Test Book

Riflessioni e teorie / Thoughts, theories, analysis

L'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati tra identità incerte e pratiche educative in divenire
The reception of unaccompanied and separated children: from uncertain identities to educational practices in progress

Carlo Iato

educatore professionale laureato in Filosofia e in Scienze dell’Educazione; attualmente è coordinatore dell’area stranieri presso la S.C.S. Novo Millennio ONLUS di Monza


Autore per la corrispondenza

Carlo Iato
Indirizzo e-mail: iatocarlo@gmail.com
S.C.S. Novo Millennio ONLUS, Monza, Via Montecassino 8, 20900, Monza



Sommario

Il significativo incremento che ha interessato negli ultimi anni l’arrivo di minori stranieri non accompagnati (MSNA) nel nostro Paese pone specifici interrogativi al sistema di accoglienza e alla pratica educativa ad esso connessa. La condizione del minore migrante solo impone a chi lo accoglie di imparare a operare nell’incertezza di prospettive e invita l’operatore sociale a sviluppare strategie di intervento in grado di soddisfare contemporaneamente le incombenze tecniche e formali del committente pubblico, i bisogni specifici del giovane accolto e le proprie aspirazioni educative. Lo studio della letteratura disponibile sul fenomeno, unitamente all’ascolto dell’esperienza diretta di operatori e MSNA, permette di individuare criticità e possibili soluzioni che interrogano le consolidate esperienze di lavoro educativo con i minori in difficoltà, sfidandole a un rinnovamento tanto necessario quanto delicato. Adolescenza e adultità, dipendenza e autonomia, identità e integrazione, mandato istituzionale e mission educativa, narrazione di sé e trauma descrivono solo alcune delle numerose incertezze costitutive che caratterizzano questo ambito di intervento, dove pare necessario recuperare un’intenzionalità educativa matura, consapevole e aperta alla contaminazione con altri saperi.

Parole chiave

Minori stranieri non accompagnati (MSNA), migrazioni, educatore.


Abstract

The significant increase in recent arrivals of unaccompanied and separated children (UASC) in Italy raises specific questions about the reception system and educational practices. The condition of unaccompanied migrants forces the educators who take care of them to work in uncertain settings, and to produce strategies that must satisfy – technically and formally – the public contractor they work for, along with their professional capability to recognise and adapt both their own expectations and the foreign teenagers’ needs. A study of publications on this phenomenon, alongside listening to the experience of educators and of UASC, has enabled the author to focus on problems and potential solutions, drawing on his previous experiences with problematic minors, experiences that are very challenging to renew. Adolescence and adulthood, dependence and self-confidence, identity and integration, institutional mandate and educational mission, self-narration and shock are all terms that attempt to describe some of the constitutive uncertainties related to this educational setting, which needs to regain a mature educational intentionality, open to contamination from other disciplines.

Keywords

Unaccompanied and Separated Children (UASC), migration, educator.


Introduzione

Il costante arrivo in Italia da Paesi extraeuropei di minori stranieri non accompagnati rappresenta un elemento di particolare attenzione nello studio del complesso fenomeno migratorio che coinvolge il nostro Paese. La condizione di fragilità di questi soggetti li espone infatti a rischi specifici che hanno richiesto nel corso di questi anni l’attivazione di dispositivi dedicati di monitoraggio, accoglienza e cura. L’evolversi dei flussi migratori che li ha interessati, così come sarà sinteticamente accennato di seguito, ha imposto il tema dei minori stranieri non accompagnati all’attenzione della politica locale e nazionale, sollecitando a più livelli una presa in carico sistematica e strategica delle delicate problematiche ad esso connesse che ha visto il suo coronamento nella recente approvazione della legge n. 47 del 7 aprile 2017 – Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati.1

Di più difficile analisi è l’impatto che il crescente arrivo di giovani migranti ha avuto sul sistema di accoglienza del nostro Paese e lo studio degli interrogativi specifici che esso ha posto alle collaudate pratiche educative che animano le strutture residenziali per minori in Italia. All’interno di una prospettiva di sintesi tra lo studio della letteratura scientifica sul fenomeno e l’ascolto diretto delle testimonianze di diversi operatori che operano in tali contesti, appare sempre più evidente la necessità di rinnovare un pensiero pedagogico sensibile alle istanze proprie poste dalla storia di vita di questi giovani stranieri, che impongono a chi li accoglie la capacità di convivere con le molteplici ambiguità che li accompagnano, identità incerte sospese tra infanzia e adultità, dipendenza e distacco, appartenenza e integrazione, trauma, rimozione e salvezza.

Lo scenario istituzionale all’interno del quale collocare questa rinnovata professionalità educativa pone a sua volta richieste di efficienza tecnico-burocratica e di controllo sociale la cui integrazione con i dispositivi pedagogici richiede all’operatore l’attivazione di capacità strategiche nuove e non curricolari. Necessaria premessa all’approfondimento di questi nuovi scenari educativi è la definizione del campo di indagine e degli interpreti che lo abitano. Una rapida ricognizione descrittiva dei flussi migratori dei minori stranieri soli che da diversi anni interessano il nostro paese permetterà di comprendere le dimensioni del fenomeno e di inquadrare entro una chiara cornice di riferimento gli specifici quesiti che esso pone alla teoria e alla pratica psico-pedagogica e sociale.

