Il TNPEE

Erickson

Vol. 1, n. 2, novembre 2019

(pp. 47-62)

METODOLOGIE DIDATTICHE CENTRATE SULLO STUDENTE: PROGETTO PER L’INTRODUZIONE DEI TUTOR CLINICI NEL CORSO DI LAUREA IN TERAPIA DELLA NEURO E PSICOMOTRICITÀ DELL’ETÀ EVOLUTIVA DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA CAMPANIA «LUIGI VANVITELLI»

Dr.ssa Rita Abrunzo TNPEE, Presidio di Riabilitazione dei Padri Trinitari A. Quarto di Palo e Mons. G. Di Donna, Andria (BT)

Sommario

È noto che gli adulti non imparano come i bambini e gli adolescenti, ma che esiste una scienza dedicata all’apprendimento e all’educazione degli adulti: l’andragogia. Quest’ultima si serve di diverse metodologie e principalmente di quelle centrate sullo studente che, posto al centro della sua formazione, si rende responsabile del proprio apprendimento. Da una revisione sistematica della letteratura scientifica sulle principali metodologie didattiche centrate sullo studente, la più efficace, in termini di benefici di apprendimento, e la più utilizzata nella didattica nei corsi di laurea delle Professioni Sanitarie è il Problem Based Learning. Il progetto ideato si serve di questa metodologia per inserire i Tutor Clinici (Legge 19/11/1990, n. 341, art. 3, Riforma degli ordinamenti didattici universitari: introduzione funzione tutoriale) nel Corso di Laurea in Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli.

Parole chiave

Tutor Clinico, tirocinio, professioni sanitarie, problem based learning, andragogia.

Premessa

Nell’ambito della didattica universitaria, alcuni formatori e docenti hanno cercato di introdurre cambiamenti nei curricula per la formazione del personale sanitario e hanno iniziato a inserire nuovi moduli didattici per favorire il raggiungimento di singole competenze: in alcuni casi si è trattato di moduli didattici dedicati alle mappe concettuali per far apprendere ad apprendere, in altri casi di moduli dedicati alla riflessione critica sulla propria esperienza. In altri casi, invece, il corpo docente ha deciso di introdurre un cambiamento più radicale che trasformasse l’intero curriculum. In questi ultimi casi, dove la trasformazione è più importante, si rileva che il metodo dell’apprendimento per problemi è un approccio foriero di grandi promesse. L’obiettivo dello studio è dimostrare la validità del Problem Based Learning come metodologia didattica in campo sanitario e l’utilità dell’inserimento di quest’ultima in un progetto per l’introduzione dei Tutor Clinici nel Corso di Laurea in Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli.

Materiali e metodi

Sono state confrontate le principali metodologie didattiche centrate sullo studente. È stato poi formulato e somministrato un questionario di 21 domande, diviso in quattro sezioni per analizzare le attività di tirocinio del Corso di Laurea su citato.

Campione

Le metodologie didattiche centrate sullo studente messe a confronto sono: Problem Based Learning, Inquiry Based Learning, Project Based Learning, Lecture Based Learning, Cooperative Based Learning. Il questionario, invece, è stato sottoposto a 55 soggetti che hanno frequentato il Corso di Laurea suddetto dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli dall’anno accademico 2009/2010 al corrente (2018/2019) e anche a soggetti che non hanno ancora conseguito il titolo.

Disegno di studio

Lo studio si compone di:

  1. una revisione della letteratura scientifica delle metodologie didattiche centrate sullo studente;
  2. un questionario anonimo sulle attività di tirocinio.

Analisi dei dati

Sono state analizzate le principali caratteristiche delle metodologie didattiche suddette. I risultati del questionario sono, invece, stati analizzati tramite l’applicazione Google Forms.

