Introduzione

L’estratto di project work qui presentato non è un sommario del lavoro svolto in occasione del Master in “Organizzazione e gestione delle Istituzioni Scolastiche nei contesti multiculturali” dell’Aquila: ne è soltanto una parte, presentata nella sua più o meno integrità. Tale scelta deriva dal carattere pregnante e illuminante che detta parte ha avuto non solo nella proposta di ricerca-azione, ma anche nel ribaltare la rappresentazione di sé della comunità educante[footnote]La locuzione “Comunità educante” indica, in questo testo e contesto, l’insieme di persone (Preside, DSGA, docenti, studenti, amministrativi, bidelli, genitori) che collaborano al fine di realizzare un percorso formativo specifico. Tale percorso condiviso è definito dalle scelte didattiche e educative fatte dall’Istituzione scolastica – in questo caso il Convitto Nazionale “D. Cotugno” con Licei annessi – che vengono rappresentate ed esplicitate nei curricula dei Licei e nel PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa). Il PTOF armonizza, unifica e finalizza le diverse anime delle varie componenti. Si veda a tale proposito la legge 107/2015, art. 1, comma 14 Piano triennale dell’offerta formativa, che definisce il PTOF «documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle Istituzioni Scolastiche” e continua precisando che tale documento viene predisposto promuovendo i necessari rapporti con enti ed istituzioni del territorio e tenendo conto delle proposte e dei pareri dei genitori e degli studenti. Ne deriva che intorno alla progettazione didattica e educativa di ogni istituzione scolastica si raccoglie una comunità che ne condivide le finalità e gli obiettivi e collabora alla loro realizzazione. Per questo si parla di "comunità educante».[/footnote] dei Licei annessi al Convitto “Cotugno” dell’Aquila di cui la docente redattrice del project work è membro. Negli ultimi anni in Italia è possibile riscontrare una sostanziale polarizzazione sul tema delle migrazioni e dei migranti (Ciccozzi, 2014), tra atteggiamento xenofobo e atteggiamento xenofilo. Tale atteggiamento non è affatto irrilevante poiché costituisce un discrimine fondamentale per le scelte politiche, culturali e sociali dei cittadini e influenza i modi in cui ogni società locale si pone di fronte al problema.

Si è ritenuto perciò di somministrare ai genitori, ai docenti e agli studenti/esse dei Licei annessi al Convitto “Cotugno” dell’Aquila dei questionari con cui ci si proponeva di cogliere e descrivere in primo luogo l’atteggiamento nei confronti del tema accoglienza/respingimenti e, in secondo luogo, la consapevolezza “interculturale” o, per usare termini più strettamente connessi alla didattica, “la competenza interculturale” dei diversi attori. Nei Licei annessi al Convitto “Cotugno” la percentuale di studenti e studentesse stranieri e straniere sul totale degli alunni/e frequentanti è pari al 6,5%, e si colloca perciò, più o meno, nella media nazionale. I dati a disposizione indicano infatti una percentuale generale nella secondaria di II grado del 7%, ma nei Licei di circa 3,7% (dati MIUR, 2017). Però la distribuzione di studenti e studentesse stranieri e/o con disabilità è molto diversa nei differenti indirizzi: il Liceo Musicale (9,48% di studenti stranieri; 7,75% di studenti con disabilità) si colloca certamente nella posizione più alta, rispetto alla presenza sia degli alunni/e stranieri/e che degli alunni/e con disabilità, mentre nella posizione opposta si colloca il Liceo Classico, che ha una percentuale inferiore al 4% di studenti/esse stranieri/e e nessuno studente/essa con disabilità certificata. Stando ai dati MIUR, solo il Liceo Classico quindi si colloca nella media nazionale, mentre il Liceo Musicale e il Liceo delle Scienze Umane la superano di gran lunga, avvicinandosi alle medie tipiche di altri ordini di scuola (8,1% nei Tecnici).

I questionari sono stati realizzati in formato digitale con i moduli di Google[footnote]I moduli di Google sono una piattaforma online, che consente di elaborare test, questionari, interviste e somministrarli direttamente tramite link.[/footnote] e sono stati proposti ai genitori degli studenti e delle studentesse attraverso il Registro Elettronico e il sito della scuola, ai docenti e agli studenti, oltre che con Registro elettronico e sito, anche con i gruppi Whatsapp. Per consentire una riflessione sul loro contenuto, sulla scelta delle domande e sulle risposte si propone nel box 1 quello somministrato agli studenti e alle studentesse, precisando che le domande, mutatis mutandis, erano le stesse in tutti e tre.