 

La cornice di riferimento. I minori stranieri non accompagnati e il sistema di accoglienza italiano

L’uso dell’acronimo MSNA per indicare i minori stranieri non accompagnati è ormai diffuso non solo tra gli addetti ai lavori e individua una categoria di soggetti ben definita, quella dei minorenni che non hanno cittadinanza italiana e che non sono accompagnati da un riferimento adulto che ne abbia la tutela. L’art. 2 del D.L. n. 142/2015 identifica il minore come «lo straniero di età inferiore agli anni diciotto, che si trova, per qualsiasi causa, nel territorio nazionale, privo di assistenza e rappresentanza legale»,2 mentre l’art. 2 della recente L. n. 47/2017 specifica come «il minorenne non avente cittadinanza italiana o dell'Unione europea che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano».3 Una attenta ricognizione delle fonti ufficiali che si occupano di monitorare i dati relativi ad arrivi e presenze del MSNA.4 in Italia permette di tracciare le caratteristiche principali di questo fenomeno in una prospettiva diacronica utile a recuperarne la storia e a prospettare possibili sviluppi.

I MSNA. giunti in Italia via mare nel corso del 2017 sono stati 15.731 (Ministero dell'Interno, Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, 2018) a fronte dei 25.846 del 2016 (anno in cui i flussi sono stati particolarmente influenzati dalla crisi siriana), dei 12.360 del 2015 e dei 13.026 del 2014, dati questi che non comprendono i minori arrivati via terra attraverso le rotte balcaniche (principalmente kosovari e albanesi). Confrontando questi dati con quelli forniti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali relativi ai MSNA. censiti sul territorio nazionale si evince come il numero dei giovani migranti presenti in Italia sia in continuo aumento: 18.508 nel 2017 (Governo Italiano, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2017) a fronte dei 17.373 del 2016 e degli 11.921 del 2015 (segnando un incremento di presenze del 33,6% rispetto allo stesso mese del 2016 e del 106,7% del 2015) (Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione, Div. II, 2017).

In riferimento alle zone di provenienza, durante il 2017 si è bruscamente interrotto l’afflusso dei minori egiziani che ha sempre caratterizzato le migrazioni dei MSNA con obiettivo stanziale nel nostro Paese, prontamente sostituito dall’incremento degli arrivi dai Paesi dell’Africa Sub-Sahariana Occidentale, in particolare Nigeria, Guinea, Costa d’Avorio e Gambia che, secondo i dati disponibili a fine 2017, hanno risentito solo parzialmente del blocco della rotta libica in seguito agli accordi intercorsi il 2 febbraio 2017 tra il Governo italiano e Il Governo di Riconciliazione Nazionale dello Stato di Libia. Se in termini assoluti il numero dei MSNA sbarcati è quindi diminuito rispetto al 2016, è importante rilevare come percentualmente essi tuttavia rappresentino una parte crescente sul totale dei migranti (13%)5 e come, dato ancora più allarmante, l’età media di chi giunge in Italia si sia progressivamente abbassata.

Un ulteriore elemento degno di attenzione è quello relativo alle giovani minorenni, il cui numero è significativamente aumentato nel corso dell’ultimo triennio, caratterizzato da un elevato tasso di scomparsa delle giovani ragazze nei mesi successivi alla loro identificazione (tasso di irreperibilità vicino al 50%). In sintesi, superato il picco migratorio del 2016 dovuto a fattori geopolitici congiunturali, è possibile concludere che i MSNA in arrivo in Italia sono in costante aumento, in particolare quelli provenienti dai Paesi dell’Africa sub-sahariana, sono sempre più giovani e con una aumentata rappresentanza femminile. Nel racconto dei ragazzi6 il viaggio migratorio, la cui durata media è di 14 mesi, viene intrapreso il più delle volte per scelta personale del ragazzo e viene affrontato con una scarsissima consapevolezza dei rischi ad esso connessi; prioritaria pare la necessità di allontanarsi dal Paese d’origine tanto che almeno nella metà dei casi l’Italia e l’Europa diventano la destinazione finale del viaggio solo dopo essere giunti in Libia, paese che spesse volte compare come destinazione iniziale cui i minori orientano la loro fuga ma da cui presto essi sentono di dover scappare per le condizioni di violento sfruttamento, schiavitù e pericolo che ivi sperimentano.

Giunto in Italia, il minore straniero si imbatte in un sistema di accoglienza estremamente disomogeneo caratterizzato da livelli di protezione e tutela molto differenti come confermato in modo esemplare dalla recente «Relazione sul sistema di protezione e di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati» presentata il 26 luglio 2017 alla Commissione Parlamentare d’inchiesta predisposta presso la Camera dei Deputati.7

A complicare ulteriormente questo scenario contribuisce una distribuzione territoriale dell’accoglienza dei MSNA estremamente squilibrata che va dai più di 6000 censiti in Sicilia, ai 1000 e più della Lombardia, ai 18 dell’Umbria nel 2017. Nonostante la volontà di riorganizzazione del sistema espressa dalla recente legge 47/2017, fornire un quadro esaustivo dell’accoglienza dei MSNA sul territorio nazionale rappresenta tuttavia un’ambizione che presuppone l’esistenza di un sistema organico e strutturato, uniformemente governato a livello locale e centrale; l’esperienza diretta di chi lavora in questo settore così come l’analisi ad ampio raggio compiuta dalla già citata Commissione Parlamentare d’Inchiesta restituiscono invece l’immagine di un ambito fortemente disarticolato in cui i diversi attori sociali operano secondo possibilità e orientamenti specifici. È questa solo una delle molteplici variabili che costituiscono l’incertezza di una prassi d’accoglienza che l’operatore sociale sperimenta quotidianamente nel tentativo di costruire percorsi di cura, promozione e integrazione del minore straniero solo.

