Test Book

Riflessioni e teorie / Thoughts, theories, analysis

La formazione interculturale degli insegnanti tra esperienze, saperi e ricerca sul campo
Intercultural teacher training: experiences, knowledge and field research

Massimiliano Fiorucci

Direttore del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre

Lisa Stillo

Dottoranda in Teoria e ricerca educativa presso il Dipartimento di Scienze della Formazione, Università degli Studi di Roma Tre, lisa.stillo@uniroma3.it


Autore per la corrispondenza

Massimiliano Fiorucci
Indirizzo e-mail: massimiliano.fiorucci@uniroma3.it
Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre, via Principe Amedeo 184, Roma



Sommario

Il presente contributo mira ad approfondire il tema della formazione interculturale degli insegnanti avvalendosi dell’integrazione di aspetti teorici, esperienza pratica e ricerca empirica. Nella realtà multiculturale e complessa la formazione sui temi legati alla diversità diviene fondamento irrinunciabile per il pieno sviluppo delle competenze necessarie ad affrontare le sfide attuali. La formazione interculturale, infatti, nella pratica rischia spesso di essere banalizzata, tradotta in maniera confusa e distorta. Per tale ragione, oltre ad elementi più teorici, all’interno di questo contributo si è scelto di presentare un’esperienza formativa sui temi della multiculturalità appena conclusa, e alcuni dati di una ricerca empirica sull’educazione interculturale e la formazione docente. Tali aspetti, più vicini alla realtà osservabile, possono essere utili a un’analisi più completa e approfondita rispetto ai temi dell’intercultura e della formazione docenti.

Parole chiave

formazione interculturale, società multiculturale, ricerca empirica, insegnanti.


Abstract

The aim of this paper is to deepen the theme of intercultural teacher training through the integration of theoretical aspects, practical experience and empirical research. In a multicultural and complex reality, training on diversity becomes an indispensable foundation for the development of the skills needed to face current challenges. In fact, intercultural training often risks being trivialised or translated in a confused and distorted way. For this reason, in addition to more theoretical elements, we have chosen to present in this paper a recently concluded training experience on the themes of multiculturalism, and data from empirical research on intercultural education and teacher training. These aspects, closer to observable reality, may be useful for a more complete and in-depth analysis regarding interculturalism and teacher training.

Keywords

intercultural education, multicultural society, empirical research, teachers.


Introduzione1

L’orientamento di carattere interculturale nel contesto educativo ha l’obiettivo di definire un progetto intenzionale di promozione del dialogo e del confronto culturale rivolto a tutti, autoctoni e stranieri. In questo modo, le diversità di ogni tipo (culturali, di genere, di classe sociale, biografiche, di orientamento politico, sessuale, ecc.) divengono un punto di vista privilegiato dei processi educativi, offrendo l’opportunità a ciascuno di svilupparsi a partire da ciò che è.

Anche se la scuola rappresenta e ha rappresentato il luogo privilegiato di costruzione del dialogo e interculturale, occorre sottolineare che da sola non è sufficiente. Lo straordinario lavoro svolto ormai da molto tempo da dirigenti scolastici, insegnanti, educatori, operatori sociali e associazioni del terzo settore deve avere l’ambizione di costruire una nuova e più corretta narrazione che decostruisca quelle dominanti che hanno determinato un clima di paura e che hanno reso normale considerare gli altri meno umani e, quindi, con meno diritti.

Le narrazioni dominanti, infatti, sono talmente pervasive e potenti da richiedere un intervento più diffuso (Nanni e Fucecchi, 2018). Oggi la proposta interculturale deve aumentare il proprio raggio di azione, incidere nella società e nella politica attraverso un cambio di strategia. Non si possono gestire le questioni poste dalle migrazioni solo attraverso le politiche migratorie: sono le politiche sociali, le politiche educative, le politiche abitative tout court, l’accesso ai diritti per tutti e per tutte che sono chiamati in causa. È in gioco la stessa tenuta democratica dei Paesi europei. Non va dimenticato, se si vogliono evitare mistificazioni, che molto spesso la questione dell’inferiorizzazione dell’altro è collegata alla dimensione sociale ed economica.

Non è possibile, quindi, intraprendere una seria riflessione sulla formazione interculturale degli insegnanti senza chiarire quali siano le concezioni e i modelli dell’educazione interculturale a cui ci si riferisce. Come è noto sono molte le definizioni, le concezioni e le interpretazioni dell’“educazione interculturale” che si sono sviluppate nel corso degli ultimi anni in Italia, in Europa e nel mondo (Grant e Portera, 2011; Portera e Grant, 2017; Catarci e Fiorucci, 2015; Tarozzi e Torres, 2016).