 

QUESTIONARIO STUDENTI

Parte I

 

Hai più di 16 anni

•        Sì

•        No

 

1.Stai frequentando:

•        Liceo Musicale

•        Liceo delle Scienze Umane

•        Liceo Economico Sociale

•        Liceo Linguistico

•        Liceo Classico

 

 2. Sei

•        Maschio

•        Femmina

 

Parte II

 

3.La presenza di persone di nazionalità straniera sul territorio italiano determina:

•        Un’opportunità di sviluppo, anche economico

•        Un rischio per la sicurezza e l’ordine pubblico

•        Non ho informazioni sufficienti per rispondere

•        Non sono interessata/o alla questione

 

4.La percentuale di stranieri immigrati sul territorio nazionale, secondo te, è

•        Meno del 10% della popolazione residente

•        Meno del 25% della popolazione residente

•        Circa il 50% della popolazione residente

•        Non ho sufficienti informazioni per rispondere

 

5.La presenza di alunni stranieri nelle classi italiane:

•        È un elemento di disturbo e rallentamento dell’attività didattica

•        È una possibilità di arricchimento culturale ed emotivo per tutta la classe

•        Dipende da come viene gestita dalla scuola

•        Non ho informazioni sufficienti per rispondere

 

6.Gli alunni/e con disabilità

•        Devono stare nelle classi normali e devono trascorrere il maggior tempo possibile con i compagni di classe

•        Hanno bisogni differenti da quelli degli altri, per cui è bene che l’insegnante di sostegno li tenga fuori dalla classe il più possibile

•        Rallentano l’attività didattica e spesso creano problemi nelle relazioni tra studenti

•        Sarebbe meglio se stessero in classi dedicate a loro, dove sarebbero meglio seguiti e non disturberebbero gli altri

 

7.L’apprendimento di almeno una lingua straniera:

•        È indispensabile per la crescita culturale e anche per l’inserimento nel mondo del lavoro

•        È utile se si tratta di una lingua molto diffusa e utilizzata nelle relazioni commerciali e politiche, come l’inglese

•        Può essere utile, ma non è indispensabile per la realizzazione professionale in molti settori

•        Non ho informazioni sufficienti per rispondere

 

8.Nel mondo globalizzato è più utile:

•        Conoscere e difendere la propria cultura e le proprie radici, per non perdere la propria identità

•        Conoscere la cultura e la lingua dominanti per non essere esclusi dai processi economici

•        Conoscere sia la propria cultura, che quella dominante, per partecipare consapevolmente ai processi economici e culturali

•        Ampliare il più possibile la conoscenza di lingue e culture straniere, partendo da una solida conoscenza della propria lingua madre e della propria cultura

 

9.Da 1 a 5 quanto consideri straniero:

•        Un insegnante francese

•        Un operaio rumeno

•        Uno studente albanese

•        Un rifugiato nigeriano

 

 

10.Da 1 a 5 quanto ti preoccuperebbe se nella tua classe il 15% fosse costituito da:

•        Studenti rom

•        Studenti albanesi

•        Studenti statunitensi

•        Studenti stranieri di varia provenienza

 

11.Da 1 a 5 quanto ti piacerebbe avere come compagno di banco:

•        Una persona di colore

•        Una persona di origini slave (albanese, kosovaro, rumeno, polacco)

•        Una persona con handicap

•        Una persona dell’Europa Occidentale (francese, olandese, tedesco, belga)

 

12.Da 1 a 5 quanto ti darebbe fastidio dover fare da tutor a uno/a studente/essa:

•        Straniero arrivato da poco in Italia

•        Straniero, in viaggio studio in Italia

•        Compagno/a di classe con disabilità fisica

 

13.Se dovessi partecipare a un viaggio all’estero organizzato, da 1 a 5, quanto ti preoccuperebbe avere tra i partecipanti:

•        Studenti africani

•        Giovani albanesi

•        Un gruppo di Zingari

•        Un gruppo di persone con disabilità

 

14.È giusto che sia cittadino italiano:

•        Solo chi nasce da genitori italiani

•        Chi parla italiano, ha frequentato le scuole italiane, conosce la cultura e le tradizioni italiane, anche se è nato da genitori di altra nazionalità

•        Chi nasce in Italia, qualunque sia la nazionalità dei suoi genitori

•        Chi è nato in Italia da genitori stranieri, se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno 5 anni ed è in grado di mantenere la propria famiglia

 

Box 1: Questionario 1 proposto a studentesse e studenti.

