per il supporto e per i benefici materiali ed immateriali ricevuti. In quest’ottica, alcuni contributi orientati ad indagare l’impatto che la percezione delle pratiche di gestione delle risorse umane può avere sui comportamenti organizzativi positivi (Gould-Williams & Davies, 2005; Maheshwari & Vohra, 2015) evidenziano come l’engagement possa essere in qualche modo anche un outcome del commitment (Shuck, Reio, & Rocco, 2011).

Un’altra relazione significativa mostrata dalla letteratura nel contesto del cambiamento è quella tra risorse individuali ed engagement. Recenti evidenze empiriche, ad esempio, mostrano il ruolo giocato dal capitale psicologico e dalla capacità di adattamento al cambiamento, misurato attraverso il coping (Hicks & Knies, 2015). Sulla stessa scia, altri contributi confermano come riuscire ad agire sui processi di meaning-making che sono responsabili della gestione del cambiamento significhi operare sui comportamenti organizzativi in termini di performance ma anche di motivazione ed engagement (Avey, Wernsig, & Luthans, 2008; Van den Heuvel et al., 2009). Pertanto, il coping può essere considerato un predittore significativo dell’engagement.

Infine, sebbene numerose evidenze empiriche confermino la rilevanza delle variabili indagate dal presente studio nel processo di cambiamento prese individualmente, pochi contributi hanno indagato se ed in che misura la relazione tra commitment verso il cambiamento ed engagement possa essere mediata dalle risorse di coping con il cambiamento dei dipendenti. Tuttavia, il coping verso il cambiamento si è rivelato un mediatore significativo della relazione tra commitment verso il cambiamento ed intenzioni di turnover (Cunningham, 2006) e più recentemente nella relazione tra commitment verso il cambiamento e soddisfazione lavorativa (Vijayabanu & Swaminathan, 2016).

Pertanto, muovendo dai contributi esaminati sin qui, l’ultima ipotesi di questo studio postula che il commitment verso il cambiamento manifestato dai dipendenti possa agire sul loro engagement per il tramite della capacità di coping utilizzata nella gestione della transizione. Tale ipotesi considera il coping come una risorsa individuale al pari della disponibilità ad accettare il cambiamento (readiness for change), dell’apertura al cambiamento (openness to change) e del cinismo verso il cambiamento (cynicism about organizational change) che la letteratura riporta essere fattori cruciali nel modulare comportamenti di resistenza e/o di accettazione del cambiamento (Choi, 2011). In quest’ottica, è lecito attendersi che anche il coping verso il cambiamento potrebbe incidere, almeno parzialmente, nella relazione tra commitment verso il cambiamento ed engagement. Come suggeriscono Baron e Kenny (1986), infatti, testare ipotesi di mediazione parziale rappresenta un approccio più realistico ai fenomeni di natura psicologica in quanto «la maggior parte delle ricerche psicologiche, incluso quelle sociali, trattano fenomeni che hanno cause multiple» (p. 1176).

Alla luce di tali riflessioni, il presente studio formula le seguenti ipotesi:

  • H1: la dimensione affettiva del commitment verso il cambiamento è positivamente correlata con il coping verso il cambiamento.
  • H2: la dimensione di continuità del commitment verso il cambiamento è negativamente correlata con il coping verso il cambiamento.
  • H3: il coping verso il cambiamento è positivamente correlato all’engagement organizzativo.
  • H4: il coping verso il cambiamento media, almeno parzialmente, la relazione positiva tra l’affective commitment verso il cambiamento e l’engagement organizzativo.
  • H5: il coping verso il cambiamento media, almeno parzialmente, la relazione negativa tra il continuance commitment verso il cambiamento e l’engagement organizzativo.

