Vol. 1, n. 1, luglio 2024

L’ontologia del codice binario

Oltre la tecnica, l’uomo

Riccardo Sebastiani1 e Sara Pellegrini2

Sommario

In un’epoca dominata dalla digitalizzazione e dall’automazione, il codice binario è diventato il linguaggio primario della nostra interazione con l’alterità. Tuttavia, al di là della sua funzione pratica, il codice binario non rivela una complessità ontologica che possa riflettere la natura umana. Questo lavoro, attraverso un’analisi epistemologica, vuole provare a delineare i confini della tecnica oltre i quali si trova l’uomo con il suo universo valoriale e il suo potenziale educativo.

Parole chiave

Tecnica, educazione, emotività, persona, umanesimo.

The ontology of binary code

Beyond technology, man

Riccardo Sebastiani3 and Sara Pellegrini4

Abstract

In an age dominated by digitalization and automation, binary code has become the primary language of our interaction with technology. However, beyond its practical function, binary code does not reveal an ontological complexity that could reflect human nature. This work aims, through an epistemological criticism, can try to outline the boundaries of technology beyond which man finds himself with his universe of values and his educational potential.

Keywords

Technique, educazion, emotionality, person, humanism.

Introduzione

Nell’era postmoderna il codice binario con la sua semplice dicotomia di zeri e uno, è diventato il linguaggio predominante attraverso il quale non solo ci integriamo con le macchine, ma anche indirettamente gli uni con gli altri. Questo linguaggio fondamentale della tecnologia moderna ha facilitato innovazioni senza precedenti in quasi tutti i settori della società, dall’industria ai servizi personali, rendendo così possibile una connettività e un’efficienza che in passato era solo immaginabile. Tuttavia, nonostante i suoi indiscutibili vantaggi in termini di efficienza e capacità di elaborazione, il codice binario presenta significative limitazioni: manca la capacità intrinseca di catturare o esprimere la complessità ontologica e le sfumature emotive fondamentali nella natura umana (Floridi, 2018). Questo divario tra la capacità tecnica e la complessità umana solleva questioni importanti specialmente in contesti educativi e formativi, dove l’interazione e la comunicazione hanno un ruolo cruciale. L’educazione moderna si avvale sempre più di strumenti digitali per migliorare l’accesso all’apprendimento e personalizzare l’esperienza educativa. Le piattaforme online, i sistemi di gestione dell’apprendimento e le risorse digitali interattive sono solo alcuni esempi di come il codice binario sia stato impiegato per trasformare l’educazione.

Nonostante queste innovazioni, la transizione verso l’educazione digitale solleva alcuni interrogativi sulla capacità di queste tecnologie di sostituire o replicare completamente l’interazione umana autentica, essenziale per un apprendimento profondo e significativo. La comunicazione faccia a faccia, la discussione in classe e il contatto umano diretto rimangono componenti insostituibili dell’esperienza educativa, difficili da replicare in ambienti completamente digitalizzati (Floridi, 2017).

L’analisi epistemologica del codice binario rivela come essa possa trasmettere informazioni, ma è carente la capacità di interpretare o esprimere empatia, moralità o valori complessi che sono spesso al centro delle interazioni educative. Questa è una limitazione significativa se consideriamo l’educazione come trasmissione di conoscenza, di formazione del carattere e per lo sviluppo di competenze sociali ed emotive.

In questo contesto l’educazione digitale deve essere progettata con una consapevolezza critica delle limitazioni del codice binario. Gli insegnanti sono chiamati a collaborare in sinergia per sviluppare approcci che integrino la tecnologia per amplificare l’interazione umana, includendo la progettazione di sistemi che non solo trasmettano informazioni, ma facilitino anche l’empatia, il supporto peer-to-peer e le interazioni autentiche sia online che offline (Vattimo, 2018).

Questo lavoro si propone di delinearne i confini attraverso un’analisi epistemologica, oltre i quali il codice binario cessa di essere sufficiente e dove l’essenza umana, con il suo universo valoriale e il suo potenziale educativo, prende il sopravvento. Nell’esplorazione di queste frontiere possiamo comprendere meglio i limiti della nostra tecnologia attuale e guidare lo sviluppo futuro di strumenti digitali che rispettino e arricchiscano la natura umana, piuttosto che ridurla a semplici byte di informazione. In definitiva, il successo della nostra era digitale sarà misurato non solo dalla sofisticazione dei nostri strumenti tecnologici, ma anche dalla nostra capacità di renderli proattivi verso l’educazione e il miglioramento umano.

Il codice binario come linguaggio universale

Nella teoria dell’universo computazionale la distinzione netta tra il mondo del discreto e quello del continuo rappresenta un punto critico. Questa teoria si basa sull’idea che il linguaggio naturale possa essere completamente tradotto in linguaggio artificiale alfanumerico, tramite un sistema binario di zeri e uni. La capacità del codice binario di separare rigidamente il vero dal falso è considerata essenziale per la sua scientificità e oggettività. Tuttavia, questa distinzione netta e questa modalità di codifica possono non catturare adeguatamente la fluidità e la complessità del mondo reale e della vita umana. L’approccio binario tende a imporre una logica di scelte senza spazio per le sfumature, un’alternanza che può essere vista come una limitazione significativa ove si tratti di rappresentare realtà più complesse e meno determinate. La realtà umana e naturale spesso opera in un continuum in cui le verità non sono sempre aut-aut ma possono esistere in uno stato di potenzialità e ambiguità.

Floridi (2018) ha esaminato la dicotomia del binario, evidenziando come l’infrastruttura dell’informazione tenda a ridurre la complessità fenomenica a schemi digitali che potrebbero non essere adeguati ad affrontare la realtà in tutte le sue dimensioni. Ne deriva l’esigenza di un approccio più flessibile e inclusivo nell’informatica, che contempli maggior precisione e affidabilità, con l’arricchimento delle variabili umane e ambientali che il digitale cerca di modellare.

La tecnologia, infatti, si protende a plasmare la nostra percezione della realtà utilizzando il suo framework ontologico (Vattimo, 2018) poiché non solo funge da facilitatore, ma limita la nostra comprensione attraverso le sue strutture operative, portando così a una visione del mondo troppo ristretta.

Floridi (2014) in questo contesto parla di «infosfera» ovvero una realtà in cui la distinzione tra la vita online e offline si dissolve, inserendosi in un ambiente continuamente connesso e influenzato da oggetti intelligenti e reattivi che caratterizzano la nostra esistenza quotidiana immersa tra realtà digitali e fisiche.