 

Lo scenario educativo nelle pratiche di accoglienza del minore straniero

La descrizione dell’evolversi del fenomeno migratorio e di quello specifico che interessa i minori stranieri permette di evidenziare come, in ambito pedagogico, l’intervento educativo con i MSNA possa considerarsi una pratica relativamente giovane, dalle caratteristiche proprie quanto mutevoli. È questo un ambito che intreccia tematiche relative all’accoglienza, alla minore età, all’intercultura in un orizzonte di intervento sociale estremamente sfumato in cui il disagio dell’utente si colloca in territori evidentemente differenti e distanti da quelli in cui la consolidata pratica educativa con i minori italiani era abituata a muoversi. Discrimine immediatamente evidente sono i differenti presupposti che conducono il minore straniero nelle comunità e, più in generale, nelle strutture di accoglienza, presupposti che sono frutto di una sua scelta consapevole e deliberata alla ricerca di un’alleanza educativa che faciliti al minore un positivo inserimento nel territorio italiano.

La maggior parte dei MSNA che arriva in Italia impara presto che per ottenere i documenti, imparare la lingua e cercarsi un lavoro la cosa migliore è andare dalla polizia, dichiarare la propria minore età e chiedere di essere collocato in comunità. Al netto delle molteplici differenze che caratterizzano le storie di vita di ciascun ragazzo, l’educatore che opera nei centri di seconda accoglienza e di avvio all’autonomia8 si trova quindi a interagire con giovani che hanno obiettivi precisi per il loro futuro e che chiedono, oltre che di essere accuditi nei loro bisogni primari, di essere orientati e accompagnati, segnando così una precisa discontinuità, almeno nelle premesse, dalla gran parte dei minori italiani collocati in comunità per effetto di un Decreto del Tribunale dei Minori.

Le coordinate che regolano l’incontro fra la domanda del MSNA e l’offerta educativa e sociale dei centri di accoglienza intersecano molteplici ambiguità e incertezze che ne connotano costantemente gli sviluppi: quale identità riconoscere a questi giovani, quella di adulti iniziati dal viaggio migratorio o quella di bambini e adolescenti mancati? Quale misura concedere al loro bisogno di affiliazione e cura a fronte di tempi di relazione marcati da scadenze così ravvicinate? Come conciliare l’urgenza istituzionale di conoscere la loro storia per indirizzarne il futuro con narrazioni così sofferte, permeate dal trauma? Verso quale percorso di regolarizzazione indirizzare il MSNA di fronte alla contraddittorietà di alcune pratiche istituzionali, quello della coerenza o quello della convenienza e dell’opportunità? Sono queste, che verranno articolate di seguito, solo alcune delle numerose ambiguità all’interno delle quali l’operatore sociale è chiamato a intervenire, costruendo reti di relazioni dinamiche e incerte, scandite dal susseguirsi di scadenze burocratiche da cui non può prescindere. Ambiguità che hanno origine fin dalla definizione stessa dell’oggetto del suo lavoro, quella di minore.

 

Minori, adolescenti, adulti: età anagrafica ed età evolutiva

«Io fra pochi mesi compirò diciotto anni. Cosa sarà di me quando io non sarò più bambino?»: a parlare è un giovane nigeriano che si interroga sul suo futuro in Italia dopo che, sopraggiunta la maggiore età, non avrà più diritto ad alcun sostegno o accompagnamento. Il passaggio all’età adulta avviene in data certa e non prevede periodi intermedi; da bambino a uomo nel giro di un giorno. Il salto è nel vuoto, e se ciò che comprensibilmente più preoccupa i giovani stranieri sospesi sull’orlo di questo abisso è la solitudine che questo inevitabilmente comporterà dal punto di vista del sostegno socio educativo, l’occhio attento di chi fin lì li ha accompagnati non può non cogliere l’incertezza e la paura di chi non ha più attenuanti al dover esser uomo, adulto, privato di una età di mezzo riconosciuta e sfumata nel suo tradursi in responsabilità, autonomia e, troppo spesso, solitudine.