Metodo

Partecipanti

Il presente studio è stato originato nell’ambito di una richiesta di consulenza da parte di un’azienda italiana leader nel campo della fabbricazione di poltrone e divani, con sede centrale in Puglia. Tale richiesta è nata in seguito all’avvio da parte del management dell’impresa di un processo di grande ristrutturazione di metodi, prassi e strategie aziendali che ha avuto origine in seguito alla crisi economica mondiale e la concorrenza straniera che hanno imposto una rivoluzione dal 2007 in poi. Il rinnovamento grazie al quale il Gruppo è riuscito a sopravvivere ha, però, coinvolto in prima persona tutti i lavoratori, ai quali è stato chiesto un grande sforzo e un grande impegno finalizzato ad abbandonare prassi consolidate per proiettarsi verso processi innovativi e allinearsi al cambiamento culturale richiesto dal management. L’intervento di consulenza è stato, dunque, orientato a monitorare le risorse personali e organizzative che potessero realmente sostenere e incrementare il processo di cambiamento in atto. La ricerca in oggetto ha coinvolto 176 dipendenti dell’azienda scelti attraverso un campionamento stratificato tra la totalità della popolazione aziendale. I partecipanti sono per lo più uomini (77.2%), hanno un’età media di 46,4 anni, la maggior parte di essi è in possesso di un diploma (52.7%), più della metà di loro sono impiegati (66.2%) e quasi la totalità è in possesso di un contratto a tempo indeterminato (98%). Essi afferiscono principalmente dal reparto Manufacturing, product and innovation (20.9%) e dal Corporate strategic planning (20.9%) e la restante parte si divide nei rispettivi reparti quali HR, IT, Organization and Corporate Communication (19.6%), Procurement and supply chain (14.9%), Engineering (9.5%), Corporate quality and after sales (7.4%), Internal control system (4.1%), Group division (2.7%).

Strumenti

Lo strumento adottato ai fini della ricerca è stato un questionario articolato in due macroaree: la prima finalizzata a raccogliere le informazioni socio-anagrafiche dei partecipanti e la seconda comprendente le scale scelte per indagare i costrutti oggetto della ricerca e concordati con il management dell’azienda. Tra le scale utilizzate nel percorso di consulenza, in questo studio sono state selezionate quelle utili a misurare i costrutti di interesse per la ricerca.

  • Commitment verso il cambiamento organizzativo (α=.80). Il commitment nei confronti del cambiamento organizzativo è stato misurato attraverso la scala di commitment to change messa a punto da Herscovitch e Meyer (2002). Si tratta di una scala composta da 18 item ripartiti in tre dimensioni, ciascuna composta da 6 item: affective commitment to change (α=.89) che misura il grado di coinvolgimento affettivo nei confronti del cambiamento organizzativo (ad esempio, «credo nel valore di questi cambiamenti»); continuance commitment to change (α=.84) che misura il grado di adesione ai cambiamenti di tipo strumentale (ad esempio, «non ho altra scelta se non andare avanti accettando questi cambiamenti»); normative commitment to change (α=.65) che misura il grado di impegno nel cambiamento organizzativo dettato da una adesione normativa e morale ad essi (ad esempio, «sento il dovere di impegnarmi per favorire l’attuazione di questi cambiamenti»).
  • Coping verso il cambiamento (α=.78). L’approccio al cambiamento e le strategie messe in atto dai dipendenti per far fronte alle richieste di cambiamento da parte dell’organizzazione sono stati misurati attraverso la scala di coping with change elaborata da Judge, Thoresen, Pucik e Welbourne (1999). Si tratta di una scala monofattoriale composta da 12 item (ad esempio, «quando in questa azienda avvengono dei cambiamenti, sento di essere in grado di gestirli con facilità»; «quando vengono annunciati cambiamenti, cerco di reagire impegnandomi nel risolvere i problemi, piuttosto che affrontarli emotivamente»).
  • Engagement organizzativo (α=.85). Al fine di misurare l’engagement organizzativo, ovvero l’impegno nei confronti dell’organizzazione come esito del nostro modello, sono stati utilizzati 6 item tratti dalla sotto-scala Organizational Engagement presente nella Employee Engagement Scale elaborata da Saks nel 2006 (ad esempio, «essere un membro di questa azienda mi fa sentire vivo»; «una delle cose che mi dà più soddisfazione è farmi coinvolgere nelle cose che accadono in questa azienda»).

Per tutte le scale descritte, ai partecipanti è stato chiesto di indicare il proprio grado di accordo/disaccordo con ciascuna affermazione proposta utilizzando uno scala da 1 (completamente in disaccordo) a 5 (completamente d’accordo).

Procedura

L’avvio della rilevazione è stato preceduto da una comunicazione ufficiale da parte dell’azienda attraverso mail a tutti i dipendenti, al fine di condividere gli obiettivi della ricerca e di richiedere la massima disponibilità e collaborazione.

I dipendenti individuati tramite campionamento stratificato sono stati poi raggiunti da un’ulteriore mail contenente il link per la compilazione del questionario.

Le risposte fornite sono state trattate nel rispetto delle disposizioni previste dall’art. 13 del DLgs 101/2018 relativamente alla tutela dei dati personali.

Risultati

Al fine di testare le ipotesi e di verificare il ruolo di mediatore del coping nei confronti del cambiamento organizzativo nella relazione tra il commitment verso il cambiamento e l’engagement organizzativo, i dati sono stati sottoposti ad alcune analisi preliminari condotte mediante software di analisi statistica SPSS.