Queste dinamiche condizionano ogni aspetto del nostro vivere, dal lavoro alla salute, dalle interazioni sociali alla politica. Questa trasformazione è vista come una «quarta rivoluzione», paragonabile ai cambiamenti epocali portati da Copernico, Darwin e Freud e segnando un cambio fondamentale nella nostra interpretazione del sé e del nostro rapporto con gli altri. La tecnologia e il mondo digitale non sono solo meri strumenti, ma diventano forze ambientali essenziali che modellano la nostra realtà. Questo spostamento epistemologico verso una realtà in cui la medesima è mediata e spesso gestita da sistemi automatizzati come le intelligenze artificiali e le memorie digitali, sottolinea un cambio radicale nella fonte e nella gestione del sapere. Al fine di conservare l’ontologia che è propria del pensiero umano, è necessario adattare il nostro approccio ecologico ed etico sia sulle realtà create dall’uomo sia su quelle naturali. È necessario, quindi, iniziare una profonda riflessione su come le tecnologie digitali e la società dell’informazione stiano ridefinendo i confini del nostro mondo e della nostra esistenza.

La realtà è in un processo di sviluppo continuo e può essere interpretato in relazione alla contemporanea enfasi sull’informazione come realtà tangibile. Il tutto si manifesta attraverso la dialettica, un processo in cui una tesi si confronta con la sua antitesi, risolvendosi in una sintesi che supera e incorpora entrambi gli aspetti (Hegel, 1977). Applicando questa struttura al concetto di informazione, possiamo vedere come il pensiero hegeliano illumini l’idea che «ciò che è reale è informazionale e ciò che è informazionale è reale».

Con questi termini si può sottolineare l’ingresso dell’umanità in un’era in cui i beni intangibili come le informazioni assumano un ruolo predominante rispetto ai beni materiali tradizionali. Questa nuova realtà si allinea con la visione hegeliana della storia come progressione verso livelli sempre più complessi di realizzazione, ma soprattutto di comprensione della libertà umana, dove l’informazione diventa un mezzo critico per tale realizzazione. «Potrebbe essere utile rappresentare l’evoluzione umana come un missile a tre stadi: la preistoria, in cui non ci sono ICT (le tecnologie dell’informazione e della comunicazione) la storia, in cui ci sono ICT che registrano e trasmettono informazioni e le società umane dipendono principalmente da altre tipologie di tecnologie che riguardano le risorse primarie e l’energia. Nell’iper Storia invece, ci sono ICT che registrano, trasmettono e soprattutto processano informazioni in modo sempre più autonomo e in cui le società umane dipendono in modo cruciale dalle ICT e dall’informazione come risorsa essenziale per la loro stessa crescita» (Floridi, 2018, p.6).

È innegabile che stiamo assistendo a una trasformazione radicale e profonda nella maniera in cui l›umanità gestisce e trasmette le informazioni grazie all’avvento delle tecnologie digitali. Questo nuovo paradigma si basa su un sistema di matematizzazione avanzato, che permette di convertire i linguaggi storico-naturali in formule matematiche. Tali formule possono essere elaborate a velocità straordinarie, ben oltre le capacità di calcolo della mente umana. Questo cambiamento segna un›epoca in cui la capacità di processare e interpretare dati complessi, è diventata cruciale, trasformando i metodi tradizionali di comunicazione e comprensione del mondo.

Limiti ontologici del codice binario

Il ruolo rivoluzionario delle tecnologie della scrittura e della comunicazione nella storia umana è stato cruciale. Prendiamo ad esempio l’invenzione della scrittura alfabetica che ha permesso di convertire la vasta gamma di immagini pittografiche che rappresentavano oggetti direttamente, in un numero molto limitato di segni alfabetici. Questo cambiamento ha reso il sapere non più un esclusivo monopolio di una ristretta élite ma ha aperto le porte a una tecnica di codificazione e trasmissione della conoscenza accessibile a molte più persone. Inoltre, l’avvento della stampa e la transizione da manoscritti scritti a mano a quelli stampati con caratteri mobili ha significativamente ampliato la diffusione dei libri. Queste innovazioni non solo hanno democratizzato l’accesso all’informazione ma hanno anche facilitato la condivisione e l’espansione del sapere attraverso diverse culture e generazioni (Amin et al., 2023).

Nell’era attuale, dominata dalla tecnologia digitale e dai linguaggi alfanumerici, si apre un orizzonte in cui potenzialmente l’intera umanità ha la capacità di connettersi con sé stessa e con la propria storia in un flusso sempre più globale e veloce di scambio di informazioni. Questo implica che, lontano dall’essere relegati a inutili arcaismi o a regressioni culturali, dobbiamo affrontare le sfide e le opportunità portate dall’avanzamento delle tecnologie informatiche. Le nuove tecnologie non solo offrono strumenti per una maggiore emancipazione e possibilità di accesso all’informazione ma ci pongono anche di fronte alla responsabilità di utilizzarle in modi che promuovano il progresso civile e culturale (Heick, 2022).

La concezione di una possibile unificazione dell’umanità dovrebbe essere vista come un’idea-limite nel senso kantiano del termine, cioè come un ideale utopico e finale della storia. Questa visione non rappresenta la realtà del nostro presente, ma piuttosto un valore aspirazionale, un obiettivo verso il quale tendere in un processo di continua e infinita approssimazione. Nonostante la promessa di civiltà che tale idea-limite potrebbe suggerire, la realtà attuale si presenta profondamente e drammaticamente diversa, segnata da divisioni e conflitti che contrastano fortemente con quell’ideale di unità e pacifica convivenza globale.

La nozione di idea-limite, come descritta da Kant (1781-1987), funge da faro guida per l’umanità, proponendo un modello ideale al quale aspirare pur nella consapevolezza che la sua piena realizzazione potrebbe non essere mai completamente raggiunta. Questo concetto enfatizza l’importanza delle aspirazioni umane a un ordine più alto, anche quando confrontate con le imperfezioni e le sfide del mondo reale. Così, mentre l’idea di un’umanità unificata può sembrare irraggiungibile, serve orientare gli sforzi umani verso una maggiore giustizia, equità e collaborazione tra i popoli.

Nell’orientare gli sforzi del genere umano verso sfide sempre più avvincenti e affascinati, l’uomo ha generato il codice binario che rappresenta il linguaggio fondamentale su cui si basano le tecnologie informatiche moderne. La sua capacità di trasformare i dati in una serie di zeri e uni ha rivoluzionato il modo in cui elaboriamo e memorizziamo le informazioni. Tuttavia, quando ci confrontiamo con la complessità del mondo reale e delle esperienze umane, emergono chiaramente i limiti di questo sistema.

Se il codice binario è efficace per elaborare e memorizzare dati in modo efficiente e per eseguire calcoli a velocità elevate non lo è altrettanto per indagare la realtà umana e naturale perché si caratterizza per una continuità che sfugge alla dicotomia binaria. Le esperienze umane, le percezioni sensoriali, le emozioni e i processi naturali si manifestano su uno spettro continuo e sfumato che non si lascia facilmente ridurre a categorie nette e distinte (Richardson, 2022).

