Vol. 2, n. 1, aprile 2025

Sfide dell’onlife education tra Terzo settore e scuola

Criticità, strategie e relazioni di un caso studio fiorentino1

Martina Crescenti2, Martina Lippolis3 e Benedetta Turco4

Sommario

L’articolo analizza le criticità e le potenzialità di un servizio di doposcuola multiculturale (DAD) per bambini fra gli 8 e i 13 anni con background migratorio, realizzato da un’associazione non-profit in modalità online durante la pandemia nel 2020-2021 e nella modalità onlife nel 2024, a partire dalle prospettive di volontari educatori e coordinatori dell’attività. È stata inoltre analizzata la relazione fra l’ente e le istituzioni scolastiche di provenienza dei diversi bambini rispetto al doposcuola. Durante la pandemia, il settore del non-profit è stato promotore in termini di azione e sostegno nella strutturazione di attività finalizzate all’assistenza sociopsicologica e educativa. La ricerca, di tipo esplorativo e in un’ottica comparativa, si basa su dati raccolti tramite un questionario rivolto ai volontari di DAD (2021) e mediante 4 interviste semi-strutturate ai coordinatori durante e dopo la pandemia (2024). I risultati della ricerca mostrano le potenzialità del Terzo settore nella costruzione di spazi di onlife education, caratterizzati da informalità, immediatezza e semplificazione burocratica nel rapporto fra le famiglie e le scuole, nonostante le limitate risorse economiche di cui esso spesso dispone. Elemento centrale emerso è la necessità di un riconoscimento per le attività svolte da parte della comunità educante, in primis la scuola.

Parole chiave

Onlife education, Terzo settore, doposcuola, inclusione, pandemia.

Challenges of Onlife Education Between the Third Sector and Schools

Issues, Strategies, and Relationships in a Florentine Case Study5

Martina Crescenti6, Martina Lippolis7 and Benedetta Turco8

Abstract

The article analyses the criticalities and potentials of a multicultural after-school service (DAD) for children, aged between 8 and 13 and with a migration background, organized by a non-profit organisation in the online mode during the pandemic in 2020-2021 and in the onlife mode in 2024, from the perspectives of volunteer educators and activity coordinators. The relationship between the organisation and the educational institutions from which the different children came with respect to the after-school activity was also analysed. During the pandemic, the non-profit sector was a promoter in terms of action and support in structuring activities aimed at socio-psychological and educational assistance. The exploratory and comparative research is based on data collected through a questionnaire addressed to DAD volunteers (2021) and through 4 semi-structured interviews with coordinators during and after the pandemic (2024). The research results show the potential of the Third sector in the construction of onlife education spaces, characterised by informality, immediacy and bureaucratic simplification in the relationship with families and schools, despite the limited economic resources they often have. A central element that emerged is the need for recognition for the activities carried out by the educating community, first and foremost the school.

Keywords

Onlife education, Third sector, afterschool, inclusion, pandemic.

Introduzione

Durante la pandemia da Sars Covid-19 la società italiana ha dovuto fronteggiare fratture e disallineamenti nei diversi contesti sociali. Ciò che prima era latente si è fatto sempre più evidente portando la ricerca sociopedagogica a descriverne e interpretarne gli effetti ma anche a riprogettare nuove modalità per fronteggiare possibili situazioni emergenziali, che ancora oggi lanciano molte sfide.

Il settore educativo è stato uno degli ambiti maggiormente colpiti dalla pandemia da quando, con il decreto-legge n. 6/2020 convertito nella legge n. 13/2020 (Cuccaroni, 2020), è stata sospesa la didattica in presenza per una digitale (conosciuta come DAD). Da qui, diversi studi sociologici hanno mostrato le criticità della scuola italiana in tale conversione della didattica, rilevando la disomogenea collaborazione fra gli insegnanti e le loro criticità nella valutazione formativa; l’inesperienza diffusa delle piattaforme digitali; l’insufficienza di dispositivi tecnologici e di ambienti domestici adeguati per seguire le lezioni online (Ranieri e Gaggioli, 2020; Ranieri, 2020; Giancola e Piromalli, 2020; Capperucci, 2020; Colombo et al., 2022).

In particolare, un aspetto significativo ha riguardato la centralità della comunità educante nel successo scolastico e formativo dello studente (Ranieri, 2020) a partire dal ruolo del Terzo settore, che ha le potenzialità di integrare il lavoro scolastico con quello extrascolastico attraverso la informal education, in cui è possibile sperimentare nuove modalità educative e dedicare una maggiore attenzione alla relazione con le famiglie (Colombo, Poliandri e Rinaldi, 2020). Durante la riformulazione delle lezioni nella nuova modalità digitale, il settore non-profit si è trovato investito di nuove progettualità e azioni di intervento rispetto alle innumerevoli forme di «nuova povertà e di isolamento e di marginalità» vissute dagli studenti (Ghigi e Piras, 2021). Sembra esser stato quello che più si è mosso in termini di azione e sostegno soprattutto nel supporto ai bisogni di prima necessità delle famiglie e degli studenti e nella strutturazione di attività rivolte all’assistenza sociopsicologica e formativa (Cesvot, 2020).

Le realtà associative extrascolastiche (come il doposcuola) sono state essenziali nella costruzione di supporti al mondo scolastico sperimentando simili, ma anche differenti, criticità, problematiche e punti di forza. Ma quali sono state le criticità e gli aspetti positivi della didattica digitale promossa dall’associazionismo durante il periodo pandemico? In che modo il servizio educativo si è trasformato una volta ritornati in presenza? Verso quale nuovo futuro ci si sta muovendo se i bambini del XXI secolo sono nativi digitali che vivono (già dal pre-pandemia) in una realtà fluida nella quale non vi è separazione tra online e offline, ma esistono costantemente onlife (Floridi, 2013)? Un’analisi che risponda a questi interrogativi permette di capire come costruire strategie di intervento più solide nella comunità educante costituita dall’associazionismo, dalle scuole, dalle famiglie e dagli altri attori del territorio.

