Test Book

Ricerche empiriche / Empirical research

Oltre i «corpi umani in fuga». La sfida della progettualità esistenziale nelle pratiche degli operatori dell’accoglienza nei servizi Sprar a Bologna
Beyond « human bodies in flight». The challenge of providing an existential project in Sprar caseworkers’ practices in Bologna

Marta Salinaro

Dottoranda presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione “Giovanni Maria Bertin” dell’Università di Bologna, svolge le sue ricerche nell’ambito della Pedagogia Generale e Sociale (M-PED 01) con particolare interesse verso i fenomeni interculturali, gli studi relativi alle migrazioni e alle differenti forme di inclusione sociale nelle società complesse, marta.salinaro2@unibo.it, Dipartimento di Scienze dell’Educazione “Giovanni Maria Bertin”, Via Filippo Re, 6 – 40126 – Bologna. Affiliata al CeMIS (Centre for Migration and Intercultural Studies) – University of Antwerp (Belgium).


Autore per la corrispondenza

Marta Salinaro
Indirizzo e-mail: marta.salinaro2@unibo.it
Dipartimento di Scienze dell’Educazione “Giovanni Maria Bertin”, Via Filippo Re, 6 – 40126 – Bologna. Affiliata al CeMIS (Centre for Migration and Intercultural Studies) – University of Antwerp (Belgium).



Sommario

Il presente articolo analizza la figura dell’operatore dell’accoglienza nei Servizi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) da una prospettiva pedagogica. Attraverso 19 interviste con operatori di una cooperativa sociale di Bologna (2017) e il dialogo con la letteratura pedagogica di riferimento, il mio contributo indaga le ragioni del divario tra richieste istituzionali e le pratiche dell’accoglienza. L’approfondimento che segue riflette sull’identità professionale dell’operatore dell’accoglienza, sulla necessità, così come viene percepita dai miei interlocutori, di ritrovare – nel proprio ruolo e nelle pratiche svolte all’interno dei servizi in cui operano – un «mandato sociale» teso a superare interventi a carattere emergenziale e assistenziale, se non espressamente a dirigersi verso azioni capaci di creare progetti di reale inclusione sociale. In linea con le direzioni auspicate a livello nazionale, l’obiettivo di questo studio è quello di rivolgere una particolare attenzione alle dinamiche relazionali, che rappresentano un nodo centrale del lavoro degli operatori dell’accoglienza, rintracciando le competenze pedagogiche necessarie all’accompagnamento della persona nella costruzione di un nuovo progetto di vita. Muovendosi all’interno di una complessa rete che coinvolge numerosi attori – i beneficiari del progetto, l’équipe di riferimento, le agenzie pubbliche e i servizi territoriali – è possibile rilevare come il ruolo e le competenze dell’operatore richiedano di essere definite ed esplorate per fare emergere una nuova consapevolezza nelle pratiche e negli obiettivi dei servizi per l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati.

Parole chiave

accoglienza; progettazione esistenziale; inclusione sociale; competenze pedagogiche.


Abstract

This article investigates the role of social workers in the Italian reception system of asylum seekers and refugees (Sprar) from a pedagogical perspective. Drawing from 19 interviews with caseworkers from a social cooperative in Bologna (2017) and from a review of pedagogical literature, this article highlights the gap between institutional guidelines and practices on the ground. The following in-depth analysis reflects on the professional identity of the case worker and on their perceived need to find in their role and in their daily practices a wider «social mandate» aimed at overcoming an emergency approach and moving towards social inclusion. In line with Sprar institutional objectives, the purpose of this study is to focus on relational dynamics, which represent a central node of social work: these should be based on the pedagogical skills necessary to accompany the asylum seeker in the construction of a new life project. Moving within a complex network of numerous players – the beneficiaries of the project, the team, public agencies and local services – it is possible to see how the role and skills of the case worker must be defined and explored to stimulate new awareness in the practices and the objectives of reception services for asylum seekers and refugees.

Keywords

reception system; existential project; social inclusion; pedagogical skills.


Introduzione

Il presente contributo vuole mettere in luce in quali forme le pratiche di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati all’interno dei servizi e dei progetti a loro dedicati operino verso l’obiettivo primario di «(ri)conquista dell’autonomia individuale dei richiedenti/titolari di protezione umanitaria accolti, intesa come una loro effettiva emancipazione dal bisogno di richiedere assistenza» (Servizio Centrale, 2015, p. 6).

L’effetto di spersonalizzazione del migrante, visto come corpo anonimo in fuga (Pinelli, 2011) a cui è negata la soggettività, trova nel fenomeno mediatico e nel processo generato da racconti e documentazioni carenti di senso critico alcune delle cause che portano i soggetti a essere privati della propria unicità e delle particolarità che li caratterizzano. In tal senso la lettura di bisogni e la programmazione di azioni dirette al singolo vengono svalorizzate lasciando spazio a stereotipi e pregiudizi che rischiano di divenire la forma mentis dell’intera comunità (Olivieri, 2012).