Per fare un esempio, se consideriamo il processo della percezione visiva le sfumature di colore che possiamo percepire non sono facilmente traducibili in codice binario senza una perdita di informazione. La ricchezza di un tramonto o la varietà di tonalità presenti in un paesaggio primaverile vengono ridotte quando mediate attraverso la lente del codice binario.

I limiti del codice binario sono più che evidenti se analizzati dalla stessa mente che li ha creati, ovvero quella umana.

Un’ eccessiva dipendenza dal codice binario porta a una visione del mondo che potrebbe essere definita riduzionista perché questa limitazione ontologica del digitale modella la nostra interpretazione della realtà e spinge a considerare solo ciò che può essere quantificato e misurato. In questo modo tutto ciò che è qualitativo e non facilmente codificabile rischia di essere trascurato o sottovalutato (Floridi, 2018).

In ambito pratico, queste limitazioni si riflettono nei sistemi di intelligenza artificiale, particolarmente nel campo del machine learning5 e del deep learning.6 Mentre questi sistemi sono straordinari nel riconoscere modelli o schemi e nell’elaborare grandi quantità di dati, la loro capacità di comprendere e interpretare le sfumature del linguaggio umano o di emulare la complessità del pensiero critico è ancora molto limitata. Ciò è evidente negli assistenti vocali che, pur essendo in grado di processare richieste complesse, spesso falliscono nel cogliere l’ambiguità o il sottotesto delle interazioni umane.

Il riduzionismo, che porta con sé l’ecosistema digitale, non solo amplifica il ruolo delle nuove tecnologie nella nostra società ma sottolinea anche una profonda trasformazione ideologica sulla natura della realtà stessa. L’idea che tutto, dalla materia fisica ai processi umani, possa essere ridotto a informazione porta con sé implicazioni significative sia culturali che politiche. Questa visione, che interpreta l’universo come un gigantesco sistema di elaborazione delle informazioni, suggerisce che ogni aspetto dell’esistenza può essere quantificato, monitorato e, infine, controllato.

Il rischio che si corre è quello che il codice binario acquisisca il potere dell’assolutismo e che il punto di vista soggettivo non sia più vincolato dalla metacognizione e dal ragionamento critico ma da una semplice sequenza di codici che generano algoritmi. Questo può avere un impatto negativo sulla democrazia, in quanto il controllo centralizzato delle informazioni potrebbe limitare la libertà individuale e promuovere forme di sorveglianza pervasiva. Inoltre, la visione dell’informazione come fondamento dell’esistenza può ridurre la comprensione e l’apprezzamento per le qualità umane e ambientali che non si conformano facilmente a modelli dati (Richardson, 2022).

L’idea della rappresentazione del mondo come un ecosistema digitale, infatti, evidenzia come si possa evolvere fino a diventare un assoluto di realtà e potere, influenzando profondamente la nostra vita quotidiana. Questo concetto si basa sulla percezione che ogni componente della realtà sia riducibile a dati informazionali, suggerendo che materiale fisico, corpi umani e processi cognitivi siano in ultima analisi espressioni di dati.

Questa quadro fa emergere la necessità di risposte culturali profonde che riportino l’uomo al centro del dibattito ontologico, affinché possa bilanciare l’efficienza tecnologica con i valori umani fondamentali come le emozioni, l’autonomia e la dignità.

L’umano oltre la tecnica: le implicazioni pedagogiche e didattiche

Quando tutto ciò che ci circonda rischia di essere ridotto a bit7 «stiamo lentamente accettando l›idea che si fa strada a partire da Turing, per cui non siamo agenti newtoniani, isolati e unici, come una sorta di Robinson Crusoe su un’isola. Piuttosto, siamo organismi informazionali, reciprocamente connessi e parte di un ambiente informazionale (l›infosfera), che condividiamo con altri agenti informazionali, naturali e artificiali, che processano informazioni in modo logico e autonomo» (Floridi, 2017 p.106).

Questo approccio postula una metafisica dell’informazione, considerando la realtà interamente riducibile a informazioni. Tale visione si estende a interpretare le scienze essenzialmente in termini genetici, vedendo il DNA come un software che dirige l’ontogenesi degli organismi viventi, indipendentemente dalle interazioni complesse, spesso casuali e imprevedibili, che caratterizzano la relazione tra cellula, organismo ed ecosistema. Inoltre, questa visione omogeneizzata dell’informazione porta a una concezione della mente umana che opera come una rete computazionale. Questa rete computazionale non può che avere ripercussioni anche nel campo educativo, andando a impattare in maniera preponderante anche sul campo dell’apprendimento.

Il terreno in questo particolare caso si fa scivoloso, perché oltre il numero c’è il capitale umano, che dovrà risollevare le sorti di un’umanità sempre più indirizzata all’individualismo. Ciò che oggi si coltiva, sarà la cura per i mali del futuro.

L’adozione di tecnologie educative avanzate può portare al rischio di concepire l’educazione come un processo di programmazione simile a quello di un software. Martin Heidegger ha messo in guardia contro il rischio che la tecnologia possa dominare la nostra esistenza, trasformandoci in agenti passivi (Heidegger, 1954). La didattica, quindi, non deve diventare un’esecuzione di algoritmi che mirano a produrre risultati predeterminati, ma piuttosto un ambiente dinamico che promuove il pensiero critico e la creatività.

L’educazione, se ridotta a una esecuzione di algoritmi, rischia di svilire il processo di apprendimento, trasformandolo in un insieme di compiti e risposte predeterminate. Tale approccio non solo inibisce la creatività, ma limita lo sviluppo di competenze di pensiero critico, indispensabili nella società contemporanea.

La tecnologia dovrebbe essere impiegata come strumento per arricchire l’esperienza educativa, non come l’architetto del curriculum. Gli insegnanti devono rimanere al centro del processo di insegnamento, utilizzando la tecnologia per supportare e non per sostituire l’interazione umana. Questo approccio aiuta a mantenere viva l’educazione umanistica e a espandere le possibilità didattiche, senza compromettere l’autonomia, l’individualità e l’unicità degli studenti.

In risposta a un’educazione che potrebbe diventare eccessivamente etnocentrica, è vitale integrare nei curricula studi umanistici, che promuovano la riflessione critica e il valore della diversità umana. L’importanza delle discipline umanistiche nell’educazione è cruciale per sviluppare il pensiero critico e la cittadinanza attiva (Nussbaum, 2010). Questo tipo di educazione aiuta a formare cittadini, che non solo comprendono le tecnologie che utilizzano attraverso un vero e proprio processo di metacognizione, ma che diventano anche capaci di interrogarsi sul loro impatto e di guidarne quindi l’evoluzione verso il rispetto della dignità umana.