L’articolo presenta una ricerca esplorativa analizzando criticità, potenzialità e buone pratiche del doposcuola online (DAD) organizzato da un’associazione non-profit di Firenze durante il periodo pandemico e la sua trasformazione in un’attività ibrida (dunque onlife), indagando i suoi vantaggi e svantaggi. Per osservare la trasformazione del progetto di doposcuola, nel 2021 è stato somministrato un questionario ai 29 educatori volontari che ne hanno preso parte e, nel 2024, sono state condotte 4 interviste semi-strutturate ai coordinatori del doposcuola che erano attivi durante e dopo il periodo pandemico. Dall’analisi comparativa sono emerse le potenzialità e i benefici della collaborazione in ambito educativo fra Terzo settore e scuola sia durante la didattica online che durante la didattica onlife.

La didattica al tempo della pandemia e del gap digitale: una sfida fra scuola e Terzo settore

Uno degli aspetti cruciali sul piano scolastico emerso durante la pandemia di Sars-Covid 19 è stato quello relativo all’aumento delle disuguaglianze nella dimensione della povertà educativa (Nuzzaci et al., 2020), che è andata sempre più acuendosi nel corso del tempo. Durante il periodo emergenziale, tale condizione ha visto una forte implementazione delle modalità di accesso alle risorse, in primis, tecnologiche, utili a garantire la continuità dell’apprendimento (Ranieri, 2020), ma anche su tutto il versante delle dimensioni psicologiche e sociali della crescita, quali la relazione alunno-insegnante, la relazione fra pari e tutte le forme di socialità che nella scuola prendono avvio per i processi di socializzazione secondaria.

La chiusura delle scuole ha amplificato le disuguaglianze già esistenti riducendo la capacità dell’istituzione scolastica di livellare disparità relative all’accesso alle tecnologie digitali e ai diversi contesti economici e abitativi. Le attività di didattica digitale hanno avuto più difficoltà a includere proprio coloro per i quali la scuola può giocare un ruolo determinante in termini di crescita personale, riferendosi in particolare agli studenti con disabilità e agli studenti provenienti da contesti familiari socio-economicamente vulnerabili o da aree isolate (Ciani et al., 2021).

Secondo il report di Save The Children (2020), «circa 1 minore su 5 incontra maggiori difficoltà a fare i compiti rispetto al passato e, tra i bambini tra gli 8 e gli 11 anni, quasi 1 su 10 non segue mai le lezioni sulle piattaforme online o lo fa meno di una volta a settimana. Circa 1 genitore su 20 ha paura che i figli debbano ripetere l’anno, nonostante le disposizioni ministeriali lo vietino, o che possano lasciare la scuola: tassi che, tra le famiglie in maggiori difficoltà economica, passano rispettivamente a quasi 1 su 10 e 1 su 12. Quasi la metà delle famiglie con maggiori fragilità (45,2%) vorrebbe «le scuole aperte tutto il giorno con attività extrascolastiche e supporto alle famiglie in difficoltà», opzione che comunque è gradita dal 39,1% dei genitori intervistati. D’altronde sei genitori su dieci (60,3%) ritengono che i propri figli avranno bisogno di supporto quando torneranno a scuola data la perdita di apprendimento degli ultimi mesi». Tale quadro è confermato anche da altre ricerche e indagini svolte durante la pandemia sul fronte della povertà educativa rispetto alle possibilità di apprendimento digitale integrato.

Alcuni studi hanno in particolar modo preso a oggetto il tema della didattica digitale e ne hanno rilevato tanto gli aspetti valutativi a distanza dal primo anno della pandemia, tanto gli aspetti qualitativi della stessa funzione di primaria importanza ad essa attribuita, non senza critiche, laddove ad esempio si è sottolineata una forzatura su un aspetto dell’educazione (quello digitale) incentrato nel solo «binomio scuola-pandemia, peraltro spesso sovrapposto e confuso con il binomio scuola-didattica a distanza (DAD), dove proprio per effetto delle scarse competenze […] la DAD si è sostituita allo stesso virus nell’ordine dei fattori avversi da sconfiggere» (Martinelli e Oliviero 2021, 124). Con l’aumento della didattica digitale generata dalla pandemia di Covid-19, le distanze socioculturali e le possibilità di apprendimento che generano povertà educative (Arduini e Chiusaroli, 2020) hanno avuto un impatto importante sull’efficienza delle capacità di apprendimento fuori dalle mura scolastiche (Landri e Milione, 2020).

Buona parte degli ostacoli che hanno contribuito all’aumento della povertà educativa possono essere individuati nel gap digitale. La prima problematica a cui si è andati incontro riguarda il digital divide che è possibile individuare nella mancanza di strumenti adatti come il computer o il tablet, l’assenza della connessione alla rete veloce e le adeguate competenze a riguardo. La realtà emersa durante il biennio 2020-2021 ci racconta che, in Italia, una buona percentuale della popolazione studentesca non aveva la possibilità di usufruire di un computer ma ha avuto accesso ai contenuti scolastici tramite un proprio smartphone. Ciò ha comportato dei limiti sia nella visualizzazione dello schermo e dell’eventuale materiale condiviso che nella possibilità di seguire con la giusta attenzione le lezioni su piattaforma informatica. La popolazione studentesca maggiormente coinvolta nell’utilizzo dello smartphone per la DAD, ad esempio, è quella che vive in situazione di povertà (quasi il 25%) e quella straniera (più del 17%). A ciò si aggiungono coloro che appartengono ad entrambe le categorie, ovvero quella popolazione studentesca straniera che vive in condizioni di povertà (più del 26%). Gli strumenti adeguati per poter avere accesso ai servizi scolastici non costituisce il solo limite che può essere riscontrato: fondamentale è anche essere in possesso delle competenze informatiche necessarie per poter utilizzare il digitale. In Italia, solo il 30% della popolazione studentesca ne è provvisto (Istat, 2021).