Risultati della revisione della letteratura scientifica

Dalle informazioni derivanti dagli studi sull’andragogia, è stato dimostrato che gli adulti modificano i propri comportamenti solo quando realmente apprendono, e apprendono quando sono motivati e quando tale apprendimento può essere rapidamente utilizzato nella vita di tutti i giorni. Il modello andragogico, cioè rivolto all’educazione degli adulti, dello studioso americano Malcom Knowles si basa su una serie di presupposti specifici che lo distinguono da quello pedagogico, cioè rivolto all’educazione dei fanciulli e degli adolescenti (vedi tabella 1):

  1. per poter apprendere l’adulto deve sentire in sé il bisogno di conoscere;
  2. inoltre, deve sentire che il concetto di sé viene rispettato dall’educatore. Egli, cioè, deve essere collocato in una situazione di autonomia (vs dipendenza);
  3. nell’educazione dell’adulto ha un ruolo essenziale l’esperienza, sia come attività di apprendimento, sia come pregresso talvolta negativo che costituisce una barriera di pregiudizi e abiti mentali che fa resistenza all’apprendimento;
  4. l’apprendimento degli adulti è centrato sulla vita reale;
  5. le motivazioni più forti nel processo di apprendimento dell’adulto sono quelle interne: desiderio di una maggiore soddisfazione nel lavoro, autostima, qualità della vita.

Tabella 1 - pedagogia vs andragogia

I principi alla base di un apprendimento efficace degli adulti, quindi, sono i seguenti:

  1. partire dal lavoro che i discenti svolgono e dai problemi di lavoro che essi devono risolvere (problem-based learning);
  2. stabilire un ambiente di apprendimento confortevole, nel quale i discenti si sentano a proprio agio, liberi di esprimersi e non soggetti a giudizi;
  3. coinvolgere i discenti nell’identificazione dei propri fabbisogni formativi, degli obiettivi di apprendimento e dei metodi e delle risorse più appropriati per raggiungere tali obiettivi, favorendo la capacità di divenire responsabili del proprio apprendimento (self-directed learning);
  4. utilizzare l’esperienza dei discenti come risorsa indispensabile, come valore aggiunto, come co-docenza, senza la quale ogni messaggio corre il rischio di non essere recepito. L’insegnamento va inteso non come trasmissione di conoscenze, bensì come facilitazione dell’apprendimento e quest’ultimo si costruisce su ciò che i discenti già sanno e sulla loro disponibilità ad approfondire, eventualmente, le precedenti conoscenze, utilizzando un confronto basato sulla sperimentazione e sulla discussione critica (costruttivismo);
  5. sostenere i discenti nel loro percorso di apprendimento e nella valutazione critica dell’apprendimento stesso, contribuendo a rafforzare la loro autostima e la loro convinzione di essere capaci di rispondere agli scenari sempre mutevoli che il lavoro clinico propone (self efficacy);
  6. privilegiare, per quanto riguarda la formazione residenziale (definita anche in presenza), le attività a piccoli gruppi, che lavorino con una metodologia tutoriale e che mantengano uno stretto contatto con la pratica clinica dei partecipanti. Grandi vantaggi per un apprendimento auto-diretto e libero possono essere forniti dalla formazione a distanza (FAD), specialmente se capace di stimolare la ricerca delle evidenze scientifiche di interesse per i discenti. La formazione sul campo (FSC), infine, organizzata in piccoli gruppi e nell’ambiente di lavoro dei professionisti, o anche come stage individuali, può contribuire a una riflessione critica sulla pratica clinica, a un miglioramento delle competenze gestuali e relazionali e, al tempo stesso, può stimolare percorsi di miglioramento dell’organizzazione e di promozione del lavoro di gruppo;
  7. puntare a essere interdisciplinare: se la salute è il risultato di strategie e interventi in vari settori della società e della vita produttiva, non ci si può limitare, nel trattare un argomento, all’analisi dei soli fattori sanitari, senza considerare quelli sociali, psicologici, economici, organizzativi, politici;
  8. porsi l’obiettivo di creare, al lato delle necessarie conoscenze e competenze, la passione di capire le cose per proprio conto, di continuare autonomamente a studiare per tutta la vita professionale. Un professionista può partecipare in modo efficace a un evento residenziale finalizzato ad acquisire abilità gestuali o relazionali o a un atelier di formazione sul campo per migliorare un aspetto organizzativo del suo lavoro, solo se è motivato e dà valore alla formazione cui ha aderito. Nessun docente, per quanto capace, può costringere ad apprendere, ma può, forse, trasmettere la passione e il piacere di sentirsi responsabili della propria crescita;
  9. stimolare nei discenti un patrimonio, piuttosto che di sapere mnemonico/cognitivo, di intelligenza emotiva e di abilità di riflessione critica sulla propria pratica clinica, riflessione mentre si agisce (in action) e riflessione su ciò che si è fatto (on action), che permetta di dare risposte alle necessità sempre mutevoli che la vita lavorativa propone.