 

Le percezioni di genitori, docenti e studenti

Il primo dato che emerge con chiarezza dalle risposte al questionario rivolto ai genitori è il sostanziale disinteresse o il timore a esporre pubblicamente, per quanto in forma anonima, il proprio parere sulla questione. Ci sono state infatti soltanto 76 risposte, su un orizzonte di attesa di qualche centinaio, dal momento che gli studenti e le studentesse frequentanti i diversi indirizzi Liceali sono 1.149, e i loro genitori, di conseguenza più o meno il doppio. Per i genitori dunque abbiamo una percentuale di risposte limitata al 6,6%. Il campione è inoltre piuttosto specifico, essendo costituito per il 92,1% da persone con età superiore a 40 anni, per il 68,4% da donne, per il 49,3% da laureati e per il 37,3% da diplomati della scuola secondaria di secondo grado.

Per quanto attiene ai docenti, abbiamo 41 risposte su un totale di 108 docenti, con una percentuale del 37,9%. Dato più consolante del precedente, ma anche in questo caso, indice di un sostanziale disinteresse o timore nei confronti dell’argomento. Anche questo campione ha delle specificità, tipiche del gruppo sociale – i docenti – anche a livello nazionale: il 90% del campione ha infatti più di 45 anni ed è costituito per il 75% da donne.

La percentuale maggiore di risposte viene dal Liceo Classico (50%), seguito dal Liceo Linguistico, Liceo delle Scienze Umane (15%), Liceo Musicale (10%) e Liceo Economico Sociale (2,5%), che risultano gli indirizzi più interessati dal fenomeno migrazioni e sono anche quelli i cui docenti partecipano meno alla rilevazione.

Al questionario per le studentesse e gli studenti rispondono in 263, il 22,8%. Il campione si divide più o meno equamente in relazione all’età, dal momento che il 52,7% ha più di 16 anni e il 47,3% meno. In relazione al genere, invece la percentuale femminile è dominante, il 76,3%. Per quanto riguarda il corso di studi frequentato, anche in questo caso, gli indirizzi più rappresentati sono il Liceo Classico e il Liceo Linguistico, che si collocano entrambi su una percentuale superiore al 30%. Segue il liceo delle Scienze Umane con il 18%. Il Liceo Economico Sociale e il Liceo Musicale sono rappresentati con percentuali inferiori all’8%.

Prima di provare a interpretare le informazioni raccolte tramite questionario è necessario valutare se, e quanto, esse possano considerarsi rappresentative e di cosa. Per i docenti, a cui il questionario è stato proposto, in forma rigorosamente anonima, sul Registro Elettronico, sul sito della scuola e anche sul gruppo Whatsapp dei licei SU LL e LES, e che hanno una certa dimestichezza con l’uso dei mezzi digitali, è giocoforza dedurre che le mancate risposte discendono da scarso interesse per la questione o poca voglia di esporsi sul tema. Per quanto attiene ai genitori, invece, non è possibile escludere il fatto che, almeno per alcuni di loro, l’accesso agli strumenti digitali costituisca un problema e che quindi, dietro alle mancate risposte dei genitori, ci sia stata una reale difficoltà di accesso. Il campione che risponde, in effetti, sembrerebbe rappresentare appunto quella parte che è più a suo agio con i mezzi tecnologici, anche se, data la sua esiguità, di certo non lo esaurisce.