Se il passaggio all’età adulta soffre quindi di scadenze burocraticamente definite e rigide (solo parzialmente calmierate dallo sporadico ricorso all’istituto del prosieguo amministrativo, caldeggiato anche dalla recente legge n. 47/2017), è al momento dell’inserimento in struttura e della co-progettazione dell’intervento educativo che la questione anagrafica e di identità evolutiva si pone con maggiore cogenza. Se il termine «minori» fa riferimento a una convenzione anagrafica che li distingue da una maggiore età che varia da paese a paese, pare necessario riferirsi a questi ragazzi come adolescenti, termine che individua «colui che sta crescendo» e che, in quanto tale, attraversa una terra di confine (Cassoni, 2011). La grande maggioranza dei MSNA giunge in Italia con il preciso mandato di trovarsi un lavoro, guadagnare dei soldi per poterne inviare quanto prima la massima parte alla famiglia rimasta al Paese d’origine. L’inversione generazionale di cui sono interpreti – non sempre volontari – questi giovani li carica di un mandato migratorio familiare che li obbliga a essere subito adulti, protagonisti di un’epica della migrazione irrealistica quanto insostenibile, il cui rovescio della medaglia è quello di venire considerati e considerarsi unici responsabili di eventuali fallimenti. La solitudine interiore diviene la cifra di queste esistenze di fronte alle quali l’educatore è chiamato ad armonizzare la loro urgenza di essere subito adulti e l’evidenza di corpi, emozioni, volti e storie di adolescenti mancati, cui è stato sottratto il diritto di essere bambini e ragazzi prima che uomini.

Assai frequente, tra gli operatori che si occupano di accogliere i MSNA, è il considerare le loro storie di vita – connotate quasi sempre da eventi drammatici che interessano non solo il viaggio migratorio ma anche l’infanzia nei paesi d’origine – come percorsi di adultizzazione precoce, immaginandosi di avere davanti dei piccoli uomini, emancipati precocemente dall’infanzia attraverso passaggi iniziatici che, nella loro tragicità, li avrebbero resi maturi e consapevoli, pronti ad affrontare le richieste di autonomia (psicologica, affettiva oltre che materiale) che il mandato migratorio impone loro. Pur non negando la valenza iniziatica che l’essere sopravvissuti al viaggio può talvolta assumere nel percorso di definizione del sé del giovane migrante (Aliverti, 2016), la proiezione acritica di questa immagine sul MSNA da parte dell’operatore sociale alimenta un’idea identitaria ingessata e irrealistica che, oltre a confermare le richieste migratorie di chi gli chiede di essere uomo subito, compromette la possibilità di accedere ai suoi reali bisogni e urgenze.

L’operatore sembra collocato, insieme al ragazzo, in mezzo a un guado, vittima di uno strabismo proprio di chi si trova a ricostruire adolescenze senza sapere bene in che direzioguardare, ricattato dal loro bisogno impellente di essere uomini al più presto e dalle tracce di una infanzia mancata che continuamente riemerge e disorienta questi ragazzi. La pratica educativa basata sulla vicinanza e l’ascolto impone quindi di avvicinarsi alle caratteristiche identitarie del singolo abbandonando prospettive precostituite in favore di una postura fenomenologica ed ermeneutica che pone l’operatore sociale all’interno di un’incertezza costitutiva, sospeso – ma non immobile – tra il recupero e la salvaguardia dell’identità adolescente del giovane e le stringenti urgenze proprie dell’età adulta cui il ragazzo non può sottrarsi.

 

Dipendenza e autonomia

Porre l’identità adolescente9 del MSNA a premessa del suo percorso di integrazione aiuta a cogliere un’altra ambiguità propria della professionalità educativa in tale contesto, quella riferita alle dinamiche di dipendenza e autonomia che regolano i rapporti fra operatori e giovani migranti. È esperienza comune degli educatori sperimentare il difficile equilibrio tra il forte bisogno di attaccamento e investimento del ragazzo nei confronti di una figura adulta credibile e l’urgenza di sviluppare percorsi di autonomia ed emancipazione dettati da tempi di intervento estremamente ridotti. Alla tensione propria dei giovani migranti tra il bisogno di affidarsi e quello di indipendenza si aggiunge, nelle loro biografie di adolescenti, un inevitabile aggiornamento del proprio copione relazionale, ora a confronto con contesti e modelli nuovi e differenti da quelli acquisiti durante l’infanzia nel proprio paese. Coltivare relazioni di fiducia e affiliazione, modulandone intensità e direzione in funzione della prossima autonomia, costituisce una attitudine necessaria che obbliga l’educatore professionale a sviluppare una intenzionalità educativa specifica, sostando nel difficile equilibrio tra un dispositivo teoreticamente orientato e la spontaneità vitale e quotidiana della relazione.

 

Il difficile equilibrio fra mandato istituzionale e mandato educativo

A queste difficoltà intrinseche nella relazione con il minore straniero solo si aggiungono quelle «di contesto», ovvero quelle relative al mandato istituzionale assegnato dall’ente pubblico alle strutture di accoglienza e ai loro operatori. La particolare condizione di fragilità del MSNA e le garanzie legislative poste a tutela della minore età di questi soggetti impongono in linea di principio un approccio sociale orientato non solo all’espletamento delle pratiche di cura e controllo legate al loro essere stranieri entrati irregolarmente in Italia, ma anche alla definizione di un progetto educativo di medio termine che ne tuteli le condizioni di sviluppo in un contesto adeguato. Sebbene questa attenzione segni una certa discontinuità rispetto ai luoghi di accoglienza dei migranti adulti, la portata dei flussi migratori che hanno coinvolto i MSNA ha molto spesso ridotto, nei fatti, la reale consistenza di tale attenzione, riducendo talvolta al minimo l’effettiva possibilità dell’ente pubblico di dare seguito a una progettualità sociale e educativa efficace.