In questo scenario la responsabilità che viene a delinearsi nella relazione di cura e nello specifico degli interventi rivolti a richiedenti asilo e rifugiati vuole allontanarsi da pratiche definite assistenzialistiche, tese al soddisfacimento di bisogni primari e di tipo emergenziale, per dirigersi verso un agire etico, una risposta alla chiamata a essere-con-gli-altri in una dimensione di senso (Mortari, 2015, pp. 118-119).

La responsabilità della cura non viene assunta solo in relazione a situazioni di svantaggio e bisogno da parte dell’altro ma, come sottolinea Mortari, consiste anche nell’assumersi l’impegno nel fare emergere le possibilità di ognuno (Mortari, 2015, pp. 123-124). La tutela della singolarità dell’altro e della sua differenza permette quindi di svincolarsi dai propri preconcetti, sviluppando una filosofia della cura intesa nella propria essenza, come capacità di attenzione sensibile all’altro (Mortari, 2015).

L’approccio pedagogico, attraverso la ricerca empirica e lo studio delle dinamiche educative e relazionali, incoraggia riflessioni e muove verso direzioni operative che colgono le specificità di ogni individuo. La cura qui intesa tiene quindi in considerazione i bisogni specifici di ogni persona nella direzione di una progettualità esistenziale (Bertin e Contini, 1983). Nel particolare contesto dei servizi di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati attivati nel territorio italiano, la relazione tra operatori dell’accoglienza e beneficiari dei progetti si concretizza in specifiche azioni di accompagnamento e supporto all’autonomia e alle scelte del soggetto, in linea con l’obiettivo di tracciare traiettorie progettuali e, allo stesso tempo, di orientare l’azione in direzione di empowerment1 (tra gli altri Dallago, 2006; Tolomelli, 2015). La figura dell’operatore dell’accoglienza sarà il focus di questa proposta. Attraverso l’analisi di interviste si rifletterà sulle specificità di tale professione, su ciò che emerge dalle rappresentazioni degli operatori stessi rispetto al proprio ruolo e alla relazione educativa con gli utenti, analizzando le competenze pedagogiche necessarie a chi opera in ambito sociale.

 

Accoglienza integrata e progettualità esistenziale: un incontro possibile?

I progetti Sprar, attivati dalla legge 189 del 2002 e coordinati dal Servizio Centrale, sono attuati su base volontaria dagli enti locali con il supporto delle realtà del terzo settore. In questi anni, in seguito all’incremento dei flussi migratori e alla necessità di provvedere in maniera strutturale alle trasformazioni in atto, è stata gradualmente estesa la diffusione dei progetti Sprar e il numero dei posti in accoglienza, con l’intento di dirigersi verso un modello di accoglienza integrata, che prevede, oltre a interventi di base come la predisposizione di vitto e alloggio, servizi volti a favorire l’acquisizione di strumenti per l’integrazione sociale e l’autonomia. Tra questi ricordiamo l’orientamento e l’accompagnamento alla conoscenza dei servizi sul territorio, alla formazione e riqualificazione linguistica e professionale, all’orientamento relativo all’inserimento lavorativo e abitativo, legale, sociale e sanitario.

Come dichiarato dal Manuale Operativo Sprar (Servizio Centrale, 2015), le specifiche attività riportate vengono prese in carico da un’équipe multidisciplinare (coordinatore dell’équipe, operatore dell’accoglienza, operatore legale, mediatore linguistico e culturale oltre a figure professionali come l’assistente sociale, lo psicologo e l’educatore professionale) che sostiene il percorso del beneficiario attraverso un approccio olistico, con lo scopo di attivare un percorso individuale e di empowerment nei singoli soggetti che miri a ridefinire le capacità di scelta e di progettazione e la percezione delle proprie potenzialità.

Il Manuale chiarisce che: «Nel prevedere tutti questi servizi è necessario che il percorso di accoglienza e di inclusione sociale della singola persona possa tenere conto della sua complessità (in termini di diritti e di doveri, di aspettative, di caratteristiche personali, di storia, di contesto culturale e politico di provenienza, ecc.) e dei suoi bisogni» (Servizio Centrale, 2015, p. 7).

Il paradigma dell’empowerment propone in questo senso di risignificare il rapporto tra il soggetto e la sua capacità di realizzare la propria soddisfazione, i propri desideri e la propria progettualità. In linea con tutti questi obiettivi, il paradigma teorico del Problematicismo Pedagogico rintraccia nella realizzazione reciproca e nell’apertura a possibilità di scelta l’esigenza di allontanare la chiusura individualistica e narcisistica, per indirizzarsi verso percorsi di crescita e progettazione esistenziale nel rapporto intersoggettivo (Bertin e Contini, 1983).