In realtà, la didattica digitale ove ha comportato delle problematiche nel binomio scuola-didattica digitale, ne ha comportate altrettante anche nei servizi posti a sostegno dell’apprendimento. Proprio in quanto ha investito anche la famiglia e la comunità educante nel prendersi carico della formazione digitale, allo stesso tempo essa si è resa più complessa e sfaccettata. In questo quadro, indubbiamente il ruolo del Terzo settore nel sostegno extrascolastico ha rivestito una funzione migliorativa — anche se forse non idoneamente pronta a far fronte ai nuovi bisogni educativi generati dalla pandemia — poiché «il disimpegno pubblico si manifesta attraverso diversi meccanismi, tra cui la privatizzazione dei servizi pubblici, la deregolamentazione delle normative, l’accentuazione della responsabilità individuale e dell’accesso ai servizi, il dominio della logica del welfare residuale e per certi versi la stigmatizzazione delle vulnerabilità» (Salmieri, 2023, 18). In alcuni contesti si inserisce il protagonismo del Terzo settore mediante «l’attribuzione e l’autopromozione di responsabilità e funzioni in capo ad associazioni di volontariato, organizzazioni non governative, fondazioni e reti comunitarie sempre più attive nella promozione del benessere sociale, nella fornitura di servizi, nell’attivazione di iniziative e progetti capaci anche di riplasmare le politiche pubbliche» (Salmieri, 2023).

In questo modo il Terzo settore ha messo in evidenza la capacità di rispondere in modo flessibile e innovativo alle necessità ed emergenze. A Milano, ad esempio, a partire da aprile 2022 sono state avviate 215 attività di doposcuola, aggregate in 9 reti, che supportano circa 8.000 minori in condizioni di fragilità socioeconomica. Questo programma, intitolato QuBì – La ricetta contro la povertà infantili e promosso dalla Fondazione Cariplo, ha visto il coinvolgimento di oltre 500 operatori retribuiti, 2.000 volontari e un ampio numero di Enti del Terzo settore come parrocchie e istituti scolastici. Il bisogno di potenziare gli spazi di sostegno allo studio è emerso in particolar modo dopo la pandemia. A settembre 2021 il Programma QuBì ha indagato sulla qualità di questi servizi dopo i vari lockdown e le restrizioni sanitarie. La lettura che ne è emersa ha messo in luce che «tra il periodo precedente all’emergenza Covid-19 e la ripresa dell’anno scolastico 2021/22 negli 80 doposcuola presi come campione si registrava una riduzione di circa il 27% del numero di frequentanti e nel 70% dei casi una forte riduzione dell’offerta didattica, sia per motivi legati alla riduzione della capacità degli spazi data dalle misure di contenimento della pandemia, che per mancanza di volontari o operatori».9 Nel periodo successivo, con la ripresa di una «normalità» post pandemica, le attività di doposcuola hanno ripreso a funzionare trovandosi, tuttavia, a gestire le conseguenze dei lockdown e della DAD come le lunghe liste di attesa e la necessità di colmare quel divario di apprendimento — learning gap — e di socialità che si era creato (Salmieri, 2023).

Analisi di contesto: nascita di un progetto nell’emergenza e sua evoluzione onlife

Durante l’emergenza sanitaria, l’associazione di promozione sociale fiorentina «Anelli Mancanti» ha progettato e organizzato il progetto DAD, acronimo di «Didattica Alternativa dei Diritti dei Bambini» (novembre 2020-settembre 2021), un’attività di doposcuola in modalità digitale durata 7 mesi e volta al miglioramento delle competenze linguistiche, matematiche-scientifiche e digitali di 45 bambini tra gli 8 e i 13 anni, che erano già coinvolti nel doposcuola prima dell’inizio dell’emergenza pandemica. Scopo principale era sostenere nello studio i minori, prevalentemente nati in famiglie immigrate, in condizioni di fragilità socioeconomica e fortemente a rischio di povertà educativa, mediante azioni di condivisione e di socializzazione finalizzate al miglioramento del benessere emotivo e relazionale in un periodo particolarmente traumatico.

Grazie alle precedenti esperienze di doposcuola in presenza, l’associazione ha portato avanti tale progetto essendo consapevole delle difficoltà sociali e educative acuite dalla pandemia all’interno delle famiglie che avevano già i propri figli iscritti al doposcuola. Stando ai dati del Comune di Firenze (2020), l’area ha visto prima dell’inizio dell’emergenza sanitaria un incremento del numero di nuclei familiari con background migratorio a rischio di emarginazione sociale. In particolare, essa risulta essere quella con più residenti di origine straniera, accogliendo 7.958 famiglie con background migratorio. Anche le difficoltà socioeconomiche portate dalla pandemia sono state considerate nell’analisi del contesto sociale locale poiché venivano sperimentate dalla maggior parte delle famiglie, andando a incidere sulle risorse culturali e tecnologiche disponibili per accedere al doposcuola e alla scuola in formato digitale.

Altri elementi meno circoscritti al quartiere specifico, ma che sono stati punti fermi per l’associazione nella progettazione di DAD, hanno riguardato la vulnerabilità sociale e i fenomeni di dispersione scolastica e di povertà educativa legati all’emergenza sanitaria Covid-19. In relazione al contesto locale, la vulnerabilità dei giovani è dipesa, come è stato evidenziato, perlopiù dal contesto familiare e comunitario socioeconomico in cui sono cresciuti, in cui le risorse e i mezzi di emancipazione e autonomia individuale scarseggiano o mancano del tutto. In particolar modo, i giovani che vivono in condizioni di precarietà economica rischiano maggiormente la dispersione scolastica, l’interruzione anticipata degli studi per età (tendenzialmente dai 16 anni in poi) e per cittadinanza (in ordine per abbandono: ivoriana, bosniaca, egiziana, bulgara, e così via) (Miur, 2021). Su quest’ultimo aspetto, il rischio di povertà educativa si manifesta anche in tale contesto come il risultato di più cause, a partire dalla condizione di svantaggio economico in cui vive la famiglia, che può portare il minore a vedersi limitate le opportunità di riuscita personale e di integrazione nel tessuto sociale (Caruso e Cerbara, 2020).