Prendendo specificamente in considerazione il contesto italiano si può invece assumere come riferimento quell’importante documento redatto nel 2007 dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale all’epoca attivo presso il Ministero della Pubblica Istruzione che è La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli allievi stranieri.2 Si tratta di un documento molto avanzato, ancora attuale e in gran parte ancora da realizzare: 

 

La scuola italiana sceglie di adottare la prospettiva interculturale – ovvero la promozione del dialogo e del confronto tra le culture – per tutti gli alunni e a tutti i livelli: insegnamento, curricoli, didattica, discipline, relazioni, vita della classe. Scegliere l’ottica interculturale significa, quindi, non limitarsi a mere strategie di integrazione degli alunni immigrati, né a misure compensatorie di carattere speciale. Si tratta, invece, di assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola nel pluralismo, come occasione per aprire l’intero sistema a tutte le differenze (di provenienza, genere, livello sociale, storia scolastica). Tale approccio si basa su una concezione dinamica della cultura, che evita sia la chiusura degli alunni/studenti in una prigione culturale, sia gli stereotipi o la folklorizzazione. Prendere coscienza della relatività delle culture, infatti, non significa approdare a un relativismo assoluto, che postula la neutralità nei loro confronti e ne impedisce, quindi, le relazioni. Le strategie interculturali evitano di separare gli individui in mondi culturali autonomi e impermeabili, promuovendo invece il confronto, il dialogo e anche la reciproca trasformazione, per rendere possibile la convivenza ed affrontare i conflitti che ne derivano. (MIUR, 2007, p. 9).

 

Un contributo importante nella definizione del campo dell’interculturale è stato fornito dai pedagogisti italiani che, riflettendo criticamente sulle diverse categorie interpretative, hanno elaborato una sorta di manifesto sull’educazione interculturale. Il gruppo di Pedagogia interculturale della Società Italiana di Pedagogia (SIPED), coordinato da chi scrive insieme a Franca Pinto Minerva e ad Agostino Portera, si è interrogato sulla validità delle categorie e dei paradigmi attualmente in uso. La pedagogia ha avuto il merito, tra le prime scienze umane, di iniziare a occuparsi di questi temi dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso elaborando teorie e princìpi, indicando strade, formulando proposte, costruendo strategie didattiche e piste di ricerca che nulla hanno a che vedere con gli approcci sensazionalistici e allarmistici che caratterizzano il discorso pubblico su immigrazione e intercultura. Il volume elaborato dal Gruppo di Pedagogia interculturale della Società Italiana di Pedagogia (SIPED) dal titolo Gli alfabeti dell’intercultura (Fiorucci, Pinto Minerva e Portera, 2017) raccoglie 49 contributi che affrontano una parola, un nodo concettuale o un problema e si conclude con un appello che vale la pena di riportare integralmente:

 

  1. L’educazione interculturale è, in primo luogo, un approccio aperto a tutte le differenze (di origine, di genere, di classe sociale, di orientamento sessuale, politico, linguistico, culturale e religioso) che mira a valorizzare le diversità dentro l’orizzonte della prospettiva democratica definita dai valori e dai principi della Costituzione della Repubblica Italiana.

  2. L’educazione interculturale non è un particolare tipo di educazione speciale per stranieri, né da attuare solo in presenza di stranieri ma è rivolta a tutti e, al contrario, lavora affinché nessuna persona umana sia esclusa e/o debba sentirsi straniera.

  3. L’educazione interculturale si fonda sull’idea che ogni persona, indipendentemente dalle proprie origini, condizioni, orientamenti e valori, costituisca un patrimonio unico e irripetibile per l’umanità.

  4. L’educazione interculturale consente a ciascuno, da un lato, di non essere “ingabbiato” dalle proprie origini etniche o culturali e, dall’altro, di non dovere negare riferimenti, differenze, componenti della propria identità per essere accettato e accolto e per esercitare pienamente i propri diritti.

  5. L’educazione interculturale si basa su una concezione dinamica dell’identità e della cultura al fine di evitare sia la chiusura degli individui in una prigione culturale, sia gli stereotipi o la folclorizzazione.

  6. L’educazione interculturale vuole garantire ad ogni persona la possibilità di svilupparsi liberamente e di esercitare i propri diritti di cittadinanza.

  7. L’educazione interculturale rappresenta l’occasione per interrogarsi criticamente su se stessi e per ripensare le proprie relazioni con gli altri.