Naturalmente non è solo il tipo di educazione, ma anche il modo con il quale viene organizzata. Quando gli algoritmi prendono il sopravvento, l’unico modo per sviluppare le capacità metacognitive e il ragionamento logico e critico è la modalità presenziale.

Questa esigenza non solo si conferma come fondamentale ma assume un ruolo ancora più critico in un’era dove la comunicazione faccia a faccia è spesso sostituita da interazioni virtuali. Diventa quindi evidente, come le tecnologie digitali pur offrendo strumenti innovativi per l’apprendimento, possano anche compromettere la nostra capacità di empatizzare e connetterci autenticamente con gli altri (Turkle, 2021).

L’empatia, in particolare, è una capacità che si affina attraverso la comunicazione non verbale, incluso il contatto visivo e la fisiognomica, aspetti che vengono inevitabilmente trascurati nelle interazioni mediate da schermi. La profondità della comprensione, inoltre, è spesso maggiormente stimolata da dialoghi in presenza, dove la possibilità di discutere e riflettere in tempo reale arricchisce il processo di apprendimento.

Nonostante i benefici incontestabili degli strumenti digitali, le sfide che questi presentano nel contesto educativo sono notevoli. La distrazione tecnologica, il sovraccarico sensoriale delle informazioni e la depersonalizzazione delle interazioni, possono ridurre significativamente la qualità dell’apprendimento e del legame umano. Gli strumenti digitali che dovrebbero servire come supporto all’istruzione, rischiano di diventare da facilitatori a barriere e di compromettere la spontaneità e l’autenticità delle relazioni interpersonali.

Per promuovere efficacemente le interazioni umane in questo contesto digitalizzato, è essenziale implementare diverse strategie volte a bilanciare l’uso della tecnologia. La creazione di spazi dedicati alle interazioni dirette e la formazione di competenze empatiche attraverso attività specifiche, possono aiutare a preservare il valore dell’incontro umano. È fondamentale che gli insegnanti trovino un equilibrio nell’uso delle tecnologie, utilizzandole in modo arricchente nell’esperienza educativa senza soppiantarla.

Le abilità socio-emotive quali l’empatia, la collaborazione, la consapevolezza del sé e la gestione delle emozioni, rappresentano pietre miliari per lo sviluppo personale e sociale degli individui. In un mondo sempre più automatizzato, che rischia di sopraffare l’elemento umano, queste competenze diventano il fulcro su cui costruire una società coesa e comprensiva. Heick (2022) ci illumina su come queste abilità non solo facilitino il successo accademico, ma siano fondamentali per il benessere generale degli studenti, preparandoli a diventare attori primari di una società globalizzata.

Heick (2022) incoraggia a trovare un equilibrio tra l’uso delle tecnologie e il mantenimento di significative interazioni umane. Sebbene gli strumenti digitali possano arricchire l’esperienza educativa, non devono mai sostituire il contatto umano, essenziale per l’apprendimento delle competenze socio-emotive e la generalizzazione delle medesime in contesti noti e no. Le modalità di utilizzo delle tecnologie devono supportare e non soppiantare le interazioni dirette.

Preparare gli studenti a un futuro dominato dalla tecnologia, richiede un impegno consapevole nell’insegnamento delle competenze umane, che saranno decisive nel definire la qualità della nostra convivenza futura. La vera essenza dell’azione didattica e della cognizione emerge unicamente verso l’organismo vivente e in relazione alla sua capacità di mantenere e riprodurre la propria unità, interagendo con il contesto ambientale. L’azione di vivere costruisce e conferisce significato al mondo, proiettando nel futuro le intenzioni e i significati delle scelte presenti.

Longo (2019) mette in luce una differenza fondamentale tra la dinamica di sviluppo di un organismo vivente e la costruzione di una macchina. Mentre un organismo si evolve attraverso un processo di differenziazione partendo da una singola unità integrata, una macchina, inclusa quella informatica, è assemblata aggregando parti separate o, nel caso delle macchine calcolatrici, attraverso la manipolazione di bit in una serie di zeri e uni. Questo contrasto sottolinea come le entità biologiche integrino naturalmente le loro esperienze e conoscenze in maniera coesiva e continua, un aspetto che le macchine non riusciranno mai a replicare nella stessa maniera, essendo limitate da una struttura di elaborazione basata su dualità e discontinuità.

Questa riflessione porta a riconsiderare il ruolo e l’impiego della tecnologia nell’acquisizione e nella trasmissione della conoscenza, sottolineando l’importanza di non perdere di vista l’elemento umano e biologico che sta alla base della vera comprensione.

«Per quanto riguarda il confronto tra organismi e macchine, compresi i computer, si noti che l’embriogenesi si ottiene per riproduzione con differenziazione da un singolo organismo, ossia lo zigote. In ogni fase dell’embriogenesi la riproduzione delle cellule preserva l’unità dell’organismo. La differenziazione non ha nulla a che fare con l’assemblaggio di parti, elementari e semplici, con cui costruiamo qualsiasi artefatto. Un bambino non si ottiene attaccando una gamba, incollando un naso, introducendo un occhio in un buco, ma mediante differenziazione riproduttiva delle singole cellule. Così, a ogni fase, l’unità dell’organismo è preservata ed è un soggetto di senso: le sensazioni e le reazioni a esse, acquistano significato in relazione a livello proprio dell’individuo in formazione, venendo appunto interpretate. Ciò è radicalmente diverso dall’assemblaggio per pezzi di qualsiasi macchina, che preclude la formazione costitutiva del significato come interpretazione della “deformazione” di un’unità biologica autoconstrutturata, differenziantesi e autoconservantesi nell’ambito della sua correlazione con un ambiente. Una “interpretazione” è sempre il risultato di una costruzione storica e contestuale del senso; storie diverse come l’embriogenesi e l’assemblaggio, producono significati diversi» (Longo, 2019, p. 68).

L’essenza del pensiero umano risiede nella sua capacità di distillare schemi di pensiero coerenti e significativi da un flusso continuo di stimoli esterni e di costruire a sua volta catene di apprendimento. La mente umana elabora le informazioni in modo tale da trascendere la singola esperienza, generando concetti che possiedono una valenza che va oltre il contesto immediato. Il linguaggio naturale è il primo strumento attraverso il quale l’uomo ha iniziato a codificare e comunicare queste invarianti dell’esperienza, ma non è l’unico.

La trasmissione di questi universali attraverso il linguaggio è solo l’inizio di un processo di codificazione più ampio e diversificato, che include nelle sue forme più astratte, le codificazioni delle scienze formali.