Per tale motivo, si rende utile il ricorso a metodi didattici che mettano al centro dell’apprendimento lo studente. Per metodo si intende il percorso che conduce al risultato; esso riguarda il come insegnare ma ha origine dall’intreccio di due fattori: il che cosa e a chi si vuole insegnare. Nel suo significato generale, il termine metodo indica l’insieme delle norme e dei principi procedurali, secondo i quali si svolge una determinata attività. Insegnare significa letteralmente fare un segno (signum) dentro qualcuno, produrre delle soggettività, ovvero un carattere o valore soggettivo. Perché questo segno impresso non equivalga a una semplice imposizione, nel senso di dare una forma voluta, insegnare dovrebbe divenire sinonimo di insegnare a pensare, insegnare a vivere e occupare il proprio posto in una società improntata a ideali di libertà e di democrazia. Apprendere vuol dire, invece, cambiamento (relativamente) permanente del comportamento derivante dall’esperienza. Quindi apprendere significa in qualche modo cambiare. È pertanto un processo complesso che investe la persona nella sua interezza, nel senso che coinvolge elementi diversi: non solo cognitivi ma anche affettivi, socioculturali, esperenziali, didattici, organizzativi, che possono influenzarsi reciprocamente. Insegnare e apprendere sono, pertanto, in stretta correlazione e per questo molto più correttamente si utilizza la formula: metodi di insegnamento/apprendimento. L’apprendimento, infatti, è strettamente legato al metodo di insegnamento anche se non sempre è sufficiente insegnare perché l’alunno apprenda. I metodi di insegnamento/apprendimento si possono raggruppare in quattro grandi categorie:

  1. insegnare e apprendere attraverso la trasmissione del sapere;
  2. insegnare e apprendere per imitazione;
  3. insegnare e apprendere attraverso approcci costruttivisti;
  4. insegnare e apprendere attraverso la ricerca di gruppo.

Tra i metodi di insegnamento/apprendimento basati sulla trasmissione del sapere c’è il Lecture Based Learning, introdotto per la prima volta dall’American Medical College Association e dall’American Academy of Medicine nel 1894, ed è stato utilizzato dalla maggior parte delle scuole mediche e di altro tipo. Tradizionalmente consiste in lezioni didattiche. Il LBL è stato al centro dell’istruzione nella maggior parte delle università mediche. Si concentra sulla conoscenza e sulla memorizzazione dei fatti, offrendo poche possibilità di applicazione delle conoscenze acquisite dalla scienza di base alla situazione lavorativa.

Tra i metodi che si basano su approcci costruttivisti si colloca il metodo di insegnamento/apprendimento basato sui problemi, o Problem Based Learning (PBL), che viene attuato utilizzando piccoli gruppi condotti da un tutor che funge da facilitatore e propone problemi realistici, ma incompleti. Gli studenti discutono prima fra loro e, successivamente, ricercano al di fuori del gruppo le informazioni necessarie per risolvere il problema affrontato. Il PBL non è solo una metodologia didattica, perché la sua adozione comporta sia una riorganizzazione del curriculum intorno a problemi olistici che portano gli studenti ad apprendere in modo rilevante e integrato, sia la creazione di ambienti di apprendimento nei quali i docenti guidano l’indagine e la ricerca del gruppo, facilitando un livello più approfondito di comprensione. Presenta, inoltre, alcune caratteristiche peculiari:

  1. il punto di partenza dell’apprendimento deve essere un problema che il discente desidera risolvere;
  2. è un approccio centrato sullo studente, con una particolare enfasi sull’apprendimento autodiretto;
  3. si svolge in piccoli gruppi composti da 5-10 studenti:
  4. utilizza la procedura dei 7 salti (vedi tabella 2);
  5. deve prevedere un determinato setting formativo: stanza relativamente piccola, tavolo rotondo, lavagna a fogli mobili ecc.