Mandato istituzionale e mandato educativo sempre più spesso paiono procedere per binari paralleli che, per quanto univocamente orientati, faticano a coordinarsi e a comunicare. Accade così che il mandato istituzionale si concentri talvolta, almeno nelle sue evidenze più verificabili, sull’espletamento di compiti specifici che riguardano più l’area tecnico-burocratica che non quella più propriamente educativa; questa dimensione, che si sostanzia di molteplici contenuti legati al benessere complessivo del minore e al suo percorso di maturazione di una identità integrata, pare restare quasi sullo sfondo dell’interesse sociale del committente, finendo troppo spesso a costituire un obiettivo interno alla struttura di accoglienza, confinato in progetti educativi da archiviare al momento della dimissione del minore.

L’accompagnamento educativo in queste strutture è esplicitamente tematizzato e le scansioni tecnico-procedurali che definiscono un buon percorso di inserimento sociale (salute, documenti, scuola, formazione professionale, tirocini, autonomia) rappresentano degli indicatori di un positivo sviluppo del progetto. Ma lo specifico educativo costituisce un percorso sottotraccia che un osservatore esterno talvolta pare non rilevare. È quindi evidente non solo come ogni voce che compone e definisce lo svolgersi del percorso di integrazione del minore sia parte di una sequenza di passaggi verificabili, da spuntare burocraticamente a ogni step superato, ma anche come il suo espletamento presupponga un coinvolgimento educativo da parte dell’operatore senza il quale non si può dare alcuna reale integrazione interculturale.

 

La difficile strada verso il permesso di soggiorno

La ricostruzione delle vicende biografiche del minore costituisce un altro ambito estremamente delicato all’interno del quale operatori delle accoglienze e servizio sociale sono chiamati a muoversi. Le due differenti strade a disposizione del MSNA per regolarizzare la sua posizione sul territorio italiano – permesso di soggiorno per minore età o come richiedente asilo politico – richiedono un’attenta analisi della sua storia atta a verificare le condizioni per intraprendere un percorso piuttosto che un altro. All’interno di questa postura valutativa risulta pertanto essenziale, nell’interesse del ragazzo, procedere tramite appositi colloqui a un’attenta ricognizione dei motivi che hanno determinato la sua scelta migratoria, con la conseguenza diretta per l’operatore di entrare in contatto con «materiale» potenzialmente incandescente in quanto riferito ad accadimenti e vissuti fortemente traumatici.

Le biografie di quasi tutti i ragazzi che giungono nelle accoglienze sono connotate da esperienze di abbandono, violenza e abuso che hanno lasciato evidenti segni traumatici nelle menti e nei corpi. L’operatore sociale, consapevole dei limiti delle proprie capacità di presa in carico, deve sapersi affacciare sul trauma senza entrarvi, riconoscendone la portata senza riattivarne gli effetti sul giovane e senza – aspetto non secondario – venirne egli stesso travolto. Al compito tecnico di orientamento del giovane si affianca quindi, di necessità, una modalità empatica di relazione capace di creare quelle condizioni di ascolto indispensabili all’emergere della storia di vita del singolo. Alle esigenze di coerenza, utili a valutare l’effettivo sussistere delle condizioni di una richiesta di asilo politico, vanno poi aggiunte quelle di opportunità e fattibilità che molto spesso orientano il giovane verso la richiesta di questo tipo di permesso di soggiorno. A fronte infatti di specifica circolare del Ministero dell’Interno,10 accade ancora di frequente, in modo per nulla uniforme sul territorio nazionale, che alcune Questure neghino il permesso di soggiorno ai minori non in grado di produrre il passaporto o altro documento equipollente quale attestazione anagrafica ufficiale. Il minore, per quanto di fatto inespellibile, si trova così nella paradossale situazione di non poter ottenere il permesso di soggiorno, con conseguente impossibilità di accedere ai diplomi scolastici, alla formazione professionale piuttosto che alla regolare iscrizione al servizio sanitario nazionale.

A tale evidente cortocircuito istituzionale si è recentemente ovviato dando attuazione a quanto previsto dalla legge 47/2017 che sancisce il diritto al permesso di soggiorno anche in assenza di passaporto o documento equipollente spostando però, di fatto, il problema al momento del compimento della maggiore età, quando al giovane sarà impossibile regolarizzare la propria posizione in assenza di passaporto. Effetto perverso di tale complessità burocratica è la presentazione indiscriminata di domande di protezione internazionale da parte di quei minori impossibilitati a produrre gli attestati richiesti in quanto non emessi dalle rappresentanze diplomatiche in Italia dei paesi d’origine.11 In tale frequente situazione, l’educatore si trova nella non facile condizione di dover spiegare al MSNA che l’unico modo per poter accedere al permesso di soggiorno è quello di presentare richiesta di asilo, anche in assenza di condizioni di pregiudizio a supporto.

Questo paradosso della forzata richiesta di asilo in assenza di alternative regolari percorribili colloca l’operatore in un territorio ambiguo posto tra esigenze di coerenza e legittimità e altre di opportunità e fattibilità, ove l’unica effettiva possibilità di successo consiste nella condivisione non solo formale con il ragazzo della migliore strategia da perseguire, sostenendolo e rendendolo protagonista di tale scelta. Identità anagrafica ed evolutiva del giovane migrante, dinamiche di attaccamento e di autonomia, mandato istituzionale e mission educativa, ricostruzione biografica e ascolto del trauma, coerenza od opportunità nelle procedure di regolarizzazione, rappresentano alcuni dei dilemmi all’interno dei quali quotidianamente l’educatore si trova a dover operare. Quali sono le strategie possibili per sostare utilmente ed efficacemente all’interno di tali incertezze, svolgendo al meglio il compito di promozione del benessere del minore e di costruzione di un positivo percorso di integrazione?