Le attività di sostegno allo studio del progetto si sono svolte assegnando ad ogni bambino un volontario in modo da personalizzare il metodo di studio e rafforzare le competenze e abilità personali, tranne alcuni casi in cui l’associazione ha cercato di creare dei gruppi di bambini provenienti dalla stessa classe scolastica per svolgere delle lezioni di gruppo. In questo modo è stato favorito l’apprendimento peer to peer, in cui la capacità di ciascuno è stata valorizzata in un’ottica di mutuo aiuto. Sono state sperimentate delle attività ludiche, come balli di gruppo sulle note di canzoni nella lingua madre dei bambini e giochi di narrazione online, in modo da creare fra loro e il volontario un momento di socialità e vicinanza. Sono state previste lezioni individuali con bambini con programmi scolastici differenziati o con particolari difficoltà linguistiche in modo da personalizzare e rendere più adeguato il sostegno. Per assicurare la fattibilità del progetto, l’associazione ha acquistato e distribuito dei dispositivi tecnologici, tablet e schede SIM, alle famiglie maggiormente in difficoltà sul piano economico.

Con la conclusione del progetto DAD e il ritorno della didattica in presenza nelle scuole di tutta Italia, l’associazione ha deciso di mantenere il doposcuola in presenza e online optando dunque per una didattica informale onlife. Le sedi fisiche del doposcuola erano e sono tuttora una ludoteca comunale in cui è presente il servizio per 15 bambini provenienti dalle scuole primarie e uno spazio presso un’associazione sociale attiva in ambito sanitario, che ospita 15 ragazzi delle scuole secondarie di primo grado. Rispetto al periodo DAD, risulta che i bambini abbiano le stesse origini culturali, ma che si sia aggiunto un altro gruppo etnico, quello ucraino. Il numero dei volontari è calato sensibilmente: da 29 durante l’emergenza sanitaria a 17, numero che però oscilla leggermente nel tempo per disponibilità dei volontari, nuovi ingressi, etc. La dimensione online è stata mantenuta come opzione possibile per i bambini e le famiglie che lo richiedano: solitamente ragazzini delle scuole secondarie di primo grado, maggiormente autonomi nella gestione degli incontri sul dispositivo tecnologico e in grado di ottenere dei benefici reali dall’incontro online.

Metodologia e risultati

La ricerca si è avvalsa di una doppia metodologia qualitativa: un questionario rivolto a 29 volontari, somministrato nel 2021 alla fine del progetto DAD, e quattro interviste semi-strutturate, condotta nel 2024, ai coordinatori del doposcuola durante e dopo DAD. Nella prima fase della ricerca, in seguito a un test pilota condotto grazie alla collaborazione con alcuni responsabili dell’attività per testare la validità delle domande, il questionario è stato strutturato sulla piattaforma Google Form e è stato inviato tramite un link ai volontari dell’associazione. Il questionario, composto da 20 domande in scala, a risposta aperta e a risposta chiusa: le prime di carattere strutturale volte a individuare nome, cognome, classe e scuola frequentata dal bambino/bambina seguiti dai dati di ciascun volontario (numero dei bambini seguiti, partecipazione a lezioni individuali o di gruppo); le altre indirizzate a evidenziare le caratteristiche delle attività di sostegno condotte, le modalità con cui questo è stato portato avanti, nonché gli aspetti più significativi rilevati da ciascun intervistato.

La seconda fase della ricerca ha visto la conduzione, a distanza di tre anni e da parte delle autrici del presente saggio, di 4 interviste semi-strutturate rivolte ai coordinatori del doposcuola durante e dopo il progetto DAD; nello specifico sono stati intervistati due ex coordinatori del doposcuola nella modalità online/offline, un coordinatore subentrato al doposcuola e l’ex presidente dell’associazione. L’intervista semi-strutturata è stata programmata a seguito della prima analisi dei risultati emersi dal questionario, prevedendo una serie di domande-stimolo, personalizzate in base all’attività di coordinamento in itinere ed ex post rispetto al periodo pandemico degli intervistati.

  1. In generale, cosa ne pensi della possibilità del doposcuola in modalità online/offline (mista) in quanto servizio del Terzo settore? Può essere utile, vantaggioso o viceversa per la costruzione della comunità educante e dei rapporti con il territorio?
  2. Nello specifico, cosa ne pensi del servizio di DAD/doposcuola online creato durante la pandemia da parte dell’associazione?
  3. A distanza di tempo, secondo te, quali sono stati gli aspetti positivi e negativi del doposcuola online realizzato dall’associazione?
  4. Il doposcuola online è paragonabile al doposcuola in presenza? Sì, no? Perché?
  5. Dal tuo punto di vista, quali sono state le cause che hanno portato al ritorno quasi «a tempo pieno» delle attività in presenza?
  6. In futuro, pensi che possa essere una buona pratica attivare il doposcuola sia online che in presenza? In che modo (contatti con la scuola, dispositivi tecnologici, formazione dei volontari, ecc.)?

Nella costruzione delle domande dei due strumenti di ricerca, è stato tenuto conto sia dell’obiettivo del presente studio, sia della particolare cornice socioeducativa nel quale il doposcuola è stato effettuato, in quanto la pandemia di Covid-19 ha comportato un ripensamento e una ristrutturazione tanto dei metodi di sostegno allo studio quanto delle esigenze, degli strumenti e delle modalità di apprendimento cui far riferimento.