  8. L’educazione interculturale richiede un impegno costante che ha luogo nella scuola e nella società a tutti i livelli nel quadro di processi di lifelong learning dei soggetti e delle comunità.

  9. L’educazione interculturale non è né naturale né scontata ma, al contrario, rappresenta un progetto educativo intenzionale e un processo che devono essere consapevolmente portati avanti giorno dopo giorno e che richiede attenzione e competenza da parte di tutti i protagonisti dell’incontro.

  10. L’educazione interculturale si inscrive nel solco della grande tradizione della pedagogia democratica italiana e ha tra i suoi principali obiettivi la giustizia sociale e l’uguaglianza delle opportunità indipendentemente dalle storie e dalle origini di ognuno. Le strategie interculturali evitano di separare gli individui in mondi culturali autonomi e impermeabili, promuovendo invece il confronto, il dialogo e anche la reciproca trasformazione, per rendere possibile la convivenza ed affrontare, con gli strumenti della pedagogia, i conflitti che ne possono derivare (Fiorucci, Pinto Minerva e Portera, 2017, pp. 617-618).

 

Il Master in “Organizzazione e gestione delle istituzioni scolastiche in contesti multiculturali” del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre

L’esperienza del Master e del Corso di Aggiornamento in “Organizzazione e gestione delle istituzioni scolastiche in contesti multiculturali”, svoltosi presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre, fa parte di un percorso di ampio respiro legato a un ambizioso progetto del MIUR rispetto alle tematiche inerenti la multiculturalità e la formazione, che ha utilizzato per la sua realizzazione i fondi del FAMI.  Nello specifico, il Master di Roma ha coinvolto 99 corsisti, insegnanti e dirigenti provenienti da tutto il Lazio, che si sono proposti per partecipare a un’offerta formativa impegnativa, in termini sia di tempo che di energie. Scopo del Master era di elaborare una proposta che potesse rispondere in modo organico ed efficace alle sfide della pluralità e della complessità odierna che caratterizzano la scuola. Questo percorso rappresenta forse uno dei pochi tentativi di formazione organica per insegnanti e dirigenti sui temi legati alla multiculturalità e all’intercultura, entrambe questioni già presenti nel mondo della scuola da diverso tempo, ma sempre troppo poco inserite in una quotidianità scolastica.

È del 2015 uno degli ultimi documenti relativi alla prospettiva interculturale nella scuola, in cui si afferma: «una buona scuola deve contare su insegnanti e dirigenti competenti e saper coinvolgere tutto il personale scolastico. […] Occorre dunque passare dal “brusio” delle buone pratiche a una voce forte e condivisa, sviluppando una formazione capillare e non sporadica dei dirigenti scolastici e degli insegnanti, animata in primo luogo da coloro che si sono formati sul campo» (MIUR, 2015).3

Il percorso formativo si è articolato in forme diverse, sia in presenza che a distanza: è stata progettata una piattaforma e-learning per condividere materiali di studio e costruire uno spazio online di confronto e collaborazione. Il tempo in presenza si è rivelato altrettanto prezioso, in un’ottica di conoscenza reciproca delle diverse realtà scolastiche laziali, delle buone pratiche già messe in atto, delle difficoltà e delle specificità di ogni territorio, ma anche in riferimento ai temi più teorici affrontati. Le lezioni in presenza si sono svolte attraverso modalità differenti, in parte di natura laboratoriale e pratica, in parte più di natura teorica e riflessiva. I corsisti iscritti, anche in virtù dei criteri di selezione inseriti nel bando, erano così ripartiti: in maggioranza insegnanti di scuola primaria (38), 23 gli insegnanti di scuola secondaria di secondo grado e 12 quelli della scuola secondaria di primo grado. Gli insegnanti della scuola dell’infanzia erano rappresentati da un numero molto basso di soggetti (4), così come gli insegnanti dei CPIA e i dirigenti scolastici. Le lezioni in presenza si sono svolte in due giorni diversi, il venerdì pomeriggio e il sabato mattina; tale formula è stata pensata per favorire il più possibile una buona frequenza dei corsisti e dare a tutti l’occasione di esserci.

Il percorso formativo si è articolato in tre moduli di studio, al termine dei quali veniva proposto un test a risposta chiusa, che ha rappresentato uno strumento di valutazione e autovalutazione importante, e un’ulteriore possibilità di approfondimento dei materiali di studio. All’interno dei tre moduli si è scelto di affrontare questioni importanti relative alla natura multiculturale della scuola e della società intera, proponendo aspetti più prettamente pedagogici, ma anche elementi che si intrecciano con la multicultura e l’educazione, attraverso lezioni di antropologia culturale, di psicologia sociale o di sociologia. Pensare una formazione di insegnanti e dirigenti incentrata sui contesti multiculturali, infatti, non può prescindere dall’analizzare e conoscere questioni di più ampio respiro.