Infine, per gli studenti è necessario fare un discorso a parte. È possibile che alcuni di loro abbiano incontrato le stesse difficoltà segnalate per i genitori, però il link al questionario era stato girato su alcuni gruppi Whatsapp delle classi. Non è stato possibile valutare quanti gruppi classe lo abbiano effettivamente avuto, ma il dato, se da un lato esprime difficoltà di accesso, dall’altro anche scarso interesse per la questione. Assumendo dunque come punto di partenza la consapevolezza che il campione di risposte non è rappresentativo di tutte le posizioni e le articolazioni della comunità educante del Convitto “Cotugno” e può essere letto come espressione di un gruppo socio-economico e culturale definito, interessato alla questione e con delle idee su di essa, possiamo procedere all’analisi dei dati.

In primo luogo, almeno per quanto riguarda i docenti e i genitori, nel leggere i dati si percepisce una sostanziale uniformità. Alla prima domanda (La presenza di persone di nazionalità straniera sul territorio italiano determina: un’opportunità di sviluppo, anche economico; un rischio per la sicurezza e l’ordine pubblico; non ho informazioni sufficienti per rispondere; non sono interessata/o alla questione) i docenti, in maniera piuttosto compatta (62,5%), rispondono che gli stranieri possono essere un’opportunità; i genitori appaiono più divisi: per il 30,7% rappresentano un rischio, per il 37,3% un’opportunità, ma l’altro terzo dichiara di non sapere o di non essere interessato. Gli studenti si compattano anche loro sulla posizione “accogliente” (50%), ma il dato di chi non sa o non è interessato copre quasi l’altro 50%. Sulla presenza di studenti stranieri nelle classi (La presenza di alunni stranieri nelle classi italiane: È un elemento di disturbo e rallentamento dell’attività didattica; È una possibilità di arricchimento culturale ed emotivo per tutta la classe; Dipende da come viene gestita dalla scuola; Non ho informazioni sufficienti per rispondere) l’opinione è piuttosto concorde: costituiscono un’opportunità di arricchimento, anche se i genitori si dividono equamente tra chi la ritiene un’opportunità (45,3%) e chi ne assegna la responsabilità ai modi in cui viene gestita dalla scuola (45,3%). Nessun dubbio, invece, sull’inclusione degli studenti e delle studentesse con disabilità: il campione, in tutte le sue componenti, con percentuali superiori all’80%, ritiene assodata la loro integrazione nelle classi normali. Si può sostenere che in questo caso il modello italiano dell’inclusione, nonostante le note difficoltà, ha avuto pieno successo ed è stato introiettato da tutte le componenti della scuola.

Altrettanto concorde e maggioritaria è la convinzione che sia necessario conoscere almeno una lingua straniera e che nel mondo globalizzato più della chiusura e del timore serve la curiosità verso altre lingue e culture. Si potrebbe concludere dicendo che, a grandi linee, la comunità educante del “Cotugno”, che ha risposto al questionario, si colloca in una posizione xenofila più che xenofoba e si dichiara disposta ad accettare “contaminazioni” di vario genere con persone provenienti dal “mondo”.

Ma è proprio così?

Le risposte alle domande successive, confermando la ferma convinzione di tutto il campione della necessità di inclusione delle persone con disabilità, aprono uno scenario un po’ più variegato sui rapporti con le persone di altra nazionalità.

“Straniero” è parola neutra, si limita a indicare una differenza. Un francese, uno statunitense, un tedesco sono stranieri e anche un rumeno o un nigeriano o un marocchino. Nell’immaginario collettivo occidentale, o se si preferisce, nel modo in cui la nostra cultura, Italiana ed Europea, guarda il resto del mondo (Vaccarelli, 2017; Santarone, 2006; Magli, 1982) i primi sono stranieri/turisti o stranieri/comunitari o stranieri/alleati, i secondi sono stranieri/immigrati o stranieri/extracomunitari o stranieri/nemici. Le risposte alle domande che miravano specificamente ad acclarare questo aspetto (ad esempio, Da 1 a 5 quanto consideri straniero: un insegnante francese; un operaio rumeno; uno studente albanese; un rifugiato nigeriano. Oppure Da 1 a 5 quanto ti preoccuperebbe se nella tua classe o nella classe di tuo figlio o nella classe dove insegni il 15% fosse costituito da: studenti rom; studenti albanesi; studenti statunitensi; studenti stranieri di varia provenienza e altre di questo tenore) dietro lo schermo del politicamente corretto, più forte tra i docenti, comunque, che tra i genitori o gli studenti, svelano, magari in controluce, che ci sono gruppi nazionali percepiti come “più stranieri”, quindi più lontani e, in qualche misura, più temibili o estranei come visibile nella figura 1. Risultano tali in particolare gli “zingari” (che, come noto, sono in grandissima parte cittadini italiani), gli immigrati di colore e, in misura minore, gli slavi, rumeni o albanesi.