La parola ai volontari: vantaggi, svantaggi e sfide del doposcuola online

Una prima analisi descrittiva fornita dalle domande strutturali del questionario ha permesso di tracciare un quadro della tipologia di doposcuola realizzato. Tralasciando i dati sensibili relativi al nome e cognome del bambino/a e nome della scuola alla quale è iscritto, il Report ha rilevato che i 45 bambini e bambine erano per la maggior parte frequentanti la classe seconda e terza della scuola primaria, mentre in minor numero provenienti dalla classe prima della scuola secondaria di primo grado. Non risulta, dal questionario, la presenza di studenti ripetenti o iscritti a scuola durante l’anno in corso. Relativamente al dispositivo tecnologico che, come evidenziato dalla letteratura ha riscontrato numerose criticità (Save the Children, 2020), lo strumento più utilizzato è stato il tablet di proprietà della famiglia, seguito dal tablet messo a disposizione dall’associazione e, infine, dallo smartphone del genitore.

Vantaggi, svantaggi e strategie

Riguardo alle attività svolte online, la maggior parte degli intervistati ha affermato che queste hanno goduto di una connessione «abbastanza buona» comportando una discreta conduzione degli incontri con i bambini. Nei casi in cui la connessione era scarsa, lo svolgimento delle attività è risultato essere più complesso e i volontari hanno dovuto trovare delle soluzioni per facilitare la comunicazione, per esempio utilizzando chat «più leggere come WhatsApp».

Alcuni incontri online sono stati interrotti e persino cancellati a causa della mancanza del telefono del genitore. (A., mediatrice culturale e volontaria)

Dalla testimonianza di A. emerge anche la difficoltà nel mantenimento di una continuità nel tempo degli incontri online causata proprio dalla mancanza del dispositivo tecnologico, dipesa spesso dal genitore che per motivi di assenza da casa (in primis il lavoro), non ha potuto lasciare il proprio smartphone, il tablet o, in rarissimi casi, il computer al figlio. Secondo le risposte dei volontari, tale condizione ha influenzato la volontà e l’interesse del bambino nel proseguire online provocando la diminuzione «del desiderio, negli incontri di gruppo, di rivedere i suoi compagni di classe». Oltre alla difficoltà del volontario di supervisionare lo svolgimento del compito assegnato a causa del mezzo (schermo piccolo, connessione scarsa e intermittente, rumori di sottofondo, interruzioni continue, etc.), la mancanza del computer (schermo grande, robustezza del dispositivo, visibilità più ampia della telecamera, facilità nella digitazione sulla tastiera, ecc.) ha peggiorato, in linea generale, i livelli di attenzione già normalmente difficili da mantenere nell’età riferita degli utenti del servizio (Collerone, 2013; Marzano, Vegliante e Iannotta, 2015), come riporta di seguito Valentina.

La mancanza di uno spazio di socialità fisica e il [tipo di] mezzo tecnologico hanno peggiorato i livelli di attenzione già normalmente difficili per i bambini di quell’età. (V., volontaria)

Secondo quanto riportato da un volontario, il bambino da lui seguito «all’inizio era molto distratto dal cellulare perché», a suo avviso, «questo strumento non veniva solitamente associato ad attività di studio», ma ad attività ludiche e situate in luoghi informali (giochi e video online in ambito familiare). In seguito, però, il bambino è riuscito a concentrarsi in maniera più costante, «forse — aggiunge il volontario — associando l’apprendimento a qualcosa che poteva avere anche degli aspetti ludici di interazione», o — possiamo ipotizzare — dopo che la didattica digitale ha iniziato ad essere una routine consolidata anche in ambito scolastico. Nelle tre testimonianze che seguono, le volontarie evidenziano la possibilità di associare il momento dell’apprendimento a un momento ludico come strategia positiva e di successo in cui socializzare e stare insieme, divertirsi e imparare sia negli incontri individuali che di gruppo.

Abbiamo associato l’apprendimento a qualcosa che poteva avere anche aspetti ludici di interazione. (G., volontaria)

Gli incontri di gruppo organizzati per cantare e leggere fiabe sono stati fondamentali per incontrarsi e divertirsi, nonostante il momento traumatico. (M., volontaria)

I. è molto brava e non ha difficoltà con la lingua italiana, mi sembra che il doposcuola per lei sia soprattutto un buon momento di ripetizione e di socializzazione. (F., volontaria)

Rapporti fra associazione, famiglia, scuola. Il questionario ha rilevato anche i tipi di rapporto esistenti fra l’associazione (i volontari) e le famiglie e fra l’associazione e gli istituti scolastici (ossia gli insegnanti dei bambini) degli alunni destinatari del doposcuola. Rispetto al primo tipo di rapporto, la maggior parte dei volontari afferma di aver avuto un contatto frequente ma qualitativamente «scarso» con le famiglie — ove per scarso è da intendere il contenuto della comunicazione e della frequenza del confronto con i genitori —; una piccola parte lo definisce «buono»; infine, una parte ancora più esigua definisce «il rapporto e le comunicazioni non presenti» oppure «affidate al coordinatore del progetto». Un elemento da considerare nel rapporto fra la famiglia con background migratorio e qualsiasi altro ente è la barriera linguistica che può rendere difficoltosa, se non a volte del tutto irrealizzabile, la costruzione di una relazione consapevole e approfondita fondata su una reciprocità fra le parti. Seppur vero che gli enti spesso si affidano ai mediatori socio-culturali, la complessità delle relazioni che sono alla base del cosiddetto «patto di collaborazione» tra famiglia e ente educativo perdono la loro ricchezza finendo per avviare una conoscenza superficiale e inadeguata ai fini puramente formativi del bambino.

Dall’analisi delle domande aperte del questionario, emerge che, nonostante il rapporto difficoltoso e intermittente con la scuola in generale, secondo i volontari, «le famiglie non hanno perso fiducia in tale istituzione, al contrario hanno compreso la centralità e i benefici della scuola per il benessere del figlio» e, come conseguenza positiva del periodo di chiusura delle scuole, si sono sentite responsabilizzate sul loro ruolo nell’aiuto compiti in ambito domestico e sull’importanza di comunicare in maniera più efficace con gli insegnanti.