La capacità umana di astrazione si manifesta quindi in diverse forme di codificazione, ognuna adatta a specifiche esigenze cognitive e comunicative. Dalle scienze naturali, che cercano di descrivere le leggi universali della fisica e della chimica, alle scienze umane e sociali, che indagano i modelli e le strutture dei comportamenti e delle culture, fino alle più astratte espressioni delle scienze matematiche, ogni forma di conoscenza rappresenta un tentativo di rendere il mondo non solo comprensibile, ma anche maneggevole e flessibile.

Questa riflessione sottolinea la crucialità del processo di codificazione non solo come strumento di conoscenza, ma anche come fondamentale meccanismo di sopravvivenza e di adattamento. In un mondo in cui la continuità e la coerenza dell’esperienza non sono mai garantite, la capacità di estrarre e stabilizzare gli universali, diventa un baluardo contro il caos dell’esperienza non filtrata, offrendo un ancoraggio cognitivo indispensabile per la vita mentale e sociale dell’essere umano.

Verso una nuova epistemologia della tecnologia

Il dibattito sulla natura della realtà contemporanea e il ruolo dei dati nella sua rappresentazione costituisce un tema centrale delle scienze umane contemporanee, che sfidano le tradizionali dicotomie tra realismo e costruttivismo. Per addentrarci in questo tema è opportuna una comprensione approfondita dei cambiamenti metodologici ed epistemologici introdotti dalle tecnologie avanzate e dalla crescente quantificazione in tutte le sfere della vita sociale. Le tensioni tra una visione oggettivista della realtà sociale, come quella proposta da Durkheim (1970) che suggerisce di considerare i fatti sociali come cose, e le teorie costruttiviste che vedono la realtà come mediata da interpretazioni individuali e collettive, rappresentano un fertile terreno di indagine e sperimentazione per comprendere come si possa rispondere e adattarsi alle sfide del mondo moderno.

Con l’avvento delle tecnologie digitali, il concetto di tecnoscienza (Latour, 1987) diventa particolarmente rilevante. I dati e le tecnologie non sono neutrali ma sono intrinsecamente legati a sistemi di potere e interesse, che modellano ciò che viene osservato e come viene osservato. La sua critica verso l’empirismo classico, insieme alla proposta di considerare i metodi di raccolta dati come «scatole nere» che influenzano attivamente la costruzione della realtà, solleva questioni cruciali sulla trasparenza e l’oggettività nella ricerca sociale.

I dati così come definiti dagli algoritmi di pensiero, possono influenzare non solo la percezione del mondo, ma anche le strutture materiali e sociali perché i dati vengono considerati.

Questo nuovo panorama epistemologico richiede un approccio educativo che non solo analizzi i dati, ma che consideri le modalità stesse di produzione dei medesimi, come oggetti di studio. Questa trasformazione metodologica non solo apre nuove possibilità di ricerca, ma impone anche riflessioni critiche sull’etica e sulla responsabilità sociale della ricerca educativa. La necessità di un approccio critico e consapevole nei confronti dell’uso delle tecnologie è essenziale, per garantire che le scienze dell’educazione, possano continuare a fornire una comprensione profonda e accurata della realtà in un’era sempre più tecnologizzata.

Nell’esplorare con un approfondito spirito critico le implicazioni etiche delle tecnologie emergenti, Vallor (2016) introduce il concetto rivoluzionario delle virtù tecno-morali, un adattamento delle virtù tradizionali ai contesti moderni dominati dalla tecnologia. Queste virtù tecno-morali che includono l’empatia, la flessibilità e l’integrità, sono essenziali per una navigazione etica dell’ambiente tecnologico e offrono una guida morale indispensabile per vivere virtuosamente nell’era digitale.

L’empatia tecno-morale non si limita alla capacità di comprendere emotivamente un altro essere umano in un contesto diretto, ma si estende alla comprensione e connessione con individui distanti o interagenti attraverso interfacce digitali. La tecnologia digitale e le piattaforme di social media richiedono un’estensione del nostro concetto di empatia, per includere esperienze e interazioni mediate, che possano essere completamente disgiunte dalla nostra presenza fisica.

La flessibilità diventa una virtù di primo piano nell’affrontare un ambiente tecnologico in rapida evoluzione, come la capacità di adattarsi a nuove informazioni, cambiare prospettive e strategie in risposta a tecnologie emergenti, fondamentale per operare efficacemente in contesti digitali. La velocità del cambiamento tecnologico richiede una malleabilità intellettuale e morale che può sfidare i limiti delle nostre capacità di adattamento.

L’integrità, in un’era dove la tecnologia può essere utilizzata per manipolare percezioni e modificare comportamenti su scala mai vista prima, richiede un impegno rinnovato verso l’onestà e la coerenza nelle interazioni digitali. La protezione dei dati personali, la trasparenza nell’uso delle informazioni e la resistenza contro l’abuso del potere tecnologico, sono tutte componenti di questa virtù tecno-morale. In un mondo dove la distinzione tra vero e falso può essere oscurata da algoritmi e dati manipolati, l’integrità assume un ruolo centrale nel preservare la fiducia e l’autenticità delle nostre interazioni sociali e politiche.

L’idea di un’epistemologia tecno-morale non solo invita a una riflessione su cosa possiamo conoscere attraverso la tecnologia ma anche su come possiamo utilizzare la tecnologia per promuovere una vita che sia orientata all’eticamente e socialmente corretto. La nostra epoca richiede una riconsiderazione delle basi su cui costruiamo la conoscenza e prendiamo decisioni morali, tenendo conto dell’impatto pervasivo della tecnologia sulla nostra percezione del mondo.

Le sfide e le implicazioni pratiche dell’applicazione delle virtù tecno-morali sono immense, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo e l’implementazione di tecnologie come l’intelligenza artificiale etica. La necessità di sviluppare IA che rispetti principi etici fondamentali, mentre opera in contesti complessi e dinamici, illustra la difficoltà di tradurre virtù tecno-morali in prassi tecnologica concreta.

Le virtù tecno-morali aprono nuove vie per l’integrazione dell’etica nella vita digitale, suggerendo che la tecnologia, quando guidata da un solido fondamento morale, ha il potenziale non solo di trasformare la società, ma di migliorarla, arricchendo la nostra comprensione e pratica della moralità in un mondo sempre più tecnologico. Questo dialogo tra etica e tecnologia è essenziale per garantire che le future generazioni ereditino un mondo in cui la tecnologia non domina ma arricchisce la vita umana in modi eticamente e moralmente giustificati.

Un’altra sfida critica associata alla digitalizzazione della partecipazione politica è l’aumento della disinformazione. Le piattaforme di social media, pur essendo strumenti potenti per la disseminazione di informazioni, sono anche veicoli attraverso cui notizie false e contenuti fuorvianti, possono essere diffusi rapidamente e su vasta scala (Amin et al., 2023). Questo fenomeno può distorcere il dibattito pubblico, influenzare indebitamente le opinioni e polarizzare ulteriormente la società. Per combattere la disinformazione sono necessarie strategie efficaci come la promozione di alfabetizzazione digitale tra i cittadini, per migliorare la loro capacità di valutare criticamente le informazioni ricevute online.