Lo studio e la riflessione sulla natura multiculturale dei contesti odierni necessitano di un’analisi profonda e mai scontata dei processi multidimensionali a cui appartiene la realtà in cui viviamo, all’interno della quale la diversità è divenuta lente privilegiata attraverso cui leggere e guardare il mondo. La categoria della multicultura chiama in causa la questione delle migrazioni presenti e passate, e coinvolge tutti, in un’ottica di cultura delle interdipendenze (Susi, 1999), in cui ogni aspetto della vita è interconnesso all’altro. A fronte di ciò, recuperare aspetti di tipo sociologico, antropologico, normativo, ma anche psicologico, diventa quanto mai urgente al fine di sostenere il lavoro educativo di insegnanti e dirigenti, che spesso si trovano a vivere “in un’età planetaria con una coscienza neolitica”. Infatti, come suggerisce Ouellet, «non sembra possibile poter intervenire efficacemente in questo campo, senza una minima iniziazione alle diverse questioni sociologiche, politiche, filosofiche ed etiche, sollevate dalla conciliazione tra l’apertura alla diversità, la coesione sociale e l’eguaglianza» (Ouellet, 2007, p. 145).

Oltre agli aspetti più prettamente teorici, all’interno del percorso formativo sono stati proposti un percorso pratico di tirocinio e una formazione di tipo metodologico, al fine di dotare coloro che operano in prima persona nella scuola di strumenti di osservazione, indagine e ricerca. Tale percorso ha permesso di ripensare il docente e il dirigente come protagonisti all’interno di uno spazio non solo di azione, ma anche di riflessione. Promuovere percorsi di ricerca-azione, così come è stato fatto all’interno del Master, significa promuovere quello che Dewey chiamava “l’insegnante come investigatore”, un professionista dell’educazione che si interroga sul proprio agire, sperimenta e riflette, elaborando un sapere e una pratica viva, frutto di un processo di coscientizzazione (Mortari, 2009). I percorsi di ricerca-azione che sono stati avviati all’interno del Master hanno previsto il coinvolgimento di altri docenti appartenenti alla rete di scopo del progetto, con i quali i corsisti hanno potuto collaborare, confrontandosi e condividendo esperienze, competenze e idee.

Sono stati coinvolti circa 124 docenti di differenti realtà scolastiche del territorio laziale; i docenti hanno potuto accedere a parte dei materiali di studio previsti nel Master e hanno sperimentato, insieme ai corsisti, la modalità della ricerca-azione come strumento di esplorazione, osservazione e azione all’interno della propria realtà scolastica. Tale lavoro ha permesso a molti dei docenti di riappropriarsi del proprio ruolo di agenti di cambiamento, ma soprattutto di ricercare un tempo per osservare, riflettere e comunicare. Fare fronte alla complessità odierna non è impresa facile: è necessario dotarsi di capacità di riflessione, interrogarsi continuamente sulle direzioni di senso del proprio e dell’altrui agire educativo, creare spazi di incontro e di dialogo per una co-costruzione di un sapere educativo condiviso da tutti gli operatori della scuola.

La ricerca-azione, quindi, più di altre modalità di indagine, sembra essere un interessante strumento di rilettura dell’educativo per chi ogni giorno si trova ad affrontare questioni tanto complesse quanto specifiche e sempre nuove. Il Master è terminato con l’elaborazione scritta di una tesina e un momento orale di confronto di quanto appreso e sperimentato durante tutto il percorso di formazione. La discussione finale è stata carica di valore per chi ha partecipato alla formazione, rappresentando uno spazio di restituzione di quanto fatto, ma soprattutto di affermazione del proprio protagonismo e della propria crescita umana e professionale. In relazione a quanto è stato realizzato all’interno di questo percorso formativo, sembra interessante cogliere alcuni aspetti emersi da un breve questionario di gradimento proposto dal MIUR, in un’ottica di valutazione della proposta formativa e di possibili migliorie da apportare. Al questionario di gradimento hanno risposto 72 corsisti sui 99 iscritti, di cui 93 regolarmente frequentanti. Un aspetto interessante ricoprono i temi proposti dai corsisti rispetto a un futuro possibile approfondimento:

 

  • La gestione e l’organizzazione di contesti scolastici multiculturali

  • La didattica interculturale

  • La revisione del curriculum

  • L’italiano come seconda lingua

  • La pedagogia interculturale

  • L’inclusione

  • Il contesto internazionale attraverso la storia comparata

  • La situazione internazionale.