La collaborazione tra l’associazione e le varie istituzioni scolastiche ha avvicinato le famiglie alle attività di sostegno allo studio e le ha rese consapevoli del loro ruolo nell’aiuto ai compiti e dell’importanza di una comunicazione più efficace con gli insegnanti. (G., volontaria)

La comunicazione scuola-famiglia risulta a tutti gli effetti essenziale per il benessere e il sostegno all’apprendimento del bambino durante il periodo emergenziale e al di fuori di questo.

Senza un’adeguata comunicazione, il supporto ai compiti si rivela un’attività isolata e a volte anche frustrante per i ragazzi. (F., volontaria)

È necessario discutere con la scuola l’orientamento e/o la programmazione individuale per ogni bambino. (N., volontario)

Relativamente al secondo rapporto analizzato, quello fra l’associazione e gli istituti scolastici, emerge una situazione complessa che si è trasformata nel corso dei sette mesi del progetto di pari passo a una maggiore stabilizzazione ed efficienza nella gestione della didattica digitale da parte della scuola. Secondo i volontari, all’inizio di DAD, quando ancora la scuola stava vivendo una profonda ristrutturazione delle modalità organizzative regolate dalle misure ministeriali, «la comunicazione era pressoché assente» e mancante di una direzione collettiva. Successivamente questa situazione è cambiata «senza mai arrivare a una comunicazione e organizzazione stabile», ma quanto bastava per riuscire a strutturare le attività del doposcuola digitale. Infatti, secondo i volontari è stato sufficiente, seppur non soddisfacente, il miglioramento della comunicazione con la scuola per avere dei minimi effetti positivi sulla didattica digitale: i volontari hanno cercato di sostenere con i loro incontri online il percorso formativo riorganizzato dagli insegnanti, basandosi sul materiale condiviso e sull’andamento scolastico dei bambini seguiti.

Emerge anche la difficoltà di sostenere i bambini in modalità online nel caso di disturbi specifici dell’apprendimento, problematiche psicomotorie (DSA, BES, Certificazione 104) e disagi relativi al contesto familiare-domestico (indigenza, vulnerabilità socioeconomica), come rilevato anche da diversi studi, tra cui il Report di Save the Children (2020).

Una relazione con gli insegnanti sarebbe ancora più importante nel caso di bambini con particolari problemi di apprendimento; sono sicura che la bambina da me seguita abbia molte capacità, ma anche dei problemi di studio importanti. (V., volontaria)

La necessità del contatto emerge proprio dal fatto che i volontari, avendo un rapporto uno a uno con i bambini, riescono a seguirli in maniera costante e con particolare attenzione, dunque, come spiega M. di seguito, permette di evitare passi falsi nell’intervento educativo.

Costringere il bambino a svolgere compiti ed esercizi che, a causa della sua difficoltà, non è in grado di eseguire in quel preciso momento, genera una potenziale frustrazione e lo demotiva. (M., volontaria)

Risulta fondamentale, secondo gli intervistati, confrontarsi con la scuola su «indicazioni e/o programmazioni individuali per ogni ragazzino» in modo da rendere «ritagliato su misura» il metodo di apprendimento.

Infine, la comunicazione desiderata dai volontari del progetto non riguarda solamente la conoscenza di tali difficoltà, del livello di apprendimento del bambino ma ruota anche attorno «a come si comporta il bambino a scuola e se riesce ad avere rapporti sereni con i compagni». L’interesse dei volontari si sofferma dunque sulla sfera relazionale dello studente «con gli altri bambini/adulti» e su quella della sua famiglia «che spesso ha problemi con la lingua italiana», a conferma del fatto che la formazione è un processo complesso, di rete e intergenerazionale. La comunicazione con gli insegnanti dovrebbe, a loro avviso, vertere sul comprendere il mondo relazionale e sociale del bambino in quanto fattore determinante la frequentazione scolastica, la motivazione nello studio, il senso di appartenenza al gruppo classe e il benessere psicologico. Conoscere la rete attorno alle famiglie sembrerebbe essere alla base per una progettazione extrascolastica che tenga veramente in considerazione le esigenze dei bambini. Ciò di cui i volontari sentono la necessità consiste nel «lavorare tutti nella stessa direzione» e «trovare soluzioni comuni» che possano essere sostenute dalla scuola, dall’associazione e dalle famiglie in un patto educativo finalizzato a una formazione e maturazione completa del bambino.

Le riflessioni dei coordinatori: prospettive su un futuro e possibile doposcuola onlife

L’analisi delle 4 interviste rivolte ai coordinatori è stata svolta con l’ausilio di un programma per l’analisi qualitativa dei dati: il software NVivo (release del 2020). Le domande di ricerca che hanno guidato il lavoro hanno riguardato, a distanza di quattro anni dal progetto DAD, le diverse prospettive dei coordinatori sull’educazione onlife e le riflessioni in merito ai suoi benefici e potenzialità oltre alle criticità. Inoltre, per riprendere le tematiche affrontate nella prima fase della ricerca (questionario somministrato ai volontari) è stato analizzato il rapporto tra l’ente associativo, l’istituzione scolastica e le famiglie per comprendere le strategie dell’associazione (caso di studio) presa in esame nel rafforzare la rete della comunità educante.

Le riflessioni dei 4 coordinatori (key informants) sono state esaminate con un approccio top-down, partendo dalle risultanze emerse dal questionario rivolto ai 29 volontari. La struttura dell’intervista, come esplicitato nel paragrafo dedicato alla metodologia, prevedeva domande sulle aree tematiche già affrontate durante il periodo pandemico.

Nella tabella 1 sono riportate tutte le codifiche effettuate (Name sta a significare il nome del code, categoria di analisi; Files indica le interviste analizzate e References il numero delle citazioni di ciascun code all’interno delle interviste). I risultati del lavoro di analisi presentano 4 macrocategorie che di seguito approfondiamo: i rapporti fra l’associazione, la famiglia e la scuola; i vantaggi e gli svantaggi dell’onlife e le riflessioni sul Terzo settore.