 

Verso una rinnovata professionalità educativa

I contorni di quanto descritto fanno del lavoro di accoglienza e integrazione sociale dei MSNA una sfida educativa con importante ricadute di rinnovamento professionale. I minori stranieri soli, nel testimoniare il difficile compito loro assegnato dal sovrapporsi delle mappe identitarie di adolescenti e migranti, obbligano la pedagogia dedicata alla formazione degli educatori all’elaborazione di specifiche strategie di adattamento dei propri saperi e delle proprie consuetudini. L’intervento educativo tradizionale (in particolare in ambito residenziale) ha portato negli anni al consolidarsi di procedure e metodologie elevate talvolta a veri e propri standard, protocolli operativi che tendono a riproporsi in modo più o meno rigido, testimoni di modelli culturali di matrice assistenziale e istituzionalizzante (Bastianoni e Baiamonte, 2014).

Al minore accolto in comunità educativa è spesso chiesto di adeguarsi a regole dettate dal contesto, affinate nel tempo e considerate patrimonio non negoziabile, orientate più alla gestione ordinata di un progetto predefinito che non al recupero, come punto di partenza, della individualità propria del singolo ragazzo. «È necessario comprendere quali siano […] i segni tracciati dai modelli culturali che improntano le azioni e le abitudini in comunità, per avere un’idea di quanto possano parlare di logiche prevalentemente istituzionali o, viceversa, possano narrare l’accoglienza, il riconoscimento della propria individualità e di propri bisogni evolutivi» (Bastianoni e Baiamonte, 2014, p. 46).

I giovani stranieri invitano gli operatori a una ridefinizione delle proprie mappe professionali a partire da un rapporto dialettico tra le personali teorie interpretative dell’insieme (la cultura altra) e una affinata disponibilità a osservare e apprendere dal particolare (la storia individuale del minore): «Non possiamo capire le parti di una cultura diversa se non sappiamo già qualcosa sul funzionamento complessivo dell’insieme e, d’altra parte, non possiamo afferrare tale complessivo funzionamento a meno di disporre di una qualche comprensione delle sue parti. Questa idea di interpretazione suggerisce che giungere alla comprensione somiglia più al fare conoscenza con una persona che a seguire una dimostrazione» (Rorty, 1986, p. 48). L’invito di Rorty è a costruire una teoria dell’intervento educativo a partire dall’incontro e dal confronto con la storia dei singoli, in un rapporto di sintesi che permette di comprendere il reale grazie alla teoria e di costruire teorie grazie all’ascolto del quotidiano. Ciò coincide con la costruzione e la valorizzazione di uno spazio educativo specifico non necessariamente altro rispetto e quello tecnico burocratico proprio del mandato istituzionale, ma che al contrario va vissuto e interpretato come ad esso complementare. Lavorare come educatore professionale vuol dire innanzitutto incontrare delle storie; quelle dei minori stranieri soli sono trame che partono da lontano e, come per ogni storia che non si conosce, richiedono innanzitutto una disponibilità ad ascoltare. «La dimensione antropologica della relazione con questi minori prevede la necessità di prendere in considerazione gli approcci pedagogici che sono impregnati di etnocentrismo e di universalizzazione, per essere rimaneggiati all’interno di un contesto meticcio» (Aliverti, 2016, p. 32). Come in ogni relazione, tuttavia, questo non basta, ci vuole anche il desiderio dell’altro di raccontare; e un mezzo condiviso, un linguaggio comune, per comprendersi. Se si è capaci di avvicinarsi a questo lavoro con discrezione, sensibili alle domande che esso pone, senza sovrapporre risposte costruite negli anni in altri contesti, si scopre come ciascuno di questi elementi, la posizione di ascolto, la volontà di comunicare e un linguaggio condiviso per comprendersi non possano essere dati per scontati.

 

Il desiderio e la fatica dell’incontro

Declinare questi tre requisiti educativi nel lavoro con i MSNA richiede una postura educativa caratterizzata da una precisa intenzionalità, da una volontà orientata che sappia progettare le proprie coordinate di intervento a partire da uno spazio di ascolto, attesa e osservazione solo apparentemente passivo. Un’intenzionalità educativa che, collocandosi nel più ampio orizzonte della pedagogia interculturale, deve sapersi confrontare con la fatica e la difficoltà intrinseca all’incontro con l’altro da sé, il diverso, lo straniero. Perché se, con Gadamer (1991), possiamo considerare la varietà e la diversità come dei privilegi di una tradizione culturale, non possiamo però prescindere dalla consapevolezza che l’altro, istintivamente, è percepito prima di tutto come un pericolo per la propria identità (Ricoeur, 2013).