 

Si evince da tali considerazioni come resti forte il bisogno da parte dei partecipanti al Master di approfondire ulteriormente diversi aspetti già affrontati nel percorso formativo, relativi alla pedagogia e all’educazione interculturale. La questione interculturale, che ha avuto un ruolo importante all’interno della formazione attuata, è percepita come ancora molto attuale e necessaria dai professionisti della scuola, pur essendo presente all’interno dei documenti ministeriali da quasi 30 anni. Quello dell’educazione interculturale è un percorso non sempre semplice da ricostruire, costellato da buone pratiche e brusche frenate, sia sul piano normativo/ministeriale, sia su quello pratico/esperienziale. Nonostante questo, studiosi ed esperti4 continuano ad affermare con forza il bisogno di ritornare sulle questioni che la riflessione pedagogica interculturale pone davanti, cercando di cogliere tutte le sfumature e le complessità della contemporaneità.

 

Insegnanti e saperi interculturali

La formazione interculturale degli insegnanti riveste un ruolo cruciale: è solo a partire da una corretta impostazione del lavoro educativo nella scuola che si può sperare di diffondere una sempre più necessaria “cultura della convivenza”, che deve essere adeguatamente progettata e costruita. Non si tratta di un obiettivo immediato: insegnanti e educatori per primi sono chiamati a rimettere in discussione i propri paradigmi di riferimento con l’obiettivo di ridurre il tasso di etnocentrismo presente nel nostro sistema educativo. È necessario allora ripensare curricoli e metodologie didattiche per acquisire le competenze necessarie a “spostare il centro del mondo”. L’insegnamento tradizionale non sempre è riuscito a proporre il dialogo come strumento privilegiato nelle relazioni tra gli individui, favorendo di fatto una comunicazione a senso unico, mentre sarebbe più opportuno oggi fare ricorso a metodologie che consentano agli studenti di sperimentare concretamente l’attività dialogica e la pratica democratica. Una vera e propria revisione interculturale dell’educazione implica necessariamente, oltre a una revisione del curricolo esplicito, anche una seria “esplorazione” del curricolo “nascosto”. Nonostante sia evidente un’obiettiva difficoltà a farne oggetto di analisi rigorosa, appare rilevante prendere in considerazione due dimensioni pedagogiche fondamentali:

 

  • il clima scolastico, con gli atteggiamenti, i valori, le scelte degli allievi, nonché le modalità relazionali dei diversi soggetti del panorama scolastico;

  • gli stili educativi degli insegnanti e le modalità con cui gestiscono le situazioni conflittuali in classe.

 

In particolare, il clima scolastico deve essere analizzato in maniera ampia, coinvolgendo non solo i rapporti interni alla scuola, ma anche quelli esterni, relativi alle dimensioni sociali del contesto in cui essa si trova, o alle attività condotte in collaborazione con altre istituzioni socio-educative. Molti fattori concorrono, perciò, a modellare il clima scolastico in contesti multiculturali, come il grado della formalità delle relazioni nella scuola, la frequenza e la qualità dei contatti personali fra gli insegnanti e gli allievi e degli alunni fra di loro, lo stile di insegnamento prevalente, il ruolo e il rilievo delle attività extrascolastiche, l’apertura della scuola verso l’esterno.

Sembra utile, in forma sintetica, provare a segnalare a titolo indicativo contesti e ambiti di ricerca sui quali in questa sede non è possibile intervenire e sui quali, tuttavia, sarà importante lavorare con ancora maggiore determinazione nel futuro prossimo: dall’analisi dell’apporto dell’extrascuola all’educazione interculturale al ruolo dell’associazionismo (ONG, associazioni del terzo settore, associazioni di migranti, volontariato), dalla ricerca sui percorsi di integrazione all’individuazione di indicatori di integrazione chiari e condivisi, dall’analisi critica dei libri di testo della scuola italiana alla revisione dei curricoli in prospettiva interculturale e all’educazione degli adulti immigrati, dalla formazione continua e professionale all’inserimento scolastico degli allievi stranieri nelle scuole secondarie superiori fino al tema cruciale delle cosiddette “seconde generazioni”, dalla dispersione scolastica ai NEET.