Tabella 1

Codebook riassuntiva dei temi emersi nelle interviste

Name

Files

References

RAPPORTI FRA ASSOCIAZIONE, FAMIGLIE, SCUOLA

3

4

rapporto associazione-famiglie

3

5

rapporto associazione-scuola

1

3

rapporto scuola-famiglie

1

2

VANTAGGI ONLIFE

1

2

flessibilità e disponibilità

4

11

inclusione sociale

2

3

mantenimento della relazione

1

2

SVANTAGGI ONLIFE

0

0

accessibilità

1

2

digital divide

3

6

perdita di attenzione

1

1

relazione

3

5

socialità

2

5

solitudine dei volontari

1

1

tema della privacy

1

1

TERZO SETTORE

0

0

contro

1

1

formazione volontari

2

2

pro

3

5

progetto DAD

3

5

Per quanto riguarda i rapporti fra l’associazione, la famiglia e la scuola (di seguito la project map, ossia la rappresentazione grafica del code e i relativi child-codes), le riflessioni hanno ruotato intorno al rapporto tra l’associazione e le famiglie che hanno potuto beneficiare del servizio di doposcuola; tra l’associazione e l’istituzione scolastica e tra la scuola e le famiglie. In generale, e in accordo con i risultati del questionario, i coordinatori hanno affermato l’importanza di essere in contatto costante con le scuole, proponendo anche di presentare il servizio offerto a inizio anno scolastico proprio per far sì che la scuola possa mettere in relazione i bambini che pensano di aver bisogno di un doposcuola. Si è riscontrata, inoltre, una richiesta non indifferente di attività extra-scolastiche di questo tipo, e in questo caso il coordinatore fa emergere una problematica diffusa nel Terzo settore, ossia la mancanza di personale volontario:

Quello che si è riscontrato l’anno scorso è un’assurda abbondanza di ragazzi che gioco forza poi sono poco aiutati, poco gestiti perché il numero dei volontari è sempre in deficit rispetto alle necessità… (F., coordinatore)

Relativamente al rapporto tra l’associazione e le famiglie, l’ex presidente dell’associazione ha ricordato l’importanza della risposta immediata nel periodo emergenziale vissuto facendo emergere anche il discorso relativo alla barriera linguistica, confermato ulteriormente dal questionario, che si è cercato di superare:

Siamo stati una presenza subito, immediata e costante. Ricordo che per i genitori siamo stati un punto di riferimento. Anche con i genitori stranieri che non parlavano bene l’italiano… che loro erano a casa, comunque… i bambini ci facevano domande, immagino, anche per il discorso sempre delle scuole che sono state bloccate un piccolo periodo… noi ci siamo stati. (S., ex presidente dell’associazione)

Rispetto a ciò che concerne invece i vantaggi dell’onlife, i coordinatori hanno fatto riferimento in modo particolare a tre aspetti, come si può notare dalla project map (figure 1 e 2): alla flessibilità e disponibilità dei volontari e dei bambini, all’inclusione sociale che si è riscontrata grazie a questo progetto in modalità didattica mista e al mantenimento della relazione con i bambini che avevano iniziato le attività in presenza e che grazie all’offerta di proseguire online hanno portato avanti.

Per le esperienze che ho fatto io credo che la modalità mista possa essere vantaggiosa. Per quanto riguarda l’esclusività dell’online potrebbe essere problematico, ma magari poi ci arriviamo. Però sicuramente io penso che sì, un online-offline misto possa essere un servizio utile, perfetto del Terzo settore. (S., coordinatrice)

Fig. 1 Project map della categoria «rapporti fra associazione, famiglia, scuola».

Rispetto all’inclusione sociale queste parole sono abbastanza eloquenti:

Ci sono persone che in realtà vivono in paesi molto lontani, molto decentrati, non connessi e che già fanno fatica a portare a scuola i bambini, soprattutto se c’è disuguaglianza economica, perché magari c’è una famiglia con una macchina sola… bisogna organizzare questi passaggi… sennò questi bambini come li raggiungi? Con l’online. Nel senso, se uno vuole fare un servizio di trasporto sociale, perché sei nel paese sperduto e ci stanno i finanziamenti per fare anche questa roba, ben venga. Però come li raggiungiamo? Secondo me con l’online. L’online diventa lo strumento, però in che modo? In che modo lo facciamo? Noi abbiamo pensato a contatti con la scuola, dispositivi tecnologici, formazione dei volontari, ecc. (S., coordinatrice)

Fig. 2 Project map della categoria «vantaggi dell’onlife».

Per quanto riguarda invece gli svantaggi dell’onlife la project map (figura 3) mette in evidenza tematiche relative all’accessibilità (perché in alcuni casi c’è stata una scarsa disponibilità nel reperimento da parte dei coordinatori); la perdita di attenzione (è emersa la fatica nel mantenere un livello di attenzione con le attività online); la solitudine dei volontari durante il periodo pandemico e il tema della privacy relativo alle attività online. Il tema dell’aumento della povertà educativa (Arduini e Chiusaroli, 2020) viene ripreso con la categoria del digital divide, che rappresenta indubbiamente una criticità non indifferente, soprattutto per le famiglie meno abbienti. In questo caso l’associazione ha distribuito prontamente i tablet e dunque l’hardware ma resta da considerare la connessione a internet, non sempre presente, come abbiamo avuto modo di osservare dai dati dell’intera popolazione studentesca, italiana e straniera (Istat, 2021).

Su temi relativi alla relazione e alla socialità, in questo caso una coordinatrice afferma quanto segue:

Le attività in presenza sono sicuramente da privilegiare, sia perché sono portatrici non solo a un accrescimento, diciamo, di dato, ma anche per la socializzazione, imparare a condividere parole, imparare a stare nel gruppo. (S., coordinatrice)

Fig. 3 Project map della categoria «svantaggi dell’onlife».