 

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Figura 1 Percezioni a confronto.

 

Se per gli immigrati di colore, che nella nostra cittadina sono per lo più ospiti dello SPRAR, giovani, maschi, provenienti da culture molto diverse dalla nostra, spesso arrivati da poco in Italia, il senso di estraneità e forse di timore nasce dalla difficoltà di comunicazione a tutti i livelli, il rapporto teso con i rom e con gli slavi ha invece origine opposta. Sono decenni ormai che gli italiani convivono con rumeni, albanesi, kosovari, e da ancor più tempo con i Rom, condividendo spazi, quartieri, scuole e, nel caso aquilano, terremoto e Progetto CASE.[footnote]Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili.[/footnote] Percepirli perciò come più stranieri di un’insegnante francese è indice del fatto che la convivenza con loro è più complicata.

Dall’osservazione della figura 2, relativa alle risposte dei soli studenti, emerge con chiarezza quanto sostenuto, ormai da decenni, da autorevoli studiosi (Balibar, 1989; Vaccarelli, 2017): ci sono lingue e culture che vengono percepite come socialmente prestigiose (inglese, tedesco, francese) e altre come inutili e/o fuorvianti (albanese, rumeno, arabo, lingue africane e simili). Per questo essere tutor o compagni di banco di studenti stranieri provenienti dall’Europa Occidentale o in viaggio studio appare ai nostri studenti e studentesse più interessante. In effetti, se si riflette sul concetto di “viaggio studio” si comprenderà che, in genere, non è tanto la provenienza geografica che conta quanto quella socio-economica. Qualunque sia il paese dei “viaggiatori per studio”, essi sono in Italia per un periodo preciso, non sono immigrati, di norma appartengono alle classi dirigenti dei Paesi di provenienza e parlano, in aggiunta alla loro materna, almeno una delle lingue socialmente prestigiose. Sono spesso gli adulti, genitori e docenti, che, condizionati dalla gerarchizzazione implicita delle lingue e delle culture altre, sottesa alla loro visione, finiscono, magari inconsapevolmente, per incoraggiare certe relazioni e scoraggiarne altre. Lo si può desumere, magari in controluce, dalle risposte alle domande 5 e 6 del questionario docenti e genitori.

L’80% dei docenti e l’81,6% dei genitori considerano importante lo studio di una lingua straniera, ma il 17,5% dei docenti e il 15,8% dei genitori ritengono più utile lo studio dell’inglese e il 22,5% dei docenti e il 23,7% dei genitori giudicano più importante, nel mondo globalizzato, conoscere la lingua e la cultura dominanti (cioè inglese/americana). All’atteggiamento un pochino mascherato dal “politicamente corretto” di docenti e genitori, fa da contraltare il 26% di studenti che vuole studiare l’inglese e il 27,8% di studenti che ritiene utile conoscere la cultura dominante. Allo stesso modo, alla domanda “quanto ti piacerebbe avere come compagno di banco uno studente dell’Europa Occidentale” il 42% degli studenti risponde “moltissimo” e il 29% “molto”. Il dato è meglio visibile nella figura 2.

 

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Figura 2 Percezioni della diversità nel campione di studenti e studentesse.

 

Resta però il dato, forse politicamente corretto ma evidente, che nei Licei annessi al Convitto si tende ad accettare le differenze e ad avere un atteggiamento accogliente: più del 50% di genitori e studenti dichiara di non avere difficoltà, ma anzi di accettare con piacere la collaborazione e l’amicizia tra compagni di scuola di diversa nazionalità. Ancora più chiara e decisa nel senso dell’inclusione è la posizione dei docenti rispetto agli alunni e alle alunne di nazionalità non italiana: maggioritaria (60% di risposte) la dichiarazione che la loro presenza non costituisce un ostacolo, ma un arricchimento dell’attività didattica. Quanto le risposte derivino dalla particolare situazione dei Licei annessi al “Cotugno”, in cui gli studenti e le studentesse di origini straniere si sono “autoselezionati” essendo ragazzi che, in maggioranza, hanno svolto in Italia almeno la scuola secondaria di primo grado, oppure dal fatto che la percentuale dei docenti che ha risposto al questionario è orientata all’accoglienza, non è dato saperlo.