Tabella 2 - procedura dei 7 salti

Oltre a questo, anche il Project Based Learning (apprendimento basato su progetti) ha un approccio costruttivista ed è focalizzato sulla creazione di artefatti aventi valenza cognitiva e che siano risultato di un processo consapevole, dunque fondato su un’attività progettuale. L’attività è centrata sull’allievo che assume un ruolo attivo nella conduzione dell’attività stessa che viene sviluppata in modalità collaborativa. Obiettivo dell’attività è affrontare un compito reale o autentico che coinvolga la dimensione cognitiva e meta-cognitiva di una o più discipline. Entro tale situazione gli studenti dovranno interagire con l’ambiente di apprendimento, definire i problemi, esplorare possibili soluzioni, ricercare risorse, prevedere situazioni, utilizzare diversi canali comunicativi. La messa a punto e realizzazione del progetto si conclude con la produzione di qualcosa. I progetti sono compiti complessi, basati su domande stimolanti o problemi, che coinvolgono collaborativamente, per periodi piuttosto lunghi di tempo, gli studenti nella progettazione, nella risoluzione di problemi, nel processo decisionale o in attività di ricerca. Mediante i progetti gli allievi acquisiscono autonomia e responsabilità, sviluppano competenze e applicano conoscenze, apprendendo in modo significativo. I progetti culminano con la realizzazione di prodotti autentici.

Tra i metodi di insegnamento/apprendimento che si servono della ricerca di gruppo si colloca l’Inquiry based Learning (apprendimento basato sull’indagine) che è fondato sulla traslazione in ambito didattico della metodologia dell’investigazione scientifica; è un approccio alla didattica centrato sullo studente e collaborativo pone infatti gli studenti nella situazione di dover affrontare un problema complesso che devono comprendere e a partire da cui devono definire una serie di domande a cui trovare una risposta, rispondere attraverso una ricerca che mira a elaborare delle ipotesi e individuare procedure atte a verificarle. Il percorso tipico dell’apprendimento basato sull’indagine è schematizzabile come un circolo, detto Ciclo dell’indagine o Inquiry Cycle, in cui si succedono i seguenti momenti: chiedi, investiga, crea, discuti, rifletti; a questo punto il ciclo può ricominciare. In altri casi, l’IBL viene rappresentato secondo il modello Ladder (vedi tabella 3).

Tabella 3 - Modello Ladder

Secondo il National Research Council americano quando gli studenti lavorano con un approccio basato sull’investigazione (NRC, 2000) dovrebbero:

  1. essere coinvolti attivamente da domande significative dal punto di vista scientifico;
  2. dare grande importanza alle evidenze attraverso cui sviluppare e valutare le spiegazioni che affrontano le domande scientifiche;
  3. sviluppare e formulare spiegazioni a partire dalle evidenze (dirette e indirette);
  4. valutare tali spiegazioni alla luce delle spiegazioni alternative (confronto tra pari e confronto con le conoscenze scientifiche);
  5. comunicare e giustificare le spiegazioni da loro proposte.

Infine, l’apprendimento cooperativo (Cooperative Learning, CL) è un processo di istruzione che coinvolge gli studenti nel lavoro di gruppo per raggiungere un fine comune caratterizzato dai seguenti elementi:

  1. positiva interdipendenza. I membri del gruppo fanno affidamento gli uni sugli altri per raggiungere lo scopo. Se qualcuno nel gruppo non fa la propria parte, anche gli altri ne subiscono le conseguenze. Gli studenti si devono sentire responsabili del loro personale apprendimento e dell’apprendimento degli altri membri del gruppo;
  2. responsabilità individuale. Tutti gli studenti in un gruppo devono rendere conto per la propria parte del lavoro e di quanto hanno appreso. Ogni studente, nelle prove di esame, dovrà rendere conto personalmente di quanto ha appreso;
  3. interazione faccia a faccia. Benché parte del lavoro di gruppo possa essere spartita e svolta individualmente, è necessario che i componenti del gruppo lavorino in modo interattivo, verificando a vicenda la catena del ragionamento, le conclusioni, le difficoltà e fornendosi feedback. In questo modo si ottiene anche un altro vantaggio: gli studenti si insegnano a vicenda. Questa opportunità viene elencata nei Comandamenti Educativi da Johnstone;
  4. uso appropriato delle abilità nella collaborazione. Gli studenti nel gruppo vengono incoraggiati e aiutati a sviluppare la fiducia nelle proprie capacità, la leadership, la comunicazione, il prendere delle decisioni e difenderle, la gestione dei conflitti nei rapporti interpersonali;
  5. valutazione del lavoro. I membri periodicamente valutano l’efficacia del loro lavoro e il funzionamento del gruppo e identificano i cambiamenti necessari per migliorarne l’efficienza.