Il concetto di persona viene ad assumere un significato intrinseco con la questione della tecnica, rappresentandone l’evoluzione e l’espansione verso direzioni precedentemente inimmaginabili. L’apparato tecnologico ha «riconfigurato» completamente l’esistenza umana attraverso i modi con la quale essa entra in relazione con l’autentico.

I progressi scientifici e tecnologici sfumano i confini tra categorie naturali e culturali, suggerendo una trasformazione sia della struttura della soggettività, che della produzione di teoria e conoscenza, che vede ancora l’umano come centro di un processo di potenziamento tecnologico.

Questo processo di potenziamento non è una mera estensione delle capacità umane attraverso la tecnologia, ma una nuova forma di soggettività che emerge dall’interazione dinamica tra l’umano e il suo ambiente, sia esso naturale o costruito. Questo nuovo paradigma epistemologico esige una riconsiderazione del ruolo della tecnologia nella definizione di ciò che significa essere umano, invitando a una riflessione più ampia sulla soggettività e l’identità nell’era digitale (Roncaglia, 2024).

Si va delineando una visione in cui l’umanità non domina più la scena centrale, ma diventa parte di un network più ampio che include sia entità biologiche che tecnologiche.

Questo scaturisce la riflessione sull’essere post-umano che implica necessariamente un rinnovato impegno verso l’integrazione della tecnologia nell’etica e nella filosofia, mettendo in discussione le nostre preconfezioni sul ruolo dell’umano nel mondo tecnologicamente avanzato. L’adozione di un paradigma post-umano invita a considerare nuove forme di soggettività che non sono solo il risultato della biologia umana, ma anche dell’interazione continua con la tecnologia (Braidotti, 2014). Questa soggettività ibrida, che si configura attraverso l’interazione dinamica tra l’umano e il non-umano, sfida le tradizionali categorie di identità e agenzia, proponendo un modello in cui l’umano non è più al centro del discorso etico o filosofico, ma è uno dei tanti nodi in una rete più ampia, che include tecnologie e intelligenze non umane.

In tale contesto, il dialogo tra etica e tecnologia diventa cruciale per garantire che l’integrazione della tecnologia nella società non solo rispetti ma promuova valori etici fondamentali. Le considerazioni di Marchesini (2003) sollevano questioni importanti sul potere e l’impiego delle tecnologie, proponendo una visione critica del transumanismo e suggerendo alternative che valorizzino la relazione e l’interdipendenza piuttosto che il dominio tecnologico. La capacità di rimodellare la soggettività in termini di interdipendenza piuttosto che di autonomia individuale, offre una strada per comprendere meglio come le tecnologie possano essere utilizzate per arricchire la vita umana, piuttosto che semplicemente estenderne le capacità. Questo approccio post-umano non sollecita solo una riflessione teorica, ma implica anche cambiamenti pratici nella gestione delle tecnologie e nel modo in cui esse sono integrate nelle strutture sociali e politiche. La governance delle tecnologie emergenti, quindi, deve essere sensibile a queste nuove realtà, assicurando che l’innovazione tecnologica sia accompagnata da politiche informate e responsabili e che considerino le implicazioni etiche di lungo termine.

L’esplorazione di questi temi può contribuire a delineare una nuova epistemologia della tecnologia, che riconosca e valorizzi la profonda interconnessione tra l’umano e il tecnologico e proponendo modi per navigare il futuro in modo responsabile ed etico. La sfida è quindi quella di costruire una società in cui la tecnologia, guidata da principi etici solidi, non domini ma arricchisca la vita umana, facilitando un’esistenza che sia eticamente giustificata e moralmente sostenibile nel lungo termine.

Verso un nuovo umanesimo

L’educazione moderna si trova all’incrocio tra la dimensione fisica e quella simbolica dove il corporeo e il mentale non solo coesistono ma interagiscono dinamicamente per produrre esperienze cognitive complete. Questa intersezione crea un tessuto di apprendimento dove ogni aspetto dell’esperienza umana contribuisce al processo educativo sottolineando che l’apprendimento va oltre l’assimilazione passiva di conoscenze per diventare una partecipazione attiva e corporea nel mondo (Chalmers, 2021).

La ri-concettualizzazione del pedagogico richiede di rivedere e riconfigurare i metodi educativi tradizionali. Ciò implica vedere tutte le tecnologie, non solo quelle digitali, come strumenti cognitivi o psi-pedo-tecnologie. Queste psi-pedo-tecnologie non sono solo estensioni dei nostri processi mentali ma sono anche strumenti che rompono e ampliano gli orizzonti preesistenti, invitando i docenti e gli studenti a esplorare territori precedentemente sconosciuti o marginalizzati dalla topologia educativa ufficiale (Persico e Midoro, 2024).

L’evoluzione della tecnologia ha trasformato non solo il modo in cui apprendiamo e insegniamo ma ha anche ridefinito gli ambienti educativi stessi, trasformando ogni spazio in cui si «abita» e si interagisce in un potenziale mondo-di-vita e spazio cognitivo. Questa metamorfosi richiede una nuova concezione della geografia pedagogica che vada oltre l’adozione di nuove mappe concettuali. Piuttosto, si tratta di una rielaborazione radicale delle basi stesse della teoria della conoscenza, implicando una revisione metodologica e di processo che responsabilizza tutti gli attori coinvolti nel processo di apprendimento (Chalmers, 2021).

Questa trasformazione spaziale ci costringe a ripensare la nostra comprensione pedagogica non come un semplice trasferimento di informazioni ma come un processo dinamico e interattivo che si svolge all’interno di reti digitali complesse. Questa nuova realtà si basa su un principio di reticolarità, dove ogni nodo, ogni connessione e ogni interazione contribuisce alla costruzione di una rete di conoscenza espansa (Jenkins, 2006).

L’evoluzione della tecnologia digitale porta con sé il potenziale per una trasformazione radicale dell’educazione, suggerendo la nascita di un nuovo umanesimo tecnologico. Questo paradigma emergente, noto come Pedagogia 3.0, si distingue per il suo approccio innovativo al processo di apprendimento, che non solo integra ma espande la conoscenza attraverso un modello rigenerativo e non lineare. Al centro di questo modello si trova il valore del corporeo e delle sue estensioni digitali, ripensando la pedagogia per abbracciare una gamma più ampia di saperi e competenze (Persico e Midoro, 2024).