Giovanni Maria Bertin definisce la «progettazione esistenziale» come: «l’orientamento (più o meno consapevole) del soggetto (individuale o collettivo) rivolto a elaborare, vagliare e unificare aspirazioni, criteri di valore e obiettivi […] non in funzione dell’attuale (dell’esistente) ma in funzione del possibile (dell’esistenziale); ipotizzabile nell’immaginazione, verificabile nell’intelligenza, concretabile in un processo incessante (di costruzione e decostruzione) dell’esperienza in cui il soggetto è storicamente inserito, e, ovviamente, proiettato al futuro» (Bertin e Contini, 1983, pp. 90-91). La progettazione tuttavia è orientata dalle scelte del soggetto, risultato di riflessioni critiche ed esperienze vissute, dove compito dell’azione educativa è quello di fare emergere una responsabilità che sia capace di orientare e approfondire ciò che Bertin definisce come il momento della differenza.

L’educazione alla differenza, per quanto riguarda il rapporto con l’altro, ha l’obiettivo di superare modelli di riconoscimento che replicano gerarchie discriminatorie e di potere, identità omologanti e forme di conformismo sociale e culturale, verso un impegno individuale e sociale capace di rispettare ogni soggettività nel poter realizzarsi attraverso la propria differenza. In linea con queste direzioni, l’espressione bertiniana «realizza te stesso realizzando l’altro», come afferma Contini, «viene a incorporare la categoria della differenza come condizione fondamentale: se l’uomo è caratterizzato dalla mancanza di autosufficienza, non ha soltanto bisogno dell’altro, ma dell’altro differente da sé» (Bertin e Contini, 1983, p. 156). L’impegno che si richiede è quindi verso il superamento delle proprie opposizioni al cambiamento e l’apertura alla differenza dell’altro.

In quest’ottica, problematizzare gli aspetti intersoggettivi e identitari che caratterizzano il rapporto con l’altro oggi, in particolare con chi vive la migrazione forzata, permette non solo di cogliere criticità e punti di forza dei progetti Sprar, ma anche di orientare lo sguardo e aprire riflessioni verso le direzioni etiche, politiche e sociali perseguite dalla società ospitante.

Oggi, la realizzazione di percorsi di accoglienza integrata e la costruzione di un nuovo progetto di vita rivolti a persone richiedenti asilo e rifugiate, anche se rappresentano l’obiettivo auspicato e perseguito a livello governativo, trovano notevoli contraddizioni applicative, date, ad esempio, da un numero elevato di persone ancora accolte in Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) e tempi e procedure di esame della domanda di protezione molto lunghi e macchinosi. Ciò comporta, insieme ad altri fattori che ne conseguono, effetti negativi nelle pratiche di accoglienza e nella possibilità di ragionare e operare nella prospettiva di un reale percorso di inclusione sociale, un chiaro segnale di cambiamenti sostanziali che ancora faticano a realizzarsi.

Le risposte a livello politico, legislativo e sociale necessiterebbero, pertanto, di essere accompagnate da proposte operative pedagogico-educative, con lo scopo di tessere le trame per spazi e forme di incontro interculturale e di cittadinanza globale, verso la valorizzazione delle singole identità. Interrogare il sapere pedagogico come strumento di interpretazione delle relazioni umane intende avvicinare alla cura necessaria al comprendere, all’approssimarsi, all’accogliere l’altro da sé – il Volto dell’altro in termini lévinassiani (Lévinas, 1990) – e ciò che con esso si manifesta.

 

Operatrici e operatori dell’accoglienza nello Sprar

L’operatore dell’accoglienza, in accordo con le indicazioni nazionali, è una figura chiave del percorso e delle trasformazioni in atto all’interno delle pratiche di accoglienza. È colui che più di chiunque altro condivide con il beneficiario il progetto individuale, che solitamente si sviluppa nell’arco di almeno un anno, accompagnandolo e affiancandolo nella conoscenza del territorio, dei servizi, e facendo da «ponte» con la comunità locale. La costruzione di una relazione significativa prevede quindi particolare impegno e sensibilità da parte dell'operatore, che mette in campo la propria professionalità utilizzando saperi e competenze trasversali, cercando di porre uno sguardo attento all'esperienza individuale del beneficiario, dove la percezione di sé, in dialogo con la rappresentazione dei propri vissuti, vengono valorizzati e sostenuti. «Sulla base di un rapporto di reciprocità, il beneficiario diviene egli stesso protagonista del progetto di inserimento, collaborando direttamente con l’operatore» (Servizio Centrale, 2015, p. 22).