Infine anche sulla scottante questione dello ius soli, il campione di riferimento è piuttosto compatto e si colloca in una posizione favorevole al riconoscimento del diritto di cittadinanza, con una netta e significativa apertura degli studenti rispetto agli adulti di riferimento. Il 37% dei genitori, il 45,5% degli studenti e il 30,8% dei docenti ritengono che sia giusto riconoscere la cittadinanza italiana a chi parla italiano, ha frequentato le scuole italiane, conosce la cultura e le tradizioni italiane, anche se è nato da genitori di altra nazionalità; mentre solo il 12% dei docenti, il 13,3% dei genitori e il 9,1% degli studenti e delle studentesse ritiene che la cittadinanza debba essere riservata a chi nasce da genitori italiani. L’analisi dei dati ci rimanda un’immagine positiva, ma sappiamo per certo che c’è una maggioranza silenziosa, che non ha detto la sua, che, quali che ne siano le ragioni, non ha voluto rispondere al questionario e di cui, quindi, non conosciamo la posizione. 

 

Le criticità: immagine di sé e rimozione

Da quanto detto fin qui, emergono con chiarezza due aree problematiche, strettamente connesse tra loro:

 

  • nei licei annessi al Convitto “Cotugno” mancano a tutti i livelli, burocratico/organizzativo e educativo/didattico, strumenti per l’accoglienza di alunni e alunne di nazionalità non italiana;

  • la comunità di docenti, genitori, studenti e studentesse manifesta una reticenza ad affrontare la questione.

 

Sembra abbastanza condivisibile l’idea che la mancanza degli strumenti sia correlata ad una “rimozione” del problema, evidente nell’atteggiamento di tutte le componenti. La quota che risponde all’indagine manifesta – seppure con percezioni che talvolta risentono di logiche di gerarchizzazione – una visione ottimistica e aperta, di fatto non problematica, ma la esprime da una posizione sostanzialmente “esterna”: come abbiamo visto, il campione appartiene in gran maggioranza ai Licei meno coinvolti nei processi di accoglienza o, per quanto riguarda i genitori, a una fascia socio-culturale medio-alta. La esprime inoltre in un contesto in cui la prima e più grave problematicità relativa all’inclusione di studenti e studentesse di nazionalità straniera, e cioè la comunicazione in lingua italiana, non è particolarmente evidente. La quota che non risponde, quali che ne siano le ragioni, esprime quantomeno un disinteresse. L’ipotesi guida della ricerca-azione dunque potrebbe essere: se migliorano gli strumenti di riflessione sui problemi legati all’intercultura, allora potrebbe modificarsi l’atteggiamento della comunità educante e crescere la motivazione a cambiare la rappresentazione di sé e dell’altro.

 

Quale linguaggio per dire che cosa: riflessione preliminare

Quando qui viene utilizzato il termine “intercultura”, che cosa si intende esattamente?

L’interculturalità è un atteggiamento, un modo di vedere, un traguardo da raggiungere, ed è il risultato di un percorso educativo (Catarci, 2013). Una prospettiva interculturale si rivolge a tutti coloro che coabitano in un determinato spazio, agli autoctoni, come agli immigrati e quindi assumere una prospettiva interculturalmente connotata significa impegnarsi per favorire abiti di accoglienza (Fiorucci, 2016). Da tutte le parti in gioco. E non necessariamente tra gruppi nazionali differenti.

Con il termine “atteggiamento” che cosa si intende esattamente in questo lavoro?