Sul piano più generale va osservato che, a fronte di documenti illuminati e di un periodo di effettivo interesse anche politico per il tema, si assiste ormai da anni alla progressiva riduzione delle risorse disponibili nel campo della ricerca e dell’istruzione.

La questione interculturale è ormai considerata un argomento da specialisti e non chiama in causa il sistema educativo nel suo complesso che la ritiene, quando se ne ricorda, una delle tante questioni accanto alle altre.

 

A proposito di formazione interculturale: prime evidenze empiriche di una ricerca

A fronte della necessità di dotare gli insegnanti, ma non solo, di competenze interculturali, è interessante presentare alcuni primi dati di una ricerca in corso, che ha lo scopo di comprendere il modello interculturale della scuola italiana definito da alcuni autori a macchia di leopardo o a-sistematico.5 Tale definizione nasce da alcuni studi e ricerche6  che hanno cercato di comprendere quanto e come le pratiche interculturali e il senso dell’intercultura fossero penetrati all’interno delle realtà scolastiche italiane. Da tali studi è emerso un forte scollamento tra quelle che sono le normative ministeriali e la realtà scolastica, confermando la presenza di grandi differenze in termini geografici e dell’ampliamento delle disuguaglianze su tutto il territorio, che coinvolgono in primis studenti con background migratorio e con difficoltà socio-economiche.7 Partendo da tali studi e dal lungo percorso dell’intercultura attraverso i documenti della scuola italiana, la ricerca che si vuole ora presentare ha lo scopo di comprendere le cause di tale a-sistematicità, partendo da due ipotesi di lavoro: la formazione interculturale degli insegnanti e dirigenti, disorganica e frammentaria, e la scarsa condivisione del concetto di intercultura a più livelli (Tarozzi, 2014; Portera, 2013). In questa sede è interessante concentrare l’attenzione in particolare sull’aspetto della formazione interculturale degli insegnanti e dei dirigenti. Per osservare e analizzare tale questione è stato scelto un campo di indagine privilegiato, rappresentato da insegnanti e dirigenti di tutta Italia, che hanno partecipato al Master più volte citato sopra. Ciò ha permesso di raggiungere una parte, seppur minima, di insegnanti e dirigenti che lavorano in scuole ad alta percentuale di studenti con background migratorio e che, quindi, dovrebbero conoscere in buona misura l’educazione interculturale nelle sue molteplici forme. Il campione coinvolto nell’indagine è di 712 tra docenti e dirigenti, a cui è stato somministrato un questionario a risposta chiusa circa i temi legati all’educazione interculturale e alla loro formazione in tal senso. Il campione è così composto: 10,5% sono dirigenti, il 16% sono insegnanti con funzione strumentale per il sostegno o l’intercultura e il 73,5% sono insegnanti. La ripartizione all’interno degli ordini e gradi scolastici segue criteri obbligati, relativi al regolamento8 per l’accesso al Master a cui hanno partecipato i rispondenti. In sintesi sono così ripartiti: il 5,2% CPIA, il 5,3% scuola dell’infanzia, il 31,9% scuola primaria, il 23,7% scuola secondaria di primo grado e il 33,9% scuola secondaria di secondo grado.

Dai dati raccolti emerge una prevalenza forte del genere femminile, che rappresenta l’87,6% del campione, e un’età media di 48 anni circa, con solo il 16,8% inferiore ai 40 anni. In questa sede verranno presentati solo alcuni dati, approfonditi maggiormente all’interno di un articolo appena pubblicato (Stillo, 2018) sul ruolo degli insegnanti nella scuola. In particolare, nell’economia del discorso, vale la pena analizzare due aspetti: la natura della formazione degli insegnanti e dei dirigenti e la loro percezione ed esplicitazione di bisogni formativi in questo ambito.

Dall’analisi condotta circa il tipo di formazione interculturale di insegnanti e dirigenti, emerge l’importanza ancora oggi della formazione esperienziale sul campo, che di per sé non rappresenterebbe un elemento negativo, se fosse accompagnata da una formazione specifica altrettanto consistente. Inoltre, anche in presenza di corsi specifici, da altre analisi emerge come il 50% di questi corsi raggiunga un massimo di 40 ore totali: una formazione specifica che rischia di approfondire poco le tematiche così tanto complesse che ruotano intorno all’intercultura. Interessante anche l’articolata proposta di formazione specifica, sia rispetto ai contenuti, sia rispetto agli enti che la organizzano. Tale analisi pone in evidenza la massiccia presenza del Privato Sociale come promotore di formazione specifica, che di pochissimo supera l’Università, seguita da vicino dal MIUR e dagli Enti Locali. Questo dato racconta di un’offerta formativa proveniente da fonti diversi tra loro, che forse contribuiscono da un lato a una frammentarietà e disorganicità rispetto alla direzione di senso da intraprendere, aumentando per certi versi confusione e semplificazioni di merito; dall’altro, impegnando risorse differenti e promuovendo esperienze e capacità diverse, potrebbero favorire una formazione più ricca e complementare.