La figura dell’operatore dell’accoglienza, a una prima analisi degli intenti e delle indicazioni date a livello nazionale, riflette in se stessa particolari ambiguità, determinate da una disomogeneità di tipo contestuale nel territorio italiano. Infatti, ciò che le indicazioni nazionali illustrano si traduce in pratiche e agiti che spesso si discostano dagli obiettivi e dalle direzioni auspicate nei vari progetti messi in atto nei contesti locali.

Il mandato sociale dell’operatore, che consiste nel sostenere, orientare e accompagnare il richiedente asilo e rifugiato a ritrovare le proprie risorse e potenzialità e nella rilettura di un nuovo contesto di vita, richiede di essere considerato come aspetto essenziale. Per farlo, risulta necessario partire da percorsi di analisi e decostruzione della situazione esistente, che riflette nei contesti di accoglienza le esigenze e i valori di una società che persegue direzioni politiche e istituzionali di governance del sistema di integrazione che spesso si allontanano dai concreti bisogni di chi accoglie e di chi è accolto.

Uno dei primi nodi da analizzare è come lo stesso profilo di operatore sociale sia declinato, sia a livello terminologico, sia a livello professionale, in modo differenziato nel territorio nazionale. Questa particolare frammentarietà pone le basi per una riflessione sulla «liquidità» di una figura ancora in via di definizione, che rispecchia una complessità anche nei termini di mansioni e ruoli non sempre di facile interpretazione per gli stessi operatori, ma non solo. Ciò fa emergere come l’intero campo delle figure operanti in contesti sociali, se non espressamente definite da ordini professionali, fatichino ad acquisire una propria specificità e identità.

Pertanto, individuare nel ruolo dell’operatore dell’accoglienza le istanze pedagogiche pratico-operative, come evidenzia Piero Bertolini, consentirebbe un atteggiamento di comprensione dell’altro accompagnato da un intervento educativo che non sia un semplice indirizzare all’inserimento nella società di appartenenza, attraverso rigide soluzioni pre-determinate, ma occasioni esistenziali autentiche, di stimolo verso significati realmente soggettivi (Bertolini, 1988). Un’educazione che sia consapevole della propria rilevanza sociale e «della sua possibilità di svolgere una funzione eminentemente rivoluzionaria rispetto a prassi sociali pericolosamente sclerotizzate» (Bertolini, 1988, p. 7) richiama un’analisi attenta della contemporaneità e un impegno a declinare le proprie scelte in ambito culturale, intellettuale, pratico e morale. Così, sottolinea Bertolini (1988), risulta possibile adottare un atteggiamento trasformativo a differenza di uno meramente interpretativo, muovendosi in un panorama realistico e attuale.

 

Ruoli, progetto e relazioni: metodologia e analisi dello studio di caso

Lo studio, frutto di una ricerca di dottorato in corso, è stato condotto a partire dalla revisione della letteratura di riferimento in ambito multidisciplinare, a cui è seguito un periodo di osservazione etnografica (Semi, 2010) insieme alla realizzazione di interviste in profondità (Corbetta, 1999; Gobo, 2001; Cappelletto, 2009).

I piani presi in considerazione nello studio di caso svolto presso una cooperativa sociale del territorio bolognese sono stati i seguenti: il ruolo e le mansioni ricoperte dalle specifiche figure di operatore e coordinatore sulla base delle richieste istituzionali; il progetto, indagando i tempi e i modi in cui si realizza; le relazioni che si sviluppano all’interno delle pratiche di accoglienza. Questi tre aspetti sono stati esaminati attraverso l’analisi dei documenti istituzionali, 19 interviste semi-strutturate a operatori e coordinatori di un progetto Sprar adulti del territorio bolognese e da un periodo di osservazione partecipante tra ottobre e dicembre 2017, che hanno permesso di coglierne il mandato istituzionale, le rappresentazioni narrate dagli operatori stessi e le pratiche di accoglienza condotte e osservate sul campo.

Attraverso diversi livelli di analisi si è cercato quindi di mettere in luce un profilo professionale che, oltre a una complessità di competenze e mansioni, possa individuare nel proprio bagaglio conoscitivo e procedurale importanti strumenti pedagogici necessari a un lavoro di tipo relazionale e sociale, che tuteli un effettivo percorso di inclusione dei richiedenti asilo e rifugiati.

In questo paragrafo verranno ripresi alcuni estratti di interviste che risultano rilevanti per fare emergere, dalle narrazioni degli operatori stessi, alcuni elementi significativi relativi alla rappresentazione del proprio ruolo. Ciò sarà utile per cogliere alcune prime riflessioni sugli obiettivi di questa indagine, per esaminare le congruenze e le discrepanze tra le richieste istituzionali e le rappresentazioni che gli operatori hanno del proprio agito e per constatare come la costruzione di una relazione significativa sia effettivamente rilevante nel percorso di inclusione sociale.