Nel contesto attuale emerge la necessità di una pedagogia che sia in grado di rispondere e integrarsi con queste nuove realtà. La Pedagogia 3.0 rappresenta una risposta a questa esigenza, proponendo un approccio all’educazione che valorizza il dinamismo, la flessibilità e l’interdisciplinarità. Questa nuova forma di pedagogia si basa su una logica non lineare, che riconosce l’importanza del processo oltre il prodotto, e si impegna a sviluppare un modello educativo rigenerativo che sostenga continuamente il rinnovamento del sapere (Bates, 2015).

Uno degli aspetti fondamentali della Pedagogia 3.0 è la sua enfasi sulla centralità del corporeo e delle sue estensioni digitali. In questo modello, il corpo non è più visto solo come un ricevitore passivo di informazioni, ma come un partecipante attivo nel processo di apprendimento. Le tecnologie digitali vengono utilizzate per estendere e potenziare le capacità corporee, permettendo agli studenti di sperimentare e interagire con il sapere in modi prima inimmaginabili. Questo approccio favorisce una comprensione più profonda e incarnata del sapere, dove il corpo e la mente lavorano insieme per esplorare e creare nuove conoscenze (Prensky, 2001).

La Pedagogia 3.0 rappresenta un avanzamento significativo nel campo dell’educazione, segnando l’alba di un nuovo umanesimo tecnologico. In questo contesto, il processo educativo si espande oltre la trasmissione tradizionale di conoscenze, integrando saperi diversificati e promuovendo un modello rigenerativo di apprendimento. Questo approccio si fonda su una struttura non lineare, che si adatta e risponde alle esigenze mutevoli dell’ambiente digitale e globale di oggi (Selwyn, 2016).

L’ambiente scolastico dovrebbe essere arricchito da stimoli culturali e relazioni umane, creando un contesto in cui emergono amicizie e si favorisce lo scambio di idee. Creando tale ambiente, attraverso interventi didattici personalizzati, l’insegnante può instaurare un rapporto equilibrato e sereno con gli studenti, influenzando positivamente il metodo d’insegnamento. Un’efficace lezione educativa trascende la mera trasmissione di conoscenze e comprensione intellettuale; essa è veramente formativa quando stimola anche la volontà degli studenti, portandoli a aderire alla verità. La lezione diventa un catalizzatore educativo quando invita gli studenti a imparare attraverso un’azione che è sia immanente che formativa. Al contrario, se la lezione si limita a una mera esposizione di dati, fatti e concetti, perdendo l’opportunità di essere un momento di vera formazione, il suo valore si riduce alla sola importanza formale della materia insegnata. In questo scenario, i contenuti didattici sono valutati solo per il loro valore scientifico, che, pur essendo intrinseco al sapere, rimane estraneo all’arricchimento personale dello studente (Rivoltella e Rossi, 2024).

Non è tanto la trasmissione delle conoscenze, infatti, a definire la qualità della formazione studentesca, quanto piuttosto il reale apprendimento da parte degli studenti. Un insegnante non dovrebbe limitarsi a ripetere contenuti già noti, ma dovrebbe agire come un catalizzatore di curiosità e interesse. Importante è mantenere un equilibrio tra empatia e autorevolezza, evitando che la capacità di connessione personale con gli studenti comprometta la gestione della classe e il rispetto delle regole stabilite (Ranieri et al., 2023).

L’educazione efficace si fonda sul rispetto reciproco e sull’obiettivo condiviso di raggiungere traguardi formativi specifici, facilitando un apprendimento strutturato e lontano dall’anonimato. Le qualità umane dell’insegnante, come entusiasmo, comprensione, empatia e senso di giustizia, sono tanto influenti quanto la sua competenza tecnica e conoscenza accademica.

Comunicare efficacemente con gli studenti significa più che esporre concetti; significa stimolare la riflessione critica e l’autosviluppo, aiutandoli a comprendere le dinamiche interne ed esterne e ad assumersi le proprie responsabilità. L’engagement personale dell’insegnante è cruciale e diventa parte integrante della sua professionalità.

Gli insegnanti necessitano sia di solide competenze culturali e didattiche, essenziali per guidare gli studenti verso la conquista autonoma della conoscenza, sia di competenze relazionali, per costruire relazioni educative efficaci e significative con studenti, colleghi e genitori.

L’introduzione delle tecnologie digitali nell’educazione apre nuove vie per l’interazione e la collaborazione, essenziali nel contesto educativo contemporaneo. Queste tecnologie, utilizzate quotidianamente dagli studenti, supportano un approccio didattico incentrato sulla produzione collaborativa e sulla condivisione di contenuti (Chalmers, 2021).

Un approccio innovativo ai contenuti didattici e alle metodologie, sostenuto da un forte impegno collettivo di docenti e dirigenti, può trasformare significativamente l’ambiente educativo, promuovendo una sinergia che valorizza il ruolo di ciascuno nell’istituzione scolastica.

Le nuove tecnologie, infatti, offrono alle scuole una grande opportunità per gestire in modo più efficace il carico di lavoro degli insegnanti. Consentendo agli studenti di impegnarsi in attività didattiche con maggiore autonomia e in tempi flessibili, queste tecnologie non solo facilitano un apprendimento personalizzato, ma anche alleggeriscono il carico di lavoro degli insegnanti, riducendo il tempo necessario alla gestione diretta delle attività in classe (Longo, 2019).

La competenza, intesa come l’abilità di applicare conoscenze in contesti pratici, non è semplicemente un concetto moderno che sostituisce le vecchie discipline ma è il risultato di un processo educativo ben strutturato. Le politiche e gli investimenti nel settore dell’ICT nelle scuole hanno seguito due direzioni principali: la fornitura di infrastrutture tecnologiche, come computer, che migliorano significativamente le risorse disponibili, e la formazione continua dei docenti, che è passata da una semplice alfabetizzazione informatica a un approfondimento più sostanziale delle competenze digitali (Rivoltella e Rossi, 2024).

L’integrazione efficace delle tecnologie digitali nell’ambito educativo non solo ottimizza le risorse e le capacità didattiche, ma rappresenta anche un passo fondamentale verso un approccio pedagogico che valorizza l’autonomia degli studenti e lo sviluppo di competenze reali e applicabili. L’adozione di queste tecnologie deve essere accompagnata da una formazione adeguata dei docenti, per assicurare che le potenzialità offerte da questi strumenti vengano pienamente sfruttate per migliorare l’esperienza educativa (Richardson, 2022).

Le tecnologie, infatti, offrono l’opportunità di rendere la didattica più attraente, efficace e in linea con le aspettative delle nuove generazioni di studenti. Questi ultimi prediligono un apprendimento attivo, spesso attraverso la collaborazione e il lavoro di gruppo, utilizzando strumenti multimediali a loro familiari. La disponibilità di risorse digitali come piattaforme interattive, la progettazione di attività didattiche e sistemi di valutazione digitale possono ottimizzare e rendere più efficiente il lavoro del docente.