La tabella 1 mostra la distribuzione dei punteggi medi e le deviazioni standard relative a ciascuna variabile presa in considerazione e gli indici di correlazione bivariata di Pearson.

Tabella 1

Medie, deviazioni standard, alfa di Cronbach e correlazioni (N=176)

Variabile

M (DS)

1

2

3

4

5

1. Commitment affettivo verso il cambiamento

4.09 (.74)

(α=.89)

2. Commitment di continuità verso il cambiamento

2.74 (.95)

-.37**

(α=.84)

3. Normative commitment verso il cambiamento

3.88 (.66)

.46**

0.04

(α=.65)

4. Coping verso il cambiamento

3.67 (.44)

.61**

-.28**

.42**

(α=.78)

5. Engagement organizzativo

3.88 (.73)

.50**

-.30**

.36**

.56**

(α=.85)

*p<.001 (2-tailed); **p<.005(2-tailed) I numeri tra parentesi indicano l’alfa di Cronbach

A seguito di queste analisi, per verificare il ruolo del coping verso il cambiamento nella relazione tra tutte e tre le dimensioni del commitment verso il cambiamento (affective, continuance e normative) e l’engagement organizzativo, sulla scorta dei contributi della letteratura internazionale, è stato applicato un modello di mediazione semplice (Preacher & Hayes, 2004) attraverso l’utilizzo della Macro PROCESS di SPSS (Hayes, 2012). Data la dimensione limitata del campione ed al fine di prevenire la violazione delle ipotesi di distribuzione normale, è stato utilizzato il metodo di bootstrap non parametrico come stima affidabile di effetti sia diretti che indiretti (Preacher & Hayes, 2008). Il bootstrap fornisce un intervallo di confidenza (CI) attorno all’effetto indiretto della variabile indipendente (affective e continuance commitment) sulla variabile dipendente (engagement organizzativo) tramite il mediatore (coping verso il cambiamento). La tecnica genera una stima degli effetti in un intervallo di confidenza del 95% e le mediazioni multiple sono significative se l’intervallo tra il limite superiore (UL) e il limite inferiore (LL) dell’IC non contiene zero, il che significa che l’effetto di mediazione è diverso da zero (Preacher & Hayes, 2008).

I risultati mostrano interessanti conferme alle ipotesi formulare.

In primis, appare confermata l’H1 in quanto i risultati mostrano un effetto significativo positivo dell’affective commitment verso il cambiamento sui comportamenti di coping (β=.61; p=.000).

Allo stesso modo, i risultati confermano l’H2: il continuance commitment, infatti, influenza negativamente i comportamenti di coping finalizzati a sostenere il cambiamento organizzativo (β=-.28; p=.000).

Anche l’H3, che prevedeva i comportamenti di coping verso il cambiamento avessero un effetto positivo sull’engagement organizzativo, è stata confermata (β=.56; p=.000).

In relazione alle ipotesi di mediazione, sia l’H4 che l’H5 appaiono confermate.

Nello specifico, in merito all’H4, appare evidente che i comportamenti di coping verso il cambiamento abbiano la funzione di mediare, seppur parzialmente, la relazione positiva tra il commitment di tipo affettivo nei confronti del cambiamento e l’engagement organizzativo (tabella 2).

Allo stesso modo, in merito all’H5, il coping verso il cambiamento media parzialmente la relazione negativa tra continuance commitment ed engagement organizzativo (tabella 3).

Discussione

All’interno del mercato del lavoro odierno in costante crescita ed evoluzione, il cambiamento è diventato necessario alla sopravvivenza di fronte alle forti pressioni che l’ambiente esterno esercita sulle imprese e, allo stesso tempo, una garanzia di successo. Le organizzazioni, dunque, dovrebbero sforzarsi costantemente di allineare le loro fisionomie ad un ambiente che cambia (Ackoff, 2006; Burnes, 2004; By, 2005; Hailey & Balogun, 2002; Kotter, 1996; Moran & Brightman, 2001). In questo senso e a fronte di questa necessità di cambiamento, le organizzazioni e i loro leader si stanno impegnando nel tentativo di elaborare risposte di natura strategica e sistemica, dalla gestione efficace dei mercati e delle proprietà materiali all’innovazione, alla gestione della conoscenza e alle risorse umane (Dess & Picken, 2000). Sono stati suggeriti molti approcci e metodi per gestire il cambiamento, ma le organizzazioni che subiscono cambiamenti variano significativamente nella loro struttura, sistemi, strategie e risorse umane. Pur non esistendo, dunque, una formula strategica che funzioni per tutte le tipologie di imprese interessate da processi di cambiamento, è evidente che le organizzazioni necessitino di un approccio integrato per guidare un cambiamento sistematico e costruttivo e ridurre al minimo le resistenze al cambiamento, nonché per affrontare le conseguenze che da tale cambiamento potrebbero derivare. Numerosi sono gli studi che testimoniano la facilità nell’incorrere nel fallimento di questi processi (Balogun & Hope Hailey, 2004; Beer & Nohria, 2000; Grover, 1999; Jansson, 2013; Jacobs, van Witteloostuijn, & Christe-Zeyse, 2013; Michel, By, &