L’analisi delle rappresentazioni degli operatori relativi agli obiettivi del progetto Sprar e agli strumenti che hanno a disposizione per l’effettivo raggiungimento degli stessi rileva, per ciò che riguarda la dimensione temporale, un duplice aspetto: da un lato emergono le esigenze relative a un maggiore tempo da dedicare ai singoli progetti dei beneficiari e alla relazione individuale con essi, e dall’altro si manifesta una aderenza alle richieste di espletamento di pratiche amministrative che scandisce la giornata lavorativa, il così detto back-office.

Ne sono chiari esempi le parole degli operatori che, nel rispondere alle domande inerenti al progetto Sprar e alla sua organizzazione, mettono in risalto immediatamente la mancanza di tempo da dedicare ai progetti individuali. Questo aspetto fa riferimento al coefficiente di tempo stabilito per ogni utente, che, al momento della raccolta dei dati all’interno della cooperativa sociale oggetto di studio, era di 2.6 a settimana, per un totale di circa 15 utenti seguiti da ogni operatore. Il coefficiente 2.6, in questo senso, come riportano gli operatori stessi, spesso va ad esaurirsi in una sala d’attesa per una visita o per una procedura in banca o negli uffici comunali, o come a volte accade, per un’emergenza dettata dall’ultimo minuto. Ciò comporta inevitabilmente il dover tralasciare alcuni aspetti meno urgenti e di solito ciò che è trascurato è proprio il momento di relazione.

Un operatore dell’accoglienza riferisce a riguardo:

 

«Gli spazi relazionali sono molto ristretti e devi ricrearli in modo informale, cioè negli interstizi. È molto difficile ritagliare lo spazio per coltivare la relazione all'interno delle attività che conduci. Tutte le attività integrative che dovrebbero essere una parte importante del progetto e che sarebbero quelle che ti permettono di creare più relazione sono davvero le più residuali. Penso che la mediazione degli operatori sia molto funzionale ad avvicinare a determinati contesti» (Op. 4).

 

In questo estratto l’operatore sottolinea l’importanza di sostenere i beneficiari del progetto nel frequentare attività integrative, come corsi o laboratori, che risultano fondamentali sia durante il progetto per consolidare conoscenze e sviluppare autonomia, sia nella costruzione di una rete sociale al di fuori dello Sprar. 

La dimensione pedagogica del ruolo dell’operatore si rintraccia, in queste brevi riflessioni, nella cura degli spazi e del tempo, nella lettura dei significati e dei bisogni, della giusta distanza per rispondere e comprendere, attraverso le proprie competenze relazionali, empatiche, riflessive, l’esperienza soggettiva dell’utente e a svolgere la propria funzione di accompagnamento al progetto.

L’operatore continua evidenziando come sia frequente riscontrare molte stanchezze nelle persone, se non alcune resistenze da parte dei beneficiari a sperimentare situazioni nuove. In questi casi la giusta mediazione dell’operatore, ad esempio con pratiche di empowerment effettuate in spazi e momenti dedicati, con l’obiettivo di favorire l’accrescimento di una consapevolezza critica dei beneficiari nel costruire attivamente la propria vita e nel valorizzare le risorse personali, sarebbe uno strumento efficace ad affrontare e rispondere a richieste e bisogni dei singoli soggetti.

Nel rispondere alla domanda relativa alla propria giornata-tipo, emerge infatti come il tempo quotidiano dell’operatore sia scandito da momenti di back-office,2 accompagnamenti, colloqui, monitoraggio degli appartamenti, riunioni di équipe, dove il gruppo di lavoro cerca di dare uno sguardo comune alla settimana e definire gli impegni collettivi, per poi organizzare gli altri impegni in modo da ottimizzare il tempo a disposizione. I colloqui individuali, oltre a quelli di ingresso e di uscita dal progetto, rappresentano uno dei momenti principali in cui le dinamiche relazionali hanno luogo. Spesso effettuati in ufficio e in altri spazi adibiti, sono momenti in cui si manifestano le principali esigenze dei beneficiari, dal confronto sulla necessità di svolgere visite mediche, corsi o attività specifiche, sull’andamento del percorso individuale e sulla necessità di formulare il proprio curriculum o la ricerca del lavoro e della casa in vista dell’uscita dal progetto. Questi particolari momenti che scandiscono il progetto specifico di ogni beneficiario trovano spazi diversi in base ai tempi che ogni operatore riesce a dedicare.

Al proposito un operatore riporta:

 

«Per fare tutto questo ci vorrebbe molto più tempo, e molta più possibilità di avere tempo per stare con le persone e fare maturare a loro, e a te con loro, delle riflessioni… e questo tempo oggi non ce l’abbiamo. Questa è la condizione che viviamo. Noi facciamo fatica all’interno del nostro monte ore a dire: “ti prendo un appuntamento e facciamo il curriculum e facciamo…”queste cose qua3… cioè noi lo facciamo ma con dei tempi molto molto più laschi. Però capisci che c’è gente che ha bisogno di queste cose qua, che è interessata e che vuole imparare» (Op. 6).