Gli ambienti di apprendimento moderni integrano da tempo tecnologie come registri elettronici, lavagne interattive multimediali (LIM), ebook, contenuti digitali, classi virtuali, cloud, social network e software didattici. L’adozione di queste tecnologie facilita approcci didattici orientati al laboratorio e alla risoluzione di problemi, consentendo agli studenti di diventare protagonisti del proprio percorso educativo.

Questi strumenti promuovono la manipolazione pratica di concetti astratti, rendendo più accessibile la comprensione e la costruzione del significato. Tuttavia, l’implementazione di tali tecnologie richiede che i docenti escano dalla loro comfort zone tradizionale e adottino nuove routine didattiche. Queste routine non solo implicano una gestione attenta della tecnologia, ma promuovono anche la socializzazione e l’organizzazione delle attività didattiche (Floridi, 2028).

La gestione tecnologica comporta la preparazione degli strumenti informatici, dei software e degli ambienti virtuali prima delle lezioni. In particolare, la pianificazione delle attività didattiche diventa ancora più cruciale quando si utilizza un’aula virtuale, dove è necessario gestire molteplici livelli di interazione attiva per mantenere la comunicazione con gli studenti, scambiare materiali didattici e favorire l’interazione tra partecipanti remoti. In questo modo, si rinnova l’ambiente di apprendimento, creando una nuova comunità educativa che è più dinamica e interconnessa (Persico e Midoro, 2024).

Parallelamente all’integrazione delle tecnologie, è essenziale riscoprire l’umanesimo nel contesto educativo, valorizzando l’importanza della formazione umana e culturale come complemento allo sviluppo tecnologico. Questa riscoperta dell’umanesimo in ambiente digitale arricchisce il curriculum, fornendo agli studenti una visione più olistica dell’apprendimento che collega la tecnologia con le discipline umanistiche, promuovendo un approccio più completo e armonioso alla formazione della persona nella sua interezza (Vattimo, 2018).

Conclusioni

Nella conclusione di questa esplorazione dell’ontologia del codice binario, è evidente che le intersezioni tra la natura umana e le capacità tecnologiche offrano sia profonde opportunità che formidabili sfide. Mentre ci addentriamo più a fondo nell’era digitale, i limiti fondamentali del codice binario e le sue implicazioni per l’interazione umana, l’emozione e il comportamento etico, richiedono un’analisi attenta.

L’inserimento dei valori umani nel tessuto dei sistemi digitali rappresenta un cruciale punto di congiunzione tra tecnologia ed etica. I codici binari e le strutture digitali offrono una modalità di operatività efficiente e scalabile, spesso la loro implementazione rischia di appiattire o ignorare le complessità e le sfumature dell’esperienza umana. È fondamentale, quindi, che la progettazione e l’utilizzo delle tecnologie digitali non perdano di vista la necessità di integrare valori umani come la comprensione, la compassione e il rispetto reciproco.

Questa integrazione non implica solo una considerazione superficiale dei valori etici, ma richiede un’attenta riflessione su come le piattaforme e gli algoritmi possano essere progettati per promuovere comportamenti etici e supportare le interazioni umane in maniera genuina. In questo modo la tecnologia può arricchire l’esperienza umana piuttosto che sminuirla, favorendo un ambiente digitale che rispecchi i principi di dignità e rispetto e guidino le interazioni nella vita reale.

La trasformazione digitale nell’educazione mostra sia i punti di forza che le insidie di una forte dipendenza dai sistemi binari. Le piattaforme digitali possono rendere l’apprendimento più accessibile e su misura, ma non possono replicare completamente i processi sfumati dell’apprendimento relazionale umano. Le interazioni faccia a faccia, le sottigliezze delle dinamiche in classe e gli elementi non quantificabili delle relazioni insegnante-studente, sono in qualche modo diminuiti nelle interfacce puramente digitali.

Le implicazioni etiche dell’impiego di sistemi binari in ambienti educativi, evidenziano la necessità di un approccio equilibrato, che rispetti i valori umani senza compromettere i potenziali benefici della tecnologia. Lo sviluppo di virtù tecno-morali come empatia, flessibilità e integrità, sono fondamentali per garantire che la tecnologia arricchisca piuttosto che detrarre.

Guardando al futuro, l’integrazione degli strumenti digitali avanzati in vari ambiti dell’attività umana, deve essere affrontata con un doppio focus su: miglioramento dell’efficienza e conservazione dei valori umanistici fondamentali. Il potenziale della tecnologia per trasformare la società è immenso, ma il suo successo dipende dalla nostra capacità di governare e impiegare questi strumenti in modi che migliorino piuttosto che diminuire l’esperienza umana.

Nel navigare queste sfide, la collaborazione interdisciplinare diventa essenziale, esperti di tecnologia, filosofia, educazione ed etica, devono lavorare insieme per garantire che gli avanzamenti digitali onorino la complessità della vita umana, favorendo un ambiente in cui la tecnologia sia a servizio degli obiettivi più ampi dell’umanità, sfruttando il potere degli strumenti digitali per creare un mondo più empatico e comprensivo: una vera e propria generazione connessa. Mentre continuiamo a spingere i confini di ciò che la tecnologia può realizzare, dobbiamo anche approfondire la nostra comprensione di cosa significa essere umani in un mondo digitalizzato. Il viaggio di integrazione degli strumenti digitali con le discipline umanistiche, non riguarda solo rendere la tecnologia più efficiente, ma arricchire l’esperienza umana nell’era dell’informazione.

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Riccardo Sebastiani: r.sebastiani@unilink.it; 3497234638

Strada Ranco 2/U – 06134 -Perugia


1 Dipartimento di Scienze Umane, Link Campus University.

2 Dipartimento di Scienze Umane, Link Campus University.

3 Dipartimento di Scienze Umane, Link Campus University.

4 Dipartimento di Scienze Umane, Link Campus University.

5 Il machine learning è un sottocampo dell’intelligenza artificiale che si concentra sullo sviluppo di algoritmi capaci di apprendere da e fare previsioni su dati. In pratica, il machine learning permette ai computer di migliorare le loro prestazioni su specifici compiti tramite l’esperienza, senza essere esplicitamente programmati per farlo.

6 Il deep learning è una tecnica avanzata nel campo del machine learning che utilizza reti neurali profonde per analizzare vari livelli di dati. Queste reti neurali sono composte da strati multipli di nodi, o «neuroni», che imitano il modo in cui il cervello umano opera. Ogni strato elabora un aspetto dei dati e passa l’output al successivo, permettendo al modello di «apprendere» da enormi quantità di dati in modi molto complessi.

7 In informatica, il byte è una delle unità di base per quantificare dati e informazioni memorizzate, essendo sufficientemente grande da rappresentare un singolo carattere alfanumerico in molti sistemi di codifica

Vol. 1, Issue 1, July 2024

 

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