Tabella 2

Risultati dell’analisi di mediazione sul commitment affettivo verso il cambiamento e l’engagement organizzativo (H4) (5000 bootstraps)

Variabile Indipendente

IV

Commitment affettivo verso il cambiamento

Mediatori

M

Coping verso il cambiamento

Variabile Dipendente

DV

Engagement organizzativo

Effetto della IV su M

(a)

.37 (SE = .04)**

Effetto del M su DV

(b)

.66 (SE = .14)**

Effetti Diretti

(c’)

.24 (SE =.08)**

Effetti Indiretti

(a x b)

.25**.

95% CI

(.136/371)

Effetto Totale

(c)

.491 (SE = .07)**

Tabella 3

Risultati dell’analisi di mediazione sul commitment di continuità verso il cambiamento e l’engagement organizzativo (H5) (5000 bootstraps)

Variabile Indipendente

IV

Commitment di continuità verso il cambiamento

Mediatori

M

Coping verso il cambiamento

Variabile Dipendente

DV

Engagement organizzativo

Effetto della IV su M

(a)

-.13 (SE = .04)**

Effetto del M su DV

(b)

.84 (SE = .12)**

Effetti Diretti

(c’)

-.24 (SE =.05)**

Effetti Indiretti

(a x b)

-.11*.

95% CI

(-.190/-.042)

Effetto Totale

(c)

.231 (SE = .06)**

Burnes, 2013; Rouse, 2011) e ciò indica la mancanza di un quadro di riferimento valido per i cambiamenti organizzativi e la necessità costante di indagare e trovare quali fattori aumentano la probabilità di successo dei cambiamenti organizzativi.

Gli studi in letteratura offrono una interessante lettura dei fattori che favoriscono e sostengono il cambiamento tra cui: una vision e degli obiettivi di cambiamento chiari e dichiarati dal management, un coinvolgimento reale dei dipendenti nel cambiamento e l’assegnazione di ruoli predefiniti nel processo, una leadership orientata al cambiamento e al coinvolgimento dei follower nei processi di cambiamento, una formazione e sviluppo delle risorse umane al fine di mantenere elevati i livelli di prestazione (Ackerman, Linda, & Anderson, 2001; Bridges & NetLibrary, 2003; Griffith-Cooper & King, 2007; Kenny, 2006; LaMarsh, 1995). Anderson e Ackerman (2001) suggeriscono che i tre principali aspetti di una strategia globale di cambiamento siano il contenuto, le persone e il processo. Se il contenuto si riferisce alla strategia, ai sistemi, alle tecnologie e alle pratiche di lavoro, e i processi rappresentano le azioni e le procedure svolte per implementare il cambiamento (Bayerl, Jacobs, Denef, van den Berg, van Kaptein, Birdi, & Stojanovski, 2013), sono le persone i veri attori protagonisti dell’intero processo, attraverso i comportamenti messi in atto durante l’implementazione del cambiamento. Più profondo è il cambiamento organizzativo, infatti, più è importante che le persone modifichino i propri valori e le proprie prospettive per allinearsi alla prospettiva organizzativa complessiva (Moran & Brightman, 2001). Van, Demerouti e Bakker (2013) sostengono che per aumentare la probabilità di successo del cambiamento, occorre prestare maggiore attenzione alle persone.

La scelta dei costrutti utilizzati in questo studio si colloca nel solco tracciato da queste ricerche. Il commitment verso il cambiamento dei dipendenti, ad esempio, viene considerato come un elemento importante in questi processi; la condivisione degli obiettivi di cambiamento, il riconoscimento dell’importanza e del valore dei cambiamenti promossi dall’organizzazione e la predisposizione a impegnarsi per rispondere efficacemente alle richieste di cambiamento dell’organizzazione, infatti, rappresentano il presupposto ideale per avviare un processo di trasformazione aziendale, in linea con le pressioni del mercato globale di riferimento.

