Esistono sottotipi differenti di dislessia? Una breve rassegna della letteratura

Enrico Ghidoni

Il comune riscontro clinico di notevoli differenze tra le persone con dislessia ha stimolato la ricerca per definire sottotipi di riferimento per la classificazione dei singoli casi. In oltre trenta anni di ricerche, sono state proposte successive differenti classificazioni spesso su base dicotomica, ad esempio, dislessia diseidetica vs disfonetica, dislessia linguistica (L) vs percettiva (P), dislessia fonologica vs superficiale. Una discussione a parte merita il riscontro di casi che presentano un disturbo della denominazione rapida. Le analisi più sofisticate giungono a una più fine descrizione delle sottocomponenti cognitive dei processi coinvolti nel caso singolo. L’evoluzione della tassonomia (DSM-5 e ICD-11) ha preso atto della difficoltà a individuare profili ben definiti e propone ora un inquadramento che prevede un’unica categoria di disturbo specifico di apprendimento, che poi nei casi singoli si articola con un differente interessamento delle principali funzioni strumentali (lettura, scrittura, calcolo). Si è giunti a questa soluzione provvisoria, dopo molte ricerche sul piano clinico e neuro-psicologico, a cui negli ultimi anni si è aggiunto anche il tentativo di una definizione delle basi neurobiologiche per i diversi profili. Nonostante i risultati non conclusivi, la ricerca di una definizione sia clinica sia neurobiologica dei sottotipi è tuttora un’area attiva di indagine, che ha permesso di accumulare dati, scoperte e ipotesi.

DOI
10.14605/DIS0112003

Keywords
Dislessia, Disturbo specifico di apprendimento, Sottotipi, Profilo funzionale.

Indietro