Risultati del questionario

Lo scopo dell’intervista era quello di ottenere una valutazione e un’opinione riguardo le attività di tirocinio svolte durante gli anni di Corso di Laurea triennale in Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva presso l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli e in particolare, evidenziare l’eventuale presenza di criticità in merito all’organizzazione e ai contenuti dell’attività e valutare la figura, se presente, del Tutor Clinico all’interno delle stesse.

Nella prima sezione, sezione introduttiva, sono state poste le seguenti domande.

  1. In che anno accademico hai conseguito il titolo? Il 25,5% dei soggetti ha conseguito il titolo nell’anno accademico 2018/2019, il 23,6% nel 2015/2016, il 14,5% nel 2016/2017, il 10,9% nel 2017/2018 e il restante 25,5% negli altri anni accademici o non lo ha ancora conseguito.
  2. Quanto è durata l’esperienza di tirocinio per ogni anno accademico?

    Grafico 1 – risposte alla domanda n. 2 della prima sezione

  3. L’attività è stata continuativa nel tempo? Il 72,7% ha risposto sì, mentre il 27,3% no.
  4. Quando è stato collocato il tirocinio rispetto alle lezioni teoriche?

    Grafico 2 – risposte alla domanda n. 4 della prima sezione

  5. Ti è capitato di fare il tirocinio insieme ad altri studenti che non erano del tuo anno? Il 58,2% ha risposto no; il 41,8% sì.
  6. Sei stato supervisionato durante l’applicazione di una tecnica? Il 61,8% riferisce di essere stato supervisionato, il 30,9% riferisce di non aver mai applicato una tecnica in autonomia, il 5,5% afferma di non essere mai stato supervisionato, mentre l’1,8% riferisce di essere stato supervisionato occasionalmente.

    Nella seconda sezione, sede del tirocinio, sono state proposte le seguenti domande.

  7. La sede del tirocinio era facilmente raggiungibile? Il 70,9% ha risposto sì, il 29,1% no.
  8. C’era un coordinatore a organizzare le attività di tirocinio internamente alla sede?
    Grafico 3, risposta 8.PNG

    Grafico 3 – risposte alla domanda n. 8 della seconda sezione

  9. Erano presenti Tutor Clinici nella sede?
    Grafico 4, domanda 9.PNG

    Grafico 4 – risposte alla domanda n. 9 della seconda sezione

  10. Conosci la figura del Tutor Clinico, istituita con la Legge del 19/11/1990, n. 341, art. 3? L’80% dei partecipanti ha risposto no; di contro il 20% ha risposto sì.

    Nella terza sezione, contenuti del tirocinio, sono state poste le seguenti domande.

  11. Durante le attività di tirocinio ti sono state fornite indicazioni in merito alle finalità di un trattamento/metodica? L’81,8% ha risposto sì, mentre il 18,2% no.
  12. Ti sono state presentate le principali metodiche di approccio terapeutico neuropsicomotorio? Il 56,4% ha risposto solo alcune, il 27,3% ha risposto la maggior parte, il 14,5% ha risposto nessuna e, infine, l’1,8% a volte.
  13. Ti sono state fornite indicazioni su come si realizza un programma/progetto terapeutico secondo le Linee Guida per le attività di riabilitazione?
    Grafico 5.PNG

    Grafico 5 – risposte alla domanda n. 13 della terza sezione

  14. Ti sono state fornite indicazioni su come si compila una cartella clinica? Il 49,1% ha risposto in parte, il 41,8% ha risposto no e il 9,1% ha risposto in maniera approfondita.
  15. Ti sono stati presentati i test di valutazione pertinenti alla professione?

    Grafico 6 – risposte alla domanda n. 15 della terza sezione

    Grafico 6.PNG
  16. Hai mai avuto modo di osservare come si effettua una valutazione neuropsicomotoria individualizzata? Il 60% ha risposto no, il 40% sì.

    Nella quarta e ultima sezione, logistica, sono state formulate le seguenti domande.