Come è noto agli addetti ai lavori, nella didattica per competenze (Lazar, 2013; Poglia, 2006; Ajello, 2002; Di Francesco e Ruffini, 1999) si tende a considerare quest’ultima come costituita da almeno tre componenti: sapere, cioè conoscenze; saper fare, cioè strumenti operativi; saper essere, cioè atteggiamenti nei confronti del mondo circostante. È in questa precisa accezione che qui viene usato il termine atteggiamento. Ciò significa che si tratta di qualcosa che può essere indotto o modificato dall’attività didattica e che può essere misurata (Nuzzaci, 2012). Secondo gli psicologi statunitensi del marketing (Eagly Chaiken, 1998) da cui vengono le prime riflessioni sulle competenze, l’atteggiamento è la valutazione che si esprime su un determinato oggetto in un determinato contesto, condizionata dal modo in cui ce lo rappresentiamo.

È noto che i modi in cui ci rappresentiamo la realtà sono fortemente condizionati dalla cultura a cui apparteniamo, fermo restando che la cultura è sempre e comunque fluida, versatile, multisfaccettata (cfr. Aime, 2004). La teoria della “personalità di base”, elaborata in antropologia culturale e secondo la quale «tutti coloro che sono stati allevati in una determinata cultura ne verrebbero in qualche modo “modellati” sul piano psicologico e sarebbe questo il motivo per il quale si somigliano» (Magli, 1982, p. 11) va certamente integrata con la consapevolezza che, all’interno della stessa cultura, ci sono gruppi sfaccettati e differenti, con punti di vista anche fortemente antitetici gli uni rispetto agli altri, ma ci fornisce un punto di partenza per affrontare il discorso delle nostre percezioni.

Si aggiunge poi al condizionamento culturale il condizionamento massmediatico, particolarmente efficace nel veicolare determinati tipi di rappresentazione, quali, nel nostro caso, quelle del migrante (Vaccarelli, 2017). Per esplicitare al meglio la nostra ipotesi di ricerca, dunque, potremmo dire che vogliamo capire quale valore è attribuito dalla comunità educante del “Cotugno” a “se stessa” e all’altro” e che vogliamo agire affinché tale valutazione, quand’anche fosse sfavorevolmente condizionata dalla rappresentazione di sé e/o del “diverso” che questa comunità ha, possa modificarsi.

Si dovrà, dunque, prima di tutto, sollecitare nei docenti e nelle docenti un’attenta riflessione sul proprio ruolo, una presa di coscienza capace di rinnovare approcci e pratiche didattiche. Per questo il percorso di ricerca-azione, previsto nel project work da cui questo articolo è stato estratto, è finalizzato alla definizione di un gruppo di lavoro, che possa, previa specifica formazione, diventare il volano di una trasformazione nei modi di agire e, soprattutto, di pensare, di tutto il corpo docente, degli ATA e, a cascata, degli studenti e delle studentesse e dei loro genitori.

 

Conclusioni

L’elemento sicuramente più rilevante e, in certa misura, dirompente emerso dalla lettura e interpretazione dei dati offerti dai questionari è il tentativo, anzi la tentazione, di espellere il problema dell’educazione interculturale e delle esigenze “diverse” o “divergenti” espresse da gruppi non omogenei all’utenza “storica” dei Licei annessi al Convitto “Cotugno”. Come si è cercato di dimostrare nelle pagine precedenti, questa comunità educante si è sempre percepita, e vuole continuare a farlo, come sostanzialmente omogenea, italofona, culturalmente elitaria, accogliente, ma al proprio livello e dentro la propria gerarchizzazione implicita, esterofila, aperta al mondo e alle culture, ma con una chiara predilezione per le nazioni dominanti.

I dati degli iscritti frequentanti i Licei annessi al “Cotugno”, come si è visto nelle pagine iniziali di questo lavoro, illustrano invece una situazione diversa, per almeno tre dei quattro Licei annessi, dal momento che solo il Liceo Classico, che ha una percentuale del 3,7% di studenti e studentesse di origine non italiana e nessun alunno/a con disabilità certificata, può ancora leggere se stesso secondo i parametri sopra illustrati, e cioè sostanzialmente omogeneo, italofono, culturalmente elitario, accogliente, esterofilo ed aperto. Ne discende che la politica educativa dei diversi Licei del Convitto “Cotugno” dovrà, negli anni a venire, prendere atto di questa trasformazione in corso, accettare una nuova immagine di sé, più colorata e sicuramente più complessa e complicata, ampliare tra le sue pratiche didattiche lo spazio e il tempo per quelle dell’inclusione e dell’intercultura. 

 

Bibliografia

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