Con la categoria Terzo settore si è cercato di raggruppare tutte quelle riflessioni in merito al pro e al contro dell’associazionismo:

Il Terzo settore è più flessibile a cambiamenti, perché ha meno aspetti burocratici e amministrativi rispetto alle scuole, quindi, è più veloce nell’innovazione ma allo stesso tempo non ha fondi. (F., coordinatore)

Concludendo l’analisi delle interviste, è in questo caso esplicativo mostrare le parole dell’ex presidente dell’associazione che ha descritto la linea d’azione durante il periodo emergenziale:

Allora, ci siamo trovati da oggi a domani con un forte cambiamento delle nostre abitudini e del nostro modo di vivere. Noi abbiamo voluto mantenere un legame con i bambini con cui si stava facendo un percorso educativo. L’esperienza è stata esaminare il modo con cui noi volontari ci siamo rimessi in gioco per raggiungere l’obiettivo dinamico, ecco, superato con la fase diciamo emergenziale. Si mettono tutti quei blocchi che rompono i rapporti umani. Poi la cosa più interessante è stato come si fa a insegnare a questi bambini, in questo modo che era un modo per tutti, un modo anche per chi aveva esperienza di insegnamento. Quella è stata una vera scoperta, non avevano linee guida, non avevano esempi. Prima di quel momento, collegamenti online non c’erano, tutto ciò che poteva essere su internet si sapeva, veniva usato il giusto. Quindi è stata una scommessa che ha visto un attivismo costruttivo dei volontari e che ha permesso di pensare in maniera diversa l’esperienza. Da cose banali, come fare una ricetta, del tipo «vi faccio vedere come faccio il dolce». Non avrei mai fatto una lezione in italiano facendo vedere come faccio il dolce. Però in quel momento invece quel «vi faccio vedere come faccio il dolce» era utile… e nel frattempo vi spiego le frazioni. Ecco, banalmente questa cosa, sicuramente in un contesto di presenza, almeno nella mia esperienza, non sarebbe mai venuta fuori. Quindi questa è stata, secondo me, un’esperienza dove la creatività si intona con la tecnologia e tu puoi essere creativo usando uno strumento tecnologico che non si conosceva bene. Quello è stato molto importante, sicuramente. (S., ex presidente dell’associazione)

Il sostegno extrascolastico che ha cercato di portare avanti l’associazione, nostro caso studio nonché ente del Terzo settore, può essere valutato, nel complesso, positivamente. Durante la situazione emergenziale è stata data una risposta pronta ed efficace e, successivamente, grazie all’esperienza di quel periodo è stata avviata una nuova, e mista, modalità di supporto agli studenti che si rivolgono all’associazione.

Conclusioni

Comparando i risultati delle due fasi di ricerca, a distanza di tre anni, emerge chiaramente che le attività onlife nel Terzo settore, caratterizzato da una maggiore flessibilità e informalità, assumono una legittimità nel poter essere socialmente riconosciute. Le considerazioni e le informazioni fornite dai coordinatori nel 2024 sono, infatti, pressoché simili a quelle dei volontari nel 2021. Tale affermazione può essere letta come una condizione ambivalente, in cui l’apertura e l’accoglienza verso le richieste di insegnamento onlife rimangono positivamente presenti, ma non sono emersi miglioramenti rilevanti nel rapporto e nel dialogo con la scuola, comportando delle ripercussioni sulla qualità dell’insegnamento informale e del sostegno personalizzato al bambino. Emerge, dunque, il riconoscimento da parte della scuola dell’associazionismo come agente attivo e realmente efficace nella costruzione di un asse formale-informale di didattica permanente, radicata nel territorio. Infatti, nonostante il limite principale della scarsità di finanziamenti nel Terzo settore, questo resta un punto di riferimento sociale fondamentale per le famiglie per l’informalità, la flessibilità, l’immediatezza del dialogo e delle attività offerte. Pensando a possibili ulteriori sviluppi in quest’ambito, la sfida, a nostro avviso, sta nel consolidare l’asse formale-informale della rete educativa, dove il patto di collaborazione si estende da quello fra la famiglia e la scuola a coloro che sono informalmente e spontaneamente in contatto con gli studenti e le famiglie. Nel campo della didattica onlife scuola/Terzo settore sembra pertanto essere rilevante, in generale, un’analisi più approfondita delle prospettive di tutti gli attori della comunità educante, dai volontari delle diverse associazioni al personale scolastico fino agli enti pubblici, per comprenderne le dinamiche, i limiti e le possibili strategie da adottare per rendere la didattica più inclusiva possibile delle diversità, come nel caso degli studenti con background migratorio che necessitano di attenzioni specifiche, tra cui la qualità del rapporto e della comunicazione con le famiglie, senza la quale il rischio di povertà educativa e dispersione scolastica aumenta considerevolmente.

Bibliografia

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Sitografia

https://ricettaqubi.it/portfolio-articoli/doposcuola/


  1. 1 L’articolo è stato progettato e discusso congiuntamente dalle tre autrici. In particolare, Martina Crescenti è responsabile dell’Introduzione, dell’Analisi di contesto e del sottoparagrafo La parola ai volontari. Benedetta Turco è responsabile del paragrafo La didattica al tempo della pandemia. Martina Lippolis è autrice del paragrafo Metodologia e risultati e del sottoparagrafo Le riflessioni dei coordinatori. Le Conclusioni sono state scritte congiuntamente dalle tre autrici.

  2. 2 Università di Bologna.

  3. 3 Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.

  4. 4 Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.

  5. 5 L’articolo è stato progettato e discusso congiuntamente dalle tre autrici. In particolare, Martina Crescenti è responsabile dell’Introduzione, dell’Analisi di contesto e del sottoparagrafo La parola ai volontari. Benedetta Turco è responsabile del paragrafo La didattica al tempo della pandemia. Martina Lippolis è autrice del paragrafo Metodologia e risultati e del sottoparagrafo Le riflessioni dei coordinatori. Le Conclusioni sono state scritte congiuntamente dalle tre autrici.

  6. 6 Università di Bologna.

  7. 7 Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.

  8. 8 Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale.

  9. 9 https://ricettaqubi.it/portfolio-articoli/doposcuola/ (data ultima consultazione: 31/10/2024).

Vol. 2, Issue 1, April 2025

 

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