Descrivere l’interculturalità poeticamente aggrappandosi a un’idea tutta astratta della diversità come valore positivo comporta che, quando essa si sostanzierà di necessità in uno straniero in carne e ossa, alla ingenua bellezza della diversità si sostituirà rapidamente un istintivo senso di rifiuto. Intenzionalità educativa significa allora assumere prima di tutto consapevolezza di queste difficoltà; stabilire nuovi punti di partenza nella relazione interculturale è un primo cambiamento necessario richiesto a «chi accoglie», e si connota di necessità come una fatica, una rinuncia a prassi e metodologie consolidate che hanno guidato educazione e didattica nel passato.

«La convivenza a scuola e fuori di essa tra persone con retroterra diversi rende inevitabile che qualcosa vada perduto, da una parte e dell’altra, in una cultura e nell’altra. Una volta che si sono riconosciuti questi punti di partenza si può provare a costruire una memoria comune, nuova, che trae nutrimento dai nuclei delle diverse culture, prima disperse e poi riavvicinate, ma anche dall’interpretazione delle storie che ciascuno si porta dietro, dal lavoro incessante del tentativo di tradurre da una cultura a un’altra» (Giusti, 2017, p. 17). Decentramento da sé e decostruzione delle proprie certezze – non per rinunciare alla propria identità ma per renderla più accessibile – possono quindi essere assunte come premesse necessarie di un’intenzionalità pedagogica che va ricostruita intorno a item specifici quali il recupero della capacità di ascolto, la valorizzazione del quotidiano e dell’informale, l’autobiografia e l’utilizzo misurato e consapevole della narrazione di sé, l’apertura a un lavoro sistemico con altre discipline e l’acquisizione di nuove competenze in un orizzonte di valorizzazione dello specifico educativo quale condizione di possibilità e premessa di ogni altro intervento specialistico.

 

Lo spazio dell’attesa e della narrazione

L’osservazione e l’analisi dei processi educativi nei contesti di accoglienza dei MSNA evidenzia come l’educatore professionale sia chiamato a ripensare molti dei suoi strumenti (patto di accoglienza, griglie di osservazione, progetti educativi individualizzati e di struttura, ecc.), ridimensionando le dimensioni di controllo e gestione in favore di quelle di ascolto e di attesa. «Innanzitutto occorre sottolineare che ognuno di questi bambini e ragazzi possiede un proprio percorso personale e familiare ed è inserito in una genealogia che non è iniziata con l’arrivo nel Paese ospitante. Essi non sono sospesi nel nulla, ma sono ricchi di un passato connotato da esperienze e affetti più o meno positivi nel Paese d’origine, vivono un presente con esperienze e affetti più o meno solidi nel Paese ospitante, si proiettano in un futuro attraverso aspettative e progetti più o meno definiti. […] [È importante] ricostruire i significati con i quali i MSNA danno senso alla loro esperienza, ricollocando non solo il viaggio, ma anche il loro essere “qua” nella loro storia di vita» (Monacelli e Fruggeri, 2012, p. 33).

L’attesa è dimensione pedagogica fondamentale nel lavoro con biografie così distanti dalle più consuete, storie di vita che per potersi esprimere richiedono prima di tutto di potersi fidare, incontrando uno spazio di ascolto e di silenzio attivo, capace di concedere alla narrazione del giovane il tempo di decantazione. «Offrire delle possibilità significa non applicare ricette preconfezionate all’educazione e alla didattica, imparare ad assumere posture educative flessibili, imparare giorno per giorno insieme agli studenti come comportarsi senza essere passivi né erigere muri di difesa, costruire fra il nostro mondo e il loro sapendo preservare riferimenti identitari. […] Spesso si offrono delle possibilità educative proprio se si impara ad aspettare, se si riesce a mostrarsi disponibili, se si sa coltivare la pazienza. […]. Saper aspettare e saper ascoltare sono attitudini complementari alla formazione teorica» (Giusti, 2017, p. 44). Di fronte a biografie così complesse, l’approccio narrativo12 restituisce quindi un’idea dinamica dell’identità, suggerendo una linea del tempo utile al ragazzo a non appiattire il racconto di sé sull’esperienza migratoria, quasi sempre drammatica, e all’educatore a recuperare una storicità e una visione d’insieme del giovane necessaria per una progettazione educativa, unica efficace, di integrazione calibrata sul singolo. Tale approccio è frutto di un processo intenzionale, non spontaneo, che richiede maturità e competenza, volontà e capacità di lavorare nell’incertezze della relazione facendo di questa uno strumento euristico e maieutico.

 

Dell’intervento educativo come tessuto connettivo

Il pensiero e l’approccio narrativo in ambito interculturale nello specifico dell’accoglienza dei MSNA si traducono in uno sguardo e un ascolto sensibile alle fratture identitarie che generano blocchi evolutivi i quali richiedono, per essere trattati, competenze specifiche non curriculari nella formazione dell’educatore professionale. Il trauma, nel contesto di queste biografie, si pone come evento cardine la cui trattazione apre a orizzonti educativi da esplorare, consolidando una presa in carico sistemica del giovane che coinvolga e integri la dimensione socio-educativa con quella medica e psicoterapeutica. Tale considerazione rimanda a un approccio alla professione educativa che, in special modo nel caso dei MSNA, non può sottrarsi al confronto costante con altre discipline e a un lavoro di rete che coinvolge l’etnopsichiatria, la psico-educazione, la linguistica acquisizionale, la mediazione interculturale, l’arte-educazione, l’antropologia, la geopolitica, la giurisprudenza, le politiche del lavoro, in un quadro complessivo di competenze e professionalità complementari.