Il nodo della questione è sicuramente da rintracciare nelle linee di senso che si vogliono percorrere e nella costruzione intenzionale di percorsi, che, sebbene possano procedere su strade diverse, puntano a raggiungere una stessa meta. Un ulteriore esempio della grande differenziazione dell’offerta formativa interculturale è dato dall’osservazione dei temi trattati in ambito formativo, con tre elementi che più di altri vengono segnalati: la costruzione di laboratori di italiano come L2, indicato in 168 casi, le attività interculturali in classe e le strategie di accoglienza. Accanto a questi tre elementi, maggiormente presenti nelle attività di formazione, ve ne sono altri per lo più assenti, che invece, a parere di chi scrive, potrebbero essere un punto di svolta per le tante derive culturali9 italiane. Si fa riferimento in particolare al tema della conoscenza del fenomeno migratorio, della comunicazione interculturale e della condizione socio-affettiva degli alunni con background migratorio, che si riscontrano essere affrontate in un basso numero di casi. Tali aspetti, invece, pur sembrando inerenti a questioni meno “urgenti” di quella linguistica o dell’accoglienza, rappresentano elementi imprescindibili per sviluppare la capacità di mediazione e di decentramento cognitivo, affettivo ed esistenziale di così già difficile realizzazione.

Dopo questa breve analisi esplorativa, si vuole approfondire il tema dei bisogni formativi legati alla questione della multiculturalità e della formazione interculturale. Anzitutto emerge un condiviso richiamo ad aspetti e bisogni formativi comuni. Tra tutti, i due più evidenti sono la formazione per una didattica interculturale e una formazione organica e condivisa sulle questioni interculturali per insegnanti e dirigenti. Tale bisogno converge con quelli emersi nell’approfondimento sull’esperienza del Master che ha coinvolto i docenti del Lazio. Sempre con riferimento ai bisogni emergono altri due aspetti significativi in relazione alle competenze necessarie e ai temi ritenuti più significativi. Rispetto alle competenze emerge il primato degli aspetti relazionali e comunicativi sulle competenze più metodologico-didattiche, che raccontano di insegnanti e dirigenti che si sentono maggiormente in grado di affrontare la pratica didattica e meno l’aspetto della relazione, in tutta la sua complessità.

Rispetto ai temi ritenuti più significativi per la formazione, ne emergono tre in particolare, in accordo anche ai temi già presenti nei percorsi formativi: la didattica interculturale, i laboratori di L2 e le strategie di accoglienza. In conclusione, quindi, si possono fare alcune ipotesi di lavoro e approfondimento: la formazione interculturale di insegnanti e dirigenti resta un tema importante da affrontare nelle future politiche e pratiche scolastiche, al fine di fornire una formazione che possa dirsi maggiormente organica e coesa.

Oltre a ciò, resta utile approfondire gli aspetti dei bisogni formativi: alcuni temi già in parte affrontati nei percorsi formativi passati continuano ad essere al centro delle richieste di insegnanti e dirigenti; altri aspetti, invece, più trascurati, dovrebbero essere ripresi e affrontati in tutta la loro complessità. Lo sviluppo di competenze più prettamente legate ad aspetti relazionali, comunicativi e di mediazione richiedono sia all’educando che all’educatore di mettersi in gioco e in ascolto reciproco, rinunciando a relazioni di potere predeterminate e promuovendo una trasformazione continua in un percorso di arricchimento scambievole. Tale processo non è mai facile né scontato, ma diventa un momento irrinunciabile per la costruzione di uno spazio di relazione, dialogo e promozione della diversità di ognuno.