  17. I tutor/terapisti di riferimento erano disponibili per eventuali chiarimenti sulle attività svolte? Il 61,8% ha risposto solo alcuni, il 36,4% ha risposto tutti e l’1,8% ha risposto no.
  18. Eri da solo/a in stanza a seguire la terapia oppure con altri colleghi/colleghe? Il 45,5% ha risposto solo/a, il 36,4% ha riferito di essere in stanza con un’altra persona e il 18,2% di essere con più di una persona.
  19. Hai avuto modo di effettuare almeno una terapia al giorno anche se supervisionato/a? Il 67,3% ha riferito di aver avuto modo di effettuare almeno una terapia al giorno anche se supervisionato/a, mentre il 32,7% ha riferito di non averne mai avuto modo.
  20. Hai avuto modo di seguire una terapia dall’inizio alla fine? Il 90,9% ha risposto sì, mentre il 9,1% no.
  21. Hai avuto modo di seguire un intero percorso terapeutico dall’inizio alla fine per verificare i cambiamenti ottenuti con la terapia?
    Grafico 7, domanda 21.PNG

Grafico 7 – risposte alla domanda n. 21 della quarta sezione

Discussione

Essendo lo studio composto da due parti, revisione della letteratura scientifica e questionario, nella prima parte si afferma l’efficacia del metodo del Problem Based Learning, in termini di benefici di apprendimento, rispetto alle altre metodologie centrate sullo studente, mentre nella seconda parte, si sottolinea l’importanza di avere un tutor che guidi lo studente durante il corso degli anni di laurea triennale. In particolare, i risultati ottenuti dal questionario hanno evidenziato che gli studenti e i laureati del Corso di Laurea suddetto non conoscono la figura del tutor Clinico, perché per lo più assente. In primo luogo, è mancata la gestione dello studente (vedi domanda n. 8); l’insegnamento attivo (vedi domanda n. 9) sia durante il tirocinio sia in aula non c’è stato. Le attività personali e professionali (vedi domande n. 12, 15 e 16) non sono condotte in maniera sufficiente; inoltre, manca il supporto emotivo (vedi domanda n. 17), non facendo accrescere l’autostima e il senso di benessere, che aiutano ad affrontare i problemi e le incertezze legate all’attività lavorativa del neuro psicomotricista. Per cui, si rende nota la necessità di formulare e proporre un progetto per introdurre i Tutor Clinici. È con la legge 19 novembre 1990, n.341, all’art. 13, Riforma degli ordinamenti didattici universitari, che viene istituita in Italia la funzione tutoriale. Infatti, entro un anno dalla data in vigore della legge, ciascuna università avrebbe dovuto provvedere a istituire con proprio regolamento il tutorato, sotto la responsabilità dei consigli delle strutture didattiche. Detto articolo riporta, inoltre, che il tutorato ha i seguenti fini: orientare e assistere gli studenti lungo tutto il corso degli studi, renderli partecipi del processo formativo, rimuovere gli ostacoli a una proficua frequenza dei corsi, collaborare con gli organismi di sostegno al diritto allo studio. Nel progetto sperimentale ideato, il Tutor Clinico è un terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva esperto e aggiornato che lavora nella struttura sede ospitante del tirocinio. È utile inserire i tutor non solo all’interno delle attività di tirocinio, ma anche all’interno delle aule. È fondamentale introdurre non meno di 3 Tutor Clinici per anno accademico (se ne calcola uno ogni 10 studenti circa; possono esserne aggiunti ulteriori se ritenuto necessario dal Presidente e dal Coordinatore del CdL che eventualmente decideranno di adottare questo progetto) con i seguenti obiettivi:

  1. orientamento dello studente, ovvero mostrare il come si fa, esplicitare gli obiettivi del percorso formativo e delinearne le possibilità;
  2. verifiche periodiche sul contratto formativo stipulato;
  3. stimolazione all’autovalutazione;
  4. verifica dell’efficacia del metodo dell’apprendimento sociale (vedi sotto);
  5. allenamento al ragionamento tecnico-pratico;
  6. verifica delle reali competenze, quelle già possedute e quelle da acquisire.