 

Nel perseguire questa direzione, l’operatore avrebbe la necessità di svolgere colloqui individuali frequenti per decifrare le esigenze di ogni singolo soggetto e definire il proprio intervento di co-costruzione del progetto con il beneficiario in maniera mirata alle richieste e alle esigenze, più o meno dirette, che gli vengono poste.

Per ciò che riguarda la relazione con utenti in fase adolescenziale, risulta fondamentale che la presa in carico del ragazzo o della ragazza risponda alle esigenze di questa particolare fase di vita. Come riportato dai dati relativi all’area metropolitana di Bologna,4 la maggior parte dei beneficiari accolti all’interno delle strutture di prima e seconda accoglienza del territorio, ha un’età compresa tra i 18 e i 25 anni.

Dalle parole di un operatore:

 

«Chi chiede di più questa parte [relazionale] sono i ragazzi che sono da soli qui, molti dei quali sono prima stati allo Sprar minori, che è un mondo complicato perché, anche solo per come è concepito il minore in Italia, tu sei minore quindi totalmente dipendente da qualcuno che ha la tua responsabilità fino a un giorno e dal giorno dopo tu sei un adulto. Questa cosa oltre a non essere verosimile fa sì che tutti quelli che escono dallo Sprar minori, non tutti ok, ma la stragrande maggioranza, deve proprio riscoprire un’autonomia che ha perso totalmente, una responsabilità delle proprie cose…» (Op. 2).

 

In questo stralcio emerge la sostanziale differenza tra gli interventi svolti all’interno di alcuni progetti Sprar minori e lo Sprar adulti, dove, nel caso riportato, le pratiche di accoglienza proposte nel primo servizio non favoriscono la costruzione di un reale percorso di autonomia, con la conseguenza che le ragazze e i ragazzi vengano «sbalzati» a un approccio completamente diverso all’interno dello Sprar adulti al compimento della maggiore età. Com’è noto, la fase di sviluppo adolescenziale non presenta demarcazioni nette e si protrae oltre il compimento del diciottesimo anno di età, soprattutto in casi in cui il percorso di vita del soggetto fino a quel momento ha subito numerosi traumi e importanti sfide (Havighurst, 1952; Dolto, 1998; Steinberg, 2005). Due approcci così lontani tra loro, come pratiche di accoglienza di tipo assistenziale che portano l’operatore a sostituirsi al beneficiario del progetto non consentendo lo sviluppo di una reale autonomia e, allo stesso tempo, azioni che non tengono quindi conto dei particolari bisogni che questa fase di sviluppo richiede, ostacolano la capacità di costruire da parte dell’operatore una alleanza educativa e comunicativa che metta in ascolto le due parti al fine di creare una relazione significativa.

Lo sviluppo dell’autonomia mette in campo particolari specificità e si modella in base alle singole esigenze del soggetto, in ogni singola fase della sua vita. In ogni livello analizzato in questa indagine non vi è particolare riferimento a questo aspetto, sebbene in alcune interviste emerga la consapevolezza di lavorare spesso con delle persone «in tappe», con peculiarità che riportano a esigenze e strategie diverse da adottare dettate dall’età, dal background culturale e dalle abitudini che caratterizzano ogni storia. Infatti, per quel che concerne la specifica fase adolescenziale, spesso viene «eliminata» quando, legalmente, si acquisisce la maggiore età, ma richiederebbe particolari attenzioni proprio per il particolare momento di transizione tra la fase infantile e quella adulta e le relative trasformazioni di carattere emotivo, fisico e psicologico che contribuiscono a formare la propria identità (Erikson, 1974).

Infatti, tra gli strumenti che l’operatore ha a disposizione per svolgere la propria funzione – come esplicitato dal Manuale Operativo – troviamo l’ascolto empatico e la capacità di costruire una relazione in grado di sviluppare un dialogo e una negoziazione tale da incentivare la conoscenza del beneficiario e del suo vissuto. Inoltre, una condizione che è risultata centrale in tutti i livelli analizzati e che rappresenta un elemento cardine e uno strumento fondamentale nella cooperativa analizzata è la dimensione dell’équipe. La condivisione all’interno dell’équipe degli interventi svolti si rileva come un punto di forza per verificare e valutare le proprie modalità di lavoro e nel sostenersi e confrontarsi rispetto alle decisioni prese o le direzioni da percorrere.

Un ulteriore elemento positivo che caratterizza la realtà analizzata è la presenza di due differenti momenti di supervisione con psicoterapeuti per ogni équipe di lavoro: il primo, dove l’équipe si confronta su specifici casi trattati che richiedono di essere analizzati con profondità per rintracciare, insieme, strategie utili alla buona riuscita del progetto. Il secondo, finalizzato a concedere al gruppo di lavoro momenti e strumenti per ritrovare una maggiore consapevolezza del proprio agito e della propria professionalità. 