 

Conclusioni

La formazione interculturale emerge da più parti come uno strumento di riflessione e azione educativa, non solo per gli operatori della scuola, ma per tutti coloro che si trovano a vivere in una “società delle interdipendenze” (Susi, 1999). Acquisire la consapevolezza dell’intimo legame tra le scelte e le azioni operate in parti del mondo tra loro lontane e sconosciute è il primo tassello per costruire una coscienza planetaria (Morin, 2000), e sviluppare quel decentramento cognitivo, affettivo ed esistenziale senza il quale il reale incontro con l’altro sarà sempre parziale e subalterno. L’educazione come processo di crescita e trasformazione è ovviamente una strada in salita da costruire passo dopo passo, e in particolare la proposta interculturale ha bisogno di una scelta di campo forte, altrimenti si rischia di banalizzare tale approccio e ridurlo a mero culturalismo (Zoletto, 2012). Prendendo in prestito le parole di Tarozzi «l’educazione interculturale è assunta in modo acritico, sempre universalmente caricata di un indiscusso valore positivo, mai messa in dubbio nei suoi assunti, che pure non sono neutri né sempre facilmente accettabili» (Tarozzi, 2015, p. 43).

L’intercultura ci chiama a operare una scelta di senso, a sviluppare un etnocentrismo critico e a lavorare per costruire ponti e strade, alla ricerca di un dialogo possibile e di nuove identità co-costruite. Ciò significa che la scuola, che ha scelto di assumere la diversità come nuovo paradigma per conoscere e vivere la realtà plurale, ha bisogno di riscoprirsi all’interno di una direzione di senso ampio, in cui la formazione acquisisca un posto centrale. Il percorso formativo appena conclusosi ha visto il contributo di 24 Università in quasi tutta Italia e ha coinvolto un numero importante di insegnanti e dirigenti in un progetto di formazione comune e condiviso; ciò è sicuramente elemento positivo dal quale poter partire per recuperare un’organicità di senso, e un’idea di scuola che pare essersi persa o quantomeno sbiadita nei suoi contorni (Baldacci, 2014).

La formazione interculturale, come ampiamente esposto in questo contributo, riguarda tutti, e acquisisce senso e motivo di esistere solo all’interno di cornici ampie, come la social justice education e il capability approach, che nascono dalla concezione della dignità e dal rispetto per tutti gli individui, in un’ottica di sviluppo di eguali opportunità di scelta e di sviluppo e benessere personale. All’interno di queste traiettorie di senso l’educazione interculturale e la formazione possono muovere nuovi passi per realizzare una scuola che possa dirsi realmente democratica, e spazio di crescita ed emancipazione personale e sociale.

 

Bibliografia

Baldacci M. (2014), Per un’idea di scuola. Istruzione, lavoro e democrazia, Milano, FrancoAngeli.

Catarci M. e Fiorucci M. (a cura di) (2015), Intercultural Education in the European Context. Theories, Experiences, Challenges, London-New York, Routledge.

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Note

1 L’intero lavoro è frutto di un lavoro congiunto dei due autori. Nello specifico Massimiliano Fiorucci ha redatto l’Introduzione e il secondo paragrafo, mentre Lisa Stillo è autrice del primo e del terzo paragrafo e delle Conclusioni.
2 https://archivio.pubblica.istruzione.it/news/2007/allegati/pubblicazione_intercultura.pdf (consultato il 21 gennaio 2019).
3 MIUR ‒ Osservatorio Nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale, Diversi da chi?, 2005, http://www.centrocome.it/wp-content/uploads/2015/09/Diversidachi.pdf (consultato il 21 gennaio 2019).
4 Si fa qui riferimento ad autori come M. Santerini, M. Fiorucci, A. Portera e C. Grant.
5 Per approfondimenti cfr. Tarozzi, 2006, Favaro e Napoli, 2016.
6 Si fa qui riferimento allo studio condotto da Alleman-Ghionda, 2008 e allo studio di Tarozzi, 2006.
7 Si vedano il Rapporto MIUR Gli alunni con cittadinanza non italiana, a.s 2016-2017: http://www.miur.gov.it/documents/20182/0/FOCUS+16-17_Studenti+non+italiani/be4e2dc4-d81d-4621-9e5a-848f1f8609b3?version=1.0 (ultimo accesso: 21/01/2019); e il rapporto Invalsi 2018, http://www.invalsi.it/invalsi/doc_evidenza/2018/Rapporto_prove_INVALSI_2018.pdf (ultimo accesso: 21/01/2019).
8 Il regolamento del Master presupponeva una presenza dei diversi ordini e gradi, rispettando così sia il criterio di massima eterogeneità dei corsisti sia una percentuale del 30% massimo dei dirigenti e del 70% massimo di insegnanti.
9 Si fa qui riferimento agli episodi in crescita di razzismo e bullismo a sfondo razzista, fuori e dentro le scuole; ma anche al preoccupante fenomeno della dispersione scolastica, che colpisce tutti, ma in particolare gli alunni con background migratorio.

DOI: 10.14605/EI1621901


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ISSN 2420-8175. Educazione interculturale.
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