Per le lezioni in aula, dagli studi sull’andragogia si rende noto che è importante la motivazione che porta ad apprendere e questa può essere attivata dall’apprendimento centrato su compiti/problemi, per cui le attività formative sono formulate come occasioni di problem solving e di ragionamento diagnostico in situazioni reali. Nello specifico, lo studente posto al centro della sua formazione si renderà responsabile del proprio apprendimento, individuando obiettivi e criticità in merito alla futura professione e pratica clinica. Questo tipo di attività formative sono attuabili utilizzando il metodo del Problem Based Learning, il più utilizzato nella formazione dei medici e professionisti sanitari. Date le sue caratteristiche (vedi Risultati della Revisione della Letteratura Scientifica), e in particolare visto che viene attuato utilizzando piccoli gruppi condotti da un tutor che funge da facilitatore e propone problemi realistici, il PBL rientra tra le competenze e attività che svolge il Tutor Clinico. In tal senso, il tutor diviene facilitatore dell’apprendimento di competenze intellettive, relazionali e gestuali in ambito professionale autonome e di gruppo, facendolo emergere in un nuovo concetto di didattica rinnovato nei metodi e nelle procedure. Per le attività di tirocinio, è raccomandabile ispirarsi alla teoria dell’apprendimento sociale (di Albert Bandura), basata sul concetto che l’apprendimento non implica esclusivamente il contatto diretto con gli oggetti, ma avviene anche attraverso esperienze indirette (come ad esempio l’osservazione di videoregistrazioni di sedute neuropsicomotorie, o di sequenze video che mostrano determinate tecniche), sviluppate attraverso l’osservazione di altre persone. Il «modellamento» (modelling) è il processo di apprendimento che si attiva quando il comportamento di un individuo che osserva si modifica in funzione del comportamento di un altro individuo che ha la funzione di modello. Quindi, il comportamento è il risultato di un processo di acquisizione delle informazioni provenienti da altri individui. In questo modo, il tirocinante impara sul campo le principali abilità e competenze intellettive, relazionali, tecnico-pratiche, gestuali e di comunicazione interpersonale proprie della figura professionale del terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva. Questo progetto permette allo studente di integrare la parte teorica, appresa in aula, durante i seminari sulla neuropsicomotricità e nelle ore dedicate all’area di formazione personale, con quella pratica, acquisita invece durante la formazione pratica e il tirocinio, del lavoro che andrà a fare una volta conseguito il titolo.

Conclusioni

In virtù della peculiarità dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie, che si differenziano da altri perché di natura strettamente applicativa e professionalizzante, si evidenzia l’efficacia del metodo didattico del Problem based Learning e dell’introduzione dei Tutor Clinici nel Corso di Laurea suddetto. In particolare, è importante che vengano inserite all’interno dei percorsi formativi delle metodologie didattiche che mettano lo studente al centro dell’apprendimento e che i tutor li preparino e gli stiano accanto. È fondamentale che vi sia un tutor che guidi lo studente, in quanto un terzo della sua formazione è dedicata al raggiungimento degli obiettivi formativi professionalizzanti attraverso le attività di tirocinio, che corrispondono a 60 CFU (pari a circa 1500 ore). A differenza di altre Lauree, quelle delle professioni sanitarie sono professionalizzanti, cioè il percorso universitario non è fine a se stesso, ma prevede un esame di abilitazione finale che, di fatto, consegna allo studente piena responsabilità all’esercizio della professione. Le professioni sanitarie sono le uniche Lauree in cui prima di conseguire il titolo accademico si consegue l’abilitazione all’esercizio della professione. Per le altre professioni, la formazione avviene in maniera disgiunta. È per questo che, ancora una volta, va sottolineata l’importanza della presenza del tutor al fianco dello studente, affinché lo prepari, lo formi e lo metta nelle condizioni migliori per affrontare l’attività lavorativa.

Si ringrazia la Dr.ssa Teresa Rea, infermiere e docente a contratto presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, per il prezioso aiuto nella stesura di questo articolo.

Abstract

It is known that adults and adolescents learn differently than children. There is a science dedicated to adult learning and education called andragogy. It uses different methods and centers primarily on the student as responsible for his/her learning and formation. A systematic review of the scientific publications on the main student-centered teaching methods shows the Problem-Based Learning method as the most effective in terms of learning benefits and the most widely used in university level courses for health professions. The objective of this study is to include the method in the Clinical Tutoring project in the Developmental Neuro and Psychomotor Degree (Law 19/11/1990, n.341, art. 3, University teaching regulations reform: introduction of tutorial function) at the Università degli Studi Luigi Vanvitelli in Campania.

Keywords

Clinical tutor, internship, health professions, problem-based learning, andragogy.

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