 

Riflessioni conclusive e alcune strade percorribili

Il senso di inquietudine e frustrazione che emerge dalle parole degli operatori e dei coordinatori è relativo a una confusione nell’interpretazione del proprio mandato, riferito a obiettivi molto ambiziosi da parte del progetto a livello nazionale, a loro volta delineati dalle linee guida con una molteplicità di competenze e mansioni, ma che inevitabilmente si incontrano e spesso si scontrano con assetti politici e istituzionali con finalità dissonanti e da trasformazioni continue in ambito locale. Funzioni professionali di carattere sociale faticano ad avere spazio di azione e riflessione, seppur in una realtà come quella osservata che opera su livelli alti in termini qualitativi, organizzativi e gestionali. Gli operatori stessi si definiscono come «equilibristi», chiamati costantemente a definirsi e ri-definirsi nelle loro funzioni di mediazione, orientamento, supporto, accompagnamento, prossimità, ma anche e soprattutto nelle loro funzioni amministrative, se non di «controllo» o «potere» nelle relazioni asimmetriche che si instaurano con i beneficiari del progetto.

Ciò che sarebbe percorribile attraverso due punti di forza, riscontrabili nelle risorse economiche investite nel progetto Sprar e nelle risorse intellettuali dei lavoratori impiegati, frutto di una preparazione e un background di studi ed esperienze lavorative valevoli, trova però un’incongruenza rispetto a una sostanziale contraddizione di intenti istituzionali e sociali e un’ampia scala di accoglienza che, ad oggi, non riflette ancora gli obiettivi di una «accoglienza integrata e diffusa».

Inoltre, la necessità di rafforzare e/o cambiare modalità operative, tempi e priorità nelle mansioni svolte porterebbe a una maggiore coerenza tra ciò che viene richiesto agli operatori e gli strumenti a disposizione per perseguirli, dove spesso la contraddizione si ritrova proprio in istanze operative che soddisfano principalmente funzioni di tipo amministrativo e burocratico, togliendo spazio agli obiettivi di carattere relazionale, centrali in un progetto di inclusione sociale.

La discordanza che alcuni operatori ravvisano tra ciò che è sollecitato dal mandato istituzionale e ciò che effettivamente è messo in atto emerge, dalle loro parole, nella confusione politica-organizzativa e su come questa abbia effetti contrastanti sulle responsabilità dell’operatore nel suo agito quotidiano. Nel concreto, ciò si manifesta nella difficoltà di portare a termine numerosi compiti ritenuti essenziali dagli operatori nel processo di inclusione del soggetto migrante, ma anche in una distanza nel riconoscersi e nel condividere le trasformazioni gestionali e legislative in atto.

Come sintetizzato dalle parole di un operatore:

 

«Il fatto è che da mansionario l’operatrice e l’operatore dell’accoglienza dovrebbero essere dedicati alla relazione con la persona, a tutto quel lavoro di ricerca sul territorio e di opportunità e risorse insieme o senza la persona, e quindi di integrazione reale, perché poi l’integrazione reale la si fa relazionandosi alla persona ma anche al territorio insieme alla persona, altrimenti c’è poco da fare. Mettere in rete la persona e in contatto con altre figure e altre persone che non siano il progetto Sprar, ma che siano fuori… tutto questo lavoro dovrebbe essere la mansione principale dell’operatore dell’accoglienza» (Op. 6).

 

Le fitte trame in cui si intersecano le dimensioni istituzionali e sociali e la rete in cui si concretizzano costituiscono un campo complesso di analisi, che pone le basi nell’interpretazione dei dispositivi di lettura e di azione degli operatori stessi. Infatti, sapersi confrontare con i sistemi di significato è una delle competenze pedagogiche di base che sostanziano il lavoro dell’operatore, nel proprio porsi e orientarsi all’interno dei sistemi in cui opera. Aderire o meno all’apparato complesso in cui si trovano ad agire ‒ spesso imposto dalle logiche attualmente presenti in termini gestionali e organizzativi ‒ comporta inevitabilmente una scelta, una presa di posizione etica entro cui delineare il proprio agire ed entro cui contribuire alle trasformazioni auspicate.

L’operatore sociale è chiamato quindi a rintracciare all’interno del suo stesso ruolo una consapevolezza politica che deve mantenere viva, avendo cura di comprendere le dimensioni in cui è inserito, i suoi vincoli e i dispositivi entro cui è chiamato a intervenire, portando all’interno di essi la propria morale e individuando una cornice collettiva in cui ritrovarsi.

 

Bibliografia

Bauman Z. (2002), Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza.