La valorizzazione dei margini di sovrapposizione tra l’educazione e ciascuno di questi ambiti permette di riconoscere come territorio proprio dell’educazione quello rappresentato dagli spazi presenti tra queste professioni, interstizi che garantiscono la possibilità di accedere ai diversi saperi, rendendoli efficaci. L’educatore vive la quotidianità della relazione e non l’eccezionalità della presa in carico specialistica, caratterizzata quest’ultima da continuità ma anche da tempi e spazi definiti e altri rispetto a quelli della vita di tutti i giorni. All’educatore professionale spetta il compito di costruire percorsi di accessibilità, disegnare mappe di mobilità tra la presa in carico di diversi bisogni specifici, connettendoli in modo organico all’identità del singolo, senza sottrarsi alle proprie responsabilità delegandone l’efficacia allo specialista di turno. L’educatore, nel riconoscere un bisogno, deve saperlo raccogliere, interpretare, renderlo intellegibile all’utente, proporre percorsi di condivisione, cura e soluzione dello stesso, orientando paure, speranze e proiezioni in una dimensione empatica e realistica.

In sintesi, l’educatore è colui che sa accompagnare, consapevole che senza la costruzione di una rete di passaggi affidabile ed efficiente nessuna presa in carico di tipo specialistico potrà essere efficace. In questo senso la comunità di vita tipica dei contesti di accoglienza residenziale descrive uno specifico educativo prezioso ed unico, che può essere inteso come il terreno di coltura di ogni altro intervento. Lo scenario di complessità e incertezza che l’intervento educativo con i MSNA restituisce alle scienze pedagogiche può essere utilmente abitato da una professionalità educativa rinnovata, capace di recuperare e valorizzare alcune dimensioni fondative della disciplina, determinata a promuovere la specificità del proprio ambito d’azione, consapevole del potenziale di cambiamento che, sola, può favorire.

 

Bibliografia

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Note

1 Repubblica Italiana, 2017: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/04/21/17G00062/sg (ultimo accesso: 15/01/18)
2 Repubblica Italiana, 2017: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/09/15/15G00158/sg (ultimo accesso: 15/01/18)
3 Repubblica Italiana, 2017: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/04/21/17G00062/sg (ultimo accesso: 15/01/18)
4 I principali dati sulla presenza di minori stranieri non accompagnati (MSNA) in Italia sono forniti dalla «Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali», alla quale spettano specifici compiti di monitoraggio e censimento. Ulteriori dati sui MSNA, concernenti gli sbarchi, i permessi di soggiorno e le domande di protezione internazionale, sono forniti dal Ministero dell’Interno.
5 Soltanto tra i minori, i non accompagnati nel 2014 erano il 49%, nel 2015 diventano il 65%, il 92% nel 2016 e il 93% nel 2017 a testimonianza di una esperienza migratoria sempre più individuale; specificità questa tutta italiana se si considera che, secondo i dati UNICEF, nella vicina Grecia solo il 15% dei minori risulta non accompagnato.
6 I dati qui riportati sono estratti da un recente bollettino UNHCR (UNHCR, 2017) e frutto di testimonianze dirette raccolte dall’autore.
7 Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate - Relazione sul sistema di protezione e di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati - http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/bollettini/pdf/2017/07/19/leg.17.bol0855.data20170719.com69.pdf (ultimo accesso: 15/01/17)
8 L’accoglienza del MSNA in Italia attualmente si articola essenzialmente in tre livelli differenti: una prima accoglienza, immediatamente successiva all’arrivo del minore sul territorio nazionale, utile a fornire le prime cure di carattere emergenziale; una seconda accoglienza articolata in strutture di pronto intervento – ove si provvede alla regolarizzazione documentale, al monitoraggio sanitario e all’alfabetizzazione – e un terzo livello in strutture di avvio all’autonomia ove si provvede alla formazione professionale e alla costruzione di percorsi di inserimento lavorativo e abitativo.
9 L’uso del termine «adolescenza» in ambito interculturale può a buon diritto essere considerato una sorta di “prima colonizzazione” culturale, una prima oggettivazione di un tempo evolutivo che non può darsi per scontato in quanto fase di vita fortemente connotata dalla cultura di provenienza. Adolescenza è termine tuttavia qui mantenuto in quanto utile a identificare una terra di mezzo, luogo di confine in cui il giovane immigrato si trova a dover rinegoziare il proprio modello di relazione e di appartenenza nel tentativo di raggiungere una piena autonomia economica, abitativa e affettiva dalla famiglia d’origine e dalle persone che, nelle strutture di accoglienza, lo accompagnano alla maggiore età. Cfr Cassoni (2011).
10 Circolare ministeriale del 24 marzo 2017 intervenuta per chiarire che le Questure possono rilasciare il permesso di soggiorno per minore età, pur in assenza del passaporto o di altro documento equipollente (Ministero dell'Interno, 2017).
11 È il caso, ad esempio, dei minori provenienti dalla Nigeria o della Repubblica di Guinea.
12 Sull’importanza dell’approccio narrativo in ambito sociale cfr. Smorti, 1994.

DOI: 10.14605/EI1611802


© 2018 Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.
ISSN 2420-8175. Educazione interculturale.
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