Ma il commitment verso il cambiamento non è sufficiente ad avviare e sostenere processi di cambiamento; un altro elemento fondamentale nei processi di cambiamento è, infatti, rappresentato dai comportamenti di coping che i dipendenti mettono realmente in atto per supportare il cambiamento organizzativo. Si tratta di sforzi psicologici e fisici a cui ciascuno fa appello per ridurre al minimo gli effetti stressanti che spesso possono accompagnare il cambiamento e che garantiscono esiti di successo per le organizzazioni (Ashford, 1988; Schweiger & DeNisi, 1991). È stato dimostrato, infatti, che quanto più i dipendenti si mostrano fiduciosi nella loro capacità di far fronte al cambiamento tanto è più probabile che avranno le risorse necessarie per contribuire al processo di cambiamento (Cunningham et al. 2002). Questa relazione funzionale tra persona e organizzazione fondata sullo scambio, sul confronto, sulla condivisione, sulla adesione alle richieste ma anche su un reale impegno nel fornire un contributo importante per il cambiamento organizzativo che si alimenta e si rinsalda proprio in corrispondenza di particolari eventi organizzativi, garantisce numerosi esiti positivi per l’azienda. Questo studio ha dimostrato che uno di essi è l’engagement organizzativo. L’engagement è un costrutto importante negli studi sulle organizzazioni in quanto denota l’impegno, il coinvolgimento e il senso di affiliazione dei dipendenti nei confronti della propria l’organizzazione (Mahon, Taylor, & Boyatzis, 2014) e rappresenta una garanzia del successo organizzativo e del ritorno di investimento che l’azienda fa nei confronti dei propri dipendenti.

I risultati di questo studio hanno rivelato l’importanza di lavorare sullo sviluppo di una dimensione affettiva del commitment al cambiamento dei dipendenti, rispetto a un’adesione forzata al cambiamento come unica via possibile; tale approccio si conferma una strategia efficace per supportare l’implementazione di comportamenti e strategie di coping necessarie a superare le resistenze e, al contrario, a supportare i processi di cambiamento. Il vantaggio per l’impresa, così come mostra lo studio, è rappresentato dall’engagement che si configura come una sorta di restituzione in termini di fiducia, impegno e intenzione di restare in azienda per il supporto ricevuto e i benefici guadagnati.

Le conclusioni a cui lo studio porta sono sicuramente relative al ruolo che le pratiche HR possono svolgere durante i processi di cambiamento organizzativo. Questo punto di vista acquisisce sempre maggior importanza alla luce di ricerche che dimostrano che le prassi di gestione delle risorse umane finalizzate alla costruzione di una relazione di fiducia tra il dipendente e l’organizzazione possono migliorare la capacità dei dipendenti di gestire i cambiamenti e facilitare un’efficace gestione dei cambiamenti (Fitz-enz & Davison, 2002; Kalyani & Sahoo, 2011; Ulrich, 1997). È risaputo, infatti, che esiste una forte associazione tra pratiche di gestione delle risorse umane e comportamento dei dipendenti (Mossholder, Richardson, & Settoon, 2011).

In definitiva, i risultati dello studio qui presentato seppur nei limiti di una ricerca cross-sectional, condotta su un numero limitato di partecipanti ed in un unico contesto produttivo, vincolato a specifiche caratteristiche geografiche, offrono alcuni spunti di riflessione utili per la futura ricerca e per la pratica professionale in relazione alla funzione HRM in tempi di grande cambiamento ed incertezza come quelli attuali.

Nello specifico, per la ricerca nell’ambito della Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni, lo studio conferma la necessità di approfondire la prospettiva di analisi people-oriented del cambiamento, focalizzando l’attenzione sul ruolo delle persone nei processi di cambiamento organizzativo, ed in particolare sulle dinamiche cognitive, affettive e comportamentali che generano atteggiamenti e condotte funzionali e/o resistenti al cambiamento stesso.

Sulla stessa scia, per la pratica HR, i risultati evidenziano la necessità peraltro già emersa in letteratura (Tiong, 2005) di investire nelle pratiche di people management strategico, puntando sull’implementazione di sistemi di comunicazione che sostengano la relazione dipendente/supervisore e la collaborazione tra pari, e/o sulla valorizzazione dell’empowerment dei dipendenti, attraverso la progettazione di specifici percorsi di formazione dedicati alla gestione dello stress.

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1 Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione, Università degli Studi di Bari.

2 Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione, Università degli Studi di Bari.

3 Department of Educational Studies, Psychology, Communication, Università degli Studi di Bari.

4 Department of Educational Studies, Psychology, Communication, Università degli Studi di Bari.

 

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