Bertin G.M. e Contini M. (1983), Costruire l’esistenza: il riscatto della ragione educativa, Roma, Armando.

Bertin G.M. e Contini M. (2004), Educazione alla progettualità esistenziale, Roma, Armando.

Bertolini P. (1988), L'esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata, Firenze, La Nuova Italia.

Cappelletto F. (2009), Vivere l’etnografia, Firenze, Seid.

Castles S. e Miller M.J. (1993/2012), L’era delle migrazioni. Popoli in movimento nel mondo contemporaneo, Bologna, Odoya.

Catarci M. (2011), L’integrazione dei rifugiati: formazione e inclusione nelle rappresentazioni degli operatori sociali, Milano, FrancoAngeli.

Corbetta P. (1999), Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Bologna, il Mulino.

Dal Lago A. (2004), Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Milano, Feltrinelli.

Dallago L. (2006), Che cos’è l’empowerment, Roma, Carocci.

Derrida J. e Dufourmantelle A. (2000), Sull’ospitalità, Milano, Dalai.

Dolto F. (1998), I problemi degli adolescenti, Milano, TEA.

Erikson E.H. (1974), Gioventù e crisi d’identità, Roma, Armando.

Gobo G. (2001), Descrivere il mondo. Teoria e pratica del mondo etnografico in sociologia, Roma, Carocci.

Havighurst J. (1952), Developmental tasks and education, New York, Davis McKay.

Lévinas E. (1990), Totalità e infinito, Milano, Jaka Book.

Mortari L. (2015), Filosofia della cura, Milano, Cortina.

Olivieri M.S. (2012), Territorio e inserimento. In M. Giovannetti e M.S. Olivieri (a cura di), Tessere l’inclusione: territori, operatori e rifugiati, Roma, Servizio Centrale.

Pinelli B. (2011), Attraversando il Mediterraneo. Il sistema campo in Italia: violenza e soggettività nelle esperienze delle donne, «Lares», Anno LXXVII, n. 1, pp. 159-179.

Riccio B. (a cura di) (2014), Antropologia e migrazioni, Roma, CISU.

Semi G. (2010), L’osservazione partecipante. Una guida pratica, Bologna, Il Mulino.

Servizio Centrale (2015), Manuale Operativo per l’attivazione e la gestione di servizi di accoglienza integrata in favore di richiedenti e titolari di protezione internazionale e umanitaria, http://www.sprar.it/tag/manuale-operativo (ultimo accesso 4/05/18).

Sorgoni B. (a cura di) (2011), Etnografia dell’accoglienza. Rifugiati e richiedenti asilo a Ravenna, Roma, CISU.

Steinberg L. (2005), Adolescence, New York, McGraw-Hill Higher Education.

Tolomelli A. (2015), Homo Eligens. L’empowerment come paradigma della formazione, Bergamo, Junior.



Note

1 Il termine Empowerment, oggi utilizzato per riferirsi a una pluralità di significati e adottato in vari contesti di applicazione, corre il rischio di essere impiegato in termini evocativi o poco adeguati e difficilmente approfondito in ambito operativo. Qui si vuole sottolineare l’importanza, per gli operatori del settore, di approfondire i principi teorici e applicativi di tale paradigma, per indirizzare il proprio intervento formativo e sociale verso quel processo di ampliamento delle possibilità del soggetto attraverso la mobilitazione delle risorse e delle capacità personali.
2 Gli attori intervistati fanno riferimento, in generale, alle pratiche di back-office come a tutte quelle attività amministrative e gestionali svolte in ufficio. Ad esempio, la compilazione del fascicolo personale, l’anagrafica degli ospiti presenti nelle diverse strutture seguite, la rendicontazione via mail con altri attori sociali, la gestione dei rimborsi, ecc.
3 L’operatore intervistato fa riferimento al tempo dedicato ai colloqui individuali, finalizzati alla conoscenza dei beneficiari e alla comprensione dei loro bisogni e delle attitudini, in cui si co-costruisce il progetto individuale attraverso la ricerca di attività, laboratori, corsi da svolgere, la compilazione del curriculum vitae, la ricerca casa, ecc.
4 Per un approfondimento dei dati relativi all’accoglienza nell’area metropolitana di Bologna si veda il sito Bologna Cares!, disponibile al link http://www.bolognacares.it/, relativo al servizio di comunicazione del progetto Sprar del Comune di Bologna. Il sito, attraverso i dati forniti dalla Prefettura e dagli enti locali territoriali, presenta con delle infografiche aggiornate mensilmente, la dimensione dell’accoglienza nell’area metropolitana e, a cadenza trimestrale, le grafiche relative alle caratteristiche degli accolti.

DOI: 10.14605/EI1621803


© 2018 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
ISSN 2420-8175. Educazione interculturale.
Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione con qualsiasi mezzo effettuata, se non previa autorizzazione dell'Editore.

Indietro