Il TNPEE

Erickson

Vol. 1, n. 2, novembre 2019

(pp. 1-3)

Editoriale

Patrizia Faustini

Patrizia Faustini è una giornalista professionista, con 30 anni di esperienza internazionale nel campo dell’infanzia e dei diritti umani. Scrive e cura i contenuti del sito web del centro di ricerca UNICEF dove lavora. Ha curato la pubblicazione di due rapporti sull’impatto dei cambiamenti climatici sui bambini e sulle potenzialità dell’innovazione tecnologica per l’infanzia. È laureata in filosofia e ha frequentato corsi di specializzazione in diritti umani e dell’infanzia in Italia e all’estero. Ha accettato l’incarico di direttrice responsabile a titolo personale. Le opinioni espresse su questa rivista sono sue proprie e non rappresentano quelle dell’UNICEF.

Si stima che circa il 15% della popolazione mondiale, quasi un miliardo di persone, conviva con una disabilità di qualche tipo e che l’80% si trovi in Paesi a basso reddito. Di questi circa 93 milioni sono bambini, ovvero 1 bambino su 20 dell’intera popolazione mondiale tra quelli fra 0 e 14 anni.

Ragazzi e ragazze tra 6 e 17 anni con disabilità hanno significativamente meno probabilità di essere iscritti a scuola; più probabilità di abbandonarla; il doppio delle probabilità di non averla mai frequentata; e metà delle probabilità di progredire verso livelli superiori di scolarizzazione rispetto ai coetanei senza disabilità.

Inoltre, i bambini con disabilità subiscono violenza almeno 4 volte di più rispetto ai coetanei senza disabilità. Stigma, pregiudizi e barriere di ogni tipo completano un quadro di emarginazione e discriminazione che impedisce ai bambini con disabilità di andare a scuola, avere accesso ai servizi sanitari o partecipare alla vita della comunità in cui vivono.

L’emarginazione di cui questi ragazzi sono oggetto si riflette anche sulla famiglia: un numero crescente di fratelli e figli di persone con disabilità, in particolare ragazze, non è in grado di andare a scuola a causa delle responsabilità di cura, mentre i genitori di bambini con disabilità spesso non sono in grado di lavorare per lo stesso motivo. A livello mondiale la disabilità si lega fortemente alla povertà, essendo spesso allo stesso tempo l’una causa e conseguenza dell’altra.

Questo quadro di emarginazione e discriminazione che affligge le persone con disabilità è aggravato dal fatto che mancano dati disaggregati sulla disabilità e indicatori che misurino l’“interazione tra persona e ambiente”.

Secondo la Classificazione internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute approvata dall’OMS nel 2001, infatti, la disabilità non è più definita solo come difficoltà o incapacità di svolgere determinate attività in conseguenza di una menomazione, ma concorrono a determinare una condizione di disabilità sia le restrizioni alla partecipazione alla vita collettiva sia l’influenza di fattori contestuali (servizi, barriere architettoniche, agevolazioni nell’accesso al lavoro ecc.). Non è dunque più sufficiente sapere il numero assoluto di persone con disabilità, anche disaggregato per tipologia di menomazione, ma quanti e quali siano le barriere e i facilitatori presenti nell’ambiente e quanto questi influenzino la piena partecipazione delle persone con disabilità alla società nella quale vivono.

L’Italia purtroppo non fa eccezione rispetto a questo quadro di incertezza sulla disponibilità di dati. L’ISTAT ha condotto un’interessante indagine sul grado di integrazione sociale delle persone con disabilità nel loro contesto di vita e sui fattori che ostacolano tale integrazione nell’ambito del progetto Sistema di Informazione Statistica sulla Disabilità. Il rapporto “Inclusione sociale delle persone con limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi” uscito nel 2015 riporta dati raccolti nel 2013 e stima in circa 13 milioni gli italiani a partire dai 15 anni di età che risultano avere limitazioni funzionali o patologie croniche gravi o invalidità permanenti. Per quanto utile e interessante, il rapporto non riporta nessun dato per i bambini con disabilità al di sotto dei 15 anni, né per le persone disabili che non vivono all’interno di un ambiente familiare.

Dal punto di vista legislativo l’Italia, a partire dagli anni ’70, ha approvato una serie di leggi volte a favorire l’integrazione sociale dei soggetti con disabilità, facendo leva in primo luogo sull’integrazione scolastica. Questo processo graduale ha portato la scuola italiana ad attivare un modello educativo integrativo che ha trovato pieno riconoscimento nella legge 104/1992: “Obiettivo dell’integrazione scolastica è ampliare l’accesso all’istruzione, promuovere la piena partecipazione alle opportunità integrative di tutti gli studenti suscettibili di esclusione al fine di realizzare il loro potenziale”.

Da una ricerca del MIUR, che analizza i dati dell’anno scolastico 2014/2015, il numero di ragazzi con disabilità che frequentano la scuola è considerevolmente aumentato rispetto a dieci anni prima. Ma da un’analisi più dettagliata dei dati risulta che ci sono enormi differenze a seconda dei diversi gradi di scuola. Infatti, dalla scuola dell’infanzia fino alla secondaria di I grado si ha un costante e progressivo aumento di ragazzi con disabilità. Invece, nel passaggio dalla secondaria di I grado a quella di II grado si nota un significativo calo. Disaggregando ulteriormente i dati si nota che la frequenza da parte delle ragazze è di molto inferiore rispetto a quella dei ragazzi nella scuola secondaria di II grado, e che la percentuale dei ragazzi con disabilità intellettiva cala bruscamente, pur essendo questo il tipo di disabilità prevalente tra la popolazione scolastica fino alla secondaria di I grado.

Infine, per quanto riguarda il mondo del lavoro la situazione di forte scollamento rispetto alla scuola fa sì che la fine del percorso scolastico rappresenti per molti una brusca interruzione nel cammino verso la costruzione di una propria identità e indipendenza e verso un affrancamento progressivo rispetto alla famiglia di origine.

Da questo rapido quadro si può desumere che il percorso delle persone disabili per il raggiungimento di quello status di indipendenza e inclusione sociale che la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità considera necessario per assicurare loro il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali, nonché il rispetto della loro dignità, sia ancora incompiuto. E uno degli elementi che concorrono alla sua incompiutezza è la carenza o incompletezza dei dati disponibili, condizione questa che riguarda la maggior parte dei Paesi del mondo. Una lacuna che deve essere rapidamente colmata se veramente vogliamo attuare politiche inclusive ed essere credibili negli sforzi per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, il cui quadro di riferimento è quello di una prospettiva di inclusività per tutti. Mai come in questo caso, vale il detto di William Thomson Kelvin: “solo ciò che misuriamo può essere migliorato”.

Fonti

Issue brief: the rights of children with disabilities

https://www.unicef.org/disabilities/files/Disabilities_2pager_indicators_SDGs.pdf

Classificazione internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute

https://it.wikipedia.org/wiki/Classificazione_internazionale_del_funzionamento,_della_disabilit%C3%A0_e_della_salute

Inclusione sociale delle persone con limitazioni funzionali, invalidità o cronicità gravi

https://www.istat.it/it/archivio/165366

L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità a.s. 2014/2015

https://www.istruzione.it/allegati/2015/L’integrazione_scolastica_degli_alunni_con_disabilit%c3%a0_as_2014_2015